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Autore: EuphemiaMorrigan    30/10/2016    1 recensioni
Affermati studiosi, uomini di scienza, dicono che l'energia dell'amore sia la stessa che smuove l'odio. Tale è l'intensità.
E così, da un sentimento nobile, profondo, germoglia il seme dell'ossessione, il pericolo, poiché tutto ciò che credevi fosse priorità assoluta, viene messo in secondo piano, in un attimo, da quel che io ho plasmato, regalato a voi... Illudendovi con la migliore delle mie bugie, quando riferii, alla prima creatura terrena, che l'amore sarebbe stato un'onda di salvezza, ma, in verità, vi confesso, è solo uno tsunami di rimpianti.
[Terza storia della saga Pandemonium, diretto seguito degli accadimenti avvenuti in Chimere. IzunaxOc. MadaSaku. SasuNaru, ed accenni ObiRin e ShiIta]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Itachi, Izuna Uchiha, Naruto Uzumaki, Nuovo Personaggio, Sakura Haruno | Coppie: Naruto/Sasuke, Obito/Rin
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Pandæmonium.'
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Capitolo sei: Afrodite.

Angolo autrice: BuonSalve.
Ultimo capitolo, ringrazio chi l'ha seguita, ringrazio Kyuukai per il supporto e... Nulla.
Ci vediamo, per chi interessa, fra due mesi (Circa) con la quarta storia della serie.
E presto, forse, con il primo capitolo di una storia... Abbastanza dura da digerire ^^  
Buona lettura <3 

Quando il giorno arriva,
ma io ho perso la mia strada.
E le Stagioni smettono di succedersi
e si nascondono sotto al terreno.
Quando il cielo diventa grigio
e tutto comincia ad urlare.
Io raggiungerò ciò che ho dentro.
Solo per scoprire che, alla fine, il mio cuore sta battendo.

 

La marcia continua delle creature, in quelle lunghe ore, non s'era mai fermata.
Per nulla intenzionati a concedersi alcuna pausa, avanzavano oltre il brutale paesaggio desertico che s'espandeva a macchia d'olio, aldilà delle selvagge dune abitate da animali velenosi ed ostili. Superarono rapidi gli alberi spogli, inceneriti e morenti, le rocce erose a causa dei secoli trascorsi e la violenza del vento, del caldo e dei colpi in eterne battaglie ch'erano stati scagliati su queste.
A loro non interessava del sangue che, copioso, colava dalle brucianti ferite riportate durante quei cinquanta giorni di viaggio, oppure del sudore che s'incollava alle loro carni assieme alle piccolissime particelle di sabbia dorata, o della stanchezza delle ginocchia cedevoli.
L'unico desiderio di quel limitato gruppo di demoni era poter fare ritorno a casa.
Solo quando, finalmente, le pendici dell'immenso e sacro vulcano si fecero visibili dinanzi ai loro occhi, potettero tirare un sospiro di sollievo e liberarsi d'ogni preoccupazione.
Eir, che mai prima di allora aveva veduto la città sotterranea, spalancò le palpebre con stupore a quella visione, per lei, meravigliosa e commovente; rivolse lo sguardo ai genitori, notando come gli occhi della madre fossero pieni di lacrime trattenute e l'espressione del padre si faceva sempre più rilassata e speranzosa.
E mentre attraversava sicura un mercato a cielo aperto, dove un brusio di voci sconosciute aumentava sempre di più d'intensità, tra le abitazioni rocciose costruite su solida lava e denso vapore che circondava quelle alte mura che s'erano lasciati alle spalle...
Lì, in quel preciso istante, si sentì nel posto giusto.
“Seguitemi!” Li richiamò improvvisamente il Generale, con un tono di voce completamente diverso da quello che, in quelle poche ore, la giovane aveva imparato a conoscere.
Nascosta dalla durezza traspariva nitidamente l'euforia, l'estremo bisogno di concludere rapidamente il loro compito.
Eir intravedeva, nelle espressioni fredde e distanti, una serenità che non credeva potesse mai invadere alcuni di loro; si rese conto di come, tutti quei soldati, avessero impercettibilmente accelerato il passo, bramando di ritornare alle loro vite.
