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Autore: summers001    03/11/2016    3 recensioni
Captain Swan | AU | Nel mondo reale senza magia.
Dal testo:

"Allora," fece la poliziotta sexy "chi è lo sposo?"
Dal fondo della sala partirono una serie di urla di ragazzi e uomini più adulti che gridavano una serie di "io, io, io" per cercare di convincere la spogliarellista.
L'uomo alzò la testa al cielo e cominciò a ridere. Si morse le labbra quando vide la spogliarellista scendere le scale con fare aggressivo ed avvicinarsi. Gli si sedette addosso, mentre dal fondo della sala qualcuno ululava.
L'amica gli passò sul tavolo una serie di banconote. L'uomo le strinse, non sicuro di voler mettere le mani in tutta quell'abbondanza.
"Che direbbe tua moglie?" gli sussurrò la spogliarellista.
"E chi lo sa!" rispose l'uomo quasi intimorito. Non s'aspettava di scoprirsi timido in quella situazione.
"E dai, Killian!" lo spronò l'amica, che s'avvicinò alla spogliarellista e le infilò un paio di banconote nel reggisenoA Killian faceva comodo di sicuro avere un'amica lesbica e così estroversa. Non sapeva infatti cosa aspettarsi per il suo addio al celibato e a tutto poteva pensare eccetto che ad uno strip tease.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6.



2016, cinque di mattina
Killian Jones rimase fermo nella stessa posizione tutta la notte. O per tutto il tempo che dormì per meglio dire.
Il divano era piccolo, ma comodo. Ci stava perfettamente sdraiato sul fianco. Aveva ancora le scarpe ai piedi, s'era tolto solo la giacca che aveva usato come coperta. Se avesse avuto più tempo quella notte si sarebbe messo a cercare un piumone o qualcosa del genere.
Non appena chiuse gli occhi cominciò a sognare. Si ricordò di sua zia, quella dei pancake, quella che lo aveva cresciuto quando suo padre se n'era andato. Era una donna malinconica, lo era sempre stata o almeno così diceva il suo ex promesso sposo prima di mollarla il giorno prima del suo matrimonio. Forse questo aveva contribuito alla sua ansia della sera prima: nessun Jones era mai stato felicemente sposato a lungo!
Quella notte, per qualche ragione, i suoi sogni seppur brevi furono popolati da ricordi. Più che veri ricordi erano sensazioni e momenti, che da sveglio riusciva a sentire bene come i calli sulle sue mani. Magari non riusciva a ricordare che vestiti indossava in una tale occasione, o anche dove si trovava, però si ricordava come si sentiva.
Passò da una sensazione di inadeguatezza, che sapeva bene a quando ricollegare. Ci fu quel giorno, quando litigò per la prima volta con Emma, quel giorno quando qualcuno la chiamò e lei rispose con un "Ti aspetto a casa." e lui le chiese con chi stava parlando. Emma rispose solo "la mia coinquilina". All'epoca lui non sapeva nemmeno che avesse una coinquilina. Chi cavolo era questa? Eppure era stato a casa di Emma così tante volte per più di tre mesi da quando avevano cominciato a frequentarsi, non aveva mai visto una coinquilina e lei non gliene aveva mai parlato. Credeva di essere importante per lei, credeva di essere degno di tale informazione. All'epoca era così arrabbiato, aveva rinunciato a tutto per lei. E così lei capovolse la situazione e lui imparò in quell'occasione che ogni donna è esperta in quell'arte, non si trattava solo di Milah che padroneggiava quell'arte per fargliela pagare. Allora Emma gli urlò che "quante altre volte avrebbe dovuto sbatterglielo in faccia?" e gli disse che "era stufa di sentirsi in colpa". La raggiunse poi mentre era da sola al parco, seduta sull'erba davanti al lago, che lanciava sassolini. Le promise che da quel momento non avrebbe mai più parlato di Milah, non le avrebbe più sbattuto in faccia quello a cui aveva rinunciato per lei e che da lì in avanti sarebbe cominciata una nuova vita. Era la prima mezzanotte del 2014. Avrebbero cominciato l'anno nuovo insieme. Fu l'anno più bello della sua vita.
