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Autore: _ayachan_    13/05/2009    6 recensioni
La "Die Hause von Odin", antica casa d’aste tedesca, ha per le mani quello che presenta come l’affare del secolo; ma cosa sarà mai il tanto decantato Brisingamen dei gemelli Bakes, celeberrimi orafi olandesi dall’abilità svettante e dalla fisionomia decisamente gnomica? Cosa attira tanto ferocemente Freya Odin, ‘divina’ e talentuosa imprenditrice, ex modella, e concentrato di ogni perfezione umana socialmente accettabile?
Quando Elsa, la segretaria dall’infima autostima della casa d’aste, parte per l’Olanda con il capo, disprezza le voci maligne che serpeggiano sulla sua adorata frau Odin.
Ancora non sa che il fondo di tanto splendore è scuro quanto e più di ogni altro...
Questa storia si è classificata prima al contest "Sai creare una Mary Sue?"
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bagliore
 
Bagliore


- Inevitabilità della schiavitù -






Secondo le leggi correnti, avrò accumulato abbastanza contributi per la pensione alla veneranda età di ottantasette anni.
Suppongo che per una segretaria sia un’età troppo avanzata per i tailleur a spacco posteriore, e, particolare non irrilevante, per allora il mio capo sarà con una probabilità del 96% deceduto (il restante 4% lascia nel dubbio l’eventualità che sia immortale).
Mi chiedo chi me l’abbia fatto fare. Sono una povera disgraziata con un diploma schifoso, sì, ma potevo trovarmi una scuola per hostess e lavorare una decina di anni. Oppure una scuola alberghiera e darmi alle crociere. Volendo, potevo frequentare un istituto tecnico e infilarmi nelle tutine dei meccanici all’angolo; probabilmente guadagnano un po’ più di me.
Invece sono finita alla ‘Die Hause von Odin’, gloriosa casa d’aste con tradizione centenaria, reputazione alle stelle e contributi, nonché salari, meschini.
Forse il problema sono io; che, in effetti, non ho ancora capito come sono stata assunta.
Sto meditando sul retro di uno scontrino di Blockbuster, annotando e sottraendo anni lavorativi come un ragioniere invasato, quando sento in lontananza l’eco dei tacchi del capo. Accartoccio il foglietto, lo lancio nel cestino, accavallo le gambe e prendo in mano una matita perfettamente appuntita. Mezzo nanosecondo dopo che ho finito di sistemare gli occhiali sul naso, la porta dell’ufficio si spalanca, e lei fa il suo ingresso trionfale, in equilibrio su un paio di Prada tacco dodici da capogiro.
«Ci sono messaggi?» mi chiede per prima cosa, facendo ondeggiare la chioma bionda e perfettamente curata.
«Nove, frau Odin» rispondo frugando tra i post-it.
«Meno del previsto. Portameli alla scrivania tra una mezz’ora»
«Sicuro, frau Odin»
Così com’è arrivata scompare, lasciandosi alle spalle una scia di bagnoschiuma che probabilmente è solo la sua fragranza naturale. Mi rilasso sulla sedia.
Beata Maddalena, quando lei è nei paraggi divento più scema del solito.
Sfilo gli occhiali con uno sbuffo, tirando fuori i piedi dalle décolleté di vernice, e senza farmi vedere scivolo veloce nelle pantofole. Nove messaggi. Devo ordinarli per importanza, impilarli in ordine su nuovi foglietti, copiarli al pc e stamparli in bella copia. Sembra facile, eh? In realtà mi servirebbe almeno un’ora per non combinare un pasticcio, dato che già per accendere il monitor traffico la bellezza di quattro minuti.
Non so esattamente come, ma dopo un quarto d’ora di lavoro matto e disperatissimo il mio foglio di Excel sembra persino comprensibile, e l’orologio segna le nove e diciassette; il che significa che ho ancora tredici minuti per capire come salvare e stampare senza fulminare il pc. Con dita leggermente tremanti premo invio e trattengo il fiato. La stampante sulla scrivania sussulta, ronza, infine inizia a vibrare e si mangia un foglio. Solo allora mi rilasso: sembra che la giornata sia iniziata nel migliore dei modi... Potrebbe essere un segno?
