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Autore: BebaTaylor    05/11/2016    1 recensioni
2015. Erikson, Presidente degli Stati Uniti d'America, rivela al mondo l'esistenza di alcune persone dotate di poteri particolari: possono creare il fuoco dal nulla, possono trasformarsi in animali, creano elettricità con le mani, hanno premonizioni... Erikson le vuole catturare e rinchiudere perché sono pericolosi. Mostri assassini, li definisce. Soldier, si definiscono loro.
Crystal fugge dopo la morte della nonna, unica parente. Non si fida più di nessuno, nemmeno dei vicini. Marie-Anne scappa, spaventata da quello che è. Benjamin se ne va dopo la misteriosa scomparsa del padre. Kathy e Samuel fuggono dopo la festa per il loro fidanzamento, Erik segue l'istinto e scappa, Kyle e Jenna scappano perché è l'unica cosa da fare. William, Emily e Sarah scappano dopo che gli uomini di Erikson hanno ucciso la madre davanti a loro. Dawn, della sede Newyorchese della Projeus, momentaneamente trasferita in Canada, cerca di salvarli, perché Erikson è venuto in possesso di una lista con i nomi di tutti i Soldier della parte orientale degli USA. C'è una talpa, alla sede. E ce ne è una anche nei fuggitivi diretti in Canada.
E questa è la loro storia.
*eventuali scene splatter|Azione|Introspezione*
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Projeus:
The Big War

3.
Terzo Giorno -Seconda Parte-

«Senti qualcosa?» chiese Samuel.

«No.» rispose Erik, «Vai sempre dritto.» disse alzando appena gli occhi dalla cartina. «Mi preoccupa.» sospirò, «Voi non sentite il loro odore, io non ne percepisco la presenza...» borbottò, «Dio, se avessi qua Erikson lo sfiletterei come se fosse una cazzo di trota.» sputò e si voltò per fissare Kathy e Marie-Anne. La prima aveva la testa reclinata e gli occhi chiusi, l'altra fissava fuori dal finestrino, stringendo così forte le mani a pugno da sbiancare le nocche.

Erik sospirò e fissò di nuovo la strada, dicendosi che erano tutti stanchi, «La prossima a sinistra.» sospirò. Dovevano assolutamente andare in West Virginia, doveva trovare quella persona che conosceva. Aveva espanso il suo potere più che poteva, alla ricerca degli uomini di Erikson: erano praticamente ovunque. Doveva stare sempre con i sensi all'erta ed era sicuro che si sarebbe ritrovato con un mal di testa atroce.

«Kat, guarda.» esclamò Samuel.

Kathy sbadigliò e drizzò la schiena, «Sì? Dove?» fece sbattendo le palpebre, fissò nella direzione indicata dal suo fidanzato e guardò meglio. «Pecore.» disse.

«Ci bloccano la strada.» sbuffò Samuel.

«Ma dove?» borbottò Erik, guardandosi attorno.

«Là.» rispose Samuel, «A circa tre miglia.» sorrise sistemandosi gli occhiali sul naso e guardando Erik.

«Ah.» commentò l'altro, «Merda.» sbuffò, «Speriamo che attraversino in fretta.»

Samuel non replicò e andò avanti, mentre Kathy tornava ad appoggiarsi allo schienale del sedile e Marie-Anne continuava a stringersi le dita. Una volta davanti a quella ventina di pecore Samuel rallentò fino a fermarsi, «Allora?» fece, «Ve ne andate?» esclamò, «In quel campo c'è tanta di quell'erba.» sbottò. «E quel cazzo di pastore, dove si è cacciato?»

«Magari sta pisciando.» rispose Kathy aprendo piano gli occhi. «Suona un po' il clacson, ma piano, così le spaventi un pochino.» disse, «Sono così carine.» sorrise, «Uh, c'è anche un agnellino!» cinguettò, attirandosi un'occhiataccia da parte delle ragazza seduta al suo fianco.

Marie-Anne sospirò e si guardò attorno, cercando di non soffermarsi su nulla di particolare, non voleva rischiare di vedere un uomo fare pipì contro un albero. Girò il viso verso il lunotto posteriore e strinse gli occhi, non capendo che animale si stesse avvicinando. Sembrava una volpe ma era diversa, troppo grande come se fosse... Marie-Anne aprì la bocca, ma non uscì nessun suono, spostò la mano destra, testò il sedile fino a trovare la mano di Kathy.

«Che c'è?» domandò la pantera e si voltò, sbiancò alla vista della volpe mutante. «Vai, Sam!» gridò, «Investi quelle cazzo di pecore!» urlò.

A Samuel bastò un'occhiata nello specchietto retrovisore per ingranare la prima. Sfiorò il pedale e fu allora che un altra volpe sbucò dalla loro sinistra e si schiantò contro la fiancata della Lexus, facendola alzare sulle ruote di destra, per poi precipitare con un tonfo.

Le pecore belarono spaventate e fuggirono nel prato, gli agnellini in mezzo a loro. Samuel partì, scansando le ultime pecore. L'auto avanzò solo per una manciata di secondi prima che la volpe che aveva visto Marie-Anne balzasse sul retro dell'auto, facendola sbandare, il ragazzo cercò di mantenere il controllo dell'auto mentre Erik si aggrappava al sedile e Kathy e Marie-Anne si abbracciavano, terrorizzate. Quindici lunghi secondi dopo, l'auto finì la sua corsa nel campo, contro un albero solitario.

La volpe scivolò in avanti, finendo su cofano, fissò i quattro attraverso il lunotto ed emise quello che sembrava un ruggito a tutti gli effetti.

«Fuori.» esclamò Erik e diede un pugno all'airbag, facendolo afflosciare, «E correte, veloci.» disse, slacciò la cintura, recuperò una Beretta semi automatica e un paio di caricatori dal cassetto porta oggetti, che infilò nella tasca della giacca di jeans. «Ora.» disse.