E conobbe anche la coinquilina. Lili, brava ragazza. In fondo. Molto in fondo. Era anche invitata al matrimonio.
In quello stesso anno poi Emma gli aveva fatto un regalo speciale più in là. Gli aveva regalato un telescopio. Si era sentito un bambino.
Emma era così, Emma era capace di farlo sentire un adolescente ed un bambino, come se ogni cosa che gli succedesse fosse nuova ed una scoperta, come se ci fossero una marea di prime volte. Fu felice persino il giorno in cui ricontattò suo padre e scoprì che s'era rifatto una famiglia.
Sognò e si ricordò anche di sua madre, prima che morisse. Non andava più d'accordo col marito da tempo. Sognò di essere bambino, accanto a suo fratello, davanti a lei e alla sua gonna lunga, mente lei con una sigaretta tra le dita diceva ad entrambi "per amor del cielo non vi sposate mai".
Nessun Jones era stato felicemente sposato a lungo!
In realtà non sapeva se era successo davvero.
Aveva risognato quella stessa scena anche prima di chiedere a Milah di sposarlo. Doveva essere una costante e forse quella era un'altra incoscia ragione della sua recente ansia.
Killian aprì gli occhi per davvero. Per un breve attimo fu cosciente e l'unica cosa che riuscì a fare fu recuperare il cellulare e controllare l'ora. Si era addormentato da poco più di mezz'ora, così richiuse gli occhi e si riaddormentò.
Ripiombò nel mondo sfumato dei sogni. Dopo Emma, sua madre, sua zia, suo fratello, toccò anche a Milah. C'erano stati due momenti chiave nella loro storia che Killian non avrebbe mai dimenticato.
Era giovane, aveva appena lasciato la scuola ed il college. Aveva comprato un'auto vecchia, l'aveva più o meno rimessa apposto. Camminava, accellerava, frenava, ma il condizionatore era definitivamente rotto. Così quando rimaneva lì con Milah, perché una casa ancora non ce l'aveva, faceva un freddo cane alla sera tardi. Allora parcheggiava sotto casa di lei. Ce la riportava e poi aspettavano lì insieme che il tempo scorresse. Milah si schiacciava con la schiena sul petto di lui, si rannichiavano l'uno contro l'altro e contro il volante. Lì per lì le chiese "se trovassi un posto in affitto per me?", lei dapprima sobbalzò perché lo sapeva così bene che bambino non cresciuto si celava al buio di quel veicolo, poi sorrise e scrollò le spalle senza dire niente. Gli strinse però la mano un poco di più e in quel preciso momento Killian sapeva di amarla.
Il secondo momento invece fu prima di conoscere Emma. Erano in auto in silenzio. La sua auto era dal meccanico, Milah era passata a prenderlo a lavoro e stavano in silenzio. Lei non aveva voglia di dirgli niente, lui non aveva voglia di farlo. Poi due mesi dopo si trovò quei cuoricini sul calendario. Era il modo di lei di mettere apposto le cose. Quando non stava funzionando poi lei aveva fatto una mossa ancora più stupida ed ingaggiato Emma.
Il resto non c'era bisogno di ricordarlo.
Si rigirò di nuovo sul divano. Per un attimo ebbe di nuovo la sensazione di essere sveglio, poi scomparve ancora e piombò nel buio. I ricordi non c'erano più e Killian Jones continuò a dormire fino a quando poté.



14 maggio 2013
Quando Emma aprì gli occhi, si trovò con la luce del mattino dritta sugli occhi che entrava dalla finestra e la suddetta finestra di certo non era quella della sua camera. Sentì con le dita il tessuto del divano e si ricordò tutto. S'alzò di scatto. I capelli le caddero annodati e spettinati davanti alla faccia, gli occhi erano impastati e dovette strofinarseli più volte per riuscire a vedere qualcosa. Sentì rumori provenienti dalla cucina e s'affrettò in quella direzione, ancora confusa con gli occhi appannati di sonno. Appena riuscì a vedere qualcosa notò prima una figura alta, che mise a fuoco e riconobbe alla fine essere Killian Jones, nella sua cucina a pulire pentole.