Alle 8.59, puntuale come un orologio, sono ferma davanti alla porta dell’ufficio di frau Odin, e osservo vigile lo Swatch finto-elegante al mio polso. Conto i secondi, attendo il penultimo, e alzo il pugno. Il primo battito è sulle 9.00 precise, e non riesco ad evitare di compiacermene.
La voce roca di frau Odin mi invita a entrare con un misto di comando, lusinga e noia, mix che è in grado di stendere ben più di un uomo, e io, nonostante il doppio cromosoma X, non posso fare a meno di sciogliermi come tutti.
«Buongiorno, frau Odin. Le ho portato la lista dei messaggi della mattinata» esordisco quasi timidamente, nonostante i miei disperati tentativi di apparire efficiente e professionale.
«Grazie. Avvicinati»
Obbedisco e appoggio il foglio sul ripiano lucido della scrivania. Frau Odin distoglie l’attenzione da me e si concentra sulla tabella che le ho stampato con tanta cura – due volte, perché la prima copia era sbavata. Mentre lei legge, io mi prendo qualche istante per osservarla.
Il suo nome da sposata è Freya Odin. Non so come si chiamasse prima, ma si può dire che l’impero degli Odin ormai si regga di diritto su di lei.
Il marito è una figura oscura e misteriosa che non ho mai incontrato; pare che sia un uomo burbero e imponente, una specie di divinità terrificante ma poco visibile. Il suo bisnonno è stato il fondatore della casa, sa farsi rispettare, di fatto è il capo... ma per ragioni oscure è la moglie a farsi avanti.
Probabilmente è tutta una mossa pubblicitaria: checché se ne dica, una bella donna ha sempre la marcia in più negli affari. L’uomo è fondamentalmente stupido, quando vede un paio di gambe smette di ragionare, e le gambe di frau Odin fanno tranquillamente concorrenza a quelle di una modella di Golden Lady.
Adire il vero, frau Odin è stata una modella. Una Top Model, per la precisione, non so quando né per chi; il suo è stato il tipico matrimonio d’interesse tra la bionda intelligente e il ricco credulone – che poi scemo non è stato mica tanto – e inaspettatamente è durato più di sei mesi. Dopo la firma in comune frau Odin ha subito preso in mano l’azienda, e da quel momento gli affari hanno subito un’impennata.
Io sono diventata la sua segretaria grazie alle dimissioni del ragazzo che mi ha preceduta – sospetto che si fosse preso una sbandata per il capo, in effetti – ma ancora mi sfuggono le ragioni della mia assunzione: certe volte credo di essere qui perché le facevo compassione, perché pensava che nessun altro mi avrebbe mai presa, o che so io. Sarebbe nel suo carattere, dopotutto... Frau Odin è una donna dal cuore grande, che comprende i meno fortunati: nata e cresciuta nella bidonville di Rio de Janeiro, attualmente devolve almeno il 30% del ricavato della casa d’aste in progetti di beneficenza sparsi per tutto il mondo; si occupa di combattere la fame, distribuire medicinali, edificare scuole e migliorare le condizioni di vita dei bambini. Avrebbe voluto adottare qualcuno dei piccoli di cui si occupa, ma ha riconosciuto che il lavoro la terrebbe troppo distante da loro; così preferisce distribuire equamente il suo amore su tutti quanti, impiegando ogni mese non so quanto denaro – in realtà lo so, sono pur sempre la sua segretaria – per raggiungerli e accudirli.
Oltre che bella e intelligente, è anche buona; ed è incredibile pensare che sia cresciuta così in un ambiente degradato e meschino come quello delle bidonville.
Mi accorgo che frau Odin mi sta chiamando solo quando le sue labbra perfette articolano il mio nome per la quarta volta. Allora trasalisco e arrossisco, balbettando delle scuse.
«Mi stai ascoltando?» domanda, aggrottando graziosamente le sopracciglia – naturalmente perfette, senza il minimo intervento estetico.
«Sì, certo. Mi dispiace»
«Va bene. Avvisa Sieg, voglio il jet pronto a partire in un paio d’ore»
«Dove andiamo?» chiedo stupita, perché ovviamente ho perso il filo del discorso.
Frau Odin mi scocca un’occhiataccia, subito mitigata da un sorriso che conosco fin troppo bene; quando parla di nuovo, la sua voce è bassa, roca, eccetera eccetera.
«Destinazione Olanda: i fratelli Bakes ci attendono con ansia»

Ora, parliamoci chiaro.
Io stimo profondamente frau Odin. Per certi versi la venero, si può dire.
Ma tante volte, davvero, non capisco perché mi sia toccata la sfortuna di averla come capo: non credo che le altre segretarie si trovino sbalzate improvvisamente su un volo per l’Olanda con cadenza bimestrale, maledizione. Solo io! Sempre e solo io! Pensavo che quella di oggi sarebbe stata una grande giornata, e invece è il solito schifo. Senza contare che questa settimana cade anche il compleanno di mia madre.
«Elsa?» mi chiama frau Odin, mentre cerco di salire la scaletta dell’aereo senza rotolare a terra con il trolley.
«Sì?» ansimo, invidiando ferocemente la sua piega perfetta e pensando che per i miei capelli oggi vorrei un lanciafiamme.
«So che giovedì è il compleanno di tua madre» Frau Odin si ferma e mi guarda sorridendo.
Normalmente la insulterei – mentalmente – per essersi bloccata a metà strada, ma questa volta mi limito a sfoderare la mia espressione più stupita. Oddio, se lo ricorda pure?
«Vorrei farti sapere che intendo recapitare a frau Neil un regalo da parte della ditta, e che mi impegnerò strenuamente affinché le trattative con i fratelli Bakes si concludano entro mercoledì al più tardi. Così potrete festeggiare insieme»
Sento gli occhi che mi si riempiono di lacrime, e d’istinto ritratto ogni cosa: non è vero che non capisco la sfortuna di averla come capo. Non capisco la fortuna di averla.
Evitare di piangere mentre siamo in volo è sorprendentemente difficile.
Continuo a guardare il profilo di frau Odin e penso che sia splendida, in tutti i sensi. Così splendida che mi chiedo perché io non la odi. Poi mi ricordo che odiarla è impossibile, a meno di avere un animo nero e corrotto, e mi rassereno.
Il sole al di sopra delle nubi scotta la mia guancia e un braccio, mentre asciugo gli occhi con un fazzolettino di carta; ora sono contenta di essere in viaggio. Mi sento un’eroina della Austin verso fine romanzo, ma sono contenta.

Il volo è breve, abbastanza da finire non appena mi appisolo. Sieg atterra con un leggero sussulto, io trasalisco, frau Odin mi lancia un’occhiata interrogativa. Solo allora la mia straordinaria professionalità mi ricorda che ancora non so perché siamo qui.
«Frau Odin» la chiamo, mentre cerco di nuovo di non farmi del male lungo la scaletta. «Cos’hanno di tanto prezioso i fratelli Bakes oggi?»
«Una collana» risponde lei, in equilibrio perfetto sugli ennesimi tacchi a spillo. «Oro 725 millesimi, purezza assoluta. E’ la loro ultima opera, e sono convinta che sia la migliore»
«Solo oro?» mi stupisco, un po’ delusa.
I fratelli Bakes sono orafi rinomati soprattutto per la loro fantasia: hanno realizzato gioielli in nickel, pietra grezza, diamanti opachi; sono artisti dei materiali più disparati, ma anche perfetti artigiani di pietre preziose. A giudicare dalla fretta di frau Odin mi aspettavo una parure in platino, diamanti e pietre del fuoco della papuasia, o qualcosa di simile.
«La vedrai» è l’unico commento che lei si lascia scappare. «E quando vedrai, capirai»
Io mi fido, naturalmente. Nei due anni che ho passato con lei ho visto alcuni degli affari migliori del mondo: opere d’arte acquistate a prezzo perfetto, compravendite da milioni di euro, meraviglie che il mondo non conosceva riportate alla luce in pochi giorni. Frau Odin è una donna e una modella, ma ha anche l’anulare più lungo dell’indice, il che è collegato al testosterone, che denota talento naturale per gli affari. I broker in borsa li scelgono anche in base a quel dito, o qualcosa di simile.
Fuori dall’aeroporto ci attende un’auto mandata dai fratelli Bakes, una grossa berlina americana dai finestrini oscurati. Salendo, la gonna di frau Odin fa girare la testa all’autista. La mia testa, invece, sbatte contro il bordo superiore della portiera.
Forse il tragitto in auto è più lungo di quello in aereo. La pianura si stende attorno a noi ininterrotta, dando l’impressione che il cielo, sfinito, si accasci sull’orizzonte. La Selva Nera è lontana anni luce, il verde cupo dei pini è sostituito da quello brillante dei campi, e i mulini punteggiano il paesaggio come manciate di nubi nel cielo. Ogni tanto, un campo di tulipani brillanti.
«Questa è la stagione migliore per visitare l’Olanda» commenta frau Odin, godendosi l’aria che entra dal finestrino. «Mi piacerebbe quasi restare un paio di giorni in più...»
Io ricordo il compleanno di mia madre, e spero che lei non abbia scordato la sua promessa riguardo a mercoledì; naturalmente non oso parlare.
L’auto dei fratelli Bakes procede lentamente attraverso i vicoli di Amsterdam, costeggiando i canali e rallentando ad ogni bicicletta. I ciclisti sembrano completamente padroni della strada, in un modo quasi inquietante: viaggiano su mezzi incredibilmente alti e lanciati a velocità per me pazzesca. Come fanno a non finire periodicamente in un canale?
Dopo un giro tortuoso e infinito, coronato dalle spiegazioni cortesi di frau Odin – che naturalmente sa tutto della città, e potrebbe essere il cicerone perfetto – raggiungiamo un palazzo scuro che dà sulla foce di un canale. L’auto si ferma davanti al portone d’ingresso, e l’autista ci fa scendere sperando in un’altra concessione di frau Odin; ma lei è abbastanza rapida da non lasciar intravedere nulla delle gambe, e nel momento esatto in cui la signora scende, un usciere si fa avanti, infagottato nella livrea più scomoda d’Olanda.
«Mrs Odin?» domanda in inglese, con la bocca evidentemente asciutta e un leggero accento. «Venga, i signori Bakes la attendono. Lasci che dei suoi bagagli si occupi l’autista, e la ragazza può seguirlo»
«Vuoi riposarti, Elsa?» chiede frau Odin, rivolgendosi a me in tedesco.
«No!» esclamo, arrossendo indignata. «Posso starle accanto per tutto il tempo necessario»
L’usciere mi guarda stranito, ma frau Odin si limita a sorridere come se capisse alla perfezione.
«La signorina è la mia assistente: la sua presenza mi è necessaria. Procediamo» spiega in inglese, il suo inglese perfetto e senza inflessioni.
Insieme ci fanno entrare nel palazzo, che ho già visitato, certo, ma che ogni volta mi stupisce di più: ovunque mi giri vedo solo marmi, marmi, e ancora marmi. Verdi, rossi, bianchi, neri, pietre solide e pressoché eterne occhieggiano da ogni angolo della stanza, quasi intente a schiacciarci. I tacchi di frau Odin risuonano nell’atrio maestoso, mentre io mi sforzo di camminare in punta di piedi, e ci fermiamo solo davanti a un ascensore in cui i tasti dei piani – opali naturali dal fondo scuro – sono decorati da tralci di vite in ferro battuto. L’usciere entra con noi, preme l’ultimo pulsante, poi si diletta di soffocarci con il suo silenzio e sbirciare le gambe del capo attraverso il riflesso delle porte.
Arriviamo con un tintinnio melodioso, senza scossoni, e davanti a noi si apre un lungo corridoio in marmo verde, percorso da colonne di basalto nero e teche di gioielli dal valore immenso. Per fortuna non è la prima volta che percorro questi metri, altrimenti mi sentirei schiacciata dai milioni di euro che saturano l’aria, trasudando dalle teche infrangibili accostate alle pareti – anche se, ripensandoci, forse sono solo riproduzioni.
L’usciere arriva con noi fino alla porta in fondo, bussa e si fa da parte. Dall’interno, la voce corposa di due uomini ci invita ad entrare.
Esiste una contraddizione di fondo nei fratelli Bakes: sono ricchi sfondati, geniali, creativi, hanno un modo di fare accattivante e una voce profonda e piacevole... ma sono anche nani. Cioè, non proprio nani. Diciamo che non superano il metro e cinquanta, ecco. Che per un ricco gioielliere olandese potrebbe anche non essere un problema, ma rovina decisamente l’immagine creata dalle aspettative.
«Benvenute, benvenute!» ci salutano, sforzandosi di parlare un tedesco che sa tanto di olandese. «Accomodatevi, prego, abbiamo preparato del tè. Earl Grey raffinato a Ramapurthy, prima scelta, come piace a frau Odin»
«E’ molto gentile da parte vostra» sorride lei, accomodandosi con grazia felina sulle scomode poltroncine dell’ufficio. Io cerco di imitarla, ma mi sento una balenottera arenata a Miami Beach.
Insieme al tè ha inizio una lunga serie di noiosi preamboli, conditi di complimenti, lusinghe, accenni a piacevoli incontri passati, qualche battuta. Inutile dire che tutti i clienti adorano frau Odin, e che fosse per loro si limiterebbero anche solo a prendere il tè insieme, senza parlare di affari. I Bakes, poi, sono particolarmente infatuati del mio avvenente capo; sì, tutti e due. Peccato solo che arrivino più o meno all’altezza del suo gomito.
Mentre cerco inutilmente di sembrare professionale – o anche solo dignitosa – scruto con una certa ansia le lancette dell’orologio alla parete, stupendomi che non sia digitale. Le vedo compiere un giro completo, e sto quasi per disperarmi sul secondo, quando frau Odin si schiarisce la gola in un modo tutto particolare.
«Sono davvero rammaricata di dover interrompere il nostro piacevole colloquio» sorride, la schiena perfettamente dritta e le palpebre che sbattono al momento giusto. «Ma temo che sia giunto il momento di discutere di affari»
Beata Maddalena, è mai stanca?, mi chiedo con ammirazione.
«Oh... Noi pensavamo che avrebbe avuto piacere a intrattenersi qualche giorno, frau Odin» constata con rammarico uno dei gemelli – non so quale, non sono mai riuscita a distinguerli. «Volevamo iniziare a discutere delle trattative solo domani...»
«Certo, comprendo. E vi ringrazio per la vostra solerzia, immagino lo diciate per permettere a me e alla mia assistente di riposarci. Tuttavia ci sono affari importanti che richiedono la nostra presenza a Francoforte entro mercoledì, e non possiamo davvero permetterci di sprecare nemmeno un’ora»
La signora mi lancia un’occhiata d’intesa, e io sento la stanchezza sciogliersi come neve al sole: non si è dimenticata del compleanno, allora!
«Capisco, capisco...» si affretta a mormorare l’altro gemello, accarezzandosi il pizzetto curato. «Immagino che a questo punto sarà bene far portare la merce»
Raggiunge l’interfono sulla scrivania, biascica qualcosa in olandese; poi torna a sorridere a frau Odin.
«Credetemi» assicura con sussiego. «E’ qualcosa che non avete mai, mai visto»
Mentre attendiamo vedo la signora leggermente nervosa: sorride come sempre, risponde cortese a ogni commento, ma continua a cambiare la gamba accavallata, e non per provocare i gemelli Bakes – anche se quello è un effetto collaterale purtroppo inevitabile; sembra che si trattenga a malapena dal mangiarsi con gli occhi la porta che dà sul corridoio.
Quando sentiamo bussare, quasi trasalisce.
«Ecco la nostra bambina» sorride uno dei gioiellieri, mentre frau Odin balza in piedi e io con lei.
A questo punto della faccenda mi sento emozionata come a tutti, anche se i gioielli rivestono un’attrattiva pari solo al ciclo riproduttivo dei moscerini del grano, per me – ovvero nulla. Mi trovo a tendere il collo come un camaleonte per sbirciare dietro le spalle piccole ma larghe dei gemelli, e quando li sento mormorare in olandese vorrei capirli disperatamente, se non altro per informare la signora di cosa stanno dicendo.
La porta si richiude. Sbircio frau Odin e la vedo trattenere il fiato, iniziando a pensare di essere davanti all’ottava meraviglia del mondo; ecco che i gemelli si voltano sorridenti, tenendo tra le mani una scatola di una trentina di centimetri di lato, coperta da un drappo di velluto rosso. Naturalmente non sorridono a me, anzi sembra proprio che non mi vedano, ma non importa: nemmeno io presto attenzione a loro, ma solo a ciò che le manine curate di entrambi stringono come un neonato, con cura infinita.
«Siamo lieti di presentarvi la nostra ultima creatura: il Brisingamen» annunciano orgogliosi.
Uno dei gemelli sfila il drappo con gesto teatrale, e vedo un lampo di gioia quasi animalesca negli occhi di frau Odin. Per un attimo ne resto turbata, ma mi costringo a osservare con lei l’ultimo prodigio marca Bakes...
...Scoprendo che è una mezza delusione.
Tutto ciò che vedo, in una teca di vetro neanche antiproiettile e senza fronzoli, è una collana d’oro. Niente pietre preziose, niente elaborate lavorazioni a freddo, niente intrecci di viti e uva, o fili d’oro sottili come capelli, filigrana, intarsi... E’ solo una catenella che si ispessisce in corrispondenza di una decorazione piuttosto modesta, con un bassorilievo di una certa delicatezza, sì, ma che non mi appare poi tanto... mi blocco a metà pensiero.
Corrugo la fronte.
Mi sporgo leggermente per vedere meglio.
Impallidisco.
Con un movimento convulso che quasi mi spezza il collo fisso il profilo trionfante di frau Odin; poi torno sulla collana. Frau Odin. Collana. Frau Odin.
«Beata Maddalena...» mormoro costernata, e i fratelli Bakes sorridono ampiamente, soddisfatti come non mai.
La decorazione della collana è il volto di frau Odin, immortalata come... come... come la beata Maddalena, mi verrebbe da dire. No, non è esatto. E’ immortalata come una delle dee di quelle mitologie nordiche, quelle belle, potenti e spaventose.
E’ quasi inevitabile che a questo punto, a causa dell’associazione con le dee spaventose, mi vengano in mente tutte le voci che corrono alla ‘Die Hause von Odin’, i maligni sussurri dei pettegoli che mettono in dubbio il buon cuore della signora. Non ho mai prestato credito nemmeno a mezza parola, incapace di sovrapporre l’immagine angelica di frau Odin a quella di una spietata donna d’affari, ma all’improvviso, senza che io possa impedirlo, mi viene incredibilmente facile.

Cura i bambini in Africa e nel sud-est asiatico, e mentre è in viaggio per accudirli, senza la sua fida segretaria, perché non vorrebbe mai che si stancasse o vedesse quel che fa, mentre è lì, ecco, contratta il prezzo dei diamanti e dei reperti Ming con schiavisti e predoni di tombe.
Perché il bilancio della casa d’aste ha avuto un’impennata dopo il matrimonio di herr Odin?
Perché con il suo sorriso dolce frau Odin è come una dea; una divinità terribile e irresistibile, un cataclisma che arriva, impone le sue leggi e se ne va.

Ma è solo la sua gentilezza a convincere acquirenti e venditori?

Scuoto la testa, sconvolta, e mi convinco a cancellare ognuno dei terribili pensieri che mi hanno attraversato il capo. Non è possibile. Non frau Odin, la grande signora che ricorda anche il compleanno della madre della sua più infima segretaria. Non lei.
«E’ meravigliosa...» la sento sussurrare, con quella voce che è in grado di placare le tempeste.
Ha mai fatto qualcosa di esplicitamente disinteressato?, mi domando scioccamente.
Certo, ha salvato milioni di bambini.
E così facendo la sua immagine ne ha beneficiato infinitamente.
«Lo sappiamo» rispondono i gemelli, accarezzando la collana con occhi languidi. «La modella era d’incomparabile bellezza»
Colgo l’occhiata che passa tra loro e frau Odin, e un brivido scorre lungo la mia schiena.