Corsero fuori dall'auto, la mano di Marie-Anne stretta a quella di Kathy, che la strattonava con forza. Attraversarono il prato, giungendo a un vecchio casolare abbandonato. Erik attese che entrassero tutti prima di chiudere la porta e sprangarla con l'aiuto di Samuel, infilando la trave di legno nei ganci di metallo. Indietreggiarono tutti quanti, sentendo i belati disperati delle pecore e i ringhi delle volpi mutanti. Fissarono il legno della porta che si muoveva sotto i colpi di quegli esseri.

«State bene?» domandò Erik, abbassando la sicura della pistola.

«Sì.» rispose Samuel, abbracciando Kathy, fissò Marie-Anne e le posò una mano sulla schiena — poteva essere insopportabile ma era spaventata come loro —, «Perché hai una pistola?» domandò fissando Erik che si spostava, alla ricerca di una finestra non troppo grande: non voleva rompere un vetro e rischiare che una di quelle cose entrasse nel casolare.

«Perché pensavo che mi sarebbe servita.» rispose il Cercatore.

Una delle volpi saltò contro la finestrella accanto alla porta, rompendo il vetro, agitò le zampe, cercando di issarsi ma non ci riuscì, perché la finestra era troppo piccola. Erik non perse tempo, ordinò agli altri di allontanarsi e sparò due colpi, i proiettili si conficcarono nella zampa destra della volpe.

La bestia guaì, balzò indietro e tornò alla carica, riuscendo a far passare la testa e le zampe anteriori dalla finestra, ignorando i frammenti di vetro che la graffiavano. Erik sparò ancora, riuscendo a centrare la bocca della volpe mutante, che strillò, prima di cadere a terra.

L'altra smise di colpire la porta e ruggì, prima di cercare di entrare la finestra.

Samuel strinse a sé le due ragazze e fissò Erik che attendeva il momento migliore per sparare e uccidere quella cosa. La volpe s'incastrò nel telaio della finestra, spalancò le fauci e ruggì, Erik alzò le braccia e premette il grilletto, facendo urlare la bestia dal dolore: il proiettile si era conficcato poco sopra l'occhio sinistro. La volpe indietreggiò, portando con sé una parte del legno del telaio.

«Merda.» sbottò il Cercatore e si voltò a fissare gli altri, «Niente odore?» chiese.

«Niente odore.» confermò Samuel.

Erik inspirò e gonfiò le guance, per poi fa uscire l'aria con un sbuffo rumoroso.«Merda.» ripeté e abbassò lo sguardo, puntandolo sulla pistola e deglutì quando vide le mani tremare. Alzò lo sguardo, fissando gli altri tre. «Adesso ammazzo quella cosa e ce ne andiamo, recuperiamo le nostre cose e filiamo via.» disse.

«Tu le senti?» domandò Kathy.

Erik scosse la testa, «No.» rispose, «Merda.» imprecò e andò davanti alla finestra, «Ehi, Foxy... vieni qui.» ringhiò. Un attimo dopo la testa della volpe apparve nel riquadro della finestra e il Cercatore fece fuoco, finendo i proiettili. Ricaricò velocemente l'arma, ringraziando mentalmente sua madre che lo aveva trascinato al poligono quando aveva compiuto diciotto anni. Sparò tre colpi: uno entrò nell'enorme occhio spiritato, il secondo gli staccò l'orecchio e il terzo entrò nella gola. La volpe mutante crollò a terra. Erik, la pistola tesa in avanti, spiò dalla finestra; al posto della volpe c'era una ragazza molto giovane, con lunghi capelli neri.

«Sono morte tutte?» pigolò Marie-Anne, così terrorizza che si era pentita di essersene andata.

Erik la fissò e fece una paio di passi indietro, allontanandosi dalla finestra, «Sì.» disse, «Credo.» sospirò.

«Come credi?» strillò Marie-Anne, «Controlla!» gridò e scoppiò a piangere, si allontanò da Kathy e Samuel e si nascose in un angolino, proprio sotto la grossa scala di legno che conduceva al primo piano.

Erik la guardò appena e abbassò l'arma, fissò la scala e sospirò, «Tu resta qui.» disse a Samuel, «Io vado di sopra.» esclamò e salì le scale con il cuore n gola. Il primo piano era un unico ambiente aperto, con una finestrella per lato. Erik deglutì, afferrò una scopa di saggina caduta sul pavimento e la usò per togliere le ragnatele dalle finestre.

Cinque minuti dopo era di nuovo dagli altri, «Non ci sono più.» annunciò. «Adesso usciamo, andiamo all'auto, vediamo se parte...» sospirò di nuovo, «Se l'auto non parte prendiamo le nostre cose e ce ne andiamo.»

Kathy andò da Marie-Anne e le prese la mano, «Andiamo, tesoro.» mormorò e le fece un sorriso tirato. L'altra si asciugò gli occhi e si alzò in piedi mentre i due ragazzi aprivano la porta.

Uscirono tutti quanti, Erik che stringeva ancora la pistola; «Ehi, c'è qualcuno!» esclamò Marie-Anne, dopo aver fatto un paio di passi.

Erik alzò la pistola, fregandosene di aver davanti una persona: un ragazzo con i capelli corti e la pelle scura, dal fisico magro. «Chi sei?» domandò.

L'altro sorrise e avanzò, «Chi, io?» fece, le mani affondate nelle tasche dei jeans, «Uno.» rispose scrollando le spalle.

«Uno di noi?» replicò il Cercatore alzando le braccia, la pistola stretta nella mano destra. Dietro di lui c'erano gli altri, Samuel davanti alle ragazze.

«Può darsi.» rispose lo sconosciuto e tolse le mani dalle tasche: bastarono un paio di secondi e le sue mani presero fuoco. Marie-Anne premette le mani sulle labbra, per trattenere il grido di puro terrore che minacciava di esplodere da un momento all'altro.

Erik si leccò le labbra. «Pirocinetico.» disse, «Il tuo nome?» domandò, evitando di abbassare la pistola perché non si fidava del tutto. C'era un qualcosa nel ragazzo di colore che non riusciva a identificare, come se...

«Paul.» sorrise l'altro, «Ehi, ci conosciamo?» domandò fissando Marie-Anne, che squittì spaventata.

«No.» pigolò lei.

