Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Brooke Davis24    06/11/2016    4 recensioni
Emma Swan e Killian Jones. I ruoli sono invertiti, gli animi diversi. Emma è il capitano della nave pirata più temuta che abbia mai toccato le coste di Thrain, la città in cui Killian è tenente al servizio della Corona, ed Emma ha una missione da compiere, una missione che si porrà in netto contrasto con quella di Killian. E se fosse difficile essere nemici ma non potessero essere altro? E se i sentieri di Emma Swan e Killian Jones si fossero incontrati nella vita sbagliata? E se, invece, non ci fossero tempo, luogo, motivo più esatto?
Genere: Angst, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo XXII
Albori


 
Era tutto così quieto e perfettamente in ordine nel suo quotidiano caos. Quelle stanze, quei corridoi, quegli stessi giardini erano esattamente dove li aveva lasciati decine di anni prima, l’aspetto immutato di una familiarità imperitura nella quale erano tornati a crogiolarsi dopo tutto quel distacco.
 
Killian si era chiesto spesso, negli ultimi mesi, se fosse possibile sentirsi così a casa e così fuori posto allo stesso tempo in un unico luogo. Era come se il suo cuore pompasse al ritmo di una melodia che sapeva di conoscere bene, salvo dimenticarne gli accordi tutto d’un tratto, nelle orecchie il sordo ronzio di ciò che avrebbe dovuto ricordare e il senso di inappropriatezza per essere tanto disconnesso da ciò che lo circondava. Era la nota stonata di una composizione bellissima che l’autore non riusciva ancora a mettere in sesto: dove stava quel sol? Avrebbe dovuto aggiungere un re, un fa, un do? E se, nel farlo, avesse perso tutto il senso della storia in note che aveva duramente elaborato?
 
Erano trascorsi tre anni dagli eventi funesti di cui era stata costellata la notte in cui avevano detto addio per sempre alla Nostos. E, in tutto quel tempo, di cose ne erano accadute prima che lui e Liam fossero riusciti a reimpossessarsi della casa che gli era stata brutalmente sottratta da bambini, alla morte dei loro genitori. Intrappolati su una nave fantasma, le cui tegole erano rimaste impregnate del sangue dei precedenti viaggiatori, avevano impiegato più di un mese per fare ritorno a Thrain: Killian ricordava le mappe nell’ufficio di Emma e il percorso seguito con la Nostos durante il periodo in cui il suo capitano era stato impossibilitato a svolgere le mansioni che gli competevano; ma, al momento in cui avevano incrociato la rotta della nave su cui si sarebbe consumata la mattanza, erano trascorse già delle settimane senza che né lui né Liam avessero avuto alcun accesso alle informazioni concernenti la navigazione. Per questo, una volta lasciati al loro destino da Emma e la sua ciurma, avevano brancolato nel buio con lo scoramento nel cuore per un’intera settimana, prima di incrociare un’altra imbarcazione ed ottenere l’insperato aiuto per il quale i fratelli Jones e il medico avevano tacitamente pregato.
 
Era stata dura, insopportabilmente dura. Sui loro animi, aveva pesato come un macigno la consapevolezza che, a modo loro, avrebbero potuto fare di più per evitare la strage che si era consumata sotto i loro occhi ai danni di un manipolo di uomini innocenti. Non importava quanto alacremente avessero lavato le tegole di quel dannato ponte: la brezza serale, con puntualità disarmante, avrebbe comunque portato con sé l’odore del sangue versato come monito alla loro ignavia. Forse, si erano detti più e più volte nel silenzio delle loro menti, quel viaggio sarebbe servito ad espiare una parte delle loro colpe. Si erano resi conto ben presto, tuttavia, che le conseguenze di ciò che trascinavano come un fardello sulle spalle erano ancora tutte da affrontare.
 
Mettere piede a Thrain era stato un sogno. Dopo più di due anni, la barba ispida e il volto emaciato per la ristrettezza delle provviste a loro disposizione nell’ultima parte del viaggio, avevano raggiunto l’unica meta alla quale avesse avuto senso mirare. Il senso di appartenenza che si accompagna ai luoghi ove si è vissuto felicemente li aveva accolti e cullati e, con esso, i volti delle persone che si erano lasciati alle spalle. Ogni sorriso, ogni abbraccio, ogni stretta di mano, ogni carezza erano serviti loro per ricordare un passato talmente lontano da sembrare soltanto un’illusione il più delle volte. Entrambi, nel silenzio delle stanze che i loro amici si erano premurati di mettere a disposizione, avevano versato lacrime silenti ma brucianti, finché il cotone lindo delle lenzuola non ne aveva assorbito le frustrazioni.
 
Avevano pianto tutto e niente nell’atteggiamento tipico di chi ha perduto più di quanto avesse mai posseduto. Che ne era stato dell’identità a cui si erano così strenuamente aggrappati? Non rimaneva che una sfocata, tremula immagine degli ideali in cui avevano creduto e dai quali si erano fatti definire per molto tempo; e lo specchio aveva preso a rimandare l’immagine di qualcuno che avevano fatto fatica a riconoscere. Quando avevano realizzato di non aver mai visto, per tutto il tempo che erano stati con Emma, il loro riflesso, l’impatto della realizzazione li aveva colpiti con l’acuta precisione di tanti piccoli aculei: non sapevano più cosa fosse rimasto delle persone che si erano ripromessi di rimanere, a dimostrazione del fatto che, per quanto avessero lottato per resistere all’oscurità di cui lei si era fatta portatrice, avevano finito per fallire il tentativo.
 
Pesava sulle loro coscienze la responsabilità di avere, in qualche modo, preso parte agli eventi di quella notte come se ne avessero condiviso lo scopo e non importava quanto arrossata fosse la loro pelle per i numerosi lavaggi, né quanto puliti apparissero i loro volti sbarbati di fresco, non quando il sentore dello sporco continuava ad insudiciare la loro anima. Erano stati corrotti di una perdizione che non avevano visto arrivare, perché aveva assunto le sembianze del blando compromesso. Se la vita era fatta di accomodamenti, si erano detti ogni qualvolta il loro istinto aveva drizzato le orecchie a quella o quell’altra prospettiva descritta da Emma, le piccole concessioni che le avessero fatto sarebbero riuscite quantomeno a limitare i danni delle sue azioni. Forti di quella convinzione elementare e così stupidamente innocente per appartenere a due uomini della loro tempra ed età, erano caduti in una trappola che li aveva lasciati senza la consapevolezza di sé. Ed era da lì che si erano visti costretti a ripartire!
 
I loro superiori erano stati prodighi di complimenti e ammirazione, desiderosi di conoscere i dettagli della loro fuga con la promessa di restituire loro le stesse posizioni e gli stessi privilegi d’un tempo come se nulla fosse cambiato. Era proprio quello il problema, avrebbero voluto spiegare a ciascuno dei presenti! Se c’era una conclusione che avrebbero potuto trarre con assoluta certezza dall’esperienza vissuta, era che fossero cambiati e con loro le cose che gli erano sempre appartenute. Il resto – le scorrerie, gli scontri, le spiegazioni – erano un mero corollario del quale non avrebbero saputo che farsene. Così, quando Killian aveva chiesto loro un po’ di tempo per trovare la serenità perduta, sul viso quell’espressione di inquietudine che lo aveva reso un estraneo ai loro occhi sempre uguali, non avevano potuto negarglielo.
 
Avevano condotto una vita ritirata per alcuni mesi, lontani dal caos della città e degli incontri mondani, della loro casa assidui frequentatori solo un ristretto gruppo di amici degni di essere chiamati tali. Poi, il tempo aveva cominciato ad esercitare l’azione balsamica che tanto gli apparteneva e le cose avevano cominciato a seguire il loro corso, trascinate dall’aiuto di chi sapeva come, se e quando fosse il caso di insistere o tacere. A poco a poco, i momenti di smarrimento si erano fatti più sporadici e sia Killian che Liam avevano trovato il modo di reinventarsi.
 
