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Autore: Kerri    31/10/2016    8 recensioni
[CaptainSwan: AU] [Accenni Rumbelle, Snowing, OutlawQueen]
Emma Swan si è trasferita a New York a 17 anni, accettando una borsa di studio che le avrebbe cambiato la vita, lasciandosi alle spalle un'infanzia difficile, Storybrooke e il suo migliore amico. Ma ha dovuto vedere tutti i suoi sogni frantumarsi, schiacciati dalla consapevolezza di aspettare un figlio.
Adesso la sua vita si è stabilizzata, ha Henry, gestisce un negozio di antiquariato e non sa che la sua vita sta per cambiare drasticamente, riportando a galla i più nascosti fantasmi del suo passato.
Killian Jones ha un'unica regola nella sua nuova vita: basta impegnarsi. È uno degli architetti più promettenti di New York e un giorno, riceverà una proposta che potrebbe dare una svolta alla sua carriera. Ma per farlo, dovrà collaborare con una sua vecchia conoscenza, riaprendo ferite mai rimarginate.
Il destino, continuerà a prendersi gioco di loro e dei loro amici, tra incontri, scontri e colpi di scena. Ma riusciranno Emma e Killian a perdonarsi e a ricominciare? Riusciranno, insieme, a riscrivere il loro destino? E se questo non fosse stato ancora scritto?
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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22. Missing

 

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Se sapessimo cosa ci aspetta, saremmo più bravi a vivere?
Eviteremmo di ficcarci nei guai, di commettere errori,
di dire cose di cui ci pentiamo?
Forse sì.
Faremmo la cosa giusta, prenderemmo la decisione migliore,
ma soprattutto non proveremmo quel fastidioso disagio
tutte le volte che la vita ci sorprende.
-Sara Rattaro
 
 
 
Tremava.
Tremava e non riusciva a respirare, né a pensare.
Dio. Dio. Dio.
Stava bestemmiando?!
Oh al diavolo, non gliene importava un fico secco.
Qual era il campanello giusto?
Maledizione, non poteva perdere altro tempo!
C’era il suo nome o quello del precedente inquilino sul campanello?
Maledizione, ma quanti erano?
Aveva detto due volte “Maledizione” nel giro di tre secondi…
Cazzo.
Ecco, meglio.
A che piano abitava?
Aspetta…
Aveva mai suonato il suo campanello?!
Oh no, certo che no.
Stupida.
Stupida.
Tremava più di prima.
Lui le aveva dato le chiavi, in quel periodo in cui era all’ospedale. Come aveva fatto a dimenticarlo?
Aprì la borsa.
Sentì il portone aprirsi e vide il portiere che la salutava, dall’altro lato del vetro.
C’era mai stato? Forse sì.
Ma non aveva il tempo di pensarci adesso.
Dio. Dio. Dio.
Cazzo.
Fa’ che sia in casa, fa’ che sia in casa.
Corse su per le scale, non aveva neanche tempo di aspettare l’ascensore.
Aveva il cuore in gola e il respiro affannato.
Aveva freddo e caldo e non riusciva a pensare a niente e grazie al cielo c’era il passamano perché aveva rischiato di cadere più di una volta.
Arrivò con il fiatone davanti alla sua porta.
Si appoggiò per qualche istante per riprendere fiato ma non aveva tempo neanche per quello.
Dio, Gesù, Allah qualunque sia il tuo nome, ti prego fa’ che sia qui, fa’ che sia qui!
Suonò il campanello.
Attese.
Suonò di nuovo.
Sentì dei passi strascicati, tirò fuori l’aria che non si era neanche accorta di aver trattenuto e la porta si aprì.
«Swan!»
Si precipitò dentro, andò in camera da letto, in cucina, in bagno e in salone.
«È qui?! Ti prego, dimmi che è qui!» mormorò quando l’uomo, spaesato, si frappose tra lei e la camera degli ospiti.
Lo scansò e aprì anche quella porta.
Vuota.
«Chi?! Swan ma che diavolo…?!»
Una strana consapevolezza le avvolse il cuore, il cervello e perfino lo stomaco.
Le veniva da vomitare e piangere e probabilmente tremava ancora perché quando Killian la prese per le spalle, preoccupato, cercando di calmarla, un brivido la scosse fin dentro le ossa.
«Emma! Emma che cosa è successo?! Parlami! Ti prego!»
Gli occhi si bagnarono e probabilmente anche le guance.
Era sul lastrico.
Tutte le sue paure stavano diventando realtà.
«Henry… - singhiozzò – Lui è…»
«Cosa Emma? È cosa?»
«È scomparso…» 

 
Una settimana prima
 
Se in quel momento gli avessero chiesto quale fosse il superpotere più utile, lui avrebbe sicuramente risposto “Diventare invisibile”.
Probabilmente aveva aperto la bocca o se non l’aveva fatto, l’avrebbe fatto di lì a pochi istanti.
Probabilmente era preparato a tutto, ma non a quello.
Si grattò la nuca, cercando di distogliere lo sguardo dagli occhi nocciola che, imperterriti, lo fissavano in attesa di una risposta.
Cosa doveva dire?
Cosa si diceva in quei casi?
C’era qualcuno che si era mai trovato in una situazione, anche lontanamente simile alla sua?
Ne dubitava fortemente.
Deglutì, cercando di guadagnare tempo.
Pensa pensa pensa pensa.
Cosa doveva fare?
Acconsentire a quella follia avrebbe significato mentire ad Emma e lui non pensava di riuscirci, non dopo ciò che era successo tra loro.
In più, lei gli aveva raccontato che razza di persona fosse il padre di suo figlio e quasi sicuramente, quest’ultimo non sapeva neanche dell’esistenza del bambino di fronte a lui.
Tuttavia non voleva neanche deludere il suddetto bambino perché credeva in lui a tal punto da avergli confidato una simile intenzione.
Era piuttosto sicuro che Emma sarebbe andata su tutte le furie se solo l’avesse saputo.
Pensa pensa pensa pensa.
«Henry…» cominciò, sperando di riuscire a trovare le parole adatte per non rovinare ciò che, in quei mesi, aveva costruito.
Di solito era bravo a scegliere le parole, quelle più giuste, le migliori, ma non l’aveva mai fatto di fronte ad un bambino semi-adolescente, un bambino a cui, di fatto, aveva cominciato a voler bene.
Cinque minuti fa gli era addirittura passato per la testa di potersi considerare a tutti gli effetti suo padre e adesso? Cos’era successo?
«Hai parlato con tua madre di questa tua… intenzione?» mormorò, pregando tutti i santi che conosceva e perfino quelli che non conosceva, che la donna in questione comparisse magicamente sulle scale e mettesse fine a quella situazione.
«Sì… ma lei non vuole raccontarmi tutta la storia! Dice che non è il momento, che sono piccolo e sciocchezze del genere! Non è vero! Io sono grande e voglio conoscerlo…»
«Sai che io non l’ho mai visto, vero?» chiese, titubante. Forse voleva farlo demordere ma non ottenne esattamente il risultato sperato.
«Sì, ma a te la mamma risponderà! Tu puoi chiederglielo, ovvio che sei più grande di me, anche se anche io sono grande ma comunque tu indagherai e poi mi dirai tutto, proprio come stai aiutando la mamma a trovare i suoi genitori…»
«Henry, so che sei grande ma…»
«A meno che… - l’espressione del bambino si illuminò e saltò in piedi, poi si ricordò che non avrebbe dovuto gridare e quindi cadde di nuovo sul tappeto, mormorando -…tu non sappia già qualcosa!»
Prese il silenzio di Killian come un “sì” e batté piano le mani, esultando. Se non fosse stato in bilico tra lo scegliere se mentire alla donna della sua vita e aiutare il figlio della donna della sua vita a cercare il padre che li aveva abbandonati senza neanche un ripensamento, probabilmente avrebbe anche sorriso.
«Avanti, dimmi tutto!»
L’uomo sospirò pesantemente.
«Henry… t-tu cosa sai esattamente?» chiese, timoroso, sapendo che probabilmente si stava cacciando in un guaio perfino peggiore.
«Che ha fatto una cosa brutta alla mamma però lui non era cattivo…»
Emma allora gli aveva detto qualcosa.
«Capisco… e nonostante questo tu vuoi cercarlo comunque? Non pensi che non sia giusto nei confronti di tua madre?» chiese, cercando in tutti i modi di farlo ragionare.
«No! Io voglio cercarlo così lui può chiederle scusa e io posso conoscerlo e così tutti e tre andremo avanti con le nostre vite… Mamma potrà sposarti e io potrò avere due papà!» mormorò il bambino.
Se avesse avuto qualcosa in bocca, sicuramente Henry si sarebbe ritrovato bagnato fradicio.
Lui? Sposarsi?! Con Emma?!
Cosa?
Perché poi Henry ne sembrava tanto certo?
Ovvio, l’amava, era la donna della sua vita, l’aveva pensato poco prima ma… il matrimonio?! Lui stesso, non ci aveva neanche pensato… Perché Henry ne sembrava tanto sicuro?
E poi, quando fu riuscito finalmente ad accantonare l’immagine di un’Emma radiosa in abito bianco in un angolo del suo cervello, un'altra domanda, lampeggiante e fastidiosa, gli si presentò davanti.
“Due papà…”
Aveva detto questo, no?
Quindi lo considerava come un padre, giusto?
Un grande sentimento di soddisfazione, tenerezza e gioia, gli inondò il petto ma durò troppo poco, tingendosi presto di una piccola sfumatura di invidia.
Lui non gli sarebbe bastato, non era abbastanza, Henry avrebbe sempre riservato nel suo piccolo cuore un posto per il suo padre biologico e una vocina (sicuramente quella fastidiosa della coscienza!) gli suggeriva che sarebbe stato da egoista, reclamare anche quel posto.
Quindi?!
Cosa aveva concluso? Un bel niente. Fantastico.
Maledizione.
Pensa pensa pensa pensa.
«Henry capisco come ti senti, davvero, ma penso che tua madre abbia ragione… ti prego non odiarmi!» disse e si sentì lui stesso un bambino, uno stupido e un bambino che supplicava ad un altro bambino di non andare a spifferare alla mamma che aveva mangiato i biscotti appena sfornati.
Fantastico.
L’espressione del ragazzino si incupì. Forse si rese conto che, colui che credeva potesse diventare un alleato, si era apertamente schierato dalla parte del nemico e Killian si odiò per questo.
«Ascoltami Henry… io capisco che tu voglia sapere la verità ma devi anche capire un’altra cosa… vedi, per me e per tua madre è molto difficile parlare del nostro passato e soprattutto della nostra infanzia… - prese un sospiro, chiedendosi se quella fosse la cosa giusta ma non lo sapeva, non l’avrebbe mai saputo, così continuò… - tua madre, come sai, non ha mai conosciuto i suoi genitori e, quando era piccola ha sofferto molto per questo…»
«Sì, ma che c’entra questo con mio padre?!» chiese stizzito il bambino.
«Ti prego, lasciami continuare… lei… lei soffre ancora per questo e non riesce a capire come quelle persone hanno potuto lasciarla così… io invece… be’, non so se Emma ti abbia raccontato qualcosa della mia infanzia ma per i primi anni è stata abbastanza normale… poi mia madre morì e mio padre non si riprese mai più… lui… - deglutì, non credeva che avrebbe riaperto quella ferita tanto presto – lui se la prese con me e mio fratello e qualche volta ci fece perfino del male…»
«Ma…»
«Quello che sto cercando di dirti Henry è che le persone non sono sempre buone come credi tu… alle volte ci sono delle persone che, per un motivo o per l’altro, commettono degli sbagli e fanno soffrire coloro che amano… Io so cos’è il dolore, fidati e anche Emma lo sa… Quello che lei sta cercando di fare è cercare di proteggerti da questo dolore, da questa delusione… Probabilmente tuo padre non è la persona che credi, probabilmente ha fatto qualcosa che ha ferito Emma e lei sta cercando di evitare che possa fare lo stesso anche con te, perché è tua madre e ti vuole bene…»
Henry non rispose.
Stava cercando di assimilare quelle parole, dare loro un senso o chissà, ritrovarlo.
«Quindi devo… arrendermi?» chiese infine, marcando quell’ultima parola, quasi fosse completamente estranea al suo vocabolario.
«No, no! Assolutamente!» si affrettò a rassicurarlo l’uomo.
«Nonostante questo, io penso che tu meriti di sapere la verità solo… non adesso… vedi, prima mi hai detto che tua madre ti avrebbe raccontato tutto, prima o poi! E stai pur certo che lo farà… Emma è una brava madre e non lo dico soltanto perché le voglio bene…»
«La ami…» lo corresse il bambino, con ovvietà.
Killian abbassò lo sguardo imbarazzato, poi annuì.
«Non lo dico perché la amo, ma perché lo è veramente! E tu ne sei la chiara dimostrazione! Ti ha cresciuto da sola in questi anni e ti ha reso quello che sei, intelligente, spontaneo, simpatico e gentile… ma, per quanto lei ti ami, sa che prima o poi dovrà lasciarti andare, sa che prima o poi anche tu riceverai la prima delusione, la prima ferita… sta soltanto cercando di ritardare il più possibile quel momento, sta solo cercando di proteggerti…»
Henry sembrava spaesato, Killian si passò una mano sugli occhi, cercando di riordinare le idee.
«Ascolta, so che questo discorso adesso potrà sembrarti sconclusionato e potresti non aver capito niente di ciò che ho detto e va bene così, però devi promettermi che aspetterai ancora un po’, che non farai niente di avventato… siamo intesi? E ti prego, tieni a mente ciò che ti ho detto perché prima o poi, ti sarà tutto chiaro…»
Il bimbo annuì.
«Io… io posso prometterti che potrei parlare con Emma per convincerla a far diventare quel “prima o poi” più prima e meno poi… che dici?!»
Il ragazzino sembrava ancora confuso ma, quando alzò lo sguardo, gli parve più tranquillo.
Annuì.
«Tu… tu non sai proprio niente quindi?»
«Posso solo ipotizzare Henry e se tutte le serie tv poliziesche mi hanno aiutato davvero a diventare un investigatore, posso dirti che ciò che lui le ha fatto, non è stato bello…»
«Quindi tu non gli concederesti neanche il “beneficio del dubbio”?»
Killian spalancò gli occhi.
«Qui qualcun altro è appassionato di NCIS, eh? Non sei un po’ troppo piccolo?» rise, chiedendosi come qualsiasi essere umano non potesse voler bene a quel bambino.
«Io no Henry, io non glielo concederei però capisco che tu voglia sapere qualcosa su di lui…»
«Sai dirmi almeno come si chiamava?» chiese, titubante.
Cavolo cavolo.
Killian prese un respiro.
«Neal, si chiamava Neal»
 
