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Autore: Lady R Of Rage    01/11/2016    3 recensioni
Ci sono cose che, per quanto ci impegniamo, non riusciamo a capire.
Sans non capisce perché lui e Papyrus non possono entrare nel ristorante di pasta che suo fratello desiderava tanto provare.
Undyne non capisce perché i genitori del suo ammiratore numero uno siano stati uccisi a sangue freddo per strada senza aver fatto nulla per meritarlo.
Mettaton non capisce perché tre uomini col passamontagna siano entrati nel MTT Resort con in mano delle mitragliatrici e abbiamo fucilato senza pietà chiunque gli capitasse a tiro.
Alphys non capisce perché è rinchiusa da due giorni in una stanza piena di polvere, con i polsi stretti da catene e il corpo pieno di ferite causate da coltelli e bastoni.
E Frisk non capisce cosa stia succedendo ai suoi amici, per quale motivo siano costretti a soffrire in questo modo.
Non capisce perché l'umanità, a volte, sappia essere così poco umana.
Genere: Angst, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Alphys, Mettaton, Papyrus, Sans, Undyne
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Notte Di Terrore

Undyne si svegliò di soprassalto, muovendo le mani nell’aria come per difendersi da un attacco a sorpresa. 
La radiosveglia di fianco al suo letto segnava le undici e mezza di notte. La guerriera emise un sospiro infastidito: era andata a dormire presto quella sera, proprio per essere in forma il giorno dopo, per un allenamento straordinario. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che qualcuno si divertisse a fare scherzi suonando il citofono del suo appartamento, men che meno a quell’ora.
Si alzò dal letto, stropicciandosi gli occhi con le mani unghiute. Il rumore del citofono continuava imperterrito, con regolarità impressionante. Doveva essere il burlone più persistente della terra, se andava avanti a suonare per più di un minuto. 
La guerriera si sporse dalla finestra e intravide una figura minuta al di sotto di un lampione. La luce giallognola, trasversale, la illuminava nella sua interezza, e al vedere quell’inconfondibile sagoma, Undyne sospirò nuovamente di irritazione.
Era quel ragazzino, ancora lui. Quello che l’aveva seguita per tutte le cascate mentre cercava di catturare l’umana Frisk: il suo ammiratore numero uno, se era cosa da guerriera avere ammiratori. Il piccolo dinosauro giallo aveva la testa reclinata contro il muro del suo palazzo, e con un ramoscello che reggeva in bocca premeva ripetutamente il pulsante del citofono collegato all’appartamento nel quale viveva in fase provvisoria.
“Come fa a sapere che abito qui?”.
La guerriera si allungò il più possibile oltre la finestra. -Ehi, ragazzino!- esclamò dal davanzale. -Cosa stai facendo? Sto cercando di dormire!-
Il piccolo dinosauro alzò la testa, fissandola con due occhi grandi e lucidi come ciliegie. 
-Undyne…- gridò, con voce tremolante. -Mi devi aiutare, Undyne!-
Un singhiozzo improvviso interruppe le sue parole. Il ragazzino lasciò cadere il ramoscello che teneva in bocca e piombò a sedere sul marciapiede, chinando il capo al suolo.
Per qualche ragione, Undyne ne fu spaventata.
-Dove sono i tuoi genitori?- domandò al piccolo, cercando di scacciare il brivido che si arrampicava sulla sua schiena.
-Undyne… ti prego, aiutami!- fu la risposta, che il ragazzino pronunciò con voce ancor più tremolante, tirando fragorosamente su col naso.
La guerriera strinse le mani attorno al davanzale, deglutendo. Un sudore freddo le imperlava le spalle e trapelava oltre la stoffa del suo pigiama decorato con un motivo a pesciolini.
-Scendo.- gridò al ragazzino. -Spostati da sotto.-
Undyne si arrampicò sul davanzale reggendosi al vetro della finestra. Piegò le gambe con precisione e si gettò in salto verso il marciapiede, atterrando con violenza sulle piante nude dei piedi.
Mentre si tirava su, osservò il viso del ragazzino. La larga bocca era aperta in un’espressione di sorpresa e ammirazione, ma c’era qualcosa di poco allegro nel suo sguardo e nel suo manierismo. A un esame più ravvicinato, si accorse che stava tremando.
-Cosa ti prende, ragazzino?- domandò, chinandosi in modo da arrivare alla sua altezza,
Il mostriciattolo tirò di nuovo su col naso, e si avvicinò tremando alla donna guerriera; poi allungò il corto collo tozzo, e strofinò la grossa testa contro il suo stomaco.
-Ti prego, Undyne.- sussurrò. -Proteggimi.-
Cosa stava succedendo? Undyne allungò le braccia attorno alle spalle del piccolo, cercando di placare i suoi tremori. Proteggerlo da cosa, esattamente?
-Ti hanno fatto del male, piccolo?- domandò. -Chi ha osato?-
-Gli umani.- disse lui in tono assente.