Dei due probabilmente il più provato era stato Liam. Le ferite che bruciavano sul suo cuore erano ben diverse e più dolenti di quella al ventre e, se quest’ultima era guarita lasciando una cicatrice callosa a testimonianza di quanto fosse accaduto, quelle che portava nell’anima avevano faticato ad intraprendere lo stesso percorso di guarigione. Spesso Killian lo aveva scorto corrugare la fronte e stringere i pugni finché le braccia non erano state percorse da un lieve, eppure costante, tremore. A quel punto, lo aveva osservato ridestarsi, scuotere il capo, sospirare e tornare pian piano in sé, pronto a sorridergli con la stessa paterna indolenza che gli aveva sempre usato. I segni di ciò che stava passando, però, erano stati fin troppo chiari perché Killian potesse essere ingannato: stava lottando per recuperare la stima di sé e far pace col senso di colpa che si portava dietro come un monito per il futuro.
 
Un giorno, tuttavia, le cose erano cambiate con l’incedere inaspettato delle piogge primaverili, quando le nuvole si avvicinano di soppiatto per osservare come se la cavano gli uomini su quella terra per loro irraggiungibile e, trovandoli incredibilmente buffi, riversano le loro lacrime d’ilarità su quelle piccole creature solo per vederle incespicare, scivolare, bagnarsi e, infine, trovare la forza per ridere a loro volta. Una lettera del loro avvocato li aveva avvisati del cambio di sorte che avevano subito: i parenti che li avevano deprivati dei loro beni erano caduti in disgrazia, così in disgrazia da aver perduto la casa nella quale avevano ingiustamente spadroneggiato. Era il momento di agire per prendersi ciò che spettava loro, al bando l’orgoglio che li aveva trattenuti per tutto quel tempo, e così avevano fatto.
 
Avvolti nei colori della divisa con la quale avevano servito valorosamente il loro sovrano, i fratelli Jones si erano recati proprio dall’uomo cui avevano prestato giuramento di devozione affinché prestasse ascolto alle loro ragioni. Indebitatisi a causa del gioco e incapaci di versare al sovrano il contributo che gli dovevano, infatti, i loro sciagurati parenti avevano dovuto cedere la dimora che era appartenuta a Killian e Liam proprio all’uomo che era stato per loro un esempio di giustizia prima di conoscere Emma. Egli li aveva accolti con un gran sorriso, le sfumature dell’avarizia ora più acute sui suoi lineamenti, e aveva prestato orecchio all’arringa di Killian in presenza dei rispettivi avvocati, come il tenente aveva richiesto che fosse.
 
“Non abbiamo intenzione di rubare il vostro tempo, Vostra Maestà, e dunque non aggirerò la questione, ma gliela proporrò così come stanno le cose. La dimora che è stata recentemente aggiunta alle vostre proprietà ci è appartenuta, molti anni orsono: era la casa dei nostri genitori, la casa ove abbiamo conosciuto l’amore di una famiglia che ci è stata portata via troppo presto. Le persone da cui l’avete giustamente presa erano nostri parenti, ma temo che questa definizione sia fin troppo lusinghiera, considerato che, alla morte dei nostri genitori, hanno ben pensato di far sparire il testamento lasciato da mio padre a nostro favore e ci hanno messo alla porta. Siamo cresciuti lontani da casa, senza mai chiedere nulla, senza mai guardarci indietro, votando la nostra vita ad una causa che ci ha resi fieri nonché gli uomini che siamo.”
 
A quel punto si era fermato un istante, tra lui e l’uomo che gli sedeva innanzi lo spettro della richiesta che avrebbe avanzato. Sbarbato di fresco, col viso ancora provato dalla sofferenza, Killian aveva puntato lo sguardo sul suo sovrano e ne aveva scandagliato l’animo fino a comprendere che l’avidità che gli leggeva negli occhi era indicativa del fatto che questi non avrebbe accettato di buon grado che il suo patrimonio andasse diminuito, non importava quanto valore avessero dimostrato gli uomini che aveva innanzi. Ma Killian era stato risoluto a vincere quella battaglia, per Liam.
 
“Vi siamo infinitamente grati per la generosità di cui ci avete reso destinatari privilegiati nelle settimane successive al nostro ritorno: non avremmo potuto aspettarci un’accoglienza migliore, dopo tutto quello che abbiamo passato negli anni lontani da Thrain.” Le sue parole erano state calcolate con estrema ponderazione e, dall’espressione corrucciata del sovrano, Killian seppe che l’altro aveva capito cosa stesse tentando di fare. “Quando ci avete detto di chiedere qualsiasi cosa di cui avessimo bisogno, noi eravamo troppo sconvolti e desiderosi di pace per poter trovare una risposta. Adesso, abbiamo trovato ciò che i nostri cuori desiderano ardentemente: fare un’offerta per acquistare quella che un tempo solevamo chiamare casa e trovare, finalmente, forse, un po’ di pace nel nostro cuore.”
 
Le trattative non erano durate a lungo e non erano neppure state delle trattative, a dirla tutta. Dopo aver ascoltato la proposta di Killian, il sovrano aveva scambiato una rapida occhiata col suo rappresentante legale. Infine, si era lasciato andare ad una grassa risata, apparentemente divertito. Benché nei suoi occhi brillasse l’ombra del disappunto, aveva rassicurato Killian e Liam sulla loro sorte, affermando di aver già disposto le carte necessarie per la donazione in loro favore come ricompensa per gli sforzi che avevano affrontato e la devozione dimostrata. La verità era che non esistevano alternative possibili da vagliare: se si fosse sparsa la voce che l’unica richiesta avanzata da quei due poveri diavoli scampati alla morte per un soffio era stata rifiutata, il malcontento si sarebbe esteso a macchia d’olio tutto intorno al sovrano, fino a lasciarlo annegare nel sospetto di possibili ritorsioni. Un uomo nella sua posizione non poteva perdere la fiducia e la stima degli uomini che avevano il compito di proteggerlo dai pericoli connessi al suo rango, non quando tutti sapevano come Killian si fosse lanciato all’inseguimento del manipolo di pirati che aveva tentato di sottrarre i gioielli della corona e, a causa di ciò, era finito prigioniero.
 
Con un misto di soddisfazione e insofferenza, Killian attraversò i giardini frontali della loro casa con lo sguardo e sorrise, mentre il sole gli scaldava la pelle del viso e le risate di un bambino riempivano l’aria. I suoi occhi incrociarono quelli della cognata, che lo salutò affettuosamente con un morbido movimento del braccio, prima di tornare ad inseguire il piccolo di un anno e poco più che zampettava buffamente qua e là. Olivia era la cosa migliore che fosse mai capitata nella loro vita e, soprattutto, in quella di Liam. Gli aveva restituito l’equilibrio e la serenità di cui il fratello maggiore era sempre stato tanto prodigo, al punto da perdere completamente l’orientamento quando questi gli erano stati portati via. E, benché le cose si fossero evolute con rapidità sconcertante, Killian aveva benedetto la loro unione sin dal primo momento.
 
«E’ una gran bella giornata!»
 
La voce di Liam lo destò dalle riflessioni che lo avevano occupato fino a quel momento. Con la coda dell’occhio, Killian ne scrutò il bel profilo e si rallegrò quando i risultati della sua ricerca parvero vani: non c’era segno di turbamento in lui. Se possibile, con l’arrivo di sua moglie e del piccolo Theodore, il suo animo si era rinvigorito di una pace che non aveva posseduto nemmeno in gioventù. Killian lo invidiava di una gelosia buona: invidiava il fatto che avesse ritrovato la strada verso se stesso, che avesse trovato il posto in cui stare e la forza per buttarsi alle spalle il passato per lasciare spazio solo al presente. Lui, invece, non era stato altrettanto capace.
 
«C’è una cosa che devo dirti, Killian,» esordì Liam, volgendo lo sguardo all’indirizzo del fratello minore per vedersi restituire un’occhiata dubbiosa. Un’ombra leggera era calata sul viso di Liam e, nel vederlo esitare, Killian si chiese se, forse, non fosse poi così lontano il ricordo di ciò che avevano affrontato. «Ha a che vedere con Olivia.»
 