Paul fece spallucce, «Mi ricordi una che mi sono sbattuto tre settimane fa.» esclamò, «Le verginelle si assomigliano tutte.» sorrise, «Salutate le vostre chiappe, perché fra poco bruceranno.» piegò la testa di lato e allungò le braccia in avanti. Zampilli di fuoco caddero a terra, bruciando l'erba circostante.

«Ti sei fatto corrompere?» domandò Erik facendo un passo indietro e stringendo di più la pistola.

Paul sorrise, «Perché, voi no?» fece di rimando, «Dovevate farlo.» disse e le fiamme attorno a lui si alzarono.

«Dio mio.» soffiò Samuel, «Andiamo.» mormorò.

Erik annuì, «Spegni il fuoco, amico.» ordinò, «Altrimenti giuro che t'ammazzo.»

Paul rise e il fuoco divampò, alzando grosse lingue di fuoco. Samuel prese le due ragazze per mano e le portò lontano, verse un canale di scolo che attraversava i campi. Erik fece un paio di passi indietro.

«Abbassa quelle cazzo di fiamme.» gridò per superare il crepitio del fuoco, «È stato Erikson, vero?» domandò, «Ti ha pagato? Cosa cazzo ti ha promesso?» chiese. «Non ti darà nulla, lo sai?»

Il pirocinetico rise ancora, le fiamme che seguivano i suoi movimenti, «Mi ha dato più potere.» esclamò e avanzò fra le fiamme, «So gestirle.» disse, «L'ho sempre fatto.» rise, «Vi ucciderò.» esclamò e oltrepassò il muro di fuoco. Urlò quando le fiamme lo avvolsero, ribellandosi al loro padrone.

«Non lo gestisce più!» urlò Samuel mentre Erik correva verso di lui, «Dobbiamo fermarlo.» ansimò, sentendo il calore delle fiamme arrivare fino a lì.

Erik annuì, inspirò a fondo e alzò la pistola, fissando Paul che si contorceva sull'erba, cercando di fermare le fiamme, senza riuscirci, però: continuò a urlare e gridare e piangere, mentre le fiamme scioglievano la suola di plastica delle sue scarpe e gli bruciavano la pelle. «Lo fermo.» disse alzando la pistola.

«Vuoi sparargli?» gridò Marie-Anne

Erik non la guardò, «Vuoi che mandi a fuoco ogni cosa?» replicò, inspirò a fondo, prese la mira e sparò. Paul gridò dal dolore quando la pallottola gli perforò l'aorta femorale. Erik sparò di nuovo, mirando a caso fra le fiamme alte ormai due metri, che formavano un cerchio attorno a Paul. Il pirocinetico emise un urlo strozzato e smise di gridare. Meno di un secondo dopo le fiamme cessarono, lasciando al loro posto erba bruciata e un cadavere carbonizzato.

Erik soffiò tutta l'aria trattenuta nei polmoni e tossì, si avvicinò al corpo steso a terra e trattenne un conato. Si girò e tornò dagli altri. «Muoviamo il culo.» disse.

❖.❖.❖

Dawn si sedette e trattenne un sospiro: quelle riunioni non le piacevano per nulla. Alla sua destra c'era George e sua sorella Katelynn, alla sua sinistra Steven, Nick e James. Gli altri diciotto posti dell'enorme tavolo ovale erano occupati dai gradi più alti dell'organizzazione, quelli che ormai non andavano più in missione e passavano il loro tempo in ufficio. Si erano riuniti per tracciare il punto della situazione e lei non capiva perché dovesse essere lei ad avere quell'enorme responsabilità di organizzare e coordinare quattrocentocinquanta persone.

«A che punto siamo?» domandò Jack Bennet, il padre di Nick.

«In alto mare, signore.» rispose George, “Anche se sarebbe meglio dire che siamo nella merda.” pensò, «Gli abitanti di Tuckahoe sono stati tutti uccisi.» sospirò, «Dagli uomini di Erikson, pensiamo.» disse. «Abbiamo catturato una delle scimmie mutanti.» esclamò e bevve un sorso di caffè, forte e senza zucchero. «La stanno analizzando.» continuò, «Entro le quattro di domani mattina avremo i risultati.»

Gli altri annuirono.

«La lista?» domandò Edmund Ross, il più vecchio fra di loro: aveva quasi novantasei anni, protesi a entrambe le anche, girava in sedia a rotelle e, per concludere, si portava dietro la bombola d'ossigeno per l'enfisema. Però ci teneva a essere lì, anche se era esausto e avrebbe preferito andare a dormire dopo aver cenato con la solita minestrina con un formaggino.

«La lista...» soffiò Dawn fissando il tavolo, alzò gli occhi e inspirò a fondo. «I Soldier di cui ci occupiamo sono 27410 e siamo riusciti a salvarne, fino a ora, 3950» disse, e deglutì rendendosi conto che erano troppe poche. «Abbiamo contato centosedici perdite.» deglutì, «Al momento i dispersi risultano essere 23344.» disse.

«Fra quelli dobbiamo contare anche quelli che sono passati dalla parte di Erikson.» Katelynn pronunciò il nome del presidente come se le costasse enorme fatica. «Crediamo che siano un cinque percento.» disse, «Siamo stati un po' larghi... ma c'è gente che si fa corrompere facilmente.»

I capi annuirono. «E la talpa?» domandò Carl, il padre di George e Katelynn.

«Ce la stiamo mettendo tutta.» rispose Steven con un sorriso tirato, «Ci sono circa duecento persone che stanno facendo il possibile per scoprire chi ha venduto la lista.» disse.

«Lo troveremo.» esclamò James fissando le persone davanti a lui, la paura che potessero considerarlo la talpa gli attanagliava lo stomaco. Suo padre aveva tradito il Projeus Institute e tutto ciò che significa. Aveva cercato di uccidere Dawn e Steven e in quel momento era rinchiuso in una delle celle del sotteraneo. Lui andava a trovarlo una volta a settimana, solo per rimanere lì davanti a lui per cinque minuti, in completo silenzio, per poi andarsene.

Gli altri annuirono, «Stanno analizzando tutti i computer, cellulari, telefoni, tablet e tutti i gingilli dell'istituto?» domandò Gregory Amaro, il figlio dell'uomo che creò il Projeus Institute quasi settantanni prima.

«Sì.» rispose Dawn. «Ogni telefonata, ogni messaggio, ogni parola digitata viene controllata e analizzata.» disse, «Controlliamo anche le immagini, cercando di scoprire se qualcuna nasconde dei messaggi criptati al suo interno.» continuò. «Al momento non abbiamo scoperto ancora nulla, ma non ci arrendiamo.» esclamò, sempre più decisa a pestare a sangue la talpa, chiunque fosse.

Un'ora dopo si alzarono tutti quanti, la riunione era finita. «Venite a mangiare?» domandò George e sbadigliò.

«Arrivo.» rispose Dawn, «Steve?» domandò al suo fidanzato.

«Dammi cinque minuti, vado a mettere in carica il telefono.» rispose lui. Dawn annuì, gli baciò la guancia e si allontanò con gli altri. Steven andò a destra, Nick, James, George, Katelynn e Dawn a sinistra, verso la mensa.

❖.❖.❖

Ormai era un'ora e mezza che camminavano e il sole stava tramontando. La Lexus era distrutta e avevano dovuto proseguire a piedi. Marie-Anne si era lamentata per metà del tempo e continuava a pensare che prendere la stata sarebbe stato meglio: avrebbero evitato di incontrare cinghiali, pecore e orribili mostri mutanti. “Io non sono una di loro.” pensò, “Non sono un mostro.” Era stanca di camminare, se ne era lamentata più volte e ogni volta le rispondevano la stessa cosa: “Taci e cammina.”

«Ehi, guardate là.» esclamò Samuel, indicando una costruzione a meno di mezzo miglio di distanza.

«È una stalla.» storse il naso Marie-Anne.

«È un riparo.» replicò Erik e accelerò il passo, pensando che avrebbe voluto volentieri abbandonare Marie-Anne al suo destino, ma non lo avrebbe fatto. Non era quello che gli avevano insegnato i suoi genitori. Pensò a sua madre, dotata del potere della psicometria, che se ne stava tranquilla a Londra. Se avesse saputo che suo figlio aveva abbandonato una ragazza come minimo gli avrebbe dato un ceffone anche se ormai era un adulto.

Una manciata di minuti dopo entrarono nella stalla, Erik accese la torcia e illuminò l'interno, rivelando l'ambiente: una parte era destinata agli animali — che, però, non c'erano — mentre l'altra, a sinistra era adibita a casa.

«Chi vivrebbe qui?» domandò Samuel fissando il divano a due posti.

«Uno troppo povero per avere una casa.» rispose Erik e si tolse lo zaino, lasciandolo accanto al divano, «Controlla quella porta.» disse a Samuel.

Il mutaforma annuì e aprì la porta. «È il bagno.» disse, «C'è il cesso, una doccia e il lavandino.» 

«Bene.» sospirò Erik e illuminò la semplice cucina: un fornello con la bombola, un lavandino con una vasca e lo sgocciolatoio, un mobiletto e un paio di pensili. Ne aprì uno e rivelò una lampada a cherosene. L'accese e sorrise quando la stanza si illuminò. Sistemò la lampada sul tavolo e guardò gli altri. «Rimaniamo qui e domani mattina all'alba partiamo.»

«Restiamo qui!?» squittì Marie-Anne, «Ma è una stalla!» protestò.

«È un riparo.» borbottò Kathy. «Sono le sei e mezza.» disse, «Mangiamo e ci riposiamo, è stata una lunga giornata.» sospirò.

Marie-Anne sbuffò, tolse lo zaino e si sedette sul divano, alzando una nuvola di polvere. «E come facciamo per dormire?» domandò dopo aver starnutito.

«Dormiamo per terra.» replicò Erik, «Tutti quanti.» disse, «Io ho il sacco a pelo.»

«Anche noi.» disse Samuel.

«Sacco a pelo?» piagnucolò Marie-Anne, «Io non ce l'ho.» disse.

Erik sorrise e scostò la sedia dal tavolo. «Dormirai dove capita.» disse, «Guarda, c'è una copertina.» le indicò la coperta ripiegata sullo schienale del divano.

«Ma avrà le pulci.» protestò Marie-Anne e si asciugò le lacrime.

«E allora rimani senza.» disse Erik e scrollò le spalle. «Mangiamo.» disse.

Marie-Anne sbuffò e si alzò in piedi, fissò lo sgabello con una smorfia e si sedette. Non voleva stare lì, in una stalla. Era vecchia, sporca, puzzava di letame... afferrò uno dei tramezzini che avevano comprato quel pomeriggio e lo scartò, odiando Erik, che si era auto eletto capo. Era lei la più grande, doveva essere lei a prendere le decisioni, non lui che era più piccolo di lei. Lo sapeva, lo sapeva che era lei a dover prendere le decisioni più importanti, come quella di percorrere le statali e le interstatali, evitando stradine; oppure evitare di fermarsi a dormire in una stalla fatiscente.

“Glielo farò capire.” pensò “Sono io che decido.” si disse. “Io li salverò.”

❖.❖.❖

Kyle frenò fino a fermarsi in un vecchio casale. «Direi di fermarci qui.» disse girando la chiave. Voltò il sedile e alzò le braccia sopra la testa con uno sbadiglio.

Jenna chiuse le porte e ritornò sul camper, «Potremo iniziare a preparare la cena.» disse. Voleva saperne di più su Benjamin, Crystal e i bambini. Voleva sapere cosa fosse successo per evitare che accadesse di nuovo.

Crystal inspirò a fondo, «Penso che Sarah abbia già fame.» disse guardando la bambina che cominciava ad agitarsi nel seggiolino. Sbuffò, «Meglio che prepari qualcosa per lei.» disse, aspettò che Benjamin si alzasse e scivolò sui sedili, si mise in piedi.

Dieci minuti dopo aveva preparato una semplice minestra a cui aveva aggiunto un vasetto di omogeneizzato al vitello. Si sedette accanto a Sarah, posò la ciotola — l'avevano presa quella mattina in quella casa — sul tavolo e iniziò a imboccare la bambina, che sembrava gradire molto. «Le piace!» commentò Crystal con un sorriso, «È la prima volta che faccio una cosa del genere.»

Benjamin la osservò, sentendosi più tranquillo nel vederla sorridere. «Aveva proprio fame.» commentò nel vedere Sarah che spalancava le labbra per poi chiuderle attorno al cucchiaino. Se Crystal tardava solo un attimo, la piccola strillava e agitava le braccia finché il cucchiaino pieno di cibo non le sfiorava le labbra.

«La piccola è a posto.» esclamò Kyle passandosi una mano sul viso, cercando di allontanare la stanchezza accumulata in quei giorni. «Noi?» domandò, «Che si mangia?»

Jenna si chinò e aprì il frigorifero, «Allora... abbiamo una confezione di lattuga, due pomodori, e...» prese tre confezioni e le mostrò ai bambini, che stavano litigando su chi dovesse lanciare i dadi per primo per iniziare il “Gioco dell'oca”, «Vi piacciono?» domandò.

«Sì!» strillò William, «Tanto.» disse.

«Bene.» sorrise Jenna, «Quindi insalata e pomodori e un cordon bleu a testa.» disse posando le confezioni sul tavolo.

«Noi abbiamo una decina di scatolette di tonno, poi c'è lo sgombro e del mais.» esclamò Crystal, piegando la ciotola per poter raccogliere l'ultimo cucchiaio. «Ah, abbiamo anche del pane a fette.» aggiunse, «Non ce n'è molto, ma una fetta a testa va bene.»

Jenna annuì, «Perfetto.» disse, «Benjamin, prepara l'insalata.» esclamò mentre cercava una padella.

Il ragazzo la fissò a bocca aperta mentre Kyle usciva da camper ridendo. «Da quanto ce l'avete?» domandò Benjamin afferrando l'insalatiera che Jenna gli stava porgendo, «Il camper.» specificò.

«Da stamattina.» rispose Jenna, prendendo una padella con il manico che si divideva in due — le due parti si ripiegavano, occupando così meno spazio.

«Stamattina?» commentò lui leggendo l'etichetta della confezione. «Lo avete comprato?» chiese.

«No.» rispose Jenna aprendo uno dei mobiletti per recuperare le provviste portate da Benjamin e gli altri. «La nostra auto è stata distrutta da una stupida scimmia mutante.» disse e si accorse che Crystal aveva irrigidito le spalle, «Abbiamo trovato questo.» continuò e guardò i bambini che stavano giocando, «Ne parliamo dopo.» mormorò.

Crystal annuì e si alzò in piedi, sciacquò la ciotola e il cucchiaino e li asciugò per poi rimetterli a posto. «Anche noi avevamo trovato l'auto.» disse. «E poi i seggiolini.»

Benjamin finì di preparare l'insalata, «Bambini, andate a lavarvi le mani.» ordinò.

«Ma stiamo giocando!» protestò Emily.

«Finite dopo.» replicò Benjamin.

«Guardate che cos'ho.» sorrise Jenna e prese dal frigo due lattine rosse.

«Coca Cola!» trillò William, si alzò in piedi e andò in bagno, seguito dalla sorella. Benjamin li raggiunse, controllando che non allagassero il minuscolo bagno mentre le due ragazze preparavano la tavola.

«Per noi c'è questa.» esclamò Jenna prendendo quattro lattine di birra.

«Tu sei minorenne, Crystal.» ridacchiò Benjamin, «Non puoi bere alcolici.»

Crystal lo fissò, si accertò che i bambini fossero ancora nel bagno e mostrò il dito medio a Benjamin, facendo ridere Kyle, che era salito nel camper con due sgabelli pieghevoli recuperati dal bagagliaio.

«Quanti anni hai?» chiese l'uomo.

«Venti.» rispose Crystal, «E mezzo.» specificò, «Benjamin ne ha venticinque.» disse, «Voi?»

«Io trentaquattro lei trentadue.» esclamò Kyle, afferrò l'accendino da un pensile accanto alla porta e lo porse a Jenna, «Siamo sposati da due anni.»

Poco dopo erano a tavola, i bambini seduti accanto alla sorellina, Crystal si sedette sul sedile di guida dopo averlo girato di centoottanta gradi, trovandolo comodo; Benjamin si sistemò sul sedile del passeggero mentre Kyle e Jenna si accomodarono sugli sgabelli e iniziarono a cenare.

❖.❖.❖

Erik afferrò un paio di sigarette e l'accendino, «Vieni?» domandò a Samuel, che annuì e lo seguì fuori dalla stalla. Chiusero il pesante portone alle loro spalle e si sedettero su una sgangherata panca di legno.

«Cosa pensi di fare?» chiese Samuel, accese la sigaretta e passò l'accendino a Erik.

«Domani dobbiamo trovare un mezzo.» rispose Erik, «Uno grosso.» aggiunse e soffiò il fumo, «Che resista agli attacchi di quelle stronze.» 

Samuel annuì, «Sì.» disse, «Non sono solo i mutaforma.» sospirò, «Anche gli altri si sono fatti corrompere.» sputò. «Quanti saranno?»

«Anche se ce n'è solo uno è uno di troppo.» mormorò Erik fissando davanti a sé l'oscurità che aveva circondato la stalla. «Come avranno fatto?» domandò fissando le nuvole di fumo che salivano.

«Dici a farli diventare così?» chiese Samuel ed Erik annuì, «Non lo so.» sospirò, «Probabilmente Erikoson ha un cazzo di laboratorio dove usa quelli di noi che si fanno corrompere come cavie da laboratorio.» disse e aspirò. «Se lo facesse apposta?» chiese, «Se pagasse alcuni di noi per farli diventare mostri, confermando la sua teoria che siamo dei fottuti mostri mangia bambini?»

Erik annuì e fissò a terra, «Lo penso anche io.» disse. «Marie-Anne?» chiese.

«Sta perdendo pezzi per strada.» rispose Samuel, «Non capisce che dobbiamo stare uniti.» continuò. «Potrebbe fare una stronzata.» 

Erik annuì. «Sì.» 

«E in più non si è organizzata.» continuò Samuel, «Noi abbiamo avuto poco tempo ma abbiamo preso l'indispensabile.» disse, «Lei invece ha riempito lo zaino di foto e chincaglierie inutili.» borbottò, «Ha anche una bambola!» rise.

«È ingenua.» sorrise Erik.

«Molto.» confermò Samuel. «Sarà più grande di noi, ma ha la maturità di una quindicenne.»


Kathy si accucciò accanto al divano dove Marie-Anne era sdraiata, «Chi sono?» domandò indicando le foto.

«I miei genitori.» rispose Marie-Anne, la voce rotta dalle lacrime.

Kathy si limitò a un sorriso, «Quanti anni avevano quando ti hanno adottato?» chiese. A lei sembravano più dei nonni, che dei genitori.

«Mamma quarantacinque e papà cinquanta.» rispose Marie-Anne.

«Okay.» soffiò Kathy e pensò che avessero l'età dei suoi nonni. «Marie-Anne, ascolta: non puoi ...» si fermò, cercando le parole giuste da usare. «So che sei spaventata, lo siamo tutti. Ma dobbiamo rimanere uniti.» disse.

«Ho paura.» pigolò Marie-Anne e sfiorò il volto di sua madre.

«Anche io.» Kathy posò il mento sul bracciolo del divano. «Ma se scappiamo, se ci dividiamo... ci esponiamo al pericolo.» disse, «Dobbiamo stare uniti.» sospirò, «Capisci?»

Marie-Anne annuì, «Sì.» mormorò, ingoiò il groppo che aveva in gola e strinse più forte l'album di foto. «Cosa facciamo domani?» domandò dopo qualche istante di silenzio.

Kathy scrollò le spalle, «Non ne ho idea.» rispose e si abbracciò le ginocchia, «Penso che cercheremo un'altra auto, poi proseguiremo il viaggio.»

«Niente interstatali, vero?» chiese Marie-Anne.

«Sì.» rispose Kathy. «Rassegnati.» scherzò.

Marie-Anne se la prese, «Dovremo decidere insieme.» borbottò. «Sono la più grande, dovrei decidere io.»

Kathy la fissò, il sopracciglio destro sollevato. «Qui decidiamo tutti quanti, insieme.» replicò, «Vince la maggioranza.»

«Non è giusto.»

Kathy espirò, «Siamo in democrazia.» replicò. 

«Non è giusto.» ripeté Marie-Anne.

Kathy sospirò e si alzò in piedi, recuperò la bottiglietta d'acqua e bevve. Fissò la figura rannicchiata sul piccolo divano e pensò che, se voleva dimostrare di avere ragione perché era la più grande, doveva comportarsi da persona matura. Anche lei avrebbe voluto piangere ma non lo faceva, perché sapeva che le lacrime non avrebbero risolto la situazione. «Andrà tutto bene, vedrai.» disse.

Marie-Anne la ignorò, si voltò sul fianco, dando la schiena a Kathy, che scrollò le spalle e andò in bagno. Non c'era acqua calda e usò quella fredda per lavarsi le mani.

I ragazzi rientrarono e guardarono appena Marie-Anne che singhiozzava sotto la vecchia coperta. «Io faccio il primo turno.» esclamò Erik. «Sono le nove.» disse guardando l'orologio, «Ti chiamo all'una e mezza.» fissò Samuel che si limitò ad annuire. «Domani mattina riprendiamo a camminare, cerchiamo un macchina e ce ne andiamo.» spiegò, «Buonanotte.» aggiunse, stese il suo sacco a pelo per terra e si sedette su di esso, la schiena che poggiava sulla parete divisoria, la pistola davanti a lui.

Samuel e Kathy sistemarono i loro sacchi a pelo e si sdraiarono.

❖.❖.❖

Crystal seguì Kyle fuori dal camper e si sedette sullo sgabello che l'uomo aveva portato fuori. Benjamin si sedette sull'altro sgabello, accanto a lei. Kyle si lasciò cadere per terra, la schiena appoggiata alla parete del camper mentre Jenna distribuiva una lattina di birra a testa. Quando finì si sedette sulla soglia della porta.

«Sono partita venerdì sera.» cominciò Crystal, «Abito vicino a Covington. Sono partita a piedi e mentre ero in mezzo a un bosco mi sono fermata per bere e sono stata attaccata da delle scimmie mutanti.» continuò e rabbrividì nel ricordare quando si era ritrovata davanti quella cosa che l'aveva terrorizzata. «È arrivato Benjamin e mi ha salvato.»

Lui annuì, «Sì.» disse, «Io vivo... a sud di South Hill.» continuò, «La mia auto si è rotta e così ho proseguito a piedi.» si morsicò le labbra, «Ho visto quelle cose che ha attaccato Crystal, mi sono trasformato, poi ne è apparsa un'altra e le ho uccise.» disse e sorseggiò la birra, «Da allora abbiamo proseguito a piedi.» sospirò, «Sabato è stato tranquillo, a parte la pioggia, ma ci siamo sistemati in un vecchio capanno di lamiera dove abbiamo passato la notte.» continuò, «Domenica... domenica c'erano due dell'esercito di Erikson in giro, così ci siamo nascosti nell'armadio del capanno, abbiamo atteso che se ne andassero e abbiamo proseguito a piedi, evitando il sentiero.»

Crystal bevve un lungo sorso, «Poco dopo mezzogiorno abbiamo incontrato William, Emily e Sarah. Ci hanno detto che un mostro aveva ucciso la loro mamma.» la voce si incrinò ma proseguì: «Siamo andati al negozio dove si erano fermati e abbiamo visto la loro madre.»

«Qualcuno le aveva squarciato l'addome.» sospirò Benjamin mentre Jenna e Kyle li guardavano in silenzio, «E sparato un colpo in testa.»

«Dio mio.» commentò Jenna.

«Già.» grugnì Benjamin, «E avevano squarciato le gomme del SUV della donna e distrutto il motore.» proseguì, «Quel pomeriggio è stato il delirio: a Lewisburg c'era un tale Nelson che uccideva chiunque non sapesse dove fossero i bambini.»

«Uno dei suoi uomini era una cazzo di volpe mutante.» rabbrividì Crystal, «Poi abbiamo sentito che c'era una casa usata per le vacanze da dei tizi di New York, così ci siamo sistemati lì.» continuò dopo aver bevuto ancora, «Al mattino siamo partiti e poi abbiamo incontrato voi.»

Benjamin inspirò a fondo, «Abbiamo preso l'auto a un uomo assassinato, mentre i seggiolini...» bevve un lungo sorso, «I seggiolini da un'altra auto.» disse, «Era una famiglia. Una famiglia di lupi.» pigolò sentendo la rabbia montare, «Uccisi con un colpo di pistola.» soffiò, «Da quello.»

«Nelson?» fece Jenna e bevve anche lei, «È uno stronzo.» disse, «Abbiamo sentito cose su di lui e nessuna è piacevole.» sputò e osservò i due: erano in fuga da novantasei ore e avevano subìto delle esperienze terribili. «Il padre dei bambini?» chiese.

«È di istanza in Afganistan.» rispose Benjamin, «Hanno detto di non avere parenti qui, ma che il loro padre è Irlandese.» spiegò.

Kyle annuì, «E voi?» chiese. «Le vostre famiglie?»

«Mia madre è morta quando ero al liceo.» rispose Benjamin, «Mio padre è scomparso da tredici giorni e la polizia non fa un cazzo per ritrovarlo.» sbottò.

«Mio padre è evaporato prima che nascessi, mia madre è con il terzo marito e non so dove sia.» disse Crystal e guardò la lattina, bevve ancora. «Ho vissuto con i miei nonni materni. Sono morti entrambi.»

«Mi dispiace.» Jenna abbozzò un sorriso.

«Voi?» domandò Benjamin.

«Veniamo da Springfield, Missouri.» rispose Kyle, «Siamo partiti il trentuno Agosto.» disse, «Stamattina abbiamo incontrato una di quelle scimmie mutanti...» inspirò e incrociò le braccia, fece roteare piano la lattina stretta nella mano destra e sospirò, «Hanno distrutto la nostra auto, abbiamo visto il camper abbandonato e lo abbiamo preso.» alzò le spalle, «Niente strade principali, hanno posti di blocco ogni dieci miglia.» sbuffò.

«Lo immaginavamo.» esclamò Benjamin, «Per questo oggi abbiamo preso strade secondarie.»

Kyle annuì, «Che potere hai?» domandò a Crystal, «E i bambini? William è un elettrocinetico, ma la sorella?» chiese.

«Mutaforma.» rispose lei, «Lupo.» spiegò, evitando di dire che era una mezza lupa, «William è elettrocinetico come hai detto, Emily è una Cercatrice.»

La lattina sfuggì dalle mani di Jenna e cadde, rimanendo in piedi, «Cercatrice?» squittì e recuperò la lattina, «Non ne avevo mai vista una.»

«Già.» commentò Crystal, «Io conoscevo un Cercatore, quando ero piccola, veniva in estate nella casa accanto a quella dei miei nonni.» disse, «Chissà dove è finito...» mormorò.

«Il figlio di un amico di mio padre è un Cercatore, ma non lo vedo da anni e non so che fine abbia fatto.» sospirò Benjamin. «Ci farebbe comodo un Cercatore più grande, che sappia dove andare. Emily è troppo piccola.»

Jenna annuì e finì la birra in un paio di sorsi, «È stata una lunga giornata, meglio andare a dormire.» disse.

Rientrarono, lasciando le lattine vuote sul tavolo e andarono uno alla volta in bagno. Kyle e Jenna salirono sul letto superiore, mentre Crystal scivolò accanto ai bambini, che dormivano tranquilli. Benjamin stese il materassino da yoga di Crystal, sistemò sopra di esso il suo sacco a pelo ed entrò. Un attimo dopo le luci si spensero del tutto e nell'abitacolo cadde il buio e il silenzio.

❖.❖.❖

Dawn strinse le labbra, tolse il cappuccio al pennarello e fissò l'enorme lavagna davanti a lei.

“Ci sono sei Cercatori in ogni nazione.” scrisse in un corsivo un po' infantile, “Ne nasce uno o una in un arco di tempo che va dai quindici ai vent'anni.” continuò a scrivere accanto a un nuovo pallino rosso della lista che voleva scrivere per chiare un po' la situazione.

“La media è di diciassette anni e mezzo.”

Fissò quello che aveva scritto e sospirò. Quello era chiaro da anni, ormai.

“Il Cercatore nasce da due genitori Soldier, entrambi con poteri.” scrisse.

“I genitori hanno un gene recessivo a testa. I due, uniti, causano la mutazione del DNA, che bypassa la normale genetica e, invece di trasmettere uno dei poteri dei genitori — o entrambi — fa nascere un Cercatore.”

Dawn inspirò a fondo e non si accorse che Steven la stava osservando dalla soglia, “Perché non ne nascono di più? Perché sono così rari? Perché non hanno altri poteri?”

«Ti evaporerà il cervello se continui così.»

Dawn si voltò e fissò Steven, «Lo so.» sorrise e chiuse il pennarello, «Voglio solo capire.» sospirò.

Steven l'abbracciò, stringendola forte, «Lo so.» disse e le baciò i capelli, «Lo scopriremo.» disse, «Ci sono scienziati che sono al lavoro.»

Dawn annuì fra le sue braccia e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalle sue carezze. «Lo so.» pigolò, «È che...» sospirò, sentendosi esausta.

«Andiamo?» lui le baciò la testa, preoccupato per lei. Erano settimane che dormiva poco, mangiava in modo sballato. «Hai bisogno di dormire.»

Dawn annuì, «Sì.» disse, «Spengo tutto e arrivo.» sorrise e baciò le labbra di Steven.

Lui le sorrise e le sfiorò la fronte, scostandole un ciuffo di capelli ribelli, «Ti aspetto.» soffiò.

Dawn sorrise, «Sì.» disse e lo guardò andare alla porta, «Steve?» lo chiamò.

«Dimmi.» fece lui girandosi, la mano sullo stipite.

«Con chi eri al telefono?» domandò Dawn.

Lui la fissò per un lungo istante, «Nessuno di importante.» rispose, «Un vecchio amico di Los Angeles.» disse, «Fa' in fretta.»

Dawn sorrise e annuì, sistemò il pennarello sulla mensola della lavagna, agitò il mouse per far scomparire lo screensaver, chiuse tutti i programmi e spense il pc. Recuperò il cellulare, spense le luci, chiuse la parta e raggiunse Steven in corridoio.

❖.❖.❖

Crystal si rigirò nel letto, dando le spalle ai bambini e aprì gli occhi, abbassò la testa e fissò il sacco a pelo di Benjamin. Era vuoto. Puntò lo sguardo sulla porta del bagno, vedendola socchiusa. Non c'era nessuna luce accesa, per cui non era lì.  Si sedette e fissò il passeggino incastrato fra il letto e il lavandino. Aveva pensato di tenere Sarah nel letto, ma i bambini continuavano a muoversi così aveva deciso di lasciarla ne passeggino, incastrandolo in quel punto, l'unico in cui non fosse d'intralcio.

Sarah dormiva tranquilla, il ciuccio era scivolato fuori dalle sue labbra, finendo accanto al suo viso.

Crystal scavalcò il sacco a pelo, aprì il frigo e prese una bottiglietta d'acqua e si accorse che la porta era socchiusa. L'aprì e fissò Benjamin seduto per terra, appoggiato alla parete del casale.

«Ehi.» gli disse, «Non riesci a dormire?» domandò e lo raggiunse, sedendosi al suo fianco, sopra del fieno asciutto e pulito.

«No.» rispose lui. «Troppi pensieri.» ammise.

Crystal lo fissò, «Sì.» mormorò e aprì la bottiglietta, bevve un lungo sorso e sospirò. «So chi è mio padre.» confessò.

«Cosa?» domandò lui, sorpreso, «Credevo che...»

«Mio padre era un lupo purosangue.» disse Crystal, «Ma i suoi genitori non accettavano la cosa.» abbassò lo sguardo e lo rialzò, incontrando gli occhi azzurri di lui, «Non volevano essere lupi, non volevano che il loro figlio fosse un lupo.»

«Oh.» commentò Benjamin, non capendo perché ci fosse gente che si comportasse così. Lui era orgoglioso di essere un lupo.

«Ovviamente non volevano che mio padre frequentasse una mezza lupa.» continuò Crystal e bevve ancora, «Poteva essere una pirocinetica, una elettrocinetica... ma loro volevano avere un figlio normale.» disse e sospirò. «Hanno convinto mia madre, le hanno detto che dovevano guarirmi.»

Benjamin annuì e si bloccò di colpo, «Cosa?» gracchiò, «Davvero?»

«Sì.» rispose lei. «Mio padre scomparve quando avevo un anno.» continuò, «Credo che lo abbiano ucciso i suoi genitori.» deglutì, «Perché i miei nonni, » disse l'ultima parola come se le facesse schifo solo pensarla «volevano darmi dei medicinali che avrebbero bloccato i miei poteri.»

«Dio mio.» sospirò Benjamin e fissò Crystal, «Ma credevo che avessi vissuto con i nonni materni.» disse, «Hai il cognome di tuo nonno.»

Crystal si leccò le labbra e desiderò avere con sé il burro cacao, ricordo che era nel suo zaino e sospirò. «Fino ai dieci anni ho vissuto con i miei nonni paterni. Ogni giorno prendevo una pillola.» disse, «Era gialla, grossa e odorava a come un formaggio stagionato.» deglutì e bevve, «Ogni due mesi mi facevano un'iniezione.» continuò, fissando la paglia sotto i suoi piedi. «Poi i miei nonni si sono ammalati. I reni sono andati a puttane e sono morti.» sospirò. «Da lì sono andata a vivere dai miei nonni materni. Li vedevo solo durante l'estate e li non prendevo le pillole. Non dicevo ai miei nonni che dovevo prenderle, le buttavo nel gabinetto e tiravo l'acqua.» mormorò. «Quando sono andata a vivere da loro mia madre si stava risposando con il suo secondo marito. Un giorno ho detto delle pillole ai nonni, che mi hanno portato da diversi medici.»

Benjamin la fissò, sconvolto, domandandosi come potessero delle persone comportarsi così con la propria nipote. Come una madre potesse accettare tutto ciò. «E tu? Stavi bene?»

Lei sorrise, «Sì.» disse, «Avevo solo una piccola infezione renale, nulla che non si possa risolvere con qualche medicinale normale.»

Lui sospirò, le prese la bottiglietta e bevve due lunghi sorsi. «Meno male.» soffiò. «È per questo che ti senti male quando ti trasformi.» disse.

«Credo di sì.» mormorò lei. «Ho ancora un barattolo di pillole una delle fiale.» confessò, «Quando saremo in Canada chiederò se possono analizzarle.»

Benjamin annuì, «Lei hai conservate?» chiese. «Hai fatto bene.» le sorrise anche se era buio e ci vedeva appena.

Rimasero in silenzio qualche minuto, ad ascoltare il lieve russare di Kyle. «Lo avresti fatto sul serio? Ti saresti... sacrificato?» domandò Crystal.

Benjamin annuì. «Sì.» ammise, «Lo avrei fatto, altrimenti saremo morti tutti quanti.»

Crystal inspirò a fondo. «Perché mi hai baciato?» domandò.

«Perché se dovevo morire volevo avere un bel ricordo.» rispose lui.

Crystal sorrise, «Oh.» commentò, «È meglio se rientriamo.» disse e si alzò in piedi. Rientrarono nel camper e Crystal rimise nel frigo la bottiglietta e andò a letto, si coprì e fissò Benjamin sdraiarsi nel sacco a pelo. «Buona notte.» mormorò.

«Buona notte.» soffiò lui. 


Seconda parte del terzo capitolo. Scusate il ritardo, ma mi sono dimenticata di postare! Grazie a chi legge, chi commenta e chi mette la storia fra i preferiti.

   
 
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