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Autore: MaDeSt    01/11/2016    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

NEVER FACE A DRAGON

Cedric si sentiva troppo frastornato per andare nel bosco a riprendersi ciò che aveva cacciato insieme a Smeryld e al quale aveva affidato il compito di controllare gli animali morti. Sperò che non andasse nel panico non vedendolo tornare, ma nonostante ora si sentisse bene non aveva alcuna voglia di rimanere ulteriormente al freddo.
Si sorprese di trovare la porta chiusa solo con un giro di chiave, ma entrò facendo più rumore del necessario e, inconsapevolmente, svegliando Jorel che si alzò dalla panchetta preparandosi ad affrontarlo. Richiuse la porta e fece per avviarsi verso le scale, trasalì vedendo una sagoma nera e mise mano all’arco ma fu troppo lento, l’uomo non ebbe difficoltà a immobilizzarlo contro una parete e poi condurlo verso la sala tenendogli fermi i polsi dietro la schiena. Cercò di liberarsi, ma non ne ebbe bisogno perché dopo poco, con sua sorpresa, lo lasciò, gli tolse l’arco e lo costrinse a guardarlo.
Solo allora riconobbe Jorel, sospirò sollevato e disse: «Mi hai spaventato. Che c’è?»
L’uomo non gli chiese dove fosse Susan, dando per scontato che lui fosse rimasto a cacciare fino a poco prima e quindi non lo sapesse. Invece andò dritto al punto ringhiando: «Sulphane?»
Cedric rimase interdetto per alcuni secondi, sperava di aver capito male e si sentiva troppo stanco per affrontare lucidamente una simile discussione: «Cosa?»
«Cos’è Sulphane? È un drago? Hai un drago?»
Rise forzatamente e temette di non sembrare convincente: «Hai bevuto? Sei appena tornato dalla taverna?»
Per tutta risposta gli arrivò uno schiaffo che quasi lo stese e l’uomo replicò a denti stretti: «No, sono sobrio. Rispondi alla domanda. È un cucciolo di drago?»
Ma il ragazzo continuò per la sua strada sperando che prima o poi rinunciasse, sapendo di non essere bravo a mentire: «Ma come ti vengono in mente certe domande? Te l’ha detto Lily per caso?»
«Cosa te lo fa pensare?»
Incrociò le braccia e sbuffò irritato: «Sta solo cercando un modo per farmela pagare perché è arrabbiata con me, e ha infastidito Susan con questa storia dei draghi facendole domande senza senso...»
«Le stesse che ti pongo io ora? Forse c’è un motivo? Dove andate ogni volta, nel bosco? È lì il drago? Cosa ci fai in quel bosco?» domandò imperterrito.
«Caccio...»
«Le volte che esci con Susan e stai via tutto il giorno non sei a caccia, anzi se non te l’avessi ricordato probabilmente non avresti cacciato nemmeno questa settimana. Dove vai? E cosa fai?» Cedric si prese del tempo per pensare a una scusa credibile e dopo poco l’uomo si stufò di aspettare, capendo che per l’appunto voleva tenergli nascosto qualcosa, quindi riprese gelido: «Se non vuoi dirmelo andrò a verificare io stesso, e farò in modo di non averti tra i piedi.»
Il ragazzo scosse la testa contrariato e fece per parlare, ma l’uomo lo costrinse a salire le scale con la forza per accompagnarlo fino alla sua stanza.
Provò a farlo ragionare: «Lo sai anche tu che sarà inutile, come potrei possedere un drago? Io?» non ottenne risposta e seppe che non aveva cambiato idea, quindi continuò senza riuscire a tenere per sé la preoccupazione: «Non ha alcun senso quello che vuoi fare, stai andando nel bosco a cercare qualcosa che non esiste, non sarebbe meglio che riposassi prima di andare a lavoro?»
Invece di rispondergli con un secco diniego, Jorel aprì la porta della camera e lo spinse dentro mentre Lily usciva dalla sua stanza stropicciandosi gli occhi assonnata. Poi la chiuse e se ne andò.
«Credimi stai facendo un grosso errore, lascia perdere! Jorel?» esclamò, ma non gli rispose e anzi lo sentì prepararsi per uscire e poi scendere le scale. Provò ad aprire la porta piano, per non farsi sentire né per farsi notare da Lily, ma come si aspettava era chiusa dall’esterno. Trattenne un’imprecazione e si concesse solo di colpirla col pugno chiuso.
«È perché hai un drago che sei così nervoso?» domandò una vocina acuta che poteva appartenere solo a sua sorella.
«Fammi uscire di qui, o giuro che...»
«Cosa?» lo interruppe «Sono stufa che passi più tempo col drago che con me! Ora papà risolverà tutto!»