«Di che si tratta?»
 
A quel punto, Liam tacque e rimase taciturno per un tempo lunghissimo, durante il quale il fratello minore non seppe indovinare la ragione dei suoi indugi per quanto si sforzasse di trovarne una. Non c’era nulla che non andasse nella donna che era solito chiamare cognata ed era fermamente convinto che, se anche si fosse scoperto che aveva un passato torbido alle spalle, nulla avrebbe potuto cambiare la stima e la fiducia che nutriva per lei e per ciò che era stata in grado di costruire da che era entrata a far parte del loro nucleo familiare. Era curioso, si disse mentre attendeva la comunicazione del fratello, che Liam tentennasse in maniera tanto vigorosa, vigorosa al punto da ponderare le sue parole come se temesse la sua reazione.
 
Per quanto legittimi fossero i dubbi di Killian, che conosceva il fratello come e forse meglio dell’anima sua, però, non avrebbe giudicato la situazione con altrettanta leggerezza se avesse saputo ciò di cui Liam era oramai a conoscenza. Il più grande dei due distolse l’attenzione da quegli occhi, così simili ai suoi, che lo imploravano di mettere fine a quel silenzio e si volse in direzione del giardino quel tanto che bastava ad accogliere con letizia l’alito di vento fresco che passò vicino a loro, giovevole.
 
Risalivano a poche notti prima gli eventi di cui Liam desiderava disperatamente disquisire col fratello, quando la moglie si era decisa a far cadere definitivamente l’ultimo velo d’ombra che esisteva tra di loro. In un accesso di sincerità, dettato dalla stanchezza per avere a lungo taciuto, dal senso di colpa o, più probabilmente, dal lindore innato di cui brillava il suo animo, Olivia gli aveva confessato di essere stata legata a lui non solo dalle trame metafisiche del fato, bensì anche dalla mano e dal volere terreno di una donna che mai più Liam avrebbe voluto sentire nominare; la stessa che tormentava ancora i suoi sogni e faceva vacillare la consapevolezza che aveva di sé tutte le volte che rimirava il suo riflesso nello specchio. Emma Swan, la donna pirata che aveva irrimediabilmente cambiato la sua vita, era l’unica che avesse reso possibile tutto ciò che aveva di più bello e caro al mondo. Proprio lei, che avrebbe voluto odiare e cancellare per sempre dai suoi ricordi, aleggiava ancora ai margini della sua esistenza come un fantasma troppo mordace per essere scacciato via a suon di suppliche. Com’era possibile?
 
Olivia gli aveva descritto nel dettaglio l’intreccio che legava le loro vite in maniera tanto stretta, rendendolo partecipe di una porzione del suo passato che, fino a quel momento, ella aveva preferito tacere. Ingenuamente, Liam aveva sempre pensato che quelle memorie nascondessero troppo dolore per essere anche soltanto pronunciate a voce alta e, altrettanto scioccamente, non aveva mai forzato la mano, risoluto che presto o tardi, quando fosse stata pronta, sarebbe stata lei stessa a venire da lui per eliminare anche quell’ultimo segreto. Mai avrebbe potuto immaginare che buona parte di ciò che non conosceva potesse avere sembianze per lui tanto familiari e, al contempo, dolorosamente estranee. Le due si erano conosciute, stando al racconto della moglie, sulla via per Telos: Olivia e la sua famiglia avevano accolto Emma per fornirle l’aiuto di cui aveva abbisognato senza chiedere nulla in cambio. Com’era tipico del pirata, si era fatta strada nei loro cuori, finché non avevano finito per rimanere stregati dal mistero e, insieme, dalla rude schiettezza che emanavano da lei, impossibilitati a negarle alcunché. La amavano come se fosse di famiglia, gli aveva detto Olivia. E poco importava che una parte di loro fosse sempre stata consapevole di non aver avuto accesso alla versione più completa di tutta la storia, poiché di Emma avevano intravisto l’essenza e, da persone semplici quali erano, tanto era bastato.
 
I loro sentieri si erano separati bruscamente, quando – e qui Olivia aveva fatto una pausa a metà tra l’imbarazzato e il sollevato – suo fratello Killian era piombato in casa loro. Killian?!, aveva chiesto con fare sgomento Liam solo per sentirsi rispondere che, sì, era proprio di lui, il bel tenente dalla mascella squadrata e il portamento combattivo, che stava parlando. Era stato un incontro fugace, così breve e superficiale che Olivia non faticava a comprendere per quale ragione egli non l’avesse immediatamente riconosciuta quando si era presentata alla loro porta poco più di un anno prima. Al tempo in cui i loro destini si erano brevemente sfiorati, Killian aveva avuto priorità diverse e di gran lunga superiori per prestare attenzione al volto di quella giovane di famiglia assai modesta; a quei tempi, Killian non aveva avuto altro interesse che trovare Emma affinché lo conducesse da Liam, desideroso di conoscere i dettagli di una storia che il pirata gli aveva negato quando aveva deciso di drogarlo e lasciarlo indietro.
 
Olivia aveva rivisto Emma solo parecchi mesi dopo il loro ultimo incontro e la Provvidenza aveva dovuto averla a cuore per mettere proprio il pirata sulla sua strada. Unica superstite di una famiglia spezzata dalla polmonite, la giovane non aveva più avuto un tetto sulla testa, né un posto dove andare e il suo futuro le era parso tanto oscuro che, benché se ne vergognasse, aveva pensato più d’una volta di farla finita. Poi, era arrivata Emma, l’aveva presa con sé e, insieme alla sua ciurma di matti, l’aveva portata in salvo. Infine, l’aveva condotta a Thrain e l’aveva indirizzata verso i fratelli Jones, presso i quali aveva trovato molto di più che il semplice aiuto che si era aspettata. Aveva trovato l’amore, una famiglia e, soprattutto, una nuova versione di sé. Il resto era storia.
 
La reazione di Liam aveva tardato ad arrivare, o, meglio, si era palesata nelle forme di un silenzio impenetrabile. Mille riserve, mille domande e altrettante risposte gli erano passate per la mente nei tre giorni di mutismo che erano seguiti a quel racconto. Una mattina, alfine, si era risolto a parlare con Olivia per dirle che non importava come fosse arrivata a lui, purché l’avesse al suo fianco e, con lei, il loro bambino; e, per la prima volta da anni, era riuscito a lasciare andare la rabbia e la frustrazione alle quali si era così disperatamente aggrappato dal suo ritorno a Thrain. Finalmente, era riuscito a lasciar andare Emma, sciogliendo, così, la presa che ella aveva esercitato su di lui incessantemente. L’ultimo barlume di preoccupazione che lo tormentava ancora aveva a che vedere con suo fratello: benché non ne avessero parlato apertamente, Liam conosceva Killian tanto intimamente da poter dire che l’altro non fosse ancora felice, prigioniero delle conseguenze di ciò che era stato. In cuor suo, sapeva che i sentimenti del fratello per la donna che egli aveva amato a sua volta fossero ancora lì, profondamente radicati nel suo cuore al punto da impedirgli di scacciarla dai suoi pensieri. Poteva leggerglielo negli occhi ogni qualvolta una giovane si approcciava a lui e, nel confronto con l’immagine di donna che ancora conservava nella mente, Killian non riusciva a ricambiare le attenzioni altrui. Era ostaggio di se stesso e dei suoi desideri, di ciò cui segretamente anelava ma non si era ancora concesso di volere davvero, poiché le implicazioni di quella scelta sarebbero state molteplici e difficili a modo loro: accettare ciò che il suo istinto gli suggeriva avrebbe significato ammettere che Emma lo avesse cambiato più a fondo di quanto non avessero pensato all’inizio, cambiato al punto da doversi reinventare e trovare nuovamente il suo posto nel mondo. Alla luce di tutto ciò, Liam si chiedeva quale giovamento avrebbe potuto trarre l’altro dal suo racconto, benché detestasse mentirgli.
 