Le sue labbra si schiusero ancora di sorpresa quando vide l'immenso palazzo degli Elati che, semi-nascosto, sorgeva all'interno di quel maestoso vulcano, confondendosi con questo quasi fossero una cosa sola. Lì dove dimorava da sempre quella Dea che mai aveva avuto l'onore di incontrare.
Stava per chiedere delucidazioni ai genitori, ed i loro accompagnatori, su come dovesse comportarsi al suo cospetto, ma qualcosa attirò nuovamente la sua attenzione, o meglio qualcuno.
Si stupì immensamente quando Izuna fece crollare a terra la sua maschera di stoicismo, accelerando il passo per raggiungere una piccola femmina che, a pochi metri da loro e vicino ad un'altra dai corti capelli rosa, stava praticamente distruggendo l'orlo del suo prezioso vestito tra le dita. Indecisa su come comportarsi.
E si spaventò ancora di più quando, la seconda sconosciuta, si distanziò da lei per correre tra le braccia di Madara; credeva quasi che l'avrebbe scacciata malamente, dato il carattere burbero che aveva dimostrato durante il breve viaggio assieme.
Non avvenne.
Bensì la fece quasi scomparire in quell'abbraccio, cullandola a sé con una dolcezza che mai, in nemmeno un'intera esistenza, avrebbe creduto potesse avere quell'Impeto; la osservava in adorazione, le baciava le corte corna...
In imbarazzo spostò nuovamente lo sguardo sull'altro maschio, distante qualche metro da loro, che aveva immerso il viso nei ricci neri di quella che, ormai aveva compreso, era la sua Domina. Dei soldati erano davvero in grado di dimostrare così tanto affetto?
“Proseguiamo” Intervenne Sasuke, attirando la sua attenzione e posandole una mano sulla spalla per spingerla, lievemente, ad avanzare di qualche passo, per nulla interessato a quello che stava accadendo; come se per lui, ed anche per gli altri, fosse una consuetudine.
Osservò la sua schiena quando la superò, affiancando Naruto, ed allora le uscì spontaneo “Come accade?”.
“Di cosa parli?” S'informò con gentilezza il demone dai capelli biondi, senza però voltarsi in sua direzione e continuando a percorrere il lungo corridoio azzurro in cui erano giunti proprio in quell'attimo.
“Ecco, come... -La voce suonò mortalmente imbarazzata; in più gli occhi cremisi del genitore, che scrutavano attenti il suo profilo, la mettevano in soggezione, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio sulla timidezza- C-come si fa a comprendere di aver incontrato il proprio Domino? Voi come lo avete capito?”.
Il Patricio tossì una risata gutturale, s'era aspettato tutto, tranne quella frase.
Invece Sasuke scuoté mestamente il capo, rassegnato all'inclinazione di quella giovane femmina di far assurde domande nei momenti meno appropriati.
L'improvviso sbuffo seccato di Itachi riportò tutti all'ordine “Non è il momento”.
“Mi dispiace...” Pigolò Eir, facendosi ancora più piccolina al fianco della madre, ed adocchiando il padre riprenderla con uno sguardo torvo.
Non era colpa sua se quando si sentiva agitata parlava a sproposito.
“Lo sai e basta. -La voce di Shisui la stupì, anche perché per tutta la durata del viaggio di ritorno non aveva mai aperto bocca; le appariva strano che proprio lui stesse rispondendo ad una sua curiosità, dato che pareva detestare sia lei che la madre, colpevoli d'esser la causa della fuga del fratello- E quando accade l'altra... O l'altro, diviene la tua massima priorità”.
In seguito a quella frase, dai molteplici significati, si concluse quel breve scambio di battute, anche perché quel piccolo gruppo aveva già superato l'arco che li avrebbe portati direttamente alla sala del trono.
Dove, oltre la figura imponente della Dea Coniglia, li stava attendendo anche Orochimaru, che probabilmente era stato avvisato del loro ritorno da qualche Augur.
In un primo momento Kaguya si rivelò abbastanza astiosa nei riguardi di quei nomadi, da sempre poco propensa a concedere il perdono a chi tradiva la sua fiducia; l'intervento di Naruto in difesa di quella famiglia ed il racconto di Obito però, le fecero comprendere cosa si nascondeva dietro quell'atto imperdonabile e concesse infine loro una seconda possibilità.
In più, una grande e nascosta parte di lei, si commosse profondamente a sentire un'altra femmina, dopo tanti secoli di profonda sofferenza, esser chiamata mamma in sua presenza.
Ordinò quindi alla famiglia di Obito di rimanere a palazzo per i primi tempi, il periodo necessario per sedare eventuali dissapori all'interno della società, visto che non tutti sarebbero stati d'accordo del loro ritorno. E disse al curatore di occuparsi immediatamente delle ferite dei quattro demoni, accennando perfino un raro sorriso in direzione delle sue guardie, probabilmente rassicurata del loro ritorno sani e salvi.
In seguito, e con molta calma, Orochimaru si sarebbe occupato di Rin, iniziando quindi le dovute ricerche ed analisi sui campioni di sangue che aveva a disposizione, sperando che questi lo avrebbero finalmente aiutato a raggiungere il suo obiettivo.
E quando tutti, alla fine, si congedarono da lei per concedersi del meritato riposo, rimasta sola con un silenzioso e molto sereno Suigetsu, si concesse un sorriso più ampio.
Avvertendo pian piano il gelo che le circondava il cuore sciogliersi del tutto.

Izuna non rimembrava quasi nulla della mezz'ora trascorsa e neanche gli importava d'essersi congedato o meno dagli altri; l'unica cosa che gli interessava era ascoltare esclusivamente il battito del cuore di Demetra e ricongiungersi con il calore della sua pelle.
Il resto era superfluo.
Ogni cellula del suo corpo bramava soltanto tornare ad intossicarsi della presenza e del profumo delizioso di lei; la baciò vorace, la sfiorò con passione crescente, la morse ancora ed ancora e continuò a farlo per i successivi minuti, con la gola riarsa e gli occhi liquidi che non perdevano occasione di venerare ogni minima parte di quel corpo aggraziato.
Quanto le era mancata.
“Sei qui, sei tornato da me...” Mormorò lei tra lacrime di gioia, cingendogli con forza le spalle e strusciando delicata il viso nell'incavo del suo collo, grata che fosse sano e salvo.
Non sapeva com'erano arrivati a casa, ricordava solo che, ad un certo punto, s'era sentita distendere tra le fresche lenzuola di seta che ancora avevano il buon odore del maschio; lo aveva lasciato fare, ricambiando ogni suo gesto con trasporto.
Ci sarebbe stato tutto il tempo del mondo per parlare, dopo.
Con una baldanza che raramente mostrava in certe occasioni, a causa del carattere timido, lo spogliò con non poca fatica della spessa armatura che proteggeva il suo torace e passò le mani tremanti su questo, soffermandosi su ogni piccolo taglio, o bruciatura, carezzando con amore infinito i cristalli azzurri che deturpavano quel corpo da secoli. Serrò le dita su quello più grande e rialzato della spalla per attirarlo ancora di più verso di sé, avvertendo il bisogno bruciante di baciarlo fino allo sfinimento, finché non avrebbero perduto il fiato.
Izuna inspirò violentemente a quei gesti, rinchiudendo i fianchi longilinei tra i palmi e spingendola a sollevarli un poco, per poter sfregarsi sopra di lei e farle avvertire chiaramente con quanto tormento la desiderasse. Tracciò il contorno di quelle labbra secche con la punta della lingua, mugolando senza alcuna vergogna quando, quella della femmina, ricercò un contatto maggiore, intrecciando i loro muscoli assieme ed iniziando una piacevole lotta durante quel prolungato bacio; massaggiò il suo palato con una malizia tale da portarla ad arrossire fino alla punta del naso e, la sua mano destra, discese dall'anca per carezzare tutta la pelle coperta da quel sottile vestito di candido bianco.
Meravigliosa.
Così nobile e pura che la sua insanità pretendeva, follemente, l'urgenza di sporcarla ancora.
Perché tale candore gridava, desideroso, di venir insozzato da lui.
Insinuò quella stessa mano oltre le pieghe dell'abito, stringendole un ginocchio e costringendola ad allargare la gamba, risalendo poi alla coscia, fino a sfiorare con la punta delle dita l'orlo delle sue mutandine e strapparle senza alcun riguardo.
“Domino, aspetta!” Esclamò lei, discostandosi dalle sue labbra per riuscire a prendere un poco d'aria e accennando una risata isterica quando lui ringhiò gutturale, per nulla intenzionato a fermarsi dal farla sua ancora una volta.
Si distanziò ancora, sfilandosi rapidamente il lungo vestito, non voleva di certo che Izuna rompesse anche quello, rimanendo completamente nuda dinanzi a quegli occhi famelici e, per un attimo, un misto di terrore ed eccitazione invasero le sue viscere.
Lo pregò di rimanere fermo mentre denudava anche lui con estrema calma, scostando il viso arrossato d'imbarazzo alla vista della grossa erezione pulsante che aveva tra le gambe, a quello non si sarebbe mai abituata.
L'Impeto, per qualche attimo, si beò della splendida visione di quella fragile creatura completamente indifesa e nuda dinanzi agli occhi del suo padrone.
Massaggiò con bramosia i piccoli e sodi seni finalmente alla sua mercé, abbassandosi verso il collo per succhiare e mordere quella pelle di porcellana e sorrise malizioso quando, spostandosi con le dita di una mano sul ventre piatto, arrivò a sfiorare la vulva già leggermente bagnata. Inserì una lunga falange dentro di lei, strappandole un gemito sorpreso per tutta quell'urgenza.
Demetra si morse a sangue il labbro inferiore, andando incontro a quella piacevole intrusione e respirando a fatica quando le dita divennero due, allargandola ancora di più e flettendosi con apprezzata malignità tra le sue pareti umide e febbricitanti.
Ma desiderava toccarlo.
Fargli comprendere che, ormai, in ogni suo pensiero esisteva solo lui.
Per questo puntellò i palmi sul suo torace, spingendolo indietro con forza e testardaggine, soffiando frustrata quando uscì da lei e smise di prepararla, ma lo fece comunque adagiare tra le morbide coltri e salì sopra di lui, sfiorando le corna d'avorio con la punta delle dita e muovendo sensualmente il bacino per frizionare assieme le loro intimità.
“Sei meravigliosa, Banshee” Mormorò adorante Izuna, arpionando la carne liscia del suo sedere e spingendola ancora di più contro la dura erezione, schiudendo le labbra riarse alla stupenda sensazione d'averla sopra di lui.
Così bella...
Con quei lunghi ricci neri che si muovevano armoniosi ad ogni spostamento di quell'esile e trepidante corpicino, carezzando le sue spalle piccole ed i seni, sfiorando con malizia i capezzoli turgidi e bisognosi di cure.
“Ti voglio, ora. Per sempre” Lo supplicò con voce rotta dalla passione, graffiando il suo torace con le unghie affilate e scendendo fino al membro teso, chiudendolo nel pugno e dirigendolo piano all'internò di lei; inarcò la schiena quando la cappella tozza e cristallizzata la penetrò ed allargò del tutto, desiderando di più.
Ancora di più.
Si calò completamente su di lui, immergendo con rabbia ed estrema voglia gli artigli nella carne dei fianchi, mentre iniziava a muoversi per andare incontro a quella verga pulsante che la stava facendo impazzire.
Izuna ricambiò il favore sulla pelle immacolata della sua schiena, ferendola come mai prima di allora e facendosi sfuggire un ruggito di godimento quando le pareti bollenti lo stritolarono maggiormente all'interno di loro; la tirò verso il basso, fagocitando immediatamente la sua bocca con la propria e scopando anche questa, con la stessa violenza con cui stava penetrando in lei con il suo cazzo.
La morse con furia e desiderio, trasformandosi in quella bestia ch'era sempre stato, insinuando le mani tra la piega delle sue ginocchia e, senza uscire da lei, con un colpo di reni cambiò rapidamente le loro posizioni, riempendola con violenza e smorzando il suo grido di sorpresa e godimento con l'ennesimo rude bacio, poi disse “Mi stai rendendo un folle”.
“Lo siamo... Da sempre...” Rispose afona e, solo per lui, le labbra gonfie e martoriate si piegarono in un sorriso carico di felicità.
In seguito tirò indietro il collo e socchiuse gli occhi lucidi all'ennesima potente spinta, le gambe tremarono ed allora le allargò ancora di più per accoglierlo meglio tra le cosce imperlate da piccolissime gocce di sudore; percepì il ventre bruciare dolorosamente, agognando che lui la riempisse con il suo seme.
Nemmeno l'avesse udita, Izuna crucciò le sopracciglia e si mosse più dolce contro quel corpo morbido e sensuale, confessando “Non posso, Domina. Non posso...”.
Demetra sgranò le iridi scarlatte, ben sapendo a cosa si stesse riferendo, ed avvolse le sue grandi spalle con un braccio, per sorreggersi e sollevarsi un poco, serrando i fianchi del marito con le cosce in una ferrea morsa e poi lo schiaffeggiò collerica, lasciando il palmo premuto contro la sua guancia e soffiando, mentre qualche lacrima salata le rigava il viso distorto dalla sofferenza “Dopo cinquanta giorni di lontananza non azzardarti a venire fuori da me!”.
Lui deglutì senza saliva, premendo la sua mano sul dorso di quella della femmina, in un gesto che aveva lo stesso sapore ferroso del sangue e di ricordi sigillati in un passato ancora troppo vicino per esser dimenticati del tutto; abbassò le palpebre e sussurrò “Non ti metterò in pericolo ancora”.
“Non sono fertile, Izuna. -La voce carica di amarezza di Demetra lo stupì, così come lo fecero le sue successive parole- So tutto, ogni tua bugia.
E ti odio!
Ti odio tantissimo... -Gridò con rabbia, prendendolo a pugni sulle spalle, per poi abbracciarlo con forza ed insinuare il viso nell'incavo del suo collo, aggrappandosi in ogni modo possibile al demone e mormorando infine, con una sincerità tale da procurare in lui dolore e serenità assieme- Ti odio perché con te accanto non desidero più morire, perché io, ora, qui con il mio Domino... Sono felice...”.
Un velo coprì gli occhi del maschio a quelle parole, consapevole d'esser riuscito, seppur distrutto e spezzato dal destino, a far del bene almeno a lei.
L'unica creatura di cui veramente gli importava.
Sfiorò un rosso corno a spirale con le labbra, stirandole poi in un sorriso malinconico mentre se la cullava al petto, respirando finalmente, e realmente, nuova aria.
“Grazie di avermi raccolto da terra, Domina”.
L'espressione di Demetra si fece dolce e, baciando i suoi pettorali, rialzò il viso per incatenare i propri occhi a quelli scuri e liquidi del marito, dicendo lieve “Amami, Izuna”.
E a quella richiesta lui non poté fare a meno di assaggiare nuovamente le labbra intossicanti, allungandola delicatamente sotto di sé e continuando a lenire ogni ferita di quell'anima fragile con i suoi tocchi, come faceva da sempre.
Come avrebbe fatto per l'eternità.

Sai, quella volta, provò sensazioni completamente diverse rispetto al solito, così anomale che non sapeva spiegarsele neanche lui che mai, in tutti quegli anni, s'era trovato dinanzi a tali percezioni.
Un secondo prima era seduto sul pavimento in marmo della sua stanza, le gambe incrociate contro il suolo e le braccia lasciate mollemente su queste, respirava tranquillo, rilassato, meditando come da sempre era abituato a fare quando aveva un momento libero.
Nessuna preoccupazione invadeva la sua mente da lunghi mesi.
D'un tratto, però, cambiò ogni cosa. Così rapidamente da confonderlo.
Percepì agitazione e cieca furia. S'avvicinavano, sempre di più.
Ed i suoi occhi scuri vennero attraversati da visioni distorte e grottesche, i timpani feriti da urla disumane, animalesche... Mentre la rabbia cresceva dirompente, infuocando brutale ogni parte del suo spirito.
Così pieno di collera e sofferenza che avrebbe avuto il potere di distruggere intere città, sterminare ogni razza, sottomettere a sé tutte le creature esistenti.
S'era trasformato in una mente insana, un folle, che non provava alcuna pietà per i pianti disperati, i martirii causati, la morte.
Una bestia che si cibava del sangue dei nemici.
Un assassino... Per proteggerla era divenuto quel mostro.
Solo per poter ancora, in eterno, carezzare quei bellissimi capelli blu e sussurrare mille volte il nome di quella creatura meravigliosa che mai lo avrebbe abbandonato.
Concedendogli perfino un erede per il suo Impero.
Mai la Dea mi dividerà da te, mia Domina, creerò un intero esercito per difenderti...
E Sai riaprì nuovamente gli occhi, osservandosi le mani in preda al panico e riprendendosi lentamente quando si rese conto che, a differenza della sua visione, queste non erano sporche di vischioso liquido rosso.
Era accaduto tutto così rapidamente che barcollò quando cercò di rimettersi in piedi, sostenendosi al muro bianco e cercando di sgombrare la mente. Rendendosi conto della differenza sostanziale rispetto a quando, tempo addietro, era venuto a conoscenza del passato di Obito e Rin; questa volta il suo corpo non aveva subito alcuna conseguenza, le sue gambe lo sostenevano e camminare non gli procurava alcun dolore, ma il suo spirito invece... Quello pareva lacerarsi sempre di più, come se ogni brandello di sanità mentale lo stesse abbandonando, trasformandolo in qualcosa di orribile.
Uscì velocemente dalla sua dimora, correndo in direzione del palazzo degli Elati con il cuore rigonfio di sentimenti d'odio che non gli appartenevano, con un'urgenza che mai, prima di allora, lo aveva colpito.
Schivò malamente le domande delle guardie reali, pregando il fratello di concedergli di parlare immediatamente con la Madre, perché aspettare un solo secondo si sarebbe rivelato un errore imperdonabile.
E Sasuke, che così sconvolto non ricordava di averlo mai visto in quasi duecento anni, lo lasciò attraversare il grande arco, preoccupato di come gli occhi spiritati di Sai preannunciassero un nuovo, profondo, dolore.
“Madre!” Esclamò con tono che rasentava l'isteria, senza nemmeno inchinarsi, o notare l'Impeto che, in quel momento, se ne stava a pochi metri da lui e, fino ad un attimo prima, era intento a discutere con la Dea di importati questioni riguardo la sua famiglia.
Kaguya assottigliò gli occhi, irritata da quel comportamento “Ti sembra il modo di...”.
“Un'altra femmina... -Non la fece finire di parlare, avanzando di qualche passo in sua direzione e ripetendo- Un'altra femmina ha partorito un figlio sano, rimanendo in vita.
Il suo nome è Konan”.
Obito sobbalzò a quell'affermazione, stringendo ancora di più la presa sull'elsa della sua daga e puntò gli occhi al pavimento, credendo fosse un brutto scherzo del destino.
Nessuno di quei gesti sfuggì alla Dea che, intrecciando le dita fra loro e posandole contro il suo ventre, chiese lentamente “La conosci? È un'altra nomade?”.
L'altro demone rialzò il viso, adocchiando l'Augur ancora perso in chissà quali pensieri, fece un gesto di diniego e poi la informò freddamente “È l'amata Domina di Nagato, il capo dei Livor”.
Kaguya celò le iridi viola alla vista di chiunque di loro, spostando il volto verso un punto indefinito di quell'immensa e fredda stanza.
E di nuovo, come di già era accaduto secoli addietro, quando i figli che sempre aveva protetto ed amato si erano scagliati ingrati, brutali, contro di lei e tutte le Divinità di quell'imposto Inferno, la sensazione di poter tornare a sgretolarsi in candida ed inconsistente cenere la colpì in pieno petto.
Domandandosi se ci fosse la speranza che potesse essere l'ultima volta o se, quella maledizione causata dalla scelta più dolorosa mai fatta, sarebbe perdurata in eterno.
Poiché tutto ciò che viene costruito, prima o poi, finirà per essere distrutto.

Link (in)utili e bla bla bla finale: 
E finisce anche questa... Per fortuna.
Afrodite: https://it.wikipedia.org/wiki/Afrodite
Beh, la Dea dell'amore. Semplicemente.
La canzone è sempre quella del quinto capitolo, ho deciso di usarne solo due perché, secondo me, erano quelle che si sposavano meglio con la storia.
Alla prossima <3 

   
 
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