La signora è perfetta sotto ogni punto di vista. Come Mary Poppins, scherzavo un tempo. La signora è così gentile, così graziosa, così garbata... La signora ricorda persino il compleanno di mia madre. Come sono fortunata ad essere al suo servizio!
Come sono fortunata a non essere sua nemica.

«Vuole ammirarla meglio?» domanda uno dei Bakes, dimenticandosi probabilmente della mia presenza. «Prima di contrattare il prezzo, intendo...»
«Mi farebbe davvero molto piacere» sorride lei, con un fremito impercettibile nelle labbra vermiglie.
I gemelli si avvicinano alla scrivania in marmo, e posano delicatamente la teca. Io resto impietrita a fissarli mentre loro e frau Odin confabulano, ammirando l’oro da tutte le angolazioni, sfiorandolo quasi con timore e riverenza.
Forse fino ad oggi ho sempre frainteso qualcosa di essenziale.
Forse ho adorato qualcosa che non è mai esistito.
«Credo che sarebbe perfetta su una donna bionda, dal collo lungo» suggerisce uno dei gioiellieri, sollevando la collana con gesti attenti. «I riflessi di una chioma come la sua, frau Odin, sottolineerebbero alla perfezione le armoniose sfumature dell’oro»
Continuerò per sempre a chiedermi come i nani siano riusciti a raggiungere il suo collo per allacciare il fermaglio. Forse hanno preso una sedia, o hanno fatto una piramide umana, non so. E’ che la mia signora è alta più di un metro e novanta con i tacchi, e loro saranno sì e no uno e cinquantadue – scarpe incluse – quindi la dinamica proprio mi sfugge.
Comunque, a un certo punto, frau Odin è lì, accanto alla scrivania, circondata da marmo e denaro, con una collana di infimo oro che porta il suo meraviglioso ritratto, e il pallido sole dell’Olanda le illumina la scollatura; si porta una mano al petto, sfiora il monile, sorride davanti allo specchio che le porgono i gemelli.
Ed è veramente splendida... Incomparabilmente perfetta.
All’improvviso mi sento piccola e insignificante; ma, senza stupore, mi rendo conto che tutto ciò che vorrei fare è prostrarmi ai suoi piedi e supplicarla di ricordarsi di me, di non abbandonarmi mai.
Non importa quel che ha fatto, quel che fa o che farà, importa solo che non mi abbandoni. Perché è impossibile non amarla. Al di là di un cuore puro o corrotto, il suo fascino non può che stregare anche i morti; è come un bagliore: accecante, irresistibile, inevitabile; divora ogni ombra e lascia solo l’immacolato velo della purezza... L’immacolato e letale velo che ricopre tutto il sudiciume.
«Elsa, fammi una gentilezza» sussurra senza guardarmi. «Mi sembri provata. Esci e chiedi al ragazzo che ci ha portate fin qui di scortarti fino all’albergo. Concludo io le trattative»
Il modo in cui i gemelli si guardano e la guardano mi gela il sangue.
Che genere di trattative sta per portare a termine? Con cosa, precisamente, ha intenzione di pagare quella collana? E a quale asta vuole farla partecipare?
«Veramente non sono molto stanca...» obietto con un filo di voce.
«Elsa»
Frau Odin si volta per guardarmi, e i suoi capelli avvolti dalla luce sembrano circondarla di splendore. Mi sorride, dolce, irresistibile – pericolosa.
«Davvero, non mi permetterei mai di riportarti a tua madre, nel giorno del suo compleanno, ammalata di stanchezza. Sii buona. Accontenta questo mio sciocco desiderio»
Deglutisco. Non ha mai usato un tono così accorato, con me.
Come si può resistere a quella voce?
«Va bene, frau Odin...» mi trovo a mormorare vergognosa. «Ma per qualunque cosa, qualunque, non esiti a chiamarmi» aggiungo dopo un attimo, quasi angosciata.
I gemelli sorridono blandamente; vedo che sono ansiosi di liberarsi di me, e provo un moto d’odio violento nei loro confronti.
Arretro sconcertata, rischiando di inciampare nei miei piedi.
Ho come l’impressione che il mio mondo si sia ribaltato all’improvviso.
Come pagherà frau Odin?
Perché non vuole che io resti al suo fianco?
«Grazie, Elsa. Sei molto cara» mi dice con calore.
A tentoni cerco la porta alle mie spalle, ruotando la maniglia con gesti impacciati. Scivolo fuori dalla stanza nel momento esatto in cui vedo uno dei gemelli sfiorare languidamente il gomito di frau Odin, e con un urlo di indignazione vorrei scagliarmi dentro e gridargli di non osare.
Invece mi ritiro.
La mia signora ha dato un ordine, chi sono io per disobbedire? Evidentemente lei sa quanto vale quella collana e quanto può rischiare... Lei sa per cosa contrattare.
Oppure la mia signora si sta sacrificando, mi dico, colta da una folle illuminazione piena di speranza.
Ma per cosa? Qual è il suo obiettivo questa volta? A quale asta sarà in vendita il gioiello dei Bakes?
Non riesco a capire, realizzo, tornando a immergermi nel mio personale torrente di angoscia.
Sono immobile nel corridoio, sola, persino l’usciere se n’è andato. Preda della confusione, circondata dal marmo, l’unico pensiero che mi rintrona nella testa è quello di frau Odin.

Devo fidarmi di frau Odin.
Povera frau Odin.

Ed è allora, in un istante di terribile lucidità, che lo capisco: qualunque cosa accada, qualunque scelta compia, qualunque errore commetta, abbia commesso o commetterà mai, frau Odin resterà per sempre la mia unica, perfetta e spaventosa dea.

E la cosa mi rende felice.







- Fine -






Note dell’autrice:
le case d’aste si occupano della vendita al miglior offerente di oggetti di varia natura, che spaziano dai risultati di pignoramenti, a opere d’arte, a donazioni, o anche a vere e proprie novità – come, in questo caso, il Brisingamen - proposte per la vendita in pubblica sede. La casa tiene poi una percentuale sul ricavato, concordata prima dell’asta, oppure riceve una parcella prefissata.
Naturalmente esistono migliaia di case d’aste, e la contrattazione per cui si muove la Die Hause von Odin mira ad accaparrarsi il Brisingamen prima degli altri, e alle condizioni migliori.





* * *


POSTILLA

Questa storia è nata per il contest "Sai creare una Mary Sue?", indetto da ro-chan con la collaborazione di Hime, sul forum, e si è classificata prima.
Allora, le valutazioni sono state stratosferiche (!), e voi potete ovviamente convenire o dissentire; lasciate soltanto che io ringrazi i giudici per i giudizi e la pazienza che hanno mostrato verso le partecipanti.
Per chi non sapesse qual era il tema e quindi si chiedesse come mai Frau Odin sia così assolutamente insopportabile, spiegherò in quattro e quattr'otto le richieste del contest.
Ciò che noi partecipanti dovevamo fare era creare il personaggio più insopportabile, perfettino e irritante che potevamo. Una Mary Sue, insomma. La fic - purtroppo - non poteva essere comica, e dunque dovevamo anche andarci serie; inoltre doveva riferirsi a un mito (di qualunque mitologia). Nel mio caso, io ho rielaborato in chiave moderna il mito nordico di Freya (moglie di Odino e dea di un po' tutto ciò che conta, dall'amore alla guerra XD) e il Brisingamen (che, a quanto dice internet, è il simbolo della sua forza). E questo, signore e signori, è il risultato!
I giudici avevano anche fatto dei bellissimi bannerini, ma sono assolutamente impedita e non riesco a metterli qui. U_U Indi per cui, se siete interessati a vederli vi rimando alla pagina del forum con il bando del concorso! (I bannerini vantano la presenza di Mary Poppins e Odette! Che aspettate?)
Grazie per l'attenzione, e se vi va lasciate un commentino!

Ayachan.
  
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