Tornando a concentrare la propria attenzione sul viso del fratello, ne scrutò i tratti e ne scandagliò le profondità dello sguardo per scoprire che, sì, quella nube d’oscurità era ancora dove l’aveva lasciata l’ultima volta. D’un tratto, il proposito di confessargli tutto parve mutare e, con esso, la modulazione dei suoi lineamenti. L’espressione del suo volto si distese, mentre prendeva la sua decisione: non era ancora giunto il momento di parlargliene.
 
«Non so come dirtelo,» tergiversò, «ma ha intenzione di presentarti una delle sue più care amiche.»
 
Killian lo studiò brevemente, consapevole che ci fosse molto più di quello ma ben lontano dal comprendere la verità. Infine, gli rese un’espressione a metà tra il divertito e l’esasperato. «Sembra l’occupazione preferita di tua moglie da quando ha fatto il suo ingresso in società. Non ti pare il caso di distoglierla?»
 
Liam rise brevemente. «In sua discolpa, mi sento di dire che non è tutta farina del suo sacco. Temo che buona parte di quelle donne si sia avvicinata ad Olivia nella speranza di arrivare a te.» Stava dicendo la verità, ma lo fece con un tono di scherno che gli costò un colpo alle costole. «Peccato che abbiano messo gli occhi su uno scapolo incallito! Non hai ancora pensato di sistemarti, vero?»
 
«No, non ci ho mai pensato,» rispose d’impulso, ma l’ultima parola fu seguita da un sospiro ricco di implicazioni. C’era stato un momento in cui aveva desiderato essere parte di qualcosa di più e con un’intensità tale da far male ancora adesso, poiché aveva l’impressione di essersi lasciato sfuggire un’occasione. Scacciò via quel pensiero rapidamente com’era venuto. «Sai che non sono proprio il tipo da una donna sola,» disse, tornando a guardare il fratello, ed entrambi percepirono la falsità nelle sue parole. «Ma devo ammettere che quella Rosalinda non è niente male.»
 
«Chi non è niente male?» fece la voce di Olivia, il viso arrossato dall’attività fisica, Theodore tra le braccia.
 
«Eccolo qua, il mio ometto,» esordì Killian, gli occhi illuminati da una luce tutta nuova, mentre il bambino si sporgeva verso di lui affinché lo prendesse. Non se lo fece ripetere due volte! «Andiamo,» disse, spingendo il piccolo in aria quel tanto che bastava a provocarne il riso. «Lo zio ti porta a fare un giro a cavallo.»
 
L’urletto di approvazione che riprodusse Theodore allarmò Olivia. «Killian, sta’ attento,» gli urlò dietro, mentre questi scendeva le scale muovendo la mano al suo indirizzo come per tranquillizzarla. La giovane portò lo sguardo sul marito, prima di alzarsi sulle punte e lasciargli un bacio sulla guancia. Liam sorrise. «Di chi stavate parlando?»
 
Gli occhi di Liam stavano seguendo ancora la sagoma del fratello che attraversava il giardino con in braccio suo figlio, quando rispose alla domanda della moglie. «Di Rosalinda. Pare che abbia attirato l’attenzione di Killian,» fece, ma si affrettò ad aggiungere: «Non farti troppe aspettative, Olivia. Sai com’è mio fratello!» Finalmente, si volse a guardarla, convinto di trovare sui lineamenti della giovane l’entusiasmo che una notizia del genere avrebbe destato in altre circostanze, ma si sorprese nel trovarla pensierosa. «Da dove viene tutta questa pacatezza?» si prese gioco di lei.
 
«Io credo che il cuore di tuo fratello sia già preso, amore mio,» sentenziò con lucida convinzione e lo sorprese. «Gli hai detto nulla della nostra conversazione?» domandò con una punta di tensione nella voce e annuì, quando Liam fece segno di no con il capo. «Ne sono contenta,» disse, «perché vorrei essere io a parlargliene.»
 
Liam non avrebbe potuto essere più sorpreso. «Tu?!» fece, scostandosi da lei per guardarla meglio in volto. «Perché mai?»
 
Lo sguardo che Olivia gli rivolse fu penetrante e parve scandagliare i più profondi recessi della sua anima, senza lasciargli via di scampo. «Ci sono cose di cui tu e tuo fratello non riuscite a parlare, alcune delle quali non discuterete mai probabilmente perché fa troppo male per entrambi. Emma è uno di quegli argomenti.»
 
Quel nome gli provocò uno spasmo di dolore. «Se solo sapessi quello che ci ha fatto, amore mio…»
 
«Ma io so!» Per l’ennesima volta in pochi giorni, Olivia lo sgomentò al punto da togliergli le parole di bocca. Ella lo guardò con un sorriso indulgente, carezzandogli il viso con infinita tenerezza. «Durante il viaggio verso Thrain, mi ha raccontato tutto: tutto quello che ha passato, tutto quello che vi ha costretti a sopportare, tutto quello che di terribile c’era da sapere… Beh, lo so!»
 
«Perdonami! Non avevo pensato foste tanto amiche dal racconto che mi avevi fatto l’altra sera.»
 
Ella sorrise con condiscendenza, ancora una volta. «Non lo ha fatto per amicizia, ma per prepararmi all’incontro con voi due. Credo che immaginasse il vostro stato e non voleva che mi approcciassi nel modo sbagliato. Diciamo che mi ha evitato l’imbarazzo di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.» La vena all’altezza del collo di Liam prese a gonfiarsi in un chiaro segno di alterazione. Allora, Olivia gli prese la mano e se la portò al petto, chinando il capo quel tanto che bastava a posare un bacio lieve sulle nocche di lui. «Non odiarla, ti prego,» fece in tono supplichevole. «Hai visto anche tu che c’è del buono in lei e avevi ragione: in un percorso costellato di sangue e brutture, ha fatto anche del bene. Ha fatto sì che tu e Killian vi ritrovaste, mi ha salvata da morte certa, ha fatto sì che ci incontrassimo. So che-»
 
«Non la odio,» la interruppe, sospirando amaramente. «Ed è per questo che la detesto di più. Nonostante tutto quello che ci ha fatto, non riesco ad odiarla, non riesco a non volere il suo bene e quello di Henry.»
 
Olivia sorrise all’indirizzo dell’uomo che amava anche per la sua infinita bontà: aveva compreso già da un pezzo che Liam doveva aver amato Emma nel tempo in cui era stato a bordo della sua nave, ma non provava alcuna gelosia a riguardo, poiché sapeva con certezza assoluta che l’uomo che aveva sposato non avrebbe mai potuto capire e, dunque, amare davvero Emma per ciò che era; tanto da rendere il loro un amore solo per metà, in quanto abbisognava di uno sforzo per completarsi e finiva comunque per rimanere imperfetto.
 
«Credo che Killian dovrebbe andare da lei,» disse infine, ma Liam scosse il capo.
 
«Ha già provocato abbastanza dolore alla nostra famiglia,» fece, risoluto, e, quando tornò a guardarla, Olivia seppe che avesse preso già la sua decisione. «Dobbiamo fare in modo che incontri Rosalinda e lasciare che si conoscano.»
 
Olivia osservò con fare intento il marito per una manciata di istanti e, quando si risolse a parlare, lo fece con tono battuto ma non ancora sconfitto. «Come desideri!»
 
*  
«Ci guardano tutti!»
 