«Credimi, non risolverà un bel niente. Ora tirami fuori di qui!» le disse con rabbia.
«No. Papà ucciderà il drago e così tu tornerai a stare con me, dato che il tempo da perdere ce l’hai a quanto pare. Tanto il drago non sembrava grande dal disegno.»
«Disegno?» domandò sorpreso, ma non ebbe bisogno di una risposta per capire, perché subito dopo lo intuì: «Sei entrata in camera mia e hai guardato tra le mie cose?» esclamò poi, di nuovo arrabbiato.
«Tu non ci sei mai.» ribatté lei freddamente.
Andarono avanti a discutere diversi minuti, in cui lei si prese gioco di lui, e alla fine se ne andò ignorando le grida del fratello.
Quindi Cedric considerò la finestra che era la sua unica via d’uscita, aprì le ante e guardò giù; era un balzo di più di un braccio, ma calandosi con cautela sarebbe riuscito a non farsi male. Uscì senza problemi trovandosi così sul pavimento del piano superiore che sporgeva di un paio di piedi, poi scese rimanendo sospeso contando solo sulla forza delle proprie braccia, si lasciò andare e accusò il contraccolpo senza farsi male. Corse immediatamente verso la stalla ma la trovò chiusa, come anche la porta di casa, quindi dovette rinunciare al cavallo e sperare che anche suo padre fosse a piedi.

Smeryld era rimasto fermo esattamente come aveva promesso, attendeva impaziente il ritorno del ragazzo perché non vedeva l’ora di raccontare ai fratelli delle sue nuove esperienze, prima tra tutte che aveva ucciso un orso; quell’animale era stato in grado di spaventare Cedric, un umano che Smeryld aveva sempre conosciuto come forte, coraggioso e intelligente. Eppure davanti a quella bestia aveva tremato, e sebbene l’avesse affrontato non ne sarebbe uscito vivo senza il suo aiuto. L’aveva ucciso lui. Aveva ucciso un enorme orso.
Sentì dei passi frettolosi in avvicinamento, gli parve un Umano in corsa, ma anche molto più pesante di ciò a cui lui e i suoi fratelli erano abituati, quindi non poteva trattarsi del suo amico; Cedric era sempre molto cauto e silenzioso quando si muoveva nel bosco. Notò che i passi erano ora più vicini, si era distratto a pensare e si rimproverò, ma adesso riusciva a sentire l’odore dell’umano, e gli parve stranamente simile a quello di Cedric. Ciò lo confuse, si guardò intorno; la fioca luce della notte era sufficiente perché i suoi occhi cogliessero tutti i dettagli come se fosse stato mezzogiorno.
E infine lo vide, era davvero enorme per essere un Umano, o almeno in base a ciò che lui era abituato a vedere, e capì che doveva trattarsi di un adulto. Non aveva mai conosciuto un uomo adulto, non ne ebbe paura solo perché sapeva di poter uccidere creature ben più grandi e più forti di quanto avrebbe potuto essere quell’umano. Ma si accucciò ugualmente sperando di passare inosservato, tendendo solo il collo per poterlo vedere, rimembrando che nessuno doveva sapere di loro, a detta dei ragazzi loro amici; unica eccezione per Emily, che era stata a conoscenza delle uova da ben prima che si schiudessero.
Non sembrava averlo ancora visto e immaginò che fosse dovuto al colore verde delle sue scaglie, che in un bosco davano meno nell’occhio di quelle viola di Ametyst o di quelle gialle di Sulphane. Ma ricordò presto di trovarsi pur sempre in un luogo ammantato di bianco.
Infine l’uomo si fermò e lo guardò, lo sentì ansimare, e capì che l’aveva visto o a causa dell’iridescenza delle sue scaglie o proprio perché il bosco era innevato. Quindi si erse in tutta la sua statura sebbene non raggiungesse la vita di quell’uomo in altezza, e ricambiò il suo sguardo. Abbassò la testa schiudendo le fauci in un sibilo minaccioso, aprì un poco le ali per sembrare più imponente e agitò la coda.
Lo sentì borbottare e lo vide tenere qualcosa in mano e poi tendere un braccio all’indietro; non ci mise molto a capire che l’oggetto che aveva in mano era lo stesso con cui Cedric aveva ucciso le loro prede e tentato di abbattere l’orso, quindi seppe per certo che l’uomo aveva intenzione di ucciderlo. Con quale coraggio? Era evidente che quell’uomo sapeva di lui, sapeva che era un drago, ed era venuto fin lì solo per piantargli una freccia nel cuore. E nessuno doveva saperlo al villaggio, secondo ciò che avevano detto i ragazzi doveva sbarazzarsi di lui e impedire che diffondesse la voce. Non aveva paura della sua arma, non era stata in grado di uccidere un orso solo pochi giorni prima, perché mai avrebbe dovuto trapassare le sue scaglie?