Che fare, che fare?
Come prima cosa, prima che la vedesse si appiattì i capelli alla testa. Si impigliò in un grande nodo ad altezza del collo e decise di rimandare indietro l'intera massa. Ci mise evidentemente troppo tempo e troppo rumore, tanto da far girare il diretto interessato e vederla in piedi.
"Buon giorno!" fece lui. La sua voce era stranamente allegra e riposata, come ci si aspetta di sentirla in ogni pubblicità dei biscotti in televisione. "Ho preparato la colazione." disse come se fosse normale, la cosa più normale del mondo, come se lo facesse tutte le mattine. Emma si grattò il capo dietro un orecchio. "E il caffé." Killian prese poi una tazza e la piazzò sul tavolo, di fronte ad Emma che stava ancora sotto lo stipite della porta a guardarsi attorno. "Latte" disse "e panna." Aggiunse spruzzando schiuma bianca sul caffé già marroncino chiaro. Prese un'altra tazza, piena fino all'orlo di caffé nero pece forse un po' bruciato, e si sedette dall'altro lato.
Emma prese un respiro e decise di chiedere la cosa più stupida ed ovvia che le venisse in mente. "Come stai?"
"Benissimo." rispose lui, prendendo un sorso di caffé. Fece poi una smorfia e forse a fare il caffé non era poi tanto bravo, ma in fondo si trattava di un vizio. Le labbra gli rimasero sporche e marroncine, così si leccò via quella patina liquida incosciamente.
Sul viso di Emma invece si stampò un'espressione interrogativa. Com'era possibile? Stava quasi per vomitare sul suo pavimento, sopra quella grande macchia di vino e caffé. A proposito. Si girò, si sporse col capo verso l'ingresso e ispezionò il pavimento. Era pulito. Le aveva pulito anche il pavimento.
"Come..." cominciò a chiedere lei. Come... Come cosa? Come aveva fatto a riprendersi?
"Le aspirine nel tuo comodino e tanta acqua." rispose lui scrollando le spalle dopo aver inutito la domanda. "Pancake?" chiese e si girò, recuperò due piatti e li dispose sul tavolo.
Emma guardò l'orologio vicino alla televisione. Era l'una di pomeriggio. Oh cavolo. Si alzò, raggiunse il tavolo. C'erano quattro pancake per piatto, tutti uno sopra all'altro a creare due piccole pile, ed una forchetta in cima come una bandiera. L'allunaggio dei pancake. Emma si sedette davanti ad un piatto. Poi riuscì a connettere il cervello con quello che aveva detto lui. "Hai aperto il mio comodino?" chiese lei infastidita dalla violazione dei suoi spazi.
"Solo il sinistro." rispose lui e la vide tirare un sospiro di sollievo di troppo. "A destra ci avrei trovato un vibratore?" chiese lui scherzando. Incrociò le braccia e riuscì addirittura a sorridere, nel modo malizioso che faceva lui quando diceva una porcata.
Davvero? Si chiese lei. Queste battute da quinta elementare? "Ti preferivo ubriaco e depresso."
Killian sorrise di nuovo, intenerito dalla sua spavalderia. "No, non è vero." rispose solo e si mise a sedere davanti a lei. "Assaggia." la esortò poi. Così Emma prese la forchetta dal piatto e cominciò a mangiare. Beh erano buoni, ma erano solo pancake. Persino un ragazzino ci sarebbe riuscito.
"Buono." commentò lei e cominciò a mangiare. A mano a mano che ne metteva in bocca si rendeva conto che il sapore migliorava. Si sentiva la pasta morbida che si scioglieva in bocca, la cioccolata, la panna e la polvere di cacao. I sapori erano netti e si riconoscevano ad uno ad uno per poi mischiarsi in un'unica crema dolce ed irresistibile.
"Mia zia li faceva così." spiegò Killian sorridendo, probabilmente aveva apprezzato più la voracità di Emma che il suo complimento. "Milah è sempre a dieta, non potevo mai farli." continuò.
"Oh."
Ed ecco l'elefante nella stanza. Milah di nuovo. Milah-non-più-quasi-Jones. La fidanzata per eccellenza. Doveva esserne gelosa? Poteva? Si sentiva gelosa in effetti, ma aveva senso esserlo? Nonostante fosse come parlare di un fantasma, l'idea di lei riempiva come un gas la stanza: occupava tutti gli spazi disponibili, si espandeva, soffocava. Emma non stava più mangiando e si rese conto troppo tardi, che anche lui s'era reso conto che lei se n'era resa conto e si fermò prima, poi riprese a mangiare abbassando la testa.
E c'era un'altra cosa, un'altra grande cosa. Chi era sua zia? Chi era questa donna che gli faceva i pancake? Perché non sua madre? Non era tanto il non sapere chi fossero queste persone, ma chi fosse lui. Emma sapeva com'era fatto fuori, che era vendicativo, un vero stronzo, ma era anche simpatico, allegro e vitale. Era sufficiente? Milah conosceva questa zia?
"Perché l'hai fatto?" chiese Emma, impaziente di sapere se fosse per lei o per sé stesso che aveva lasciato Milah, l'elefante nella stanza.
"Avevo fame, non c'era niente in frigo..." cominciò lui, che aveva capito, in un insufficiente tentativo di cambiar discorso.
"No." cominciò lei, decisa a spiegare cosa intendeva, ma si sentiva a disagio e non ci riuscì. Ruotò la mano per aria cercando di fargli intendere che c'era altro, altre cose a cui si riferiva. "Lo sai." concluse alla fine.
Killian sorrise debolmente con un lato della bocca, tagliò un pezzo di pancake con la forchetta che infilò a taglio nella pastella cotta e se lo mise in bocca. "Lo sai." rispose lui.
Emma sospirò: non sarebbero mai andati da nessuna parte. Riprese a mangiare con una strana sensazione nella pancia. Aveva pensato così spesso di amarlo, ma non s'era mai soffermata sugli ostacoli che c'erano in mezzo. Aveva visto sempre e solo Milah e nient'altro.
Killian finì tutto quello che aveva nel piatto, si pulì la bocca ed aspettò lei, che non ci mise molto in più e si massaggiò la pancia non appena posò la forchetta. Emma voleva rimanere occupata quanto più tempo possibile ed allora aveva mangiato con molta, troppa calma. Cominciò a tamburellare le dita sul tavolo e guardare sul legno chiaro. Grattò via una macchia di pastella che doveva essere caduta durante la preparazione.
Killian allora s'alzò, recuperò il suo piatto, le posate, poi si girò verso Emma e le tese una mano. Lei non capì all'inizio, troppo presa dai suoi pensieri e gli rivolse un'occhiata interrogativa, a cui lui rispose con un cenno del capo indicando il piatto. Emma allora gli passò il piatto e le posate. Killian si girò e cominciò a lavare i piatti rivolgendole le spalle.
Killian Jones era lì a casa sua, nella sua cucina, che faceva cose normalissime, come cucinare e lavare i piatti, come se la casa fosse anche sua. Non era questo che voleva fino alla sera prima? E allora perché sembrava strano? Capì all'improvviso quanto fosse stato stupido quel piccolo sogno da giovane adolescente.
S'alzò e s'affiancò a lui, decisa a badare da sola alla sua cucina, togliergli quella famigliarità con la sua casa di mano. Cominciò a sciacquare i piatti che lui stava lavando e finirono così in metà del tempo. Voleva fare tutto da sola, ma erano finiti per dividersi i compiti.
"Che squadra!" commentò lui asciugandosi le mani.
Emma chiuse gli occhi e sorrise, non erano proprio quelle le sue intenzioni. Eppure così erano finiti. Quando aprì gli occhi e si girò verso di lui, non riuscì a vedere molto. Un riflesse incoscio glieli serrò di nuovo. Le labbra di lui erano sulle sue e nonostante le stesse rubando quel bacio, era di una dolcezza sconvolgente.
Emma ricambiò il bacio e gustò il sapore di cioccolata che Killian aveva ancora sulla lingua e tra i denti. Lui si raddrizzò e si fece più vicino senza lasciarla. Le prese un fianco con una mano e con l'altra le schiacciò i capelli sul collo. Si staccò da lei a suon di piccoli baci, ognuno più leggero dell'altro. Il fiato caldo di lui si posò poi sul suo naso. Emma non riuscì ad aprire gli occhi, catturata da quel momento. Forse neanche lui ne fu tanto capace.
"E se ci stessi pensando adesso?" disse Killian, stringedosela tra le braccia e ributtando Emma in quel mondo di fraintendimenti, frasi a metà e cose dette e non dette. Lui sorrise con quel fare malizioso e dolce insieme, riscaldandole il viso con quelle smorfie che le soffiavano aria calda sul viso.
Chissà come Emma capì subito che cosa lui stesse dicendo, ricollegando all'istante alla conversazione nel bagno della sera precedente, quando lui non aveva esattamente pensato ed aveva però progettato uno squallido incontro nei bagni. Da quella prospettiva, sotto il suo viso, sotto le sue labbra, Emma pensò che se non l'avesse respinto la sera prima, quell'invinto poteva suonarla anche dolce e romantico come suonava l'ultima proposta in quello stesso momento.
Emma cominciò a sorridere e così anche lui, che le si avvicinò di nuovo con la stessa espressione e quasi le coprì di nuovo le labbra. E stava per abbandonarsi di nuovo, per baciarlo di nuovo e chissà cos'altro sarebbe venuto dopo. S'immaginò il suo letto, corpi nudi avvinghiati, frenesia, dita che s'aggrappavano alla pelle. Cancellò tutto scuotendo appena il capo ed allora aprì gli occhi. L'elefante. Era lì gigante, nella sua cucina, davanti a loro a guardarli con quei suoi giganti occhioni tristi.
"Scusa, io.." cominciò lei. Gli occhi di lui dipendenvano dalle parole di lei, così in attesa, ad aspettare lei, dolci, romantici, un po' maliziosi, perfetti.
"Hai perso la lingua, Swan." disse sorridendo, con voce roca e bassa, mettendole un dito sulle labbra.
"Già." rispose lei ad occhi chiusi, gustando la sensazione di quel dito sulle labbra, immaginando di posargli un bacio e rimangiarsi tutto quello che aveva detto.
"Posso aspettare." rispose lui, allontanandosi di mezzo passo, rispettando i suoi spazi. Le posò un bacio sulla fronte e le prese le mani.
"Non credo che io riuscirò ad essere così paziente." ammise lei sorridendo, mentre di nuovo le tornò in testa quell'immagine dei due corpi sul letto, con le sue dita affondate nella schiena di lui. Non se ne rese neanche conto e neanche le importò di essersi lasciata andata andare per qualche secondo. Ma andava bene così. "E' solo che..." cominciò non sapendo come continuare, ma volendo continuare. Abbassò gli occhi e vide le dita di lui intrecciarsi alle sue ed il pollice giocare con le vene sul suo polso. Rialzò lo sguardo ed incrociò gli occhi cristallini di Killian. Così si leccò le labbra e proseguì. "Mi sento come se ci fosse un grande elefante nella stanza." si spiegò. E si stupì di averlo detto davvero, così come lo vedeva e lo aveva pensato, l'elefante, con le stesse esatte parole.
Killian sorrise di nuovo. Lo sapeva chi era quell'elefante, l'aveva capito prima, era chiaro in quello stesso momento. "Io non vedo elefanti." scherzò allora.
Emma sorrise. "Idiota." bisbigliò.
"Vuoi che ti parli" cominciò lui "dell'elefante?" chiese sottolineando la parola. Aveva capito ovviamente chi era l'elefante. Nella mente di Emma l'elefante si trasformò in Milah-(non più)-quasi-Jones sotto i suoi occhi: i capelli neri crebbero da quella testa grigia pelata, le orecchie si ridimensionarono, il naso divenne sottile. Eccola, Milah a guardare quel bacio, quella conversazione, quella relazione. Il termine relazione sembrava sbagliato così.
"No." rispose Emma piano. Aveva paura di quella conversazione. E se lui avesse fatto un tremendo sbaglio a lasciare la sua ex promessa sposa per lei? Lei che non sapeva niente di lui, che non centrava niente con lui.
"Di me e te?" chiese allora lui, impaziente evidentemente di dire qualcosa.
"Nemmeno." rispose lei decisa. Era anzi l'ultima cosa di cui avrebbe voluto parlare.
"Film, pop corn e caffé?" propose allora lui, cercando di cambiare argomento e di distorgliela da qualunque pensiero la stesse disturbando. Era il primo giorno di una nuova vita per lui e, come aveva detto la sera prima, l'aveva sequestrata in casa sua.
Emma decise di dargli corda e cambiare argomento, mettere l'elefante da parte e non fare niente di male. "Pop corn e caffé insieme? In bocca contemporaneamente?"
"Che schifo, no!" rispose lui offeso.
E allora si divisero i compiti, di nuovo come una squadra, lavorando benissimo nella metà del tempo. Killian accese la televisione, cercò un film in lungo e largo dopo aver entrambi concordato sull'horror splatter, tanto per rendere la cosa ancora più schifosa. Emma invece accese la macchinetta del caffé, avendo capito che lui non era tanto bravo a prepararlo, recuperò la sua tazza color crema, ne prese un'altra celestina dalla credenza e mise i pop corn nel micronde.
Dopo cinque minuti si ritrovarono sul divano e cominciarono prima dai popcorn, che finirono nelle bocche, tra i cuscini del divano e sulle loro magliette dopo esserseli tirati addosso più volte per colpa di una battuta di troppo.
A metà film però, dopo non aver capito molto bene la trama, erano di nuovo appiccicati per le labbra. Emma era quasi pronta a salirgli addosso a cavalcioni, modificando la sua fantasia, e sentiva che anche lui era davvero davvero pronto per lei, ma l'elefante era là, di nuovo là davanti al televisore, a darle fastidio. Si spiccicò solo un attimo da lui, che nel buio della stanza, alla luce di un film dalla trama cupa e dai colori tetri, le chiese "E' sempre nella stanza?"
Emma aprì gli occhi e vide Milah di nuovo. "H-hm" mugugnò in tutta risposta senza rompere il bacio.
"Ok." rispose lui e si staccò da lei. Killian si alzò in piedi e si stiracchiò. "Andiamo, ti porto con me." disse, invitandola con una mano a sollevarsi.
"Cosa?" chiese Emma, senza scomodarsi da dove si trovava. Prese una manciata di pop corn dalla ciotola e se lo ficcò in bocca. Con gli occhi poi guardò prima lui e poi il film, vagamente incuriosita tutto ad un tratto. Un urlo provenì dalla televisione. Killian allora disturbato, recuperò il telecomando e la spense. Emma allora, privata all'improvviso del suo interesse, si girò verso di lui. "Dove?" chiese infastidita.
"Sorpresa." rispose lui, ritardando apposta, mentre lei s'alzava, perché sapeva che non le sarebbe piaciuta la risposta. La prese per le mani e se la tirò fuori dalla porta d'ingresso.
"Non mi piacciono le sorprese." fece Emma, ma senza divincolarsi. Odiava tanto non sapere cosa stesse succedendo, quanto le piacevano invece i giochi. Si trovò divertita in quella situazione. Pretese allora di essere sempre la solita perché lui non lo capisse, ma il clima disteso doveva averla tradita.
"E allora ti devi fidare." fece lui. Cominciarono a salire le scale
"Non..." cominciò, volendo dire che non le piaceva neanche fidarsi o più semplicemente che no, non si fidava di lui. Ed invece forse sì, ma non poteva dirglielo e non poteva non dire niente.
"Lo so." rispose lui.
Arrivarono alla fine all'ultimo piano di quel palazzo. La temperatura era salita sempre di più ed entrambi sentivano bruciare nei polpacci e lungo tutta la coscia per tutte quelle scale. Avevano il fiatone e una riga di sudore colava dall'attaccatura dei capelli di lei e dal collo di lui. Emma voleva commentare che avrebbero potuto prendere l'ascensore. L'aria era viziata e c'era solo una porta tutta arruginita, malamente riverniciata di bianco. Killian abbassò la maniglia e spinse con forza la porta, che si scollò e si aprì. Una ventata d'aria fresca li invase all'improvviso e quelle due gocce di sudore si congelarono all'istante. Emma si sfregò le braccia coperte solo da una sottile magliettina di un pigiama per farsi calore e guardò in alto. Lassù le luci della città erano distanti, i lampioni non inquinavano il cielo e le stelle spiccavano luminose, come puntini trapuntati su quella coperta di costellazioni. Le scappò un "wow" dalle labbra. Non si era mai fermata a guardare il cielo così bene. Aveva sempre cercato la sua libertà nella velocità della meccanica, nella letterale fuga in pullman o in treno. Il cielo le trasmise invece una sensazione di pace invadente.
Emma si ricordò all'improvviso di essere così vicino a casa sua, a pochi metri in verticale dal suo soffitto e che con lei c'era Killian Jones, che prima di quel giorno non era mai rimasto più di mezz'ora in quel palazzo. "Come sapevi che c'era un terrazzo?" gli chiese lei.
"Ho improvvisato." rispose lui, spolverandosi le mani tra di loro.
Il pavimento era cementoso, polveroso, con qualche piuma d'uccello qui e lì e palline di carta bloccate negli angoli. C'era una sola grade finestra rettangolare a terra, di cinquanta centimetri più alta del pavimento, che sotto s'apriva sulla buia tromba delle scale.
Killian tastò prima col piede quella finestrella. Addosso aveva ancora i vestiti della sera prima. Era rimasto coi pantaloni eleganti, una maglietta a mezze maniche bianca e la giacca. Ai piedi portava invece solo i calzini. Quel particolare fece sorridere Emma. Lei invece teneva addosso solo i pantaloni bianchi di un pigiama ed una felpa vecchia che usava in casa. Il tutto era impreziosito dalle ciabatte marroncine e pelose.
Quando il vetro sotto non scricchiolò, Killian provò con l'altro piede, mettendosi in equilibrio sul vetro. Si tenne con le braccia in orizzontale per mantenere il baricentro e non muovere neanche un dito. Emma spalancò prima gli occhi: già lo vedeva al piano di sotto, con mille vetri addosso, poi gli allungò le mani per aiutarlo a tenersi in piedi. Killian ne approfittò e la tirò su.
"Idiota." mormorò lei una volta su.
"Già, già." rispose lui, credendoci poco. Poi si distese sul vetro, a pancia in su, con un braccio sotto alla testa a mò di cuscino e guardò le stelle.
Emma lo imitò e lo raggiunse, distendendosi accanto a lui. Procedette molto lentamente all'inizio, poi prese confidenza e si trovò una posizione comoda con un braccio allungato accanto al corpo in mezzo ad entrambi, e l'altro sotto la schiena a darsi sostegno lombare. Quando Killian le prese una mano nella sua, Emma sobbalzò, cominciò a sfilarla via, ma lui la strinse la sua e lei la sentì calda attorno alle dita. Si ricordò quando a colazione l'aveva visto intrecciare le dita alle sue e lasciò allora che la sua stessa mano riprese quella posizione.
Killian allora, con la mano che teneva quella di lei, si grattò prima il mento, poi con l'indice di Emma ed il suo iniziò a puntare "Quello è il grande Carro," cominciò "accanto c'è Orione, la cintura che lo taglia a metà..." Poi prese a pensare. Era assorto e guardava bene in quel mare di puntini disposti a casaccio sul nero della notte.
Emma lo guardava ammirata: c'era di più di quello che sembrava sotto la barba scura. Sapeva che come tutti, anche lui doveva essere bravo in qualcosa, avere qualcosa di speciale, come per lei era la straordinaria capacità di capire la mente degli altri (eccetto quella di Killian, tanto per cambiare). Conoscere la cosa che lo rendeva speciale, la passione evidente per l'astronomia, la fantasia di vedere un cacciatore inseguire un carro e una lepre in una serie di puntini in cielo, lo rese più umano, una persona vera. "Come fai a sapere queste cose?" chiese. E poi c'era quell'altra cosa: non lo conosceva. No, non lo conosceva per niente. Come faceva a dirsi innamorata prima?
Killian s'interruppe e si girò verso di lei."E' stata l'unica cosa che ho studiato a scuola." rispose con naturalezza, come se il fatto che la ragazza sconosciuta che aveva scelto non sapesse niente di lui fosse naturale, semplice, forse addirittura intrigante.
Emma allora non disse niente. No, non rispose, recepì solo il messaggio e decise di archiviare l'informazione in una cartella mentale intitolata "cose che so di Killian Jones". Le pareva di averne già cominciata una, quando voleva solo guardarlo da lontano. Perché la cosa turbava? Perché sembrava un improvviso peso? Cercò di concentrarsi sulle stelle e pensò che anche quelle dovessero essere pesanti.
"Andiamo a Miami." propose di punto in bianco Killian.
Emma si girò quasi spaventata verso di lui. Dalla finestra sotto di loro si sentì un leggero crack come se rispondesse anche quella alla proposta folle. "Che cosa?"
"Non ci sei mai stata." cominciò lui ed Emma fu colpita dal fatto che lui se lo ricordasse. Ne avevano parlato poche settimane prima a cena, quella da cui lei era scappata. Anche lui aveva una cartella chiamata "cose che so di Emma" probabilmente. "Così mi racconti chi era Emma Swan fino all'anno scorso." continuò "E non ci sono elefanti a mare." aggiunse con un sorriso sdrammatizzante.
E così aveva capito cosa la turbava. "Killian." cominciò lei, che non sapeva bene come rifiutare, perché era ovvio dovesse rifiutare. Era una follia ed Emma non era mai stata una persona romantica o folle o peggio, romanticamente folle. "Killian, non credo che noi..." cominciò lei e di nuovo si sentì quel crack. Se prima non ci aveva dato peso, adesso la maggiore intensità di quel suono reclamò ogni attenzione e fece cadere il discorso.
"Oh-oh!" fece lui, esattamente come si farebbe in un film. "Non ti muovere." ordinò, immobile come una statua, seguendo le sue stesse direttive.
Emma invece istintivamente s'era già alzata ed era saltata giù, atterrando con le ciabatte sull'asfalto grigio del terrazzo. "Vieni via!" fece lei allarmata, allungandogli già una mano per afferrarlo al volo.
Al terzo crack l'espressione concentrata di entrambi si destabilizzò e cominciò a tremare, come trema un urlo o una risata prima di uscire fuori dalla bocca. "No, no, no." fece lui.
"Avanti!" incintò lei.
Killian si mise rapidamente a sedere allora. Con le gambe lunghe raggiunse subito l'asfalto e si tirò su in tempo record. Prese le mani di Emma e si allontanò con un solo passo dalla finestra che nel frattempo continuava a gracchiare e farsi sentire. Si girarono entrambi in tempo per veder cadere al piano di sotto una pioggia unica e violenta di vetri rotti, che si infransero in altri mille scintille che volarono via, colpendo le pareti, i battiscopa e gli angoli delle mura. Si sporsero entrambi per vedere il casino che avevano combinato.
Quando Emma e Killian si voltarono, guardandosi tra di loro, quel tremolio sulle labbra che prima era di ansia e adrenalina, si trasformò in una fragorosa risata. Dovettero appendersi l'uno sulle braccia dell'altro per mantenersi in piedi.
In fondo sarebbe potuto essere divertente!


 




Angolo dell'autrice
Salve a tutti, ragazzi e ragazze :)
Mi scuso per il ritardo, aspettavo qualche altra recensione prima di pubblicare. Cooomunque capitolo un po' moscio, però mi serviva. Sapete volevo essere un po' divertente e anche realista, mi serviva un capitolo che fosse "imbarazzante", come ad un primo appuntamento con una persona, mi spiego? :) Il prossimo sarà, beh, movimentato. Sono un po' nervosa per questo capitolo perché temo che non vi sia piaciuto.
Un saluto ed un bacio a tutti, grazie per le letture, aggiungere la storia ai preferiti/seguiti/ecc e grazie mille per i commenti. 
Alla prossima ;) 

  
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