La voce proveniva dalla donna che Killian portava sotto braccio e, sbirciandone l’espressione entusiasta, l’uomo rise debolmente. Con passo ponderato, attraversarono il salone gremito di gente, salutando con un cenno ossequioso del capo ora quello ora quell’altro dei rispettivi conoscenti, e si fecero largo tra la folla. Non erano di certo la coppia più eminente presente in sala e, tuttavia, erano in grado di destare attenzione più di tutte le altre poiché rappresentavano una novità. Non vi era un solo uomo o donna che non si fosse sentito sgomentato nell’apprendere la notizia del fidanzamento tra il neo eletto capitano Killian Jones e la figlia di uno dei più illustri commercianti di Thrain, Gonzalo Bravo. Rosalinda era un fiore in boccio dai colori tipicamente latini: pelle olivastra, occhi e capelli scuri, labbra carnose, aveva da poco compiuto ventuno anni, raggiungendo, così, l’età più propizia per un matrimonio vantaggioso sia per sé che per la famiglia. Killian, dal canto suo, rimaneva uno degli scapoli più ambiti della città e, pur con i suoi trentatré anni, nessuno aveva dubitato della fortuna di Rosalinda quando, dopo mesi di frequentazione, lui aveva deciso di impegnare la sua parola e chiederle la mano. Li separavano più di dieci anni, ma era soltanto un dato anagrafico: in realtà, non esisteva giovane donna che riuscisse a sortire un effetto tanto potente su di lui.
 
«Invidiano la mia fortuna,» le disse con tono lusinghiero, ma Rosalinda era più furba di così e captò la nota ironica nella sua voce. Per questo, gli lanciò un’occhiata di rimprovero, sebbene non ci fosse risentimento sul suo bel viso: in verità, amava quell’aspetto di Killian. «Sarò costretto a vigilare come un cane da guardia per impedire che qualcuno ti sottragga al mio braccio.»
 
«Non vorrai mica tenermi al guinzaglio tutta la sera!»
 
«Non credo sarebbe possibile, nemmeno se lo volessi,» rispose e lo fece usando le parole giuste. Rosalinda era stata cresciuta da un padre amorevole che non le aveva mai negato nulla e da una madre forte che le aveva insegnato a non sottomettersi mai a nessuno. Da questo connubio, era venuto fuori il carattere tenace e, insieme, gentile della donna che Killian aveva scelto di sposare.  «Ma sappi che ti terrò d’occhio!»
 
Ella gli diede un lieve buffetto sul dorso della mano, mentre si accostavano ad una coppia di amici. Erano entrambi due individui dalla forte personalità e la rete delle loro amicizie – più o meno forti che fossero – si estendeva in maniera piuttosto vasta. Rosalinda aveva spesso riflettuto sul numero di invitati che sarebbero stati presenti ai loro ricevimenti, quando si fossero trasferiti nella casa che Killian aveva progettato di prendere perché vi si trasferissero dopo la celebrazione del matrimonio, e l’idea di tutta quella confusione l’aveva rallegrata e fatta sorridere in anticipo; ma c’erano anche altri pensieri che avevano più frequentemente occupato le sue fantasie, facendola arrossire violentemente quando si spingeva più in là del dovuto. Amava con sincerità e devozione l’uomo che aveva scelto per condividere la sua vita ed era stata una sorpresa per lei che, di pretendenti, ne aveva respinti più di quanto la sua famiglia potesse permettersi. I suoi genitori, tuttavia, non gliel’avevano mai fatto pesare, anzi erano parsi al contempo fieri e sollevati quando si era dimostrata perentoria nel rigettare la prospettiva di maritare qualcuno soltanto per la sua posizione sociale: un’unione vantaggiosa avrebbe certamente reso più facoltoso il nome della loro famiglia e contribuito alla solidità economica del loro nucleo, ma il padre l’amava troppo per lasciarla andare tanto presto e la madre era orgogliosa di aver cresciuto una figlia sì decisa da sapere cosa fosse meglio per lei. Quando Killian era giunto nelle loro vite, dunque, con la sua schietta bellezza e il suo fare onesto, non c’erano state obiezioni ed era parso a tutti loro che il tempo e la pazienza li avessero ricambiati, poiché la famiglia Jones godeva di grande rispetto e le loro finanze, benché in fase di assestamento, si sarebbero risollevate rapidamente, anche col loro aiuto se questo si fosse reso necessario.
 
Trascorsero una serata piacevole come molte altre ve ne erano già state, entrambi raggianti nella novità della loro condizione e nella gioventù che emanava dai loro volti. Danzarono, chiacchierarono, bevvero e discussero perfino d’affari, dando l’impressione di essere una coppia molto promettente e ben assortita. Rosalinda conosceva il meccanismo degli affari, poiché vi era stata abituata per una vita intera, e Killian sapeva come trattare a seconda delle persone che aveva innanzi, intuendone le debolezze e i punti di forza e sapendo gestire la conversazione per compiacere ciascuno di loro e fare, al contempo, il suo interesse. Erano un ingranaggio perfettamente assemblato ed egregiamente funzionante. Quando si erano conosciuti per intercessione di Olivia, nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginarlo, men che meno sperarlo, anche perché Rosalinda era parsa del tutto immune alle attenzioni di Killian all’inizio. La verità – che gli aveva rivelato solo molto tempo dopo – era che la sua condotta distante e altezzosa era stata solo un modo per nascondere il nervosismo che provava in presenza dell’uomo. Che proprio quel suo modo di fare avesse finito per essere un’arma centrale per incatenarne l’interesse era stato solo un caso!
 
«Sono molto felice,» gli rivelò lei con candore, un attimo in cui ebbero il tempo di appartarsi nel salone senza nessuno ad interromperli. A poca distanza dal punto in cui si trovavano, stava solo un gruppo di uomini della marina, compagni di Killian, del tutto assorbiti dalla loro conversazione. Non stavano prestando alcuna attenzione a loro due. «Tu lo sei?» Killian si chinò per baciarla sulle labbra, indugiando su di esse quel tanto che bastava a farla fremere tra le sue braccia. Poi, si fece indietro e sorrise compiaciuto. «Non è una risposta, ne sei cosciente?»
 
«Sì,» fece lui con un sospiro che Rosalinda non seppe interpretare, «sono felice.»
 
«Sai, stavo pensando» disse lei, mentre la mano di Killian le carezzava il fianco con fare lascivo ma senza dare troppo nell’occhio, «che mi piacerebbe chiamare il nostro primo figlio Henry. Dargli il nome di mio padre sarebbe-»
 
Le parole le morirono in gola, quando alzò gli occhi per scrutare l’espressione dell’uomo che amava: era sbiancato e i suoi occhi si erano velati di un sentimento tenebroso del quale lei non sapeva nulla. Una prima ondata di imbarazzo la colpì con violenza, imporporandole le guance del rosso della vergogna per aver tirato fuori un argomento pieno di tante implicazioni; poi, subentrò la curiosità e con essa il desiderio di comprendere il perché di una simile reazione. Possibile che giudicasse la sua proposta irrispettosa delle tradizioni? No, non aveva alcun senso conoscendolo. Che si fosse dimostrata troppo precipitosa a tirare fuori un argomento tanto impegnativo, considerato il fatto che non fossero ancora sposati? L’idea di essere risultata inappropriata la fece arrossire ancora e più intensamente, ma Rosalinda era una donna fin troppo sicura di sé per lasciare che uno scivolone pregiudicasse del tutto l’andamento della serata. Ricomponendosi, gli sorrise con una noncuranza rovinata solo dal colorito acceso delle gote.
 
«Lascia perdere! Sono i deliri di una sciocca che ha bevuto qualche sorso di vino di troppo,» si giustificò con tono rassicurante, ma l’espressione rimase immutata sul volto dell’altro. «Vado a rinfrescarmi un attimo. Torno subito!» Lo baciò brevemente prima di andarsene.
 
Killian non si mosse di un solo passo. Una parte di lui era in collera per il suo comportamento, poiché sapeva di aver mortificato Rosalinda con la sua reazione e, ancora peggio, col suo silenzio; ma l’altra parte era rimasta congestionata dalle mille implicazioni che le parole di lei avevano avuto alle sue orecchie. Si era illuso di aver relegato buona parte di ciò che più lo tormentava in una porzione ben lontana della sua mente, ma evidentemente non era così se la pronuncia di un nome – peraltro estremamente comune – poteva suscitare in lui sentimenti tanto intensi. Non se l’era aspettato, si disse, tutto qui.
 
