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Autore: Diana cavalca    31/10/2016    6 recensioni
E se Sarada non fosse la vera figlia di Sakura?
Non arrabbiatevi e non traete conclusioni affrettate: non c'è nessuna Karin all'orizzonte e nessun vaneggiamento con cui Kishimoto ci ha ''deliziati'' durante il Gaiden.
Piuttosto, poniamo il caso che Sasuke sia lo zio di Sarada...uno zio impegnato che ha in custodia la piccola di cui non può prendersi cura a tempo pieno. E poniamo il caso che abbia bisogno di una baby-sitter. A chi potrebbe rivolgersi se non ad una ragazza dai capelli rosa?
Commedia romantica che del Gaiden riprende solo il messaggio finale: ciò che conta davvero sono i legami di amore a prescindere da qualsiasi nesso biologico.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sarada Uchiha, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo 3

 

Tentennamenti, possibilità, colpi d'occhio

 

Sin dalla tenera età Marie Curie si distinse per le notevoli capacità mnemoniche e per le eccellenti doti di apprensione . Soleva studiare nella biblioteca del collegio coi pollici dentro alle orecchie per non lasciare che i rumori disturbassero la sua concentrazione. E ci riusciva perfettamente. Gli altri bambini erano divertiti da cotanta severità e serietà. Un giorno, mentre era immersa nella lettura di un libro con un dito conficcato per orecchio, i monelli cominciarono a cospirare alle sue spalle. Costruirono una instabile piramide di sedie che, al primo spostamento di aria, sarebbe crollata. La ragazzina tutto ardore per il sapere, non si accorse di nulla. Al primo movimento del braccio, urtò il complesso traballante che aveva dietro, il quale cadde rovinosamente per terra, producendo un gran tonfo. Nemmeno i pollici incastonati nei canali uditivi della Curie riuscirono ad evitarle di avvertire il fracasso. Distolta dai suoi interessi e rendendosi conto di essere stata vittima di una burla, si alzò con gran dignità dal suo posto, prese il libro con sé e lasciò la sala, limitandosi ad esclamare un sufficiente ''Che idiozia!''. Si sistemò in una stanza più consona ai suoi bisogni e ricominciò a studiare.

Fu così che radio e polonio poterono essere scoperti: col lavoro sodo di una donna che, giorno dopo giorno, si dedicò alla scienza, non tanto per ansia di auto-affermazione, quanto per puro amore di conoscenza. Ciò che muoveva Marie Curie non era la sete di fama, ma solo la passione, l'assoluta dedizione ai suoi studi. Al cospetto dei suoi obiettivi, tutto per lei era una mera ''idiozia''.

Di certo io non intendo entrare in lizza per vincere un premio Nobel, ma ogni volta che la montagna da scalare diventa più ripida ed il sentiero più irto di insidie, penso alla determinazione di Marie Curie. Mi dico che se continuo a muovere i piedi, questi mi porteranno fino alla cima. Non importa quanti ostacoli debba affrontare: ciò che conta è continuare a camminare. Raggiungere il fine per me, è un imperativo categorico e ogni avversità non deve essere che un'accidentalità, una pura ''idiozia'', qualcosa che non deve farmi spostare lo sguardo dalla vetta a cui miro. È così che si realizza un sogno: non tanto per buona sorte, quanto per ferrea volontà.

Allora perché adesso mi manca il coraggio e non riesco a considerare il mio pseudo-colloquio di lavoro come ad un semplice impedimento del cammino? Perché non ce la faccio a qualificarlo come una ''idiozia''? Come mai al solo pensiero di rivedere il signor Uchiha sento tutta la mia fermezza venire meno e la voglia di fuggire e tentare di imboccare un percorso diverso si fa prepotente?

Forse è perché stamattina mi sono sentita stupida. Probabilmente è perché mi vergogno talmente tanto di quella parte di me che è venuta fuori qualche ora fa, da non volermene rammentare rivedendo la persona a cui incautamente l'ho mostrata.

Allo specchio ci si vuole rimirare quando si è magnifici, non quando si è orrendi.

Eppure devo farmi forza, decidere di andare incontro a quello che deve essere e che mi appella attraverso il mio Nokia 3310. Sul piccolo schermo posso leggere queste parole:

Ore 18.15, Tokyo Tower. S.U.

Solo un tipo che si firma S.U. sarebbe capace di scrivere un messaggio così ''essenziale'', che nemmeno la CIA quando dà disposizioni alle sue spie.
Vorrei tanto cedere all'impulso di darmela a gambe. Perché non posso, per una volta, essere vigliacca ed evitare di guardare la cima oltre la salita? È una tale seccatura che debba venirmi in mente Marie Curie attorniata dalle dannatissime sedie!

Inoltre mi chiedo: come è possibile che abbia ottenuto questo colloquio?

Già, perché se la baby-sitter fosse la tesi, io ne costituirei l'antitesi. Per quello che ho dimostrato stamattina, potrei essere definita la contro-tata. Se rimugino sulla bambinaia ideale, penso ad una donna di grande pazienza, stabilità emotiva, maturità.
Rispetto alle virtù sopra elencate, io mi sono presentata come detentrice dei corrispettivi vizi.
Ho manifestato nell'ordine: im-pazienza (ho suonato ossessivamente il campanello); in-stabilità emotiva (sono passata rapidamente dalla rabbia cieca e dalla violenza sulle cose, agli slanci di affetto apparentemente gratuiti verso una bambina); im-maturità (ho sbraitato davanti ad una persona, urlando di volere sapere il suo pensiero a proposito di una borsa contraffatta).

Perché un individuo che non ha esitato a definirmi una ''psicopatica'' vorrebbe darmi una chance per potenzialmente affidarmi la sua (forse non così) preziosissima nipote?

Ino direbbe che vuole portarmi a letto. E forse non avrebbe torto, dati i presupposti.
Se sapesse quali sono le fattezze del signor Uchiha, mi comanderebbe di buttarmi immediatamente tra le sue lenzuola, fingendo di ignorare che la sua amica è Sakura Haruno, quella da lei stessa definita la fan di ''sesso più cuore, sempre e solo fare l'amore''.
Lui sarà anche bello (...bellissimo, perfetto), ma io non sono incline ad alzare le mie sottane per così poco.

E poi tutto di lui mi mette a disagio. La bellezza palese, unita ad una triade di scortesia-scontrosità-sconvenienza. I suoi modi fanno di lui l'anti-amabilità per eccellenza; mentre il suo viso rapisce gli occhi di chi lo guarda in un'estasi di adorazione. L'elegante taglio dei suoi occhi, neri come pietra lavica al cui fondo si ha come la sensazione di potere scorgere il crepitio del fuoco; la delicatezza dei suoi lineamenti, di una finezza che madre natura - incline alle brutture e alle storture - concede solo a pochi eletti. E poi la sua voce. Così ferma, profonda e imperturbabile, sebbene la situazione avesse potuto facilmente indurla a tonalità più accese. Tutto di quell'uomo è eccezionale: dal suo aspetto di angelo scuro ai suoi atteggiamenti che di angelico hanno ben poco.
Avere a che fare con una persona del genere metterebbe in soggezione chiunque.

Va bene, a più tardi. Sakura.

È fatta ormai. Messaggio inviato. Il tempo dei tentennamenti è finito. Mille sedie possono cadere al suolo e, per un attimo, farmi sussultare. Io mi alzerò e con piglio risoluto esclamerò ''Che idiozia!''.

Velocemente metto un paio di jeans ed una maglietta bianca a righe blu. Prendo lo zainetto.
A quest'ora la borsa Dolce&Gabbiana starà bruciando in qualche inceneritore, sprigionando tutta la sua aura negativa (sì, me ne sono liberata finalmente!).

Salgo sul maggiolone giallo e durante il tragitto comincio a ripassare mentalmente le risposte che ho pensato di dare per fare colpo.

Amo moltissimo i bambini. I bambini sono il nostro futuro. Per un futuro migliore, voglio prendermene cura.

Che epiche scemenze.

Quelle che inizialmente mi sembravano buone argomentazioni, cominciano ad apparirmi gelatinose e traballanti una volta che le associo al viso dell'interlocutore a cui dovrebbero essere proferite. Il signor S.U. non apprezzerebbe queste sviolinate, farebbe un'espressione che manifesterebbe d'un sol colpo il suo prurito verso gli umani.
Devo rispondere in un altro modo. Sicuramente. Improvviserò e - forse - uscirà qualcosa di credibile. Di certo è opportuno evitare di confessare la vera ed unica motivazione che mi spinge a volere questo lavoro: un bisogno disperato di denaro.

Già dimenticavo, tra le qualità ideali della tata ci sarebbe anche il fatto che:

È motivata solo dall'amore per i fanciulli ed è convinta che quell'amore non abbia prezzo.

Perché ho ottenuto questo colloquio?

Arrivo al punto convenuto con una ventina di minuti di ritardo.
EGLI è già lì ad attendermi; ad abbagliare i comuni mortali con la sua epifania.

Uh magari vuole davvero portarmi sul suo materasso! - Io in preda ad una improvvisa tempesta di estrogeni.

Riabbassa le sottane che hai già mentalmente cominciato ad alzare, malafemmina! - Sempre io, in versione fan di ''sesso più cuore, sempre e solo fare l'amore''.

Intenta a scacciar via i miei carnali desideri, noto che il signor S.U. non è solo: c'è il suo tenero nero pulcino con lui. Non appena mi vede, Sarada comincia a saltellare entusiasta. Sono ancora troppo lontana per sentirla, ma dal labiale posso intuire quello che sta esclamando:

''F-A-T-A!''

Insieme formano il quadro più improbabile che si possa concepire. Un duo di esseri corvini agli antipodi del genere umano: lui, uomo dalla straordinaria bellezza torbida e dagli straordinari modi burberi; lei, pura, ingenua, eccitata per un nonnulla come qualsiasi bambino della sua età. L'eccezionalità e la semplicità che si tengono per mano e che reciprocamente rinviano l'una all'altra, nel gioco dell'esistenza che armonizza le contraddizioni.

Forse è per via del fatto che piaccio a sua nipote che sua eminenza mi ha concesso una udienza. Chissà perché ha la responsabilità della piccola...

 

Sarada comincia a correre verso di me e si avvinghia alla mia gamba. Io le pongo paternalisticamente una mano sul capo. Lei non immagina nemmeno che un'adulta come me, un essere magico ai suoi occhi, sia così lusingata di ricevere le sue attenzioni. Nessun bambino sospetta invero quanto piacere possa dare ad un ''grande'' l'essere visto sotto la luce incantata di chi guarda il mondo con occhi sognanti.

''Spero di non avervi fatto aspettare troppo''- Pronuncio la tipica formula di scuse che si dice in casi simili e che dà per scontata la comprensione e la cortesia altrui.

''Effettivamente sì.''
Quasi-scontata comprensione e cortesia altrui.

''M-mi dispiace, ho avuto qualche problema con la macchina'' – Mento. Il maggiolone si è comportato egregiamente, ero io che non riuscivo a decidermi sul da farsi.

''Muoviamoci da qui'' – Fa lui, col suo modo di fare naturalmente sgarbato.

Cominciamo a camminare. Sarada mette la sua mano dentro alla mia, felice di aver trovato una ragazza dai capelli rosa tutta per sé. Per fortuna è venuta anche lei. Nonostante la sua padronanza della lingua sia ancora piuttosto precaria – non ha nemmeno tre anni! – sono convinta che sia una compagna di dialogo più loquace del suo zio-misantropo.

In effetti il signor Uchiha non proferisce parola. Io e Sarada parliamo invece dei nostri amici. Io ho una migliore amica bionda e lei ha un migliore amico biondo. Io non esito a definire la mia ''folle'', lei non ha remore ad etichettare il suo come uno ''scemo''.

''Entriamo qui'' – Sua taciturnità indica un locale chic dedicato alle famiglie.

È un posto accogliente e gradevole. I genitori possono sedere in poltroncine di velluto a chiacchierare oppure recarsi nella zona drink per farsi un goccetto; i figli possono spassarsela con giochi di ogni sorta. Nella sala adiacente a quella in cui ci troviamo, ve n'è un'altra, separata dalla nostra da una parete di vetro, oltre cui posso scorgere un grande schermo che manda in onda anime per bambini.
Gli schiamazzi dei piccoli si uniscono al cicaleggio degli adulti. C'è confusione ed il mio accompagnatore non riesce a celare il suo fastidio per quell'ambiente caotico. Credo stia sacrificandosi per la gioia della nipote. Nipote che è prontamente partita verso il paese del divertimento. Vorrei avere venti anni in meno per potere scappare insieme a lei, che bellamente sta andandosene lungo la via che conduce agli scivoli, lasciandomi ostaggio dell'uomo nero.

Ci sediamo.

Adesso che siamo soli credo che inizierà la parte ''impegnativa'' dell'incontro. Mi decido a rompere il ghiaccio.

''Mi dispiace per il mio comportamento di stamattina signor Uchiha''

''In effetti non ho compreso il motivo della tua rabbia. Sapevi sin dall'inizio che non potevi essere idonea al lavoro, dato che evidentemente non hai più di cinquant'anni.''

''Cosa? Nell'annuncio non era specificato che bisognasse avere più di cinquant...''- Mi blocco.

Quella che nel momento del suo affacciarsi alla mia mente si era manifestata come pura ipotesi, diventa subitanea certezza. Adesso tutto mi è disgraziatamente chiaro. Quel +50 dell'annuncio non riguardava le ore mensili di lavoro. Era riferito all'età minima che bisognava possedere per presentare la propria candidatura.

Quindi non è stato per la borsa Dolce&Gabbiana che sono stata immediatamente scartata?

Sento che quello che era imbarazzo per la mia condotta mattutina si approfondisce sempre di più, arrivando ai suoi estremi esiti. Diventa vergogna, profondissima vergogna.
Se in questo momento potessi vedermi in uno specchio, credo che lo infrangerei in mille pezzi, perché non vorrei mai e poi mai rimirare il riflesso della mia faccia, che adesso mi apparirebbe orrida, inguardabile, insostenibile agli occhi.

Come faccio a continuare a reggere la conversazione con l'uomo che ha chiaramente scorto la mia bruttura?

Volgo lo sguardo verso di lui intenzionata a rinnovare le mie scuse.

Se gli occhi fossero lo specchio dell'anima, la sua sarebbe indecifrabile. In compenso le sue pupille sono lo specchio del mio viso. Io, che non volevo guardarmi in alcuna superficie riflettente, mi ritrovo dentro al suo nerume. Quasi mi sembra di essere inghiottita da quei buchi neri. Vorrei tanto che mi risucchiassero e che mi spedissero in un'altra dimensione, giusto per potere scomparire istantaneamente dalla sua vista.

Non faccio in tempo ad emettere un suono di costernazione che lui si alza di scatto. Lo vedo dirigersi verso l'area dei giochi. Sposto il mio sguardo verso Sarada. La colgo in una posizione che mi è familiare: faccia spiaccicata a terra, sedere all'aria, ginocchia sul pavimento. Quella bambina ha un talento naturale per i capitomboli! Ovviamente piange, ma solo per la paura: non si è fatta nulla, per fortuna. Stavolta la sua rabbia si dirige verso il pezzo di lego di cui lei non si è accorta e che avrebbe dovuto stare nella cesta dei giochi, non lì sul pavimento a tenderle un agguato. Vorrei alzarmi e dare il mio contributo, ma mi sento inchiodata e paralizzata sulla poltrona che mi ospita. Dopo aver realizzato fino a che punto stamattina sia apparsa sciocca, sento tutto il peso della mia stupidità schiacciarmi contro la seduta. E io non intendo sfidarla quella pressione, mi sembra più forte della stessa forza di gravità.

Dopo avere tranquillizzato la piccola, il signor Uchiha ritorna a sedersi accanto a me.

''Non posso toglierle gli occhi di dosso per un attimo. È un pericolo per se stessa, cade per terra in continuazione.''

''È normale per una bambina della sua età.''- Dico io meccanicamente. È la risposta più ovvia della terra. Lui è magnificente e io in questo momento sono più stupida della norma.

''No, è atipico. Anche io cascavo da bambino, ma non con la sua frequenza. Sarada è eccezionalmente distratta.''

''Cadere serve per imparare a rialzarsi''- Dico io, scimmiottando i motti della saggezza popolare. Ci manca solo che me ne esca con commenti su quanto sia bella la giornata di oggi per raggiungere la sommità della banalità.

''Sempre che non ti rompi l'osso del collo.''-Fa lui, deciso più che mai a non seguirmi lungo il cammino delle stupidaggini che mi escono dal cavo orale.

''Eheheheh, non succederà, stia tranquillo...''

 

Silenzio. Silenzio imbarazzante.

 

''Oggi è una bella giornata, vero signor Uchiha?''- Ecco, l'ho detto.

''Dammi del tu e chiamami per nome''- Ordina perentorio, mentre non distoglie gli occhi dalla sua nipotina.

''D-d'accordo''- Rispondo io, odiandomi per quella voce da timida scolaretta che mi è appena uscita.

La concessione del signor Uchiha non suona alle mie orecchie come la voglia da parte sua di abbattere il muro di estraneità che ci divide. Non mi sembra per nulla intenzionato a mettermi a mio agio, credo che mi abbia invitata ad essere meno formale solo per una questione di correttezza. In fondo lui, per una sorta di innato cipiglio superbo, mi ha dato sin dall'inizio del tu; mentre io, per una specie di inconscio timore reverenziale, gli ho dato subito del lei.
È stato naturale per me porsi ad una certa distanza, linguisticamente parlando. Se l'ho fatto non è stato di certo per via dell'età, dato che mostra di essere poco più grande di me.

''Se devo essere sincero, nelle ore che hanno seguito il nostro incontro, ero sempre più scettico riguardo alla tua persona. Non hai alcuna esperienza coi bambini. Mi sono informato. Posso dire di sapere praticamente tutto di te.''

''T-tutto in che senso?'' - Come può dirmi con così tanta spudoratezza di avere ficcanasato nella mia vita? Sono qui per un lavoro da baby-sitter, non mi sembra il caso di chiamare i servizi segreti e di redigere un fascicolo sul mio conto!

''Sakura Haruno. Ventiquattro anni. Nessun precedente penale. Sei nata a Takayama. Sei stata cresciuta da tua madre, parrucchiera di professione, e da tua nonna, un'ex istruttrice di karate. Quando avevi sette anni, tua madre ha venduto la casa in cui abitavate e vi siete trasferite nell'area rurale circostante. Hai frequentato le scuole con eccellenti risultati e hai poi deciso di venire a Tokyo per studiare. Ti sei iscritta alla facoltà di medicina e ti sei dimostrata l'allieva più promettente del tuo anno. La dottoressa Tsunade ti ha posto sotto la sua ala protettrice. Le tue finanze non bastavano a coprire le spese che dovevi sostenere, così hai cominciato a lavorare. Sei stata impiegata per tre anni presso lo studio dell'avvocato Makeda. Dato il suo pensionamento adesso hai la necessità di trovare un'altra occupazione ed è questo che ti ha portata da me.''

Resto senza parole. Come ha fatto nel giro di così poco tempo ad avere tutte queste informazioni su di me? Credo che nel momento in cui ritroverò la lucidità, sentirò il bisogno di fare nero anche l'esterno dei suoi occhi, ma adesso ho il cervello completamente ovattato.

Mi allarmo. Lui non avrebbe dovuto sapere il motivo per il quale ho l'impellenza di ottenere questo lavoro.
Sento risuonare in testa una delle imprescindibili caratteristiche della tata-ideale:

È motivata solo dall'amore per i fanciulli ed è convinta che quell'amore non abbia prezzo.

Non avrò mai questo impiego!

Tentando disperatamente di inerpicarmi su di una parete che è sempre più liscia, cerco un modo per rilanciare la mia immagine. Devo assolutamente far vedere di essere tagliata per questo lavoro, che non è solo il denaro l'unico mio movente. Col cervello in stato semi-comatoso, comincio a farfugliare qualcosa:

''A-amo moltissimo i bambini. I-i b-bambini sono il nostro futuro. P-per un futuro migliore voglio prendermene cura...''

Ecco, l'ho detto, Atto Secondo.

La faccia di chi mi sta di fronte ha dipinto un non esplicitamente proferito, ma chiaramente inteso ''Che epiche scemenze''. Mi guarda impassibile con aria di superiorità. Alza il sopracciglio.
Io ridacchio nervosamente.

Vorrei essere seppellita qui e ora da quella valanga di sedie che, cadendo, non erano riuscite a togliere la dignità a Marie Curie.

 

''C'è qualcosa che della tua storia mi ha lasciato perplesso...''- continua lui -''...hai rinunciato al denaro che tuo padre ti ha offerto come risarcimento per la sua dipartita. Considerata la tua situazione economica ed il fatto che quei soldi ti fossero dovuti, non riesco a spiegarmi il perché del tuo diniego.''

''Non capisco la correlazione tra questo personale episodio della mia vita e il lavoro per cui mi sta valutando.''-Rispondo io secca. Sarò ormai una stupida ai suoi occhi, ma che non creda di avere dinanzi una stupida senza orgoglio. Chi si crede di essere per pormi domande sulla mia vita privata così sfacciatamente?

''Non è per pura indiscrezione che te lo sto chiedendo. Riguarda la possibilità di essere assunta, per cui ti prego di rispondere con sincerità.''

''Continuo a non scorgere il nesso e a non vedere la necessità di mettermi a nudo più di quanto lei abbia già fatto.''

''Se rispondi ti sarà chiarita ogni cosa.'' - Nel dirmi ciò porta la sua mano dietro al collo. Sospira, abbassa il capo e chiude gli occhi. Sembra davvero nella posizione di chi sta chiedendo qualcosa suo malgrado.

Non ho idea di dove voglia andare a parare, ma decido di andare incontro alla sua richiesta. Con ritrosia, inizio a raccontargli, nel modo più distaccato di cui riesco ad essere capace, quella che per lui è la storia di qualcuno e che per me è la mia storia. Una storia che mi è costata lacrime, molte.

''Mio padre ha divorziato da mia madre quando avevo sei anni. Mi ha lasciata senza più farsi vivo. Ma questo lei lo sa di già. A diciannove anni, dopo avere fatto delle ricerche, sono andata a trovarlo nella sua casa di Osaka. Ad aprirmi la porta fu suo figlio. Non appena pronunciai il mio nome sua madre, ovvero la nuova moglie di mio padre, lo raggiunse sull'uscio e gli ordinò di andare in camera sua. Poi mi pregò non troppo gentilmente di non farmi vedere mai più. Una settimana dopo, ricevetti una busta. Era da parte di mio padre. Credevo contenesse delle spiegazioni, ma all'interno non vi era che del denaro. Sarebbe stato più che bastante a coprire le spese dei miei studi. L'unica cosa che mio padre si premurò di scrivere sul foglio contenuto in quell'involucro di carta fu: per il tuo futuro, sii felice...''

Giunta a questa parte del racconto, la mia voce, fino a quel punto calma e decisa, ha un fremito. Cerco di riprendermi dalla commozione e di non darla a vedere.

''...non me la sentii di accettare quei soldi. È vero, ne avevo una gran necessità per l'università e nessuno poteva dire che non mi spettassero. Ma non era quello che avrei voluto da mio padre. Così rispedii la busta al mittente.''

Nel retro del foglio ove era stato apposto l'augurio di un genitore che avrebbe dovuto essere anche un padre, scrissi ''Io sarò felice''. Ma questo dettaglio non è cosa che deve importare al mio uditore.

''Adesso che ha avuto l'informazione che mi ha richiesto, posso sapere perché sono stata indotta a dargliela, signor Uchiha?''

Risulto sorprendentemente pacata, nonostante per tutto il tempo del racconto ho avuto la paura di essere tradita dall'emozione aggrovigliatasi in gola e pronta a risalire su, fino a sciogliersi negli occhi. Ma sono riuscita a non apparire patetica e, paga del mio self-control, ho ritrovato una nuova solidità di spirito. L'essere stata messa così a dura prova da me stessa, mi ha dato fiducia nella mia possibilità di mantenere nervi di acciaio e di potere sostenere una conversazione con un tipo così fuori norma.
Finalmente si è fatta viva la Sakura determinata, quella che si guarda allo specchio compiaciuta di se stessa! Avverto di avere dismesso i panni della impacciata scolaretta e di avere rivestito gli abiti della eroina. Sento di essermi trasformata in Ygritte di Game of Thrones, la vichinga del fantasy. Lei sì che è una tosta!

''Ti avevo detto di darmi del tu e di chiamarmi col mio nome.''

''Lo avrei fatto, se tu mi avessi detto come ti chiami.''

''Come, non lo sai?!'' - Esclama lui, apparentemente sorpreso da quel fatto.

''Nel campanello c'era scritto solo Uchiha e nel messaggio ti sei a malapena firmato con le tue iniziali.''- Non capisco perché sia così stupito da questa mia ignoranza.

''Aspetta un attimo. Tu non sai chi sono io? Come fai a non conoscere un membro della famiglia Uchiha?''
Un membro della famiglia Uchiha. L'unico membro che riesco a riconoscere è il fallo gigante che sostituisce la tua testa!
Ma quanta boria può concentrarsi in un sol uomo?

''Non so nemmeno che famiglia sia quella degli Uchiha.''- Commento io con aria menefreghista.

 

''È incredibile che tu non sappia chi sia io, né da quale famiglia provenga. Non guardi la televisione?''
Quella giapponese no; quella turca, sì.

''Non molto, in effetti.''

''Sasuke. Sasuke Uchiha'' – afferma lui, schiarendosi la voce nel pronunciare quello che, a quanto pare, non è abituato a dire. Il suo nome.

''Ti ho chiesto di raccontarmi quell'episodio della tua vita perché mi interessava sapere quanto avida fossi di denaro. Per quel che riguarda la tua personale esperienza, pare che tu non sia una cacciatrice di polli da spennare. E questo, unito alla tua inaspettata ignoranza sul mio conto, mi fa ritenere che, di certo, non hai mai visto in me un pollo da spennare.''

L'unica cosa che di te vorrei spennare è quella specie di capigliatura a culo d'anatra che ti ritrovi in testa!

''Ma cosa stai dicendo? Io voglio lavorare onestamente, di sicuro non ho pensato di essere assunta per estorcerti del denaro! E poi com'è che avrei potuto riuscirci?''

''Chi ti ha preceduta ha cercato di farlo''- sogghigna lui - ''Si presentavano sempre giovani ed avvenenti candidate che cercavano di strumentalizzare Sarada per arrivare a me e coinvolgermi in una fruttuosa tresca amorosa. È stato per questo che sono stato costretto ad alzare il target di età. Le cinquantenni non hanno quel tipo di mire.''

Oh deve essere stato terribile essere stato assediato da giovani ed avvenenti candidate pronte ad aprire le gambe...

''Beh, io non sono quel tipo di donna. Mi piace ottenere le cose da me.''

''Mh. Vedremo. Voglio darti una possibilità.''

''Una possibilità?''- Apro gli occhi al limite della loro possibile dilatazione. Ha detto proprio P-O-S-S-I-B-I-L-I-T-A'?

''Da domani sarai in prova.''

La mia faccia deve essersi illuminata improvvisamente, dato che il mio interlocutore interviene immediatamente per placare il mio entusiasmo. Ma io sono investita da una nuova, potente ondata di iper-ottimismo e nulla in questo momento potrebbe demoralizzarmi.

''Non hai nessuna qualificazione e nessuna esperienza. Non dare per scontata la tua assunzione.''

''Io sarò all'altezza del compito, le sfide non mi fanno paura!''- Sì sono la guerriera Ygritte, pronta a far scoccare la freccia e a centrare il bersaglio!

''Il fatto di sapere chi sia tu mi tranquillizza. Ma conoscere tutto della tua vita, non è una condizione sufficiente per ottenere la mia fiducia.''

A questo punto sento prepotentemente il desiderio di affermare qualcosa che potrebbe andare a mio sfavore, ma che non riesco proprio a non dire:

''Tu hai avuto solo delle informazioni sul mio conto, ma quelle corrispondono al più a ciò che ho fatto e agli eventi che mi sono capitati. Non dicono nulla di chi sia io.''
Tu non sai niente, Jon Snow.

''...e – continuo - qualora sapessi che ruolo abbia la tua famiglia e quello che tu hai fatto in quanto Uchiha, nemmeno io saprei chi tu sia realmente. Noi non siamo quello che facciamo. Almeno non siamo solo quello. C'è molto di più in noi delle opere che possono figurare su di una lista di cose fatte.''- Concludo spavaldamente.

Lui si gira e mi guarda perplesso. Ma per me non è un semplice discorso ad effetto. L'ho detto con trasporto e con convinzione. Può sapere quali sono gli accadimenti della mia vita, ma fintanto che non conosce la vera Sakura e il suo modo di pensare, agire ed amare, non saprà nulla di lei.

''Come mai ho ottenuto questo colloquio? ''- La domanda che mi ha perseguitata per tutta la giornata, vuole a questo punto ottenere soddisfazione -''È stato per la faccia di gioia che Sarada ha fatto nel vedermi, vero?''

''No.''- Risponde lui secco - ''È stata per la faccia di gioia che tu hai fatto nel vedere lei.''

Colpita. Questa replica proprio non me ne l'aspettavo. Ogni tanto anche Ygritte può essere ammutolita da Jon Snow.

Sasuke comincia a guardarsi intorno in cerca della bambina. Non è più nella stanza in cui siamo noi, dunque deve trovarsi in quella accanto, quella in cui proiettano i cartoni animati. La sorprendiamo col viso incollato allo schermo. ''Incollato'' nel senso letterale del termine. Ha la faccia spalmata sul monitor del televisore, mentre dietro di lei, una platea di bambini protesta perché un testone nero impedisce una chiara visione al pubblico. Sasuke si affretta ad allontanarla da lì, sollevandola con le forti braccia.
''Quante volte ti ho detto di non metterti così vicino a quell'apparecchio? Hai una predisposizione straordinaria a fare cose che ti nuocciono!''

Marie Curie deve avere avuto diversi colpi di genio nella sua vita. Si sa, la carriera di una scienziata è scandita da intuizioni luminose, piccole o grandi che siano. Sono quelle che guidano alle grandi scoperte. Sono miracolosi ''colpi d'occhio'' che consentono di legare in un istante – un istante qualitativamente diverso dagli altri, perché rivelatorio – gli eventi apparentemente slegati che lo hanno preceduto. È l'attimo della chiarezza, quello che unisce nel disegno i pezzi del puzzle. È il momento dell'ipotesi, della creatività, del di più che solo l'intelletto dell'uomo è in grado di addizionare a fatti che di per sé sono spogli e senza logos. Il momento umano, profondamente umano, dell'attribuzione di senso.
Non credo che avrò mai le geniali intuizioni di Marie Curie, ma quello che mi sta visitando adesso mi sembra decisamente essere un ''colpo d'occhio''. Penso di potere aggiungere il mio di più al nudo fatto di una bambina che non si accorge dei sassolini, dei lego e che appiccica il suo viso sul monitor della tv.

''Saské-kun'' – Il -kun esce spontaneamente, pare che sia per tendenza naturale che voglia ergere delle barriere di sillabe che mi proteggano dalla vicinanza di quest'uomo.

''Che c'è?''

''Credo che Sarada abbia bisogno di un paio di occhiali.''

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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