Un pugno di Undyne raggiunse il terreno, lasciando uno squarcio nel cemento. I denti della guerriera si strinsero con impeto, mentre dalle sue labbra usciva un ruggito soffocato.
-Quali umani?- disse di nuovo, in tono da comando.
-Non urlare, ti prego.- rispose il bambino. -Ho paura. Se ci sentono torneranno e uccideranno anche noi.-
-Anche?- la voce di Undyne era fredda come una lama. -Hanno ucciso qualcun altro? Cos’è successo?-. Strinse la mano attorno alla spalla del bambino, avvolta in un poncho giallo strappato e sbrindellato. 
Per tutta risposta, il bambino iniziò a piangere violentemente, incapace di articolare alcuna parola.
Undyne rabbrividì. Fissando le lacrime sul volto del piccolo, che scendevano ormai senza controllo, si rese conto di aver esagerato.
Qualunque cosa stesse accadendo in quel momento, pareva davvero qualcosa di grave. Per venirne a capo era disposta persino a mostrarsi materna.
Sollevò il bambino al petto, cullandolo con un solo braccio, mentre con l’altro si arrampicava lungo il palo di un lampione, stringendosi ad esso come a una pertica con i forti muscoli delle sue gambe. Quando arrivò in cima le bastò dondolarsi alla parte alta del lampione, nel punto in cui esso si incurvava proiettando la sua luce sopra la strada buia, per arrivare nella propria stanza dalla finestra da cui era uscita.
Appena fu nuovamente in camera, Undyne accese la luce e si concentrò sul ragazzino in braccio a lei. Nonostante continuasse a piangere fiocamente, sembrava più tranquillo e rilassato vicino a lei e lontano dalla strada.
Lo avvolse in una coperta e lo fece sedere sul suo letto, poi, dalla cucina, gli portò un tè caldo ai fiori gialli, con molto zucchero. Quando la tazza fu vuota, il ragazzino riuscì a raccontare tutto.
Stava tornando dal cinema a piedi, con i suoi genitori. Ad un tratto, un gruppo di ragazzi erano sbucati fuori da un vicolo, armati di coltelli e mazze metalliche. Li avevano circondati, mettendoli all’angolo.
“Morte ai mostri!” aveva gridato quello che sembrava il capo.
I suoi genitori avevano sfoderato le zanne e le code, pronti a una battaglia fino all’ultimo. Anche lui, il bambino, si era preparato a combattere, ma i genitori non gliel’avevano permesso.
-Stai dietro di noi.- aveva detto la mamma. 
-Rimani nascosto.- aveva detto il papà.
E lui si era nascosto, rannicchiato sotto una macchina parcheggiata. Gli aggressori non avevano badato a lui, probabilmente non si erano nemmeno accorti della sua presenza.
Aveva sentito voci, urla, pianti, gemiti, che non era riuscito a identificare. Poi tutto si era placato. 
Nel silenzio, il piccolo mostro era scivolato fuori dal nascondiglio, aspettandosi di trovarsi davanti la mamma e il papà, pronti ad accoglierlo in un abbraccio e a rassicurarlo che tutto sarebbe andato bene.
Invece aveva trovato un vicolo vuoto e due mucchietti di polvere. 
-Poi non ricordo bene.- aveva detto stringendosi il più possibile alla sua eroina. -So solo che stavo camminando, e ho riconosciuto casa tua… e ho pensato che tu mi potevi aiutare… ora che i miei genitori non ci sono più… posso stare con te: tu li mandi via, i cattivi.-
Undyne era basita, inorridita addirittura. Sentiva una miriade di sensazioni contrastanti nel profondo di sé: odio, paura, rabbia, disgusto, orrore, senso di rivalsa, ma sopra ogni cosa, una grande tristezza. 
-Dormi, piccolo.- disse piano, in tono inaspettatamente materno. -Adesso sei con me. Nessuno ti farà più del male.-
-Grazie, Undyne.- sussurrò il bambino, accucciandosi fra le braccia della guerriera. -Almeno ci sei tu a proteggermi.-
Undyne lo cullò come un neonato, con tutta la sua dolcezza, cercando di farlo addormentare. Il buio della notte impregnava la stanza come una cappa umida e pesante, ammutolendo ogni rumore.
-Li prenderò, quei cattivi.- disse con veemenza. -Gliela faremo vedere.-
Il bambino fece segno di no con la testa. -Non mi importa.- piagnucolò. -Anche se li prendiamo, la mamma e il papà non torneranno più.-
Undyne deglutì. Sentiva la tristezza che la opprimeva farsi sempre più forte, ma si impose di non darlo a vedere, non davanti al suo piccolo ammiratore.
-Lo so.- disse al bambino, osservando teneramente i suoi occhi che si chiudevano dalla stanchezza. -Devi essere forte.- 
“Devi essere forte: come si può chiedere una cosa del genere a un bambino?” pensò atterrita la guerriera, adagiando il corpo dormiente del piccolo sul suo divano e preparando una coperta in cui avvolgerlo.
“Nulla da dire: non capisco.”
  
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