«Sembra che abbiate bisogno di un sorso, capitano,» fece una voce a poca distanza da lui, prima che Finnick, uno dei suoi soldati, si facesse avanti, porgendogli un bicchiere. Killian lo prese senza pensarci e bevve avidamente. «Le donne hanno questo incredibile potere di farti contorcere le budella da un momento all’altro,» commentò col suo solito modo di fare colorito e gli strappò un sorriso.
 
«Come procede la serata, Finnick?» gli chiese, ritrovando parte della compostezza perduta. «Novità interessanti da riferirmi?» Inaspettatamente, l’espressione dell’altro si fece tetra, dando l’impressione di essere a disagio. «Che succede, Finnick?» lo incalzò, impaziente.
 
Il giovane si guardò intorno, impacciato. «Credo sia meglio che lo sappiate da me, che non da altra fonte,» esordì, tirandola per le lunghe più di quanto fosse necessario. Killian lo guardò con insofferenza, la fronte aggrottata come accadeva tutte le volte che si preparava ad incassare un colpo: era un’espressione che Finnick gli aveva visto assumere in più occasioni, stando al suo comando. Raccogliendo tutto il coraggio che aveva in corpo, si decise a parlare, infine: «Pare sia stata avvistata la Nostos.»
 
La sorte sapeva mostrare un’ironia sardonica alle volte. «Quando?»
 
«Circa un mese fa. Erano quattro anni che non se ne avevano notizie e tutti, pirati compresi, pensavano che fosse affondata nel corso di una tempesta e il diavolo si fosse portato quelle anime dannate in fondo al mare. Ma, come si suol dire, l’erba cattiva non muore mai!»
 
«Dove?»
 
«Al largo, molto lontano dalla costa,» disse, bevendo dal bicchiere che aveva in mano fino a svuotarlo. «Pare sia stata la ciurma di Barbanera ad incrociarne la rotta e la sorpresa è stata tale che la notizia si è dispersa a macchia d’olio, quantomeno tra i pirati. C’è voluto un po’ di più prima che la voce arrivasse a qualcuno dei nostri!»
 
Killian inspirò, indeciso sulle domande da porre. Finnick poteva scambiare la sua tensione come fosse dettata dal ricordo degli orrori che si supponeva lui e Liam avessero subito negli anni a bordo della Nostos, ma Killian non avrebbe potuto mentire a se stesso con altrettanta facilità. Erano plurime e contrastanti le ragioni che muovevano la sua curiosità, al punto che spesso essa assumeva le sembianze dell’apprensione. Ma a chi era rivolto quel sentimento? A Liam e alle conseguenze che una notizia del genere avrebbe avuto su di lui, a Henry, a Emma, o a se stesso?
 
Togliendolo dall’imbarazzo di chiedere, Finnick parlò ancora: «E’ vivo,» disse, «Capitan Swan è vivo.»
 
*
 
Killian si appoggiò al parapetto del balcone che dava sul giardino come se reggersi sulle gambe gli costasse uno sforzo immane, lo sguardo in basso ad osservare un punto imprecisato tra la balaustra e l’acciottolato al di là di essa. Non era possibile!
 
«Mi dispiace, Killian!» La voce di Olivia parve arrivare da molto lontano, mentre gli posava timidamente una mano sulla spalla con fare consolatorio. «Non avrei mai voluto mentirvi, ma Emma mi ha fatto promettere-»
 
«Ma certo che ti ha fatto promettere!» sbottò a voce fin troppo alta, tanto che alcuni degli invitati più prossimi alla porta-finestra che dava sul balcone ove si trovavano lui e Olivia si voltarono per capire cosa stesse succedendo. «Perdonami,» si scusò e la cognata gli sorrise.
 
«Non ho nulla da perdonarti. E’ una reazione piuttosto comune perdere le staffe quando c’è lei di mezzo,» fece e Killian, suo malgrado, dovette annuire. Dopo una lunga pausa, proseguì: «Come stai?»
 
Una risata seguì quelle parole, breve ma densa di significato. Olivia vi lesse esasperazione, frustrazione, confusione, forse perfino una punta di delusione ed erano tutti sentimenti che Killian indirizzava a se stesso e a nessun altro. In quei quattro anni, non aveva fatto altro che preoccuparsi per il benessere del fratello solo per potersi concedere il lusso di evitare i problemi che lo interessavano in prima persona; ad un certo punto, aveva messo in pausa tutto ciò che lo riguardava e solo l’arrivo di Rosalinda era riuscito a muovere gli ingranaggi giusti perché il meccanismo della sua vita tornasse a funzionare. Doveva essere devastante realizzare che, dopo tanti sforzi, fosse bastato un istante per ripiombare nel caos che si era tanto affannato a riordinare. Tutto quello stoicismo solo per rendersi conto che non era in grado di rispondere alla domanda che sua cognata gli aveva posto.
 
«Tuo fratello non vorrebbe che te lo dicessi, ma credo che tu debba partire,» confessò e lo fece con la stessa schiettezza che gli aveva sempre usato. Era una delle caratteristiche che più apprezzava in lei, probabilmente poiché era un tratto a lui familiare. «Voglio che tu sia felice con tutto il mio cuore, Killian, e mi addolora l’idea di saperti lontano da noi, ma mi provoca più sofferenza il pensiero di vederti vivere una vita a metà.»
 
«Che mi dici di Rosalinda?»
 
La domanda la colse di sorpresa, benché avesse considerato anche quell’aspetto della questione. «Mi è molto cara,» rispose e Killian si scostò dalla balaustra in pietra per poterla osservare, «ma tu sei la mia famiglia e, se fossi costretta a scegliere, preferirei la tua felicità alla sua.» La franchezza con cui ebbe a parlargli fu toccante. Olivia era una donna decisa e affettuosa e lo commosse sapere che avesse preso le sue parti prima ancora che si scatenasse l’inferno, sempre che avesse deciso di ascoltarne i consigli. «Sono disposta anche a mettermi contro tuo fratello.»
 
«Ma partire per fare cosa? Per andare dove, poi?»
 
«Non vuoi delle risposte, Killian?» gli chiese, muovendo due passi in sua direzione e squadrandolo con cipiglio serio. «E non credi che lei sia l’unica a potertele dare?» Un pensiero fugace parve attraversarle la mente, cambiando il flusso delle sue considerazioni. Killian non dovette chiedere, poiché Olivia ebbe ad esporglielo poco dopo: «Sono convinta che sarai tu stesso a trovare le risposte di cui hai bisogno,» si corresse, «ma sono anche convinta che dovresti incontrarla.»
 
«Non sono innamorato di lei, se è questo che stai insinuando.»
 
Killian era un uomo testardo e orgoglioso, Olivia lo sapeva bene, così modificò la risposta che avrebbe voluto dargli nell’unica che l’altro avrebbe mai accettato. «Ma potresti esserlo,» insinuò, beccandosi in tutta risposta un’occhiata torva. «Oppure no, chi può dirlo. Ma non preferiresti scoprirlo?»
 
«E io dovrei lasciare tutto, compresa la donna che ho deciso di sposare, e partire alla volta di una ricerca che potrebbe non portare a nulla solo per ottenere delle risposte?»
 
«Solo?» La stava esasperando. «Perdio, Killian, sei più intelligente di così! Vorresti farmi credere che il dubbio non ti ucciderebbe? E’ bastato il nome di Henry per provocarti un mezzo svenimento, dannazione.» Killian la guardò con sgomento, mentre lei inspirava per ritrovare la sua compostezza e si avvicinava a lui; poggiò entrambe le mani sulle spalle dell’uomo che aveva di fronte e gli sorrise, condiscendente. «Non sei felice. Puoi fingere con te stesso, ma non ho intenzione di continuare con questa farsa. E non parlo solo della tua vita sentimentale. Tu non sei felice qui, a Thrain. Non sei felice di quello che fai, di quello che sei diventato. Non lo sei e basta.»
 