 
Emma prese un bel respiro. Stava cercando di metabolizzare quanto aveva appena sentito ma proprio non riusciva a trovare un senso a quelle parole.
Espirò.
Doveva calmarsi…
«Ma sei impazzito?!» urlò.
Ecco, tentativo fallito.
«Jones, te lo giuro, se fossimo in cucina ti avrei già tagliato una mano!»
Fortunatamente per Killian, prima di cominciare a raccontarle quella storia, era riuscito a farla accomodare sul divano, dandole anche un bicchiere d’acqua che temeva di ritrovarsi addosso da un momento all’altro.
«E poi, quando avevi intenzione di parlarmi di tutto questo?!»
Emma chiuse gli occhi, cercando di calmarsi.
«Te ne avrei parlato Swan, te lo giuro! Ma Henry sembrava avesse accantonato il discorso, sembrava fosse tornato tutto normale e io pensavo…»
«Mio figlio è… mio figlio! È più testardo di me e quando si mette in testa di fare qualcosa… Dio, dove sarà? E se lo rapiscono?» si alzò, passandosi una mano sugli occhi e cercando di pensare lucidamente.
«Non credi che…?» chiese l’uomo titubante, incapace di anche solo prendere in considerazione quella possibilità.
«Certo che lo credo! È andato a cercarlo, maledizione!»
Continuava a fare avanti e indietro, percorrendo tutta la stanza a grandi passi.
«Ma… ma che ne sa, insomma, non gli ho mica detto il cognome! Sei sicura che sia scomparso? Non è che ti sei dimenticata di andare a prenderlo da qualche amico?»
Cercare di allentare la tensione con un’Emma Swan furiosa e in preda a degli istinti omicidi a due passi di distanza?! Mai, mai, mai.
Killian se lo appuntò ad un angolo del cervello, sicuro che gli sarebbe sicuramente ritornato utile.
Si limitò a lanciargli un’occhiata a dir poco glaciale.
«Sono andata a prenderlo da scuola e la maestra ha detto che non si è presentato quando stamattina mi ha salutato e ha preso l’autobus come sempre!»
«Ok… E Regina? Non può essere con lei?»
«No, l’ho chiamata… è in Accademia, sta lavorando e non lo vede da due giorni! Dio, se solo riuscisse a trovarlo io…»
Lei cosa?
Cosa avrebbe fatto?
Avrebbe riaperto anche quell’altra ferita? Si sarebbe presentata alla sua porta come se niente fosse e gli avrebbe detto “Ehi ti ricordi di me? Sono quella che hai usato e sfruttato per un anno e poi abbandonato senza pietà… Ah guarda, c’è anche nostro figlio…”
Cercò di frenare quei pensieri perché altrimenti questa volta, avrebbe vomitato sul serio.
«E i suoi amici? Hai controllato in negozio? Hai provato a chiamarlo?»
Eccola, un’altra occhiata glaciale. Killian pensò che se le sue occhiate avessero davvero il potere di congelare qualcuno, di questo passo sarebbe diventato una statua di ghiaccio in meno di dieci minuti.
«Credi che sarei in queste condizioni se non l’avessi già fatto?!» mormorò minacciosa.
«Ok, ipotizziamo che avessi ragione e il ragazzino fosse andato davvero a cercare il padre… come ha fatto a trovarlo? E non abitava a Los Angeles?»
«Killian svegliati!! Siamo nel ventunesimo secolo, esiste Facebook, esiste Internet, esiste la tecnologia! Deve aver cercato il suo nome da qualche parte… - riabbassò il tono di voce-…Neal… l-lui non è come i miei genitori! Lui non ha motivo di nascondere le sue tracce e… Che diavolo stai facendo adesso?!» chiese, seguendo i movimenti dell’uomo.
Si era diretto speditamente verso il suo laptop, abbandonato sul bancone della cucina.
«Sto usando la tecnologia, Swan! Sai com’è, visto che esiste…»
Emma alzò gli occhi al cielo pensando a quanto, anche in casi estremi come quello, Killian dovesse sempre comportarsi da bambino. In due falcate lo raggiunse e si posizionò dietro le sue spalle.
«Il telefono che ho regalato ad Henry… deve pur avere un GPS no? Quindi almeno sapremo se si trova ancora a New York o no…»
Il battito del cuore di Emma non era mai stato così assordante come in quel momento. Se lo sentiva in gola, nel petto, nella pancia, dappertutto. Aveva la pelle d’oca e un malloppo in gola che non accennava a sparire, non finché non avesse ritrovato suo figlio.
«È a New York!» esclamò l’uomo, dopo aver smanettato qualcosa sulla tastiera.
«Sei sicuro?» chiese, cercando di mascherare il sollievo che, inevitabilmente, aveva cominciato a riempire la sua voce.
«Sì… un mio ex collega mi ha insegnato a usare questo programma ed è più che affidabile!»
«Non voglio neanche sapere a cosa vi serviva…» mormorò la donna, concentrandosi su quel pallino rosso che lampeggiava sotto la scritta New York.
«Motivi lavorativi…»
«Sì, certo…»
Alzò gli occhi al cielo.
«E adesso?» chiese la donna, sperando che tutta la lucidità che a lei mancava, fosse infusa nel cervello dell’uomo di fronte a lei.
«Cerchiamo di arrivare dal tipo, prima che lo faccia Henry…» mormorò quello, aprendo la sua pagina Facebook e cominciando a digitare il suo nome.
«Allora qual è il cognome?»
«Cassidy… Neal Cassidy…»
 
 
«No, ti prego!» si lamentò la donna, giungendo le mani e chiudendo gli occhi.
«Cosa? E perché no? Non c’è niente di male…»
Mary Margaret riaprì prima un occhio e poi l’altro e vedendo che David non aveva minimamente accennato a chiudere la chiamata, sperò almeno che nessuno rispondesse.
Chiunque stesse chiamando, certo.
Oh Dio.
«Ma che fretta c’è? Non possiamo aspettare, che ne so, un altro mese? Due? Tre?» si lamentò, lasciandosi cadere sul divano del suo fidanzato.
Ragazzo, si corresse mentalmente.
O fidanzato? Dopotutto stavano per avere un figlio…
No, ragazzo. Non le aveva mica chiesto di sposarlo, no?
No.
Vide l’uomo davanti a lei sbuffare e fissare il telefono, borbottando qualcosa.
Il suo cervello si ricollegò alla realtà.
«…ma perché diavolo quell’uomo non risponde mai? A cosa gli serve un telefono se non lo usa?»
Ipotizzò avesse chiamato Killian che, purtroppo (nel suo caso, per fortuna) non aveva risposto.
Mary Margaret non si era mai davvero considerata una donna riservata. Certo, quando aveva perso entrambi i suoi genitori, le costò molto aprirsi con il resto del mondo e lasciare che quest’ultimo, la aiutasse a superare il dolore ma all’epoca, era diverso.
Quello che stava vivendo non era un periodo felice, anzi.
Di solito, se si trattava di belle notizie, non aveva paura di condividerle con le persone a lei care perché sapeva che loro sarebbero state felici assieme a lei.
Ma questa volta, era ancora diverso. Era qualcosa di così privato e intimo che non se la sentiva di condividere la notizia con nessuno. Era la loro gioia, la loro piccola gioia, il frutto del loro amore.
Sapeva che tutti sarebbero stati felici per loro, ma questo e chissà cos’altro la bloccavano.
Dopotutto, erano solo tre settimane, sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa, sarebbe potuta sorgere qualsiasi complicazione e di colpo, tutta la felicità, tutta la gioia, sarebbero svanite.
Era strano, lo sapeva.
Essere pessimista non era da lei.
Ma sentiva che, questa volta, era giusto così. Tenere la notizia riservata per un po’.
Tuttavia, a quanto pareva, David non era dello stesso avviso.
«E adesso chi stai chiamando?!» chiese, notando che aveva ripreso in mano.
«Né Robin, né Killian mi rispondono! Peggio per loro! Adesso, è impossibile che lei non risponda!» disse allegro, mentre, mantenendo il telefono tra l’orecchio e la spalla, preparava il caffè per entrambi.
«Lei chi?»
L’uomo le fece segno di stare zitta e lei si trattenne dal lanciargli un cuscino direttamente su quel bel faccino che si ritrovava e no, non aveva minimamente accostato “bel” e “faccino” riferendosi al suo.
Una voce rispose dall’altra parte del telefono e il sorriso di David si allargò.
«Mamma!! Devo darti una bellissima notizia!»
Mary Margaret si passò le mani sul viso, sprofondando ancora di più nel divano e nei cuscini.
Sarebbe stata una lunga convivenza, questo era poco ma sicuro.
 
 
Erano in macchina.
Lo sapeva, Neal era a New York, maledizione! Strinse ancora di più le mani sul volante e sperò che l’uomo al suo fianco non se ne accorgesse.
Una parte del suo cervello, sapeva che era impossibile, che lui riusciva a leggerle dentro come mai nessuno aveva fatto però, come si diceva? La speranza è l’ultima a morire…
Cosa stava facendo, per l’amor del cielo?
Non vedeva il padre di suo figlio da undici anni e adesso aveva davvero intenzione di presentarsi nella sua camera d’albergo e dirglielo come se niente fosse? Come se fosse una questione di poco conto?
E cosa avrebbe significato per lei quell’incontro? E per lui? E per Killian? E per Henry?
Era pronta?
Era paranoica?
Sì, certo, ma c’erano ottime ragioni per esserlo.
Non aveva mai pensato all’eventualità di rivederlo, non di proposito, almeno. Se le fosse capitato di incrociarlo per strada (ne dubitava fortemente), avrebbe semplicemente cambiato strada. Ma adesso? Adesso era lei, con il suo cervello e le sue gambe ad andare dritta dritta da lui, a lanciarsi direttamente nel più profondo dei burroni.
Era in ansia perché era certa che se gli avesse detto la verità, l’uomo avrebbe insistito nel voler conoscere suo figlio.
Ovvio, sempre se lui non fosse già arrivato e non l’avesse già fatto…
Il solo pensiero, le fece rizzare i peli delle braccia e salire tanti piccoli brividi lungo la schiena.
Doveva concentrarsi.
Sulla strada, su quella situazione, sulla realtà.
Eppure frenare quei pensieri, quelle preoccupazioni, si stava rivelando più difficile del previsto.
Era sicura che sarebbe passata come la cattiva, colei che non aveva permesso ad un padre di godersi l’infanzia di suo figlio e a un figlio, di non poter crescere accanto a suo padre.
Ma cosa avrebbe dovuto fare?
Neal era sparito.
Neal le aveva mentito.
Neal aveva una famiglia dalla quale ritornare.
Lei era stata una semplice distrazione, un modo per rendere più piacevole la sua permanenza nella “Grande Mela”.
Lanciò un’occhiata all’uomo al suo fianco, cercando di scacciare tutti i pensieri negativi che le stavano annebbiando la mente e ritornando alla realtà.
Lo trovò con gli occhi puntati fuori dal finestrino.
Sembrava piuttosto comico, a dir la verità: un uomo grande e grosso, all’interno del suo piccolo maggiolino giallo. In altre circostanze (molto lontane da quella in cui si trovavano adesso) avrebbe sicuramento riso, prendendolo in giro.
Chissà come aveva fatto a convincerlo a salirci su e chissà perché lui non aveva insistito neanche più di tanto nel voler prendere la sua super macchina…
Ringraziò il cielo o chiunque ci fosse lì sopra per averglielo rispedito, per averglielo riportato accanto, dove avrebbe sempre dovuto essere, da dove non si sarebbe mai dovuto muovere.
Vide il semaforo al quale erano fermi diventare verde e ripartì.
«Sai dov’è l’hotel, vero?»
Non poté fare a meno di spostare ancora, per qualche secondo, lo sguardo verso Killian.
Non si era minimamente mosso.
Eppure era piuttosto certa di aver parlato.
O stava forse impazzando?
L’uomo non si era spostato di un millimetro, la testa appoggiata al braccio e lo sguardo perso nelle strade colorate e multietniche di New York che, piano piano, si preparavano ad accogliere quello che, di certo, era considerato da tutti come il periodo più bello di tutto l’anno: Natale.
Le vetrine avevano iniziato a diventare sempre più bianche, le prime luci erano comparse a illuminare le strade ed era sicura che da un giorno all’altro, al Rockfeller Center, avrebbero inaugurato, anche quell’anno, il grande albero.
Come se stesse leggendo i suoi stessi pensieri, capì subito ciò che turbava Killian, quasi turbasse lei stessa.
«Non è colpa tua…» mormorò, tornando a guardare la strada.
L’uomo spostò lo sguardo su di lei e sembrava indeciso se crederle o meno.
«Fammi indovinare… è colpa tua, no?!»
Emma sorrise, alzando gli occhi al cielo. Non era uno dei più bei sorrisi che Killian avesse mai visto sul suo volto, questo era certo, ma era diverso e lui, non l’aveva mai visto.
Era stanco e rassegnato e sicuro e divertito, triste e adulto.
Non avrebbe saputo come altro descriverlo…
«Già…»
«Sì, forse è vero…»
Emma alzò un sopracciglio, non credendo alle sue orecchie.
«Avresti dovuto raccontargli che razza di persona fosse ma, se non fosse stato per me, Henry non l’avrebbe mai trovato… Perdonami… i-io…»
Si grattò la nuca e ritornò a guardare fuori dal finestrino, stringendo la mascella.
«Pensavi che con quel discorso lui avesse abbandonato l’idea di cercare suo padre…»
Emma finì la frase per lui e Killian non se ne stupì neanche più di tanto.
«Già…»
«Non è colpa tua, Killian. Mio figlio è…testardo… e sì, avrei dovuto raccontargli tutto dalla prima volta però, non ne ho avuto il coraggio…»
Nessuno dei due parlò, persi nei propri pensieri.
«Ad ogni modo, per quel che ne vale, è stato proprio un bel discorso, mi sarebbe piaciuto ascoltarlo…» mormorò ad un tratto lei, guardandolo di traverso per spiare la sua reazione.
Scosse la testa e sorrise un po’.
Forse…
Forse aveva davvero bisogno di sentirselo dire. Certo, lei non sapeva della parte in cui suo figlio si era dimostrato piuttosto certo sul loro “neanche-poi-così-lontano” matrimonio ma, nel suo racconto, aveva preferito omettere quella parte per non provocarle ulteriori rischi di infarti.
Emma, dal canto suo, non mentiva.
Quello era stato davvero un bel discorso e ne era più che certa, Killian sarebbe stato un ottimo padre, un giorno.
 
 
«Questo spettacolo sarà un disastro…» mormorò Regina, scorrendo con gli occhi i fogli che Ella, la sua assistente, le aveva appena portato.
Avrebbe voluto dedicarlo a sua madre, a ciò che, in tutti quegli anni, aveva fatto per quella scuola, a tutti i sacrifici che aveva dovuto compiere per mandare avanti la sua prestigiosa reputazione.
Aveva persino immaginato di voler inaugurare una targa, in suo nome.
Ma come avrebbe potuto dedicarle un simile… sfacelo?!
Regina non trovava altre parole per definirlo.
Si massaggiò la testa con una mano, mentre con l’altra reggeva ancora quei documenti. Avrebbe voluto gettarli, incenerirli, darli in pasto ai cani…
Fortunatamente avrebbero usato il teatro interno alla scuola perché se non avessero avuto neanche quello, non avrebbero potuto permettersi neanche l’affitto di una stanzetta!
Ma dove diavolo erano finiti tutti i fondi?
Da quando sua madre si era ammalata, i registri che, di solito, annotava minuziosamente, erano tutti scarabocchiati e disordinati.
Come al solito, Cora non aveva sentito il bisogno di condividere con qualcuno ciò che le stava capitando, pensando semplicemente che, prima o poi, sarebbe semplicemente guarita, come se si trattasse di una normale influenza...
Lo nascose a tutti, persino a Regina e non fu neanche poi così tanto difficile visto che non si vedevano che due o tre volte al mese.
Poi la situazione peggiorò e le cose fecero il loro corso, fino ad arrivare a quel momento, a quei documenti che Regina adesso stringeva in mano.
Se non avesse trovato abbastanza fondi per finanziare tutto lo spettacolo, lo avrebbe annullato.
Avrebbe parlato con il sindaco, con chiunque, ma non vedeva altra soluzione.
Togliere le borse di studio?
Non avrebbe mai potuto.
La preside Mills, in quel po’ di tempo che era trascorso dal suo incarico, si era fatta conoscere e rispettare da tutti, questo sì, anche se molti ancora pensavano si trovasse lì solo per favoreggiamento, soltanto perché era la figlia dell’ex preside... Tuttavia, per quanti fossero, erano relativamente pochi se confrontati con tutti gli altri.
Aveva messo le cose in chiaro fin da subito e nessuno aveva osato contraddirla.
Ad ogni modo, per quanto fosse una persona autoritaria, Regina non era malvagia e non poteva togliere a molti dei suoi studenti la possibilità di realizzare il loro sogno.
Licenziare i docenti?
E chi? Tutti lì compivano il loro dovere, tutti erano indispensabili. Certo, avrebbe potuto almeno diminuire lo stipendio di alcuni ma se la scuola voleva mantenere il suo livello di prestigiosità, qualcuno doveva pur pagarne il prezzo.
Per un attimo, desiderò non avere tutte quelle responsabilità sulle spalle, desiderò essere al negozio, con Emma, a catalogare strani oggetti e a gettarne altri, sorseggiando del caffè, come ai vecchi tempi.
Fu un solo secondo perché, in fondo, sapeva lei stessa che quello, adesso, non era più il suo posto.
L’Accademia lo era e lei l’avrebbe salvata!
Doveva trovare una soluzione e in fretta...
Non poteva gettare la spugna, la scuola non poteva semplicemente chiudere.
Cosa avrebbero fatto gli insegnanti? Cosa avrebbe pensato la gente? E soprattutto cosa ne sarebbe stato dei suoi studenti?
Un momento…
Gli studenti…
E se…
Sì, forse poteva funzionare, forse aveva trovato una soluzione, forse avrebbe potuto dimostrare a tutti che non era semplicemente lì per nepotismo o favoreggiamento, ma perché valeva qualcosa.
«ELLAAAA!» urlò.
La giovane si presentò sull’uscio della porta, in meno di dieci secondi.
Bene, finalmente stava migliorando, pensò.
«Non far entrare nessuno per le prossime… due ore! Devo fare qualche telefonata!»
Lo disse con così tanta austerità che Ella non osò fiatare, né chiedere altro, intuendo da sola l’importanza di quanto le fosse stato detto.
La preside Mills si sarebbe giocata il tutto per tutto in quelle due ore.
«Va bene, signorina Mills… cancello tutti i suoi appuntamenti… Buon lavoro…» mormorò, chiudendosi la porta alle spalle.
Regina fissò il telefono per un po’, poi afferrò la cornetta e digitò qualche numero.
Che la fortuna sia dalla mia parte, pensò, almeno questa volta.
 
 
Avevano trovato un parcheggio esattamente di fronte all’hotel, dove si supponeva alloggiasse Neal. Lo avevano scoperto perché Emma aveva chiamato la reception, chiedendo che gli fosse recapitato un messaggio e il tipo, dall’altra parte, non aveva sbattuto ciglio.
Per modo di dire, ovviamente.
Non che si trovassero così vicini da poter vedere la reazione dell’uomo dietro il bancone…
Ad ogni modo, quest’ultimo, stranamente, la scambiò davvero per una conoscente dell’uomo, quasi lui stesso gli avesse detto che qualcuno avrebbe potuto contattarlo in giornata. Strano, ma neanche più di tanto, visto di chi stavano parlando.
Emma restò al gioco e, allo stesso tempo, indagò.
Secondo quell’uomo, nessun bambino solo si era presentato all’hotel quel giorno, in cerca del signor Cassidy.
Emma tirò un sospiro di sollievo quando, dopo aver sentito la notizia, chiuse letteralmente il telefono in faccia a quel tipo. Certo, sapeva che fosse troppo presto per cantare vittoria ma, almeno, era un inizio.
Killian, accanto a lei, aveva ascoltato tutto.
«Che facciamo?» chiese, puntando i suoi occhi chiari dritti in quelli di Emma.
«Non lo so…» mormorò la donna, a bassa voce, fissando ancora l’entrata dell’albergo.
«Potremo perlustrare la zona, vedere se Henry è qui…»
«E se Neal… - le costava un po’ pronunciare il suo nome ad alta voce, doveva ammetterlo – dovesse tornare?»
Killian la vide spostare lo sguardo alla ricerca di uno zaino o di una familiare sciarpa a strisce.
«Vai…» mormorò, capendo al volo, come sempre.
«…io aspetterò qui, se lui torna e Henry si fa vivo… cercherò di fermarlo prima che possa commettere qualche… sciocchezza…»
Emma annuì. Avrebbe voluto dirgli tante cose, ringraziarlo per essere lì con lei, per capirla, per incoraggiarla, per non forzarla, per capirla soprattutto.
Avrebbe voluto dirgli tante cose ma il suo cervello non riusciva a pensare lucidamente, non in quella situazione, non con suo figlio disperso, lì fuori, alla ricerca di un padre che, per colpa sua, non aveva mai avuto.
Avrebbe voluto dirgli tante e invece si sporse un po’ verso di lui e gli diede un rapido bacio sulla guancia e poi, uscì.
Una volta rimasto solo, Killian poté permettersi di lasciarsi andare, al nervosismo, alla frustrazione, alla preoccupazione.
Diamine sì!
Era dannatamente preoccupato!
Perché non aveva funzionato?
Pensava di essere stato bravo… non lo diceva per vantarsi, ma l’aveva pensato davvero, aveva davvero pensato di poter riuscire a compensare quella pesante assenza, a colmare se non tutto, almeno un po’ di quel vuoto che albergava nel cuore di quel bambino.
Era stato egoista?
Forse.
Sapeva che non era giusto giudicare una persona troppo presto, soprattutto se non l’aveva neanche conosciuta, tuttavia non poteva farne a meno.
Neal o come diavolo si chiamava, non era degno di Henry, non era degno di averlo nella sua vita, non era degno neanche di considerarsi suo padre, non dopo ciò che aveva fatto ad Emma.
Come poteva considerarsi suo padre se, per primo, non aveva portato fede alla famiglia? Se aveva tradito sua moglie con la prima giovane e ingenua ragazzina che gli era capitata sotto tiro?
E gli faceva male, Dio quanto gli faceva male, considerare Emma un’ingenua e giovane ragazzina ma, all’epoca, era questo e lui se n’era approfittato.
Si considerava migliore di quell’uomo?
Prima di Emma, prima di quella fatidica cena a casa dei Gold, probabilmente non avrebbe neanche notato la differenza.
Certo, sapeva che tipo di uomo fosse e che tipo di uomo volesse diventare ma anche lui aveva commesso i suoi sbagli, anche lui aveva i suoi scheletri nell’armadio.
Adesso?
Adesso stava cercando, in tutti i modi che riusciva ad escogitare, di meritarsi quell’amore che aveva trovato (o ritrovato, per certi versi) così, da un giorno all’altro, e che aveva riempito di colori la sua triste e monotona vita.
Adesso cercava di essere migliore, migliore di prima, non tanto per Emma, quanto per suo figlio.
Ed era stupido, lo sapeva, sapeva in cuor suo che avrebbe dovuto lasciare a quell’uomo “il beneficio del dubbio” come lo aveva chiamato Henry, potevano esserci diecimila spiegazioni per il suo comportamento e per un po’ ne valutò anche qualcuna ma, era più forte di lui, non ci riusciva, non riusciva a capacitarsi di come lui, che aveva avuto la fortuna di poter essere accanto ad Emma, l’avesse abbandonata così, da un giorno all’altro, come una vecchia bambola di pezza.
Ed era stupido anche il fatto che si fosse affezionato in così poco tempo a quel ragazzino ma non poteva farci niente, non volerlo ferire era divenuta anche la sua di missione…
Perso nei suoi pensieri non si accorse di una figura che, a testa bassa, si incamminava verso l’entrata dell’hotel.
Non ci mise molto a riconoscerlo e non ci mise molto neanche a decidere cosa fare.
Spinto dalla sua innata impulsività, prese le chiavi del maggiolino (anche se dubitava che qualcuno l’avrebbe mai rubato) e uscì. Attraversò in fretta la strada, probabilmente beccandosi qualche bestemmia da parte di qualche automobilista e lo raggiunse.
Cosa gli avrebbe detto?
Non ne aveva la più pallida idea.
Ma l’improvvisazione era il suo forte, no?
 
 
«Stia più attento!»
«Mi scusi…»
Che diavolo sta facendo?
Qualcuno lo fermi!
È completamente impazzito??
«Sto cercando questo ragazzino… per caso l’ha visto qui in giro?»
È completamente impazzito.
Adesso lo raggiungo e lo uccido!
Io, con le mie stesse mani e… Dio!
L’uomo, di fronte a lui, Neal, fissa per un po’ lo schermo del cellulare, poi scuote la testa, si gira ed entra nell’hotel, come se niente fosse, come se non avesse appena visto una foto di suo figlio.
Certo, come può saperlo?
Killian si guarda un po’ intorno, forse sta pensando di chiedere a qualcun altro passante, giusto per non destare sospetti o forse sta solo aspettando il momento giusto per attraversare.
Emma si stupisce di sapere, così bene, cosa gli passa per la testa.
Eppure, qualcosa nella loro specie di telepatia era andata storta perché se avesse saputo cosa l’uomo stava per fare, di certo glielo avrebbe impedito.
Killian guarda prima a destra e poi a sinistra e poi fissa il maggiolino. Si rigira le chiavi in mano, è nervoso.
È nervoso? Certo che lo è, lo era anche lei, lo è anche lei.
Sa quanto quello che ha appena fatto sia stato azzardato?
Certo che lo sa, come potrebbe non saperlo? Eppure l’ha fatto lo stesso!
Dio!
La vede, dall’altro lato della strada e in quell’istante Emma sa che lui ha capito, sa che lei ha visto tutto.
Glielo avrebbe detto? Probabilmente sì ma con calma, quando quella storia si sarebbe risolta e quell’incubo finito.
Era arrabbiata?
In cuor suo, sapeva che avrebbe dovuto esserlo.
Dopotutto, aveva passato dieci anni della sua vita nel cercare di dimenticare quell’uomo, di cancellarlo dalla sua memoria e dalla sua vita e questo implicava anche dimenticare che fosse il padre di suo figlio.
Per tutti quegli anni aveva cercato di mantenere un profilo basso, vivere la sua vita, se non nell’ombra, ma quasi. Sapeva che Neal non aveva più nessun interesse per lei e forse non si ricordava neanche più che faccia avesse ma, volente o nolente, quell’uomo aveva lasciato un’impronta indelebile nella sua vita, un’impronta che era difficile da ignorare perché, di fatto, camminava e respirava ed era la persona più bella e buona che avesse mai potuto incontrare.
Per tutti quegli anni, una parte di lei, però, aveva continuato ad illudersi.
Illudersi che, semmai Neal avesse visto Henry, un giorno, qualcosa in lui sarebbe scattato, lo avrebbe riconosciuto, se ne sarebbe accorto perché aveva le sue stesse sopracciglia e la sua stessa espressione furba e la sua stessa tendenza a mettersi nei guai.
Lo avrebbe riconosciuto e lei non aveva mai saputo dire cosa avrebbe fatto in quel caso.
La sua paura più grande era che lui, quell’uomo, glielo avrebbe portato via, avanzando pretese campate in aria, accusandola di non essere una buona madre.
A volte, si era svegliata nel cuore della notte, tremante e in lacrime e si era dovuta alzare per andare a controllare che Henry stesse tranquillamente dormendo nel suo letto, per calmarsi.
Alte volte, soprattutto nei primi tempi, si era ritrovata a fantasticare sul come sarebbe stato.
Come sarebbe stato se lui non se ne fosse andato?
Se lei glielo avesse detto?
Sarebbero stati una famiglia?
All’epoca, lei era innamorata di quell’uomo ma, prima o poi, sapeva che si sarebbe svegliata da quell’incantesimo e si sarebbe accorta che tipo di persona avesse al suo fianco.
Adesso?
Adesso non lo sapeva e non voleva saperlo, semplicemente perché non le importava.
Quel futuro, con lui, non le importava più.
Il suo futuro era Henry ed era Killian e loro, lo sarebbero stati per sempre.
Quindi sì, avrebbe dovuto essere arrabbiata perché, con quel gesto, Killian aveva mandato all’aria dieci anni di paure, di dubbi e sacrifici ma, quando lui la raggiunse e la guardò, con quei suoi occhi blu e disarmanti, lei capì che in fondo, non lo era.
Forse non ne aveva le forze, forse (e molto più probabilmente) aveva altre cose, ben più importanti a cui badare.
Quel gesto, per Neal, non aveva significato niente.
Per loro, invece, sapere che l’uomo non avesse incontrato Henry, era di vitale importanza.
«Emma…» cominciò lui.
«No, non dire niente, non devi scusarti, hai fatto ciò che credevi fosse giusto e adesso… adesso sappiamo che Henry non è stato qui…»
Lui annuì e poi la abbracciò e lei si lasciò abbracciare perché, in fondo, era ciò di cui entrambi, avevano bisogno.
 