Decise di scagliare un attacco alla sua mente, spalancò le fauci in un acuto ruggito, poi entrò di prepotenza entro i confini della mente dell’uomo, che non sapeva come difenderla, quindi non ebbe difficoltà. Gli fece male e lui gridò di dolore, confuso e spaventato da un improvviso quanto atroce male alla testa, ma non cadde a terra e nemmeno lasciò la presa su arco e freccia. Smeryld non si curò di leggere i suoi pensieri, cessò l’attacco e corse verso lui, sempre ruggendo.
Tra le urla dell’uomo e i ruggiti acuti del drago, nessuno dei due sentì Cedric gridare a entrambi di non ferirsi l’un l’altro, gli stava correndo incontro più veloce che poteva rischiando d’inciampare a ogni passo sul terreno dissestato, temendo per il peggio. E a un certo punto smise di rivolgersi a suo padre e chiamò solo Smeryld, ricordando di come il piccolo drago fosse a malapena rimasto ferito dal morso di un orso, mentre era stato in grado di ucciderlo con facilità. Se non l’avesse fermato in tempo Jorel sarebbe rimasto come minimo gravemente ferito. Non sembrava intimorito dal drago e quella sarebbe stata la sua rovina.
Smeryld non vedeva Cedric, non lo sentiva perché stava ruggendo, e nemmeno percepiva la sua presenza, perché era concentrato sull’altro essere umano.
Jorel si riprese dalle acute fitte alla testa senza pensare troppo a cosa potesse averle causate, prese in fretta la mira e lasciò la freccia che partì rapida verso il draghetto verde. Ancora un paio di balzi e sarebbe stato alla sua portata, ma la freccia gliel’avrebbe impedito. Si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, ma impallidì appena la freccia raggiunse il drago, perché non lo ferì, e non lo fermò.
Smeryld piegò la testa per non essere colpito negli occhi o in bocca, così il dardo rimbalzò sulle sue dure spine della schiena, frantumandosi in due. Tornò a guardarlo, e l’uomo, pallido e incredulo, poté notare che la sua testa si muoveva diversamente dal corpo, rimanendo ferma sempre alla stessa distanza dal suolo. Per tenere meglio d’occhio la sua preda.
Abbassò il braccio che teneva l’arco, sentendosi perduto e impotente quando il drago balzò per saltargli addosso, le fauci ancora spalancate, gli artigli delle zampe anteriori pronti a dilaniarlo. Non provò nemmeno a reagire, non aveva visto male; aveva prontamente schivato il colpo con un margine di reazione infinitesimale. Se non l’avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe mai creduto, anzi ancora non riusciva a crederci.
Fissò Smeryld dritto negli occhi tutto il tempo che durò il suo balzo, poi li chiuse e si preparò all’impatto, che venne poco dopo; non era abbastanza pesante da farlo cadere all’indietro, ma piantò immediatamente gli artigli nel suo petto e lo morse alla spalla, poi si aggrappò anche con gli artigli delle zampe posteriori e agitò la coda per sbilanciare l’equilibrio, mentre con le ali fendeva l’aria cercando di piegarla a suo favore.
Furono questa serie di cose a farlo cadere a terra davanti agli occhi di Cedric, col drago ancora avvinghiato addosso, che non mollò la presa nemmeno allora e anzi fece affondare ancora di più denti e artigli col contraccolpo.
Smeryld assaggiò così per la prima volta il sangue umano, e non gli parve poi così diverso da quello delle prede che aveva cacciato fino ad allora, scoprì in tal modo che gli piaceva, e per un istante immaginò che ci fosse uno dei suoi amici umani sotto di lui in quel momento; quel solo attimo bastò perché si pentisse di averlo trovato piacevole.
Lasciò la spalla dell’uomo che ora urlava, e indebolì la stretta con gli artigli, lo fissò dritto negli occhi e inarcò il collo pronto a morderlo alla gola, ma prima che potesse muovere un solo altro muscolo venne travolto in pieno da Cedric, che lo allontanò da Jorel urlando fuori di sé, e rotolò per diversi piedi avvinghiato al draghetto ferendosi a sua volta.
Smeryld ringhiò confuso non essendo riuscito a vedere il suo aggressore, ma espandendo i confini della propria mente riconobbe immediatamente che si trattava proprio di Cedric. Cercò di rialzarsi ma il ragazzo gli premeva il collo a terra, allora mugolò confuso guardandolo con un solo occhio.
E lui in risposta gridò: «No! Resta giù! Giù ho detto!»
Non sono in pericolo, era tutto sotto controllo. Non serve che mi tieni nascosto...
«Ma cosa diamine vai dicendo? Resta lì, non avvicinarti a lui! È chiaro?»
Cosa ti prende... sussurrò incredulo, ma subito dopo Cedric lo lasciò per tornare di corsa dall’uomo che era venuto fin lì per cercare di ucciderlo, e ciò lo offese. Si rialzò senza smettere di guardare il ragazzo, sbatacchiò le ali per ricomporsi dopo essere ruzzolato tra la neve e lo vide inginocchiarsi davanti a quell’uomo. Sbatté la coda stizzito e fissò la sua schiena con occhi di fuoco, fremente di rabbia.
Cedric esaminò la situazione tremando sconvolto, inginocchiato di fianco a suo padre che a malapena era cosciente e respirava a fatica. Più che le ferite a renderlo incosciente doveva essere stato l’attacco scagliato alla sua mente, ma questo non poteva saperlo e quasi andò nel panico vedendo tanto sangue sulla neve. Era una scena cui aveva sperato di non assistere mai, soprattutto dopo quello che era successo a sua madre; non riusciva a sopportare l’idea di essere arrivato troppo tardi per salvare Jorel, la sua vita era già abbastanza incasinata con un uomo che manteneva la famiglia risparmiandogli altro lavoro.
Lo chiamò un paio di volte con voce tremante e lo scosse piano senza aspettarsi che aprisse gli occhi, e infatti non reagì. Non poteva sopportare la perdita di un secondo genitore, né poteva sopportare di avervi nuovamente assistito di persona, ma soprattutto non poteva accettare che fosse stato Smeryld, il suo drago, di cui Jorel non era nemmeno a conoscenza. Preso dallo sconforto si accasciò sul corpo dell’uomo continuando a sussurrare tra sé e talvolta rivolgendosi a lui come se potesse sentirlo, poi nascose il viso nella sua giacca, impregnata dell’odore del sangue che non avrebbe mai voluto sentire e che lo nauseò.
Smeryld capì di averla combinata davvero grossa solo a quel punto, perché il ragazzo faceva inconsapevolmente di tutto per fargli capire di stare alla larga dai suoi pensieri e dalle sue emozioni. Non lo voleva, lo odiava. E non ne capiva la ragione, ma ormai era certo di avergli causato un torto a sua insaputa. Si avvicinò di qualche passo con fare incerto e mugolando piano, ma Cedric parve non sentirlo.
Così sfiorò la sua mente facendolo trasalire e sussurrò il suo nome, ma il ragazzo si rialzò in ginocchio solo per scacciarlo e gridargli di andarsene. Era sconvolto e fuori di sé, questo poteva concederglielo, ma cacciarlo a quel modo, perché mai?
Cosa ti è preso? Chi era? Cos’ho fatto di sbagliato? Cosa devo fare?
«Devi andartene.» gli sussurrò freddamente «Non voglio più vederti.»
Quelle parole lo colpirono come se la freccia di Jorel avesse fatto centro nel suo petto. Mugolò e domandò: Perché dici questo?
«Hai ucciso mio padre.» la sua voce era ora roca e al contempo tremante.
Smeryld scosse la testa incredulo: Ucciso... chi? Non è morto, è...
«Morirà! E ora vattene!» lo interruppe.
Non morirà se...
«Se! Se? Se lo riporto in tempo al villaggio? Io? Ma mi vedi o no? Come speri che possa arrivare in tempo? Faccio fatica a trascinare un cervo e vuoi che pensi a lui? Cosa ti è saltato in testa? Perché non ti sei semplicemente nascosto?» gridò fuori di sé.
Ho provato, ma lui mi ha visto...
«E allora hai pensato bene di ammazzarlo!» lo interruppe.
Sbuffò irritato: Non è morto! poi scosse la testa e si affrettò a cambiare atteggiamento: Non avevo idea di chi fosse, mi dispiace. Non credevo fossi così affezionato a lui...
«Ma quanto sei stupido? È mio padre, quello che ti ho raccontato due giorni fa non conta un accidenti! Se lui muore ora la mia vita è finita, lo capisci? Potrai dirmi addio perché non avrò più tempo per te!»
Mi dispiace... ripeté in un sussurro abbassando la testa, realmente addolorato e sentendo comunque ciò che provava lui.
Cedric si prese la testa tra le mani e cercò di calmarsi traendo un lungo sospiro, infine parlò a voce così bassa che Smeryld immaginò stesse parlando da solo: «La colpa è mia, non ti ho mai parlato della mia famiglia e non ho restituito il tuo uovo alla Foresta... non avrei mai dovuto farlo schiudere, né aiutare gli altri... Sono stato uno stupido.» le parole gli morirono in gola e si accoccolò di nuovo sul petto di suo padre.
Non vedi altre soluzioni perché sei sconvolto... Ti ho sconvolto si corresse e si sedette lì dov’era senza osare avvicinarsi Posso chiamare gli altri e dirgli di venire qui subito con un cavallo, possiamo salvarlo... mi hai fermato in tempo.
«La cosa migliore che puoi fare ora è sparire dalla mia vista.» riprese con fare freddo ma più costernato.
Cedric... non l’avrei mai fatto se avessi saputo...
«Vattene.» sussurrò cominciando a piangere piano.
Smeryld mugolò distrutto dal dolore e dalla paura del ragazzo, poi decise che fosse bene assecondarlo finché non fosse stato meglio. Ma se davvero suo padre fosse morto, l’avrebbe mai perdonato? Certo non sapeva chi fosse quell’uomo, ma avrebbe potuto capirlo, o percepire prima la mente del ragazzo, o sentire le sue grida prima di balzare all’attacco, o ancora fuggire nel bosco per non farsi più trovare. Gli aveva causato un dolore terribile che non riusciva ancora a comprendere, ma pensò di esserci vicino quando capì l’intensità del dolore che gli procuravano quell’abbandono e quell’odio da parte di lui. Si sentiva oppresso da una mostruosa sensazione che non conosceva ma che lo faceva stare male.
Mugolò tristemente e si allontanò a testa bassa con la coda che strisciava a terra lasciando un profondo solco nella neve. Non sapeva dove andare, dal momento che aveva solo Cedric e i propri fratelli; ma per stare con loro avrebbe dovuto continuare a frequentare il ragazzo, e sembrava impossibile. Rimaneva soltanto Nerkoull, altrimenti sarebbe stato solo per sempre.
Per cercare di distrarsi tenne lo sguardo fisso sulle proprie zampe concentrandosi su come affondassero in quella fredda morsa, ma alla fine cedette e si guardò indietro vedendo che Cedric si trovava ancora lì fermo. Si chiese come mai non provasse a trascinare quell’uomo, sebbene come già aveva precisato faticasse a trascinare un cervo, ma alla fine si disse che probabilmente era solo ancora molto scosso; forse appena si fosse ripreso avrebbe provato almeno a portarlo fuori dal bosco.
Scosse la testa e decise di sedersi e attendere che gli chiedesse aiuto per trascinarlo verso il villaggio, sperando con tutto il cuore che l’avrebbe fatto e che prima o poi avrebbe smesso di odiarlo.
Il tempo scorreva impietoso e Cedric non fece molti tentativi di trascinare Jorel, dal momento che oltre a pesare molto per lui era ancora indebolito dall’aggressione dei soldati di poche ore prima. Smeryld rimaneva in attesa, ma lui nemmeno lo guardava, forse neanche sapeva che si trovasse ancora lì. Alla fine il ragazzo si arrese, rimanendo aggrappato al corpo di suo padre che respirava sempre più affannosamente, nemmeno il freddo pungente lo spinse ad andarsene a casa, né l’arrivo dell’alba. Probabilmente nemmeno se ne accorse.

Susan Jelena e Deren uscirono così presto la mattina che non incontrarono nessuno, come avevano previsto. Ancora non se la sentivano di dover dare spiegazioni, né d’inventarsi qualcosa su come fossero fuggiti, o come fossero stati rilasciati dai soldati, o perché li avessero catturati tanto per cominciare. Nonostante entrambi i genitori fossero piuttosto deboli e affamati non avevano potuto fare una colazione sostanziosa, perché erano poche le pietanze ancora presenti in casa e ancora meno quelle commestibili dopo tutte quelle settimane.
La ragazzina li guidava verso il bosco a est tenendo stretta la mano della madre, passarono accanto alla casa di Cedric e alla stalla senza guardarle, perché vi sarebbero tornati dopo a recuperare gli oggetti di lei.
Saltellava allegramente e Jelena rideva, mentre Deren le saltellava dietro stando al gioco, quando Susan sentì l’ormai familiare presenza della mente di un drago nella propria. Sulle prime strillò felice pensando che fosse Sulphane, già pronta ad accoglierla anche se così distante dalla tana, ma s’immobilizzò nel sentire la voce più grave, e anche stranamente triste, di Smeryld.
Susan. Aiutami. Mi odia.
«Cosa c’è tesoro?» le domandò la madre vedendola così stranita, lo sguardo perso nel vuoto.
«Dove sei?» sussurrò la ragazzina.
Uomo e donna si guardarono preoccupati, capendo che non si era rivolta a nessuno di loro senza però sapere con chi stesse parlando.
Non posso gridare, non sa che sono ancora qui.
«Va bene, ma dove sei?» ripeté Susan. Il drago sentiva le sue parole solo perché prima di pronunciarle le pensava: «Vienimi incontro e guidami da lui. Cos’è successo?»
Mi odia mugolò Smeryld, poi lasciò la sua mente e il bosco le parve stranamente freddo e silenzioso.
In realtà non aveva ben presente chi fosse questo ‘Lui’ di cui il draghetto stava parlando, ma immaginò che si trattasse di Cedric e non riuscì a capire perché mai il ragazzo dovesse odiare il cucciolo.
Si ricordò di non essere sola e decise di preparare i genitori al loro secondo incontro con un drago, ma probabilmente al primo contatto mentale: «Sta arrivando uno dei nostri draghi, ma temo che non sarà un piacevole primo incontro.»
«Per quale ragione?» domandò Deren sorpreso.
«Mi è sembrato triste, ma non so esattamente il perché. State per conoscere Smeryld, il drago di Cedric.»
Jelena annuì con un sorriso incoraggiante, realmente ansiosa di vedere bene per la prima volta un drago; Nerkoull si era presentato di notte ed era un drago nero, non aveva visto molto benché fosse una figura immensa. Solo un paio d’occhi rossi e scaglie lucenti.
«Se deciderà di parlarvi potreste sentirvi strani, i draghi comunicano col pensiero perciò sentirete una voce solo con la mente... è un po’ strano da spiegare. Ma se Smeryld non vi parlerà lo capirete quando conoscerete Sulphane, lei di sicuro sarà felice di conoscervi!»
Smeryld arrivò pochi attimi dopo di corsa, riservando ai due adulti un’occhiata diffidente e rallentando il passo quando gli fu vicino. Ma appena Susan li presentò si mostrò schivo, come impacciato, fuggiva il loro sguardo e anche quello della ragazza. Non aprì mai la mente ai suoi genitori.
«Allora, cos’è successo?» gli domandò Susan.
Il draghetto la guardò di sottecchi, non un contatto diretto, e le rispose: Ho... commesso un errore.
Susan gli fece cenno di avviarsi, e mentre camminavano dietro al drago riprese: «Ovvero?»
Ovvero? ripeté lui non conoscendo la parola, ma appena la capì rispose: Ho aggredito suo padre senza sapere chi fosse. Ora lui è convinto che morirà.
Susan s’immobilizzò e i genitori con lei, Smeryld non tardò ad accorgersene e finalmente la guardò. Ma quando vide la sua espressione sgomenta di nuovo abbassò la testa e si girò dall’altra parte.
Capendo di averlo ferito, la ragazzina gli s’inginocchiò accanto e accarezzandolo sul dorso sussurrò: «Portaci da lui, svelto.» e mentre di nuovo camminavano si sentì in dovere di spiegare ai suoi genitori a cosa probabilmente stavano andando incontro.
Jelena sbiancò e Deren balbettò: «Ma... ma se lui ha aggredito il padre del ragazzo di cui dovrebbe essere amico... noi...»
«Non vi succederà nulla. Jorel era qui da solo. Vedendovi con me nessuno dei draghi vi toccherà, non temete. Sono molto intelligenti e imparano in fretta.»
«Da quanto tempo hai detto che sono nati? Quasi alla fine del mese di Glayth?» domandò la donna.
«Esattamente. Hanno un paio di mesi.»
«Però...» commentò meravigliata; due mesi e già parlavano, a quanto pareva. Ed erano delle dimensioni di un cane, quasi. In realtà era il collo lungo a renderli più alti, la spalla del draghetto verde non superava il loro stinco.
Smeryld si fermò d’un tratto e con un cenno della testa indicò un punto più avanti, dove Susan intravide tra la vegetazione il ragazzo abbracciato al fabbro, che era a terra. Guardò i propri genitori e per cercare di immedesimarsi nella sua situazione si sforzò di ricordare come si era sentita quando era certa di averli persi, di quando proprio in quel bosco lui l’avesse aiutata a non annegare nella disperazione; cercò di immaginare che tuttora non fossero lì accanto a lei.
Dunque si avvicinò molto cautamente a Cedric, seguita dagli sguardi preoccupati di Jelena Deren e Smeryld, e si sorprese quando una volta che fu abbastanza vicina si accorse che non stava piangendo, ma nemmeno dormiva. Semplicemente giocherellava con la giacca dell’uomo.
Il ragazzo la sentì avvicinarsi e con uno scatto si mise a sedere, come pronto a reagire a un pericolo, ma si tranquillizzò non appena capì chi fosse e puntò lo sguardo altrove, ora tormentandosi le dita.
Nonostante fosse certa di aver provato quello che ora lui probabilmente stava passando non sapeva come cominciare una conversazione. Partì col sedersi accanto a lui senza guardare né l’uno né l’altro e sperò che lo considerasse un buon inizio. Lanciando una rapidissima occhiata a Jorel constatò che ancora respirava, era semplicemente senza sensi e aveva perso sangue, ma c’era ancora speranza.
Gli prese la mano interrompendo il suo gesto ripetitivo e Cedric guardò in basso come per tenerla d’occhio perché non si spingesse oltre a quello.
«Andrà tutto bene.» gli disse in un sussurro, e lo pensava davvero.
Lui scosse energicamente la testa guardando ora fisso davanti a sé con un sorriso sarcastico.
«Invece sì, devi pensarlo anche tu!» gli disse incoraggiante.
«No, e ti dirò perché. Sapeva di Sulphane, grazie a Lily, ed era venuto qui per lei, ma ha trovato Smeryld. Dunque, se non morirà a causa di quel drago sarò io a morire per mano sua.» e indicò Jorel senza guardarlo.
«Lo sapeva?» domandò incredula, e d’un tratto si sentì prendere dal panico; se aveva tentato di uccidere Smeryld di certo voleva dire che non aveva preso bene la notizia. Si lasciò prendere dallo sconforto perché in effetti il ragionamento di Cedric, conoscendo Jorel, aveva senso.
Guardò il ragazzo chiedendosi se fosse meglio non assistere il fabbro oppure assisterlo e rischiare di affrontarne le conseguenze. Si domandò se anche lui stesse pensando lo stesso. In fondo non era particolarmente affezionato all’uomo, e a ragione, ma pur sempre manteneva la famiglia.
«Che cosa vuoi fare?» gli domandò con voce flebile.
Lui scosse la testa e sussurrò: «Non lo so. Forse c’è la possibilità che non ricordi l’aggressione...»
«Ma potrebbe ricordare di Sulphane, e qualsiasi altra cosa gli abbia detto Lily. Oppure lei potrebbe ridirglielo! Però... non possiamo non fare nulla e lasciarlo qui, ti pare?»
Dopo un po’ lui scosse la testa e rispose con più convinzione: «No, certo. Hai ragione.»
«Ci servirà un cavallo per portarlo al villaggio...»
«Non ho le chiavi.» la interruppe.
Dopo un attimo di esitazione Susan tentennò: «Ma lui sì?»
E Cedric abbassò lo sguardo sul padre dopo tanto tempo, quindi dopo una lunga pausa annuì e gli sfilò le chiavi dalla tasca della giacca di pelle.
Susan gli sfiorò appena la spalla dicendo: «Vai tu, distraiti, schiarisciti un po’ le idee. Resteremo noi qui.»
Il ragazzo si guardò intorno chiedendosi a quale ‘Noi’ si riferisse e notò solo allora i suoi genitori, la donna con le braccia incrociate sul petto e un’aria angosciata, ma soprattutto notò che il draghetto verde era con loro.
«Ti avevo detto di sparire.» disse rivolto a lui a denti stretti e con un tono di voce profondo, quasi gutturale quanto un ringhio di Nerkoull.
Smeryld mugolò e abbassò la testa accettando a malincuore quel gelido rimprovero, ma non se ne andò.
«Vai.» gli ripeté Susan con più forza e lo costrinse a rialzarsi, poi lo spinse delicatamente per convincerlo ad andarsene a prelevare un cavallo dalla stalla: «Jorel ha bisogno che tu non perda tempo.» gli disse con decisione, sperando che ciò lo avrebbe persuaso.
Cedric le rivolse una smorfia che la ragazzina non seppe definire, sembrava per metà d’odio e per metà di scherno, ma alla fine le volse le spalle e se ne andò senza mai voltarsi. Doveva ammettere a se stessa che il ragazzo sembrava piuttosto lucido per aver subito un trauma del genere, ma forse era dovuto proprio al fatto che non provasse pressoché nulla per suo padre. O nulla di buono. Se lei avesse assistito all’assalto feroce di Deren e l’uomo fosse praticamente in fin di vita era certa che si sarebbe comportata diversamente. Innanzitutto si sarebbe lasciata prendere dal panico, avrebbe pianto fino a diventare una fontana e avrebbe fatto tutto il possibile per portarlo al villaggio, o avrebbe chiesto aiuto a chiunque fosse nei paraggi. Probabilmente avrebbe chiesto l’aiuto di Sulphane anche se fosse stata lei a saltare addosso a suo padre.
Come ho detto, mi odia disse Smeryld tristemente.
Susan si sedette di nuovo accanto al fabbro e gli rispose con un dolce sorriso, sperando di risollevargli il morale: «È solo un po’ sconvolto, gli passerà vedrai.»
Se lo dici tu... Credo sia meglio che non mi trovi qui al suo ritorno.
«Va bene, vai. Non dire a Sulphane che sono qui, le presenterò i genitori quando questa storia sarà alle nostre spalle.»
Il draghetto annuì e senza dire altro se ne andò correndo verso nord, lasciando prontamente la mente della ragazza. Solo allora lei si accorse che era rimasto con lei tutto il tempo, e quindi probabilmente aveva ascoltato anche tutti i suoi pensieri e considerazioni sul fatto avvenuto.

Cedric tornò cavalcando Overcast, un imponente frisone, che era lo stallone di suo padre. Susan l’aveva intravisto nella stalla, ma non riuscì a non sgranare gli occhi quando lo vide fermarsi a pochi piedi da lei sbuffando e scalpitando fieramente. Le parve un animale più che adeguato per la stazza dell’uomo.
Con l’aiuto di Deren caricarono Jorel sull’alta groppa del cavallo, poi la ragazza disse a Cedric di tornare a casa, e lui la guardò storto.
Quindi lei spiegò: «Ci penserà mio padre. Io ti accompagno a casa e mamma verrà con noi. Tieni la mente occupata altrove. Lo porterà da Mos, lui sicuramente saprà cosa fare. Vedrai.»
Il ragazzo fece un verso contrariato, ma si lasciò convincere piuttosto facilmente dal momento che il dottore del villaggio non avrebbe tollerato la sua vista, figurarsi averlo in casa propria.
Così Deren se ne andò tenendo le redini del maestoso cavallo mentre loro tre presero una direzione lievemente diversa. Cedric non si curò nemmeno di portare a casa ciò che aveva cacciato, a dire il vero neppure ci aveva pensato.
Quando entrarono Lily rimase a bocca aperta trovandosi davanti il fratello, scosse la testa incredula e balbettò: «Ma tu non... tu eri in camera, cosa...»
«Fatti da parte.» parve quasi ringhiare come un Krun e non attese che la sorellina gli facesse largo, la spinse ed entrò a passo svelto.
«Cosa ci fai fuori? Dov’è papà?!» gridò Lily inseguendolo in sala.
Susan entrò timidamente con passo felpato seguita da Jelena, sperando che la situazione non degenerasse e di uscire da quella casa in fretta.
«Stai zitta! È tutta colpa tua!» ribatté Cedric furioso.
«Cosa? Cos’è successo a papà? Cos’hai fatto?!»
Raccolse arco e faretra da dove suo padre li aveva lasciati poche ore prima e poi si girò a guardare la bambina: «Io? Cos’hai fatto tu! Io non ho fatto proprio nulla! Ho cercato di fermarlo!»
«Basta! Basta! Ora calmatevi, d’accordo?» intervenne Susan mettendosi tra i due, perché stavano per saltarsi addosso reciprocamente.
Lily strillò e batté i piedi allontanandosi verso la cucina. Ma anche da lì la sentirono gridare imprecazioni contro il fratello.
Quindi Susan si rivolse a lui: «Vai a riposarti. A lei ci pensiamo noi.»
Il ragazzo ribatté irritato: «Non dirmi cosa fare.»
Tuttavia dopo un breve silenzio se ne andò salendo le scale per dormire finalmente un po’. O almeno provarci.
E Susan esclamò fingendosi d’un tratto allegra: «Lily? Vieni qui, ti presento mia madre!» quindi prese la donna per mano e s’incamminò verso la cucina nascosta dalla tenda tirata.

Deren non incontrò nessuno sulla strada, per fortuna, così ebbe il tempo di pensare a cosa dire a Mos. Ma appena il medico – un uomo dall’aspetto burbero, capelli brizzolati, naso adunco e occhi chiari – ebbe aperto la porta di casa sua sbiancò, rendendosi conto di essersi improvvisamente dimenticato tutto. Gli disse quindi di aver trovato il fabbro in quello stato accanto al suo cavallo, ma che non aveva idea di cosa gli fosse successo, o del perché avesse un arco con sé.
Mentre lo aiutava a portare l’uomo dentro la grande parte della casa adibita a sanatorio, dovette inventarsi un’altra storia da raccontargli riguardo cosa fosse successo a lui e a sua moglie coi soldati: disse a Mos che semplicemente i soldati si erano accorti di aver preso le persone sbagliate e quindi li avevano liberati per poi andarsene da Darvil una volta per tutte.
E dovette suonargli credibile, perché con una scrollata di spalle Mos gli diede il bentornato per poi andare a occuparsi di Jorel. Dunque Deren lo salutò e uscì di casa sua deciso a rimettere ordine nella propria attendendo che moglie e figlia sarebbero tornate.

  
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