Killian si chiese quando Olivia avesse scoperto tutte quelle cose sul suo conto e dove avesse trovato la sicurezza per parlargli in quel modo. Nel guardarla, le immagini del loro primo incontro tornarono alla sua mente con una vividezza tale che si chiese come avesse potuto non riconoscerla per tanto tempo. Aveva sempre pensato che il volto di lei gli fosse familiare in una strana maniera che non si era mai riuscito a spiegare, ma aveva imputato quella sensazione allo stordimento di cui era stato vittima: nei primi tempi del loro ritorno a Thrain, ogni cosa gli aveva ricordato le avventure a bordo della Nostos: il volto di un venditore di chincaglierie, il cigolio dell’insegna di una locanda, la voce di un cantore, perfino i giardini di casa sua erano parsi rassomiglianti a quelli di Casa Lively. E quei continui accostamenti erano stati così fiaccanti per il suo equilibro che, ad un certo punto, aveva dovuto ricacciare tutto indietro e respingere al mittente ogni rimando che la sua mente avesse fatto. Ecco perché non aveva indagato ancora su Olivia! Era già sufficientemente doloroso sentirsi costantemente tormentato dal fantasma di Emma, che vedeva ovunque, per trasferire quell’insania su un’altra persona innocente e tormentare anche lei.
 
«E’ solo difficile aggiustarsi ad una realtà che è rimasta identica al passato, quando tu sei tanto cambiato. Richiede tempo,» la rassicurò, o, forse, lo fece più per consolare se stesso.
 
«O forse no,» fece lei, imperterrita. «Forse, devi solo smetterla di trovare scuse, ascoltare l’istinto e fare ciò che ti suggerisce, per quanto folle possa sembrare. In ogni caso, potresti sempre tornare e riprendere da dove hai lasciato.»
 
Sapevano entrambi che non fosse così facile. Non tutto poteva essere messo in pausa nell’attesa che lui trovasse le risposte di cui aveva bisogno. Non poteva mettere in pausa Rosalinda, ad esempio, e chiederle di aspettare un ritorno che avrebbe potuto non verificarsi mai. Ma Olivia aveva la sua buona dose di ragione a parlargli in quei termini, poiché, allo stesso modo in cui mostrava cura e attenzione per la sorte altrui, Killian non poteva ignorare i suoi, di bisogni. Il problema era capire quali essi fossero e, laddove vi avesse trovato contrasto, quali di essi far prevalere. Di una cosa, infatti, era certo: non avrebbe mai chiesto la mano di Rosalinda se non fosse stato sicuro di poter essere felice con lei al suo fianco, se non avesse creduto possibile un futuro con lei. Rimaneva da vedere se quello fosse il suo unico desiderio o quello per il quale aveva ripiegato dopo aver rinunciato ad un’alternativa altra.
 
«Ti ringrazio,» fece e, prendendole il viso tra le mani, le baciò la fronte. «Non avrei potuto chiedere di meglio per mio fratello.»
 
Era amara la consapevolezza che Emma lo avesse previsto a sua volta.
 
«Killian?» La voce di Rosalinda pose fine a quel momento di condivisione fraterna. «Tutto bene?» chiese, turbata dalla scena.
 
Olivia si scostò da lui, sorridendo all’indirizzo dell’amica. «Certo. Perdonami per avertelo rubato tanto a lungo,» si scusò, raggiungendola per prenderle le mani con fare affettuoso e, infine, lasciandoli soli.
 
«E’ a causa di quello che ho detto prima? Mi dispiace, Killian, sono stata una-»
 
«Non è come pensi,» la interruppe. «E’ una questione di famiglia,» disse, ma, anziché fornire una giustificazione che la sollevasse, finì per ferirla.
 
Rosalinda lo guardò con espressione avvilita. «E io non ne faccio parte, non è così?»
 
“Non ancora, a voler essere precisi” avrebbe voluto risponderle, ma fu più lungimirante di così. Le sorrise con grande tenerezza, quella che a tutti gli effetti provava per lei, e le andò incontro per cingerla con le braccia e stringerla a sé. Dopo un attimo di resistenza, ella si lasciò andare contro di lui e lo abbracciò a sua volta, il viso accostato contro il suo petto. Killian non poté fare a meno di notare quanto diversa Rosalinda fosse da Emma: in tutto il tempo che erano stati insieme sulla Nostos, ricordava di averla stretta solo in un’occasione, dopo la morte di Stecco, ma non c’era stata alcuna tenerezza tra di loro, bensì la più acre devastazione. Si era spezzata tra le sue braccia sotto il peso di ciò che aveva dovuto affrontare per tutta la vita e non perché avesse fiducia in lui, piuttosto poiché Killian era stato l’unico a spingere affinché la sua recita giungesse a una fine e, quando ciò era accaduto, si era trovato sul luogo della disfatta. Occorreva una buona dose di tempo e pazienza per ottenere da Emma una dimostrazione di tenerezza e, anche in quel caso, era la fiducia che nutriva nella persona a manovrare le sue azioni. Fiducia, in Killian, non ne aveva mai avuta, non pienamente. L’aveva sempre visto come l’ostacolo che avrebbe finito per impedirle di realizzare il suo piano e, forse, non aveva avuto tutti i torti. Se non fosse stata per la sua ostinazione a fare la cosa giusta, probabilmente Stecco non sarebbe morto per mano dell’uomo che Killian era stato incaricato di finire. Si chiese se Emma gli attribuisse la responsabilità della sua perdita.
 
«A cosa stai pensando?»
 
Killian chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore nel realizzare che, ancora una volta, i suoi pensieri fossero tornati ad Emma. Era una maledizione, si disse. Bastava un istante di distrazione, la frazione di un secondo in cui abbassava le difese, e lei tornava prepotentemente a farsi spazio nelle sue riflessioni; e più la scacciava, più intensità acquistavano le sue elucubrazioni su di lei. Chinò il capo verso la donna che stringeva a sé, così fragile, aperta e, al tempo stesso, tenace e si chiese per quale ragione non riuscisse a farsela bastare, per quale ragione continuasse a notare in lei gli aspetti che più la distinguevano da Emma e a rimanerne deluso. Rosalinda gli era cara e avrebbe potuto amarla, ne era convinto, se solo Emma non fosse arrivata prima a creare un modello di paragone al cospetto del quale tutte le altre – perfino colei che lo aveva convinto a piegarsi all’istituzione del matrimonio dopo tanti anni – finivano per sfigurare. Ed era ancora più frustrante avere la consapevolezza che Rosalinda fosse di gran lunga una donna migliore di Emma, priva degli aspetti di biasimo che, invece, sapeva appartenessero all’altra. Il problema, probabilmente, era che, più del buono, Killian avesse imparato ad ammirare il cattivo tempo di Emma, poiché vi aveva scorto una tenacia, una forza ed un coraggio che sapeva di non possedere nemmeno lui. Ma era abbastanza per cancellare la riprovazione che gli provocavano le sue azioni, per consentirgli di provare per lei ciò che non si era mai concesso di provare per nessuna, soprattutto per lei?
 
«Vieni con me.»
 
La prese per mano e, senza indugiare ancora, la condusse attraverso la rampa di scale che conduceva ai giardini della tenuta. Rosalinda lo seguì senza dire una parola, lavando via con la mano libera le lacrime che non era riuscita a trattenere quando si era retta a lui. Forse aveva pensato che fosse troppo giovane e ingenua per porsi delle domande, ma ella aveva sempre sospettato che l’uomo che amava gli nascondesse qualcosa. Aleggiava tra loro come un fantasma che le impediva accesso al cuore di Killian. Non sapeva se si trattasse di un amore finito male che l’aveva segnato, di un trauma risalente al passato che non aveva ancora metabolizzato o di un evento ancora in corso di cui non aveva avuto il coraggio di parlarle. Qualunque cosa fosse, ella temeva che potesse rovinare ciò che avevano costruito.
 