 
Dopo essersi rinfilati nella macchina di Emma, non parlarono più di tanto. Passarono di nuovo dal negozio, dalla scuola, perfino dallo studio di Killian (anche se Henry non sapeva che fosse così vicino alla sua scuola) e andarono anche da Regina. La sua assistente, confermò loro che Henry non si era presentato lì e che non era possibile disturbare la preside Mills per nessuna ragione al mondo e lo disse con uno sguardo talmente spaventato e perentorio che né Emma, né Killian osarono controbattere.
Così, dopo un’ora e mezza a girovagare senza trovare nessuno, i due decisero che era meglio tornare a casa e, nel caso, coinvolgere la polizia.
«Hai provato a chiamarlo al cellulare vero?» chiese l’uomo, mentre salivano le scale dell’appartamento della sua ragazza.
«Mi prendi in giro?» chiese quella, minacciosa.
Se era un modo per allentare la tensione, be’, non ci stava riuscendo per niente.
E se in quell’ora, Henry fosse riuscito a trovare Neal? E se, proprio in quel momento, lui stava raccontando al bambino la sua versione della storia, convincendolo a lasciarla per sempre e scappare con lui e la sua famiglia perfetta?
Era paranoica?
Certo, ma questo l’aveva già appurato.
Aprì la porta, non stupendosi neanche che non fosse chiusa a chiave vista la fretta con cui aveva lasciato l’appartamento quella mattina.
Si fece da parte per lasciare a Killian lo spazio per entrare, poi la fece sbattere alle sue spalle e si sfilò il giubbino di pelle.
Tutti gesti automatici, tutti gesti dettati dalla quotidianità. Ma ci sarebbe stata ancora quotidianità se Henry non fosse stato più lì? E se neanche la polizia sarebbe stata capace di trovarlo? Certo, era la polizia ma quanti film aveva visto in cui la polizia non faceva che uno sbaglio dopo l’altro, finché non archiviava il caso perché non era in grado di risolverlo? Lei avrebbe dovuto aspettare finché che un giovane e in gamba detective, a distanza di chissà quanti anni, lo avrebbe riaperto e avrebbe fatto luce sulla sparizione di suo figlio…
Oh Gesù, stava peggiorando.
Henry non poteva essere… non riusciva neanche a pensarlo.
Scosse forte la testa, cercando di scacciare via quei brutti pensieri.
«Emma… dovresti venire in cucina un attimo!»
La voce di Killian risuonò più o meno lontana e la riportò alla realtà. Si diresse verso la cucina, quasi come un robot, e ciò che vide la spiazzò.
«Henry…»
 
 
«Credi sia una buona idea?» ripeté Regina per la duecentesima volta, mentre lo fissava mandare giù l’ultimo involtino di primavera.
Robin si pulì con il tovagliolo e bevve un sorso d’acqua, poi rivolse la sua attenzione al figlio che, proprio accanto a lui, stava litigando con le bacchette.
«Non lo credo… - mormorò- ne sono sicuro!»
Regina, di fronte a lui, tirò un sospiro di sollievo. Avere la sua approvazione era importante per lei. Non riusciva a capire quando esattamente aveva cominciato a dare peso al suo parere, se il giorno prima o quello in cui si erano conosciuti. In realtà, non le importava neanche più di tanto.
«Hai parlato con il sindaco e ti ha dato l’approvazione! Perché hai ancora questi dubbi?»
«Non lo so… ho paura… il sindaco è stato solo la prima delle tante persone da convincere…» ammise, guardando in basso, gli avanzi del pollo alle mandorle che aveva mangiato.
L’uomo le posò la mano sulla sua.
«Andrà bene! Ce la puoi fare…» disse, sicuro, fiducioso.
In quel momento della sua vita, Regina si accorse di aver esattamente bisogno di sicurezza e fiducia.
«Lo spero… Grazie per essere con me…» mormorò, abbozzando un sorriso.
«Grazie a te, per avermelo permesso…»
Anche lui sorrise e fu un sorriso bello, se fosse stata una tipa romantica, avrebbe addirittura detto che si trattava di un sorriso innamorato ma lei restava Regina Mills, e non si sarebbe spinta a tanto.
«Quindi nei prossimi giorni avrai parecchio da fare, immagino…»
«Già… e prima di tutto, mi aspetta un’altra persona da convincere ad aiutarmi in questo casino e credimi, sarà una delle cose più complicate e difficili che io abbia mai fatto in tutta la mia vita…»
Robin rise un altro po’.
«Cioè?»
Regina sospirò.
«Emma…»
«Credi che non vorrà aiutarti? Ma è tua amica e capirà…»
«Lo spero… dovrò convincerla in qualsiasi modo!»
«Ce la farai! Non ti ho mai visto fallire…»
«Sono umana anch’io eh!!» mormorò la donna, sorridendo, non avvezza a sentirsi così al centro dell’attenzione.
Qualcosa nello sguardo dell’uomo le diceva che tutto quello che stava dicendo, non erano bugie e non era un vano tentativo di portarla a letto.
Lui ci credeva veramente.
Come aveva fatto a meritarsi la stima di una persona così? Bella, pulita, sincera, onesta.
Come aveva fatto a lasciarsi amare?
Non ne aveva la più pallida idea.
Eppure era successo e pensò che dopotutto, la fortuna non le era poi così nemica.
 
 
Dopo, non avrebbe saputo dire se prima inciampò, lo abbracciò o pianse ma fece tutte e tre queste cose, non esattamente in ordine.
Lo strinse, lo strinse così forte che probabilmente sarebbe morto asfissiato e lo sentì anche lamentarsi ma non le importava perché era lì ed era vivo, sano e salvo tra le sue braccia.
Forse fu in quel momento che pianse.
«Mamma?!»
Si staccò e gli baciò tutta la faccia e i capelli e lo abbracciò ancora.
Qualche minuto più tardi si calmò e riuscì a parlare.
«Che hai fatto? Perché non rispondevi alle mie chiamate? Oddio ero così preoccupata! Perché non sei andato a scuola? Se non volevi andarci bastava dirmelo, sai che preferisco saperlo piuttosto che immaginarti in giro per New York tutto solo!»
Non la smetteva più di parlare e di abbracciarlo, quasi volesse assicurarsi che lui non si sarebbe più mosso di lì per i prossimi vent’anni o giù di lì…
Killian dovette metterle una mano sulla spalla per farla smettere.
Solo allora, asciugandosi le lacrime, notò che c’era qualcosa che non andava.
«Che hai fatto lì?!» mormorò sconvolta, fissando il livido non così piccolo che incorniciava il piccolo occhio di suo figlio.
Il bambino abbassò lo sguardo, imbarazzato.
«Ecco, io…»
«Non inventarti balle ragazzino, sai che lo capisco!» lo avvisò la donna.
«Stamattina, prima di entrare, un ragazzo un po’ più grande di me, stava prendendo in giro una nostra nuova compagna… Si è trasferita qui dall’Inghilterra e lui la prendeva in giro per il suo strano accento e perché è un po’… sì, un po’ grassottella! Ma non è mica un male questo, no? Allora io cercavo di spiegare a questo ragazzo che non è mica un male essere inglesi ma lui non mi ha ascoltato e mi ha tirato un pugno…» mormorò il bambino, distogliendo lo sguardo.
Ad Emma e Killian gli si strinse il cuore.
«E tu hai pensato bene di marinare la scuola piuttosto che andare a chiedere aiuto dalla signora Fitz? Perché non lo hai detto a lei? Perché non hai chiamato me?» chiese Emma, preoccupata.
«Perché non hai risposto alle mie chiamate? Pensavo ti fosse successo qualcosa di brutto, pensavo che… Non lo fare mai più Henry, mi hai capito?!»
Adesso la sua voce era ritornata autoritaria. Quella di una mamma che ha bisogno di farsi rispettare.
Killian non riusciva a credere alla facilità con cui quella donna, cambiasse in base alle esigenze che le si presentavano dinanzi. Ormai aveva perso il conto di quante diverse versioni di Emma aveva conosciuto…
«Ma Amy non voleva… si vergognava e così le ho promesso che non avrei detto niente ma non potevo entrare in classe così conciato e non potevo neanche tornare a casa perché… pensavo che…»
«Non avrei mai potuto sgridarti Henry… sei stato coraggioso oggi a difendere la tua amica, questo ti fa molto onore. Però hai sbagliato a non andare dalla tua maestra o a non venire da me… mi hai spaventato a morte! Pensavo che…»
Emma scosse la testa.
«Dobbiamo denunciare questa persona perché non può tirare pugni e prendere in giro le persone e passarla liscia!»
Il bambino abbassò il capo in un tacito consenso.
Poi rialzò il capo.
«Pensavi che… pensavi che fossi andato a cercare mio padre, vero?»
Emma fu spiazzata da quella domanda. Spostò lo sguardo su Killian, quasi volesse prendere un po’ della sua forza per capire cosa avrebbe dovuto fare.
«Sì…» disse infine.
«Glielo hai detto, vero?» chiese poi suo figlio, rivolgendosi all’uomo dietro di lei.
Lui annuì.
«Non lo avrei mai fatto, ve l’aveva promesso… io… io posso aspettare…»
Emma sospirò cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Si alzò, fece il giro dell’isola e prese dal freezer gli spinaci congelati che aveva comprato qualche giorno prima dal supermercato.
Ne mise un po’ nella carta trasparente, quella che odiava con tutta sé stessa ma che, in certi casi, era più utile di quanto le costasse ammettere.
Per tutto il tempo, nessuno dei due uomini presenti in cucina, fiatò. La osservavano, incapaci di definire quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
Emma era consapevole del loro sguardo che le perforava la schiena e la testa.
Prese un altro respiro e capì che era la cosa giusta.
Si diresse di nuovo verso suo figlio con quel pacchetto verde in mano.
«Tienilo sull’occhio e vieni a sederti sul divano…»
Il bambino non si oppose e fece ciò che sua madre gli aveva detto.
Emma e Killian seguirono i suoi movimenti.
Lui, come sempre, aveva già capito.
«È la cosa giusta?»
«Non lo so, Swan… vorrei tanto saperlo, ma non lo so…» mormorò lui, prima di appoggiare una mano sulla maniglia della porta.
«Che stai facendo?»
«Tolgo il disturbo… Non si vede?»
Cercare di scherzare in quella situazione era così inopportuno e così perfettamente da lui che Emma riuscì perfino a sorridere.
«Sì, si vede… ma perché?»
«È una cosa importante e io non c’entro niente…» mormorò, facendo segno verso il bambino che, poco in più in là, stava aspettando sua madre.
«È una cosa di famiglia e tu sei la mia famiglia…»
Non seppe dire se fu più felice o imbarazzato o timoroso in quel momento.
Abbassò lo sguardo e si grattò la nuca.
«Resta…» gli propose la giovane, tendendogli la mano.
Non ci fu bisogno neanche di pensarci. La afferrò senza remore o esitazioni inutili.
Si diressero in salotto, ognuno consapevole della presenza dell’altro accanto a sé.
«Bene Henry… è il momento di raccontarti una storia…»
 
 
 
 
Il dolore accade.
Non c’è niente da fare.
Il dolore accade. Ed è imprevedibile.
Nessuno riesce a prevedere il dolore – o almeno quanto male può fare. […]
Negare l’esistenza del dolore è negare l’esistenza della vita.
Quello che ci unisce è ciò che ci ha fatto soffrire. […]
Amare non è un «si salvi chi può»; amare è un «ti salvo perché posso».
 Ci salviamo sempre, quando ci sono lacrime da piangere. […]
Se soffri vengo da te, accolgo parte del tuo soffrire.
Soffri la metà di quanto potresti soffrire e io soffro la metà di quanto potresti soffrire.
-Pedro Chagas Freitas
 
 
 
 
 
Eccomi qui! :)
Prima di cominciare il mio solito sproloquio finale, volevo assicurarmi che stiate tutti bene! Io, fortunatamente non ho sentito niente e spero che valga lo stesso per tutti voi.
Posso solo immaginare lo spavento che, chi abita in quelle zone, abbia provato. Mi dispiace… :( 
Per quanto riguarda il capitolo… Be’ a primo impatto, questo può sembrare un capitolo meno ricco di altri e in parte, forse è così… tuttavia è molto importante ai fini della storia e non vi nascondo che è stato, in certi punti, persino più difficile da scrivere di altri! Ho amato raccontarvi del rapporto tra Henry e Killian, del discorso di quest’ultimo sulla vita e sul fatto che, nel bene e nel male, entrambi si stanno abituando alla presenza dell’altro, entrambi si stanno legando.
SPOILER: È una cosa che stiamo vedendo anche nella serie e la puntata di oggi ne è la conferma. Non inizio a parlare della puntata perché altrimenti non la finisco più… sappiate che mi è piaciuta davvero tanto e il mio povero cuore non poteva reggere tutti quegli sguardi tristi e feriti di Killian… menomale che adesso hanno chiarito tutto! <3 <3
È comparso, anche se indirettamente, anche Neal… Sono curiosa di sapere cosa ne pensate di lui... gli lascereste il “beneficio del dubbio"? E soprattutto cosa pensate del fatto che Killian si sia fatto già un’idea di questa persona… Non fraintendetemi, non lo sto difendendo perché ciò che ha fatto è chiaramente deplorevole ma quello di Killian è un pregiudizio secondo voi? Lo so che è una domanda strana xD
Quando scrivo, è come se entrassi nella testa del personaggio e Killian, in quel momento, pensava a quella cosa! Ma è giusto o sbagliato? Bah, forse sono io che mi faccio troppi problemi e sono piuttosto paranoica xD Potete anche dirmi questo, io e Emma in questo ci assomigliamo parecchio! 
Ad ogni modo questa sarà l’ultima entrata in scena per il padre del ragazzino? O potrebbe ricomparire? Vedremo vedremo…
Per quanto riguarda David, lui è felice e contento di questa super notiziona e non fa che sbandierarla ai quattro venti, anche se Mary Margaret (che è più chiacchierona di lui) non è molto d’accordo… Mi diverto troppo a scrivere le loro parti xD
Regina invece è alle prese con un gran bel problema… l’Accademia potrebbe chiudere per problemi finanziari e lei deve assolutamente trovare una soluzione. Ha un’illuminazione e ne parla con il sindaco e i suoi collaboratori e il primo la accetta di buon grado… cosa sarà? E perché ha bisogno di Emma? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Ah, prima dei ringraziamenti, volevo dirvi un’ultima cosa: vi ricordate dei Gold, vero? Bene, non dimenticateli ahah e vi ricordate anche del salto temporale, vero? Non vi preoccupare, penso che ci sarà nel prossimo capitolo! :)
Bene, adesso è d’obbligo ringraziare tutte quelle persone che continuano a seguirmi. Non posso credere di essere arrivata al ventiduesimo capitolo! Questa storia è ormai parte integrante di me e solo il pensiero che prima o poi dovrà finire mi rattrista! Vi ringrazio perché se non fosse stato per voi che continuate a seguirla e a seguirmi, probabilmente non sarei arrivata fin qui.
Quindi grazie, grazie di vero cuore a tutti, in particolare a coloro che sprecano il loro tempo anche per lasciarmi una recensione. Sarei davvero felice di sapere cosa ne pensate anche di questo capitolo e spero che la storia continui a piacervi come sempre!
Un super abbraccio e alla prossima (spero presto)
Vostra
Kerri :*
 
 
 
   
 
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