Killian le fece circumnavigare la grande fontana presente in giardino, cosicché le statue da cui venivano fuori i giochi d’acqua nascondessero le loro sagome agli occhi indiscreti che si fossero avventurati sulla balconata. Quando posò lo sguardo sul viso di lei e ne notò il rossore, la sua espressione acquistò una sfumatura colpevole e, guidato dall’istinto, si fece avanti per baciarla. Prendendole il viso, infierì sulla sua bocca con una passione che non le aveva mai mostrato e, nonostante la sorpresa iniziale, Rosalinda rispose con eguale ardimento. Entrambi nutrivano la speranza che quel bacio potesse cambiare qualcosa: Killian desiderava che fosse abbastanza per scacciare dalla mente il tarlo che Olivia vi aveva posto, quella vocina che lo supplicava di partire alla ricerca del suo posto nel mondo; Rosalinda, dal canto suo, sperava di dimostrargli di essere la persona di cui aveva bisogno, quella che sarebbe rimasta al suo fianco sempre, non importava quanto male potessero mettersi le cose. La verità era che non esistevano al mondo due anime tanto compatibili quanto le loro e che sarebbero stati perfetti insieme, l’esatto connubio tra razionalità e sentimento di cui una coppia abbisognava per durare nel tempo. Sarebbero stati perfetti, ma in un’altra vita. In quella, il destino aveva già deciso che Killian non potesse amarla come lei meritava, neppure se si fosse sforzato. Quando si staccò da lei, l’uomo sentì il suo cuore andare in frantumi.
 
«Devo partire,» le disse senza troppi preamboli e le sue parole le mozzarono il fiato. «Non posso rimanere.»
 
«Hai, hai qualche problema con la giustizia?» balbettò Rosalinda, nonostante si rendesse conto dell’improbabilità della situazione che aveva descritto.
 
Lui sorrise, mentre col pollice le carezzava la pelle del viso. «No, non è questa la ragione.»
 
«E allora qual è?»
 
«Non è questo il mio posto, non più,» fece, ma si rese conto di doverle una spiegazione più accurata di così. «Gli anni lontano da Thrain mi hanno cambiato e la vita che conducevo in passato, la vita che conduco adesso non mi rendono più felice.» Lei fece per controbattere, ma Killian non le diede modo di interromperlo. «So di aver detto che ero felice quando me l’hai chiesto e non ho mentito, non a te almeno. Da quando sono tornato, non ho fatto altro che mentire, sì, ma a me stesso, nel tentativo di ignorare la voce che mi implorava di sentir ragione, e tutto questo perché-» S’interruppe quel tanto che bastava a realizzare che, ancora una volta, la ragione della sua cocciutaggine aveva a che vedere con Emma. Gli aveva promesso di cambiarlo fino portargli via tutto ciò in cui credeva, la prima sera che si era svegliato sulla Nostos, delirante a causa della febbre. «Perché non ero disposto ad ammettere che una persona avesse ragione.»
 
«Di chi si tratta? Olivia?»
 
Killian scosse il capo. «Non è importante. Ti basti sapere che aveva ragione. Non posso rimanere e fingere che la mia vita vada esattamente come desidero. Negli ultimi quattro anni, sei stata l’unico barlume di verità che io mi sia concesso.»
 
«E, allora, rimani per me!»
 
«Lo vorrei davvero, Rosa,» fece, «ma non posso farti questo. Sei una donna meravigliosa e, in un’altra vita, sono sicuro che sei anche la compagna che avrei potuto amare più della mia stessa esistenza.» Una lacrima scorse lungo il viso di lei, che, pur non riuscendo ad afferrare appieno il significato delle sue parole, riusciva a scorgere il risultato cui miravano. «Ma non in questa!»
 
«Hai detto che devi partire, che non puoi rimanere,» gli fece notare con la voce arrochita dal pianto che stentava a trattenere, «non che non potessi portarmi con te. Portami con te! Chiedimelo e verrò!»
 
Un sospiro lasciò la bocca dell’uomo. «A vivere una vita di porto in porto, senza una meta, senza una casa, a bordo di quella o quell’altra nave? Oh Rosa, ti prego, non rendere tutto più difficile di quanto non sia già. Non saresti felice, finiresti per odiarmi.»
 
«Non potrei mai odiarti, lo sai. Non io.» Lo sguardo che gli rivolse conteneva tutto il dolore che una donna del suo calibro poteva provare nel sapere di aver supplicato un uomo solo per rimanere a mani vuote, come la più sciocca e inetta del suo genere. «Forse, vuoi dire che tu finiresti per odiare me, perché non sono chi vorresti che fossi.»
 
Cominciava a capire, realizzò Killian. «Non potrei, lo sai anche tu. E’ più probabile che finirei per odiare me stesso per non essere stato in grado di lasciarti andare, pur sapendo fosse la cosa giusta da fare.»
 
Per quanto forte fosse, il dolore di un cuore spezzato era troppo da sopportare per mantenere intaccata la sua maschera di donna tenace. La pena che Killian gli stava infliggendo la travolse con la forza brutale che soltanto un attacco sferrato tanto inaspettatamente avrebbe potuto avere, e lei si sciolse in un pianto che, in tutta la sua compostezza, mostrava un’atroce sofferenza. Con la dignità tipica del suo animo, nascose il volto tra le mani e lasciò che silenti singhiozzi la scuotessero da cima a fondo. Killian fece per consolarla, ma si arrestò prima di riuscire a toccarla: non le sarebbe stato di alcun giovamento.
 
«Mi dispiace,» fu tutto ciò che riuscì a dire.
 
Passarono alcuni minuti prima che Rosalinda riuscisse a trovare la forza per fronteggiare di nuovo l’uomo che amava. Aveva gli occhi arrossati e il volto gonfio a causa del pianto, ma la sua bellezza rimaneva intatta; anzi, se possibile, aveva acquisito una sfumatura drammatica tale da accentuarne i tratti. Solo uno sciocco si sarebbe lasciato sfuggire una donna del genere, si disse Killian, e in effetti tale si riteneva.
 
«Vorrei riuscire ad odiarti per quello che mi stai facendo,» gli confessò, sulle labbra un sorriso amaro. «Prima che arrivassi tu nella mia vita, ero stata così oculata nelle mie scelte per evitare che il mio cuore finisse con l’essere spezzato ed eccomi qui, innamorata dell’unico uomo che non desidera avermi al suo fianco.» Killian fece per correggerla, ma Rosalinda non glielo concesse. «Basta! Non ho alcun bisogno di sentirmi dire quanto io sia meravigliosa e perfetta o, addirittura, l’amore della tua vita in una realtà che non esiste. Finirei per vivere di una fantasia e rifuggire la vita reale e i miei genitori mi hanno cresciuta meglio di così.»
 
Nonostante la sua giovane età, Rosalinda dimostrò la tempra di cui era fatta e Killian quasi rimpianse di aver preso quella decisione e di essere stato tanto frettoloso nel comunicarglielo. Lentamente, come se una parte di lei rimanesse ancora attaccata alla speranza che fosse uno scherzo di cattivo gusto, si tolse la catenina che portava al collo e dove aveva deciso di riporre l’anello di fidanzamento che le era stato donato. Allungandosi, prese la mano di Killian e depositò il gioiello sul suo palmo. Quando tornò a parlargli, i suoi occhi fissarono quelli dell’uomo con fermezza, benché ricolmi di lacrime non ancora versate.
 
«Sappi che non rimpiango un solo istante passato con te e che non ti odio, né lo farò mai, ma che desidero ardentemente poterlo fare,» gli disse e lo strazio che le lesse in volto lo ferì più del contenuto delle sue parole. «Ti auguro di trovare quello che stai cercando, amore mio,» fece, mentre guardava gli occhi di Killian colmarsi dello stesso dolore di cui erano compunti i suoi. Erano le battute finali di una storia che era nata e finita troppo presto e troppo dolorosamente. Una lacrima lasciò gli occhi di Rosalinda, seguita da molte altre, prima che potesse parlare ancora e per l’ultima volta. Gli sorrise teneramente, poi sussurrò: «Spero di averti reso felice nell’altra vita.»
 
Rosalinda lo osservò deglutire a fatica e, infine, sorriderle a sua volta, prima di incamminarsi lontano da lei. Ella crollò seduta sull’argine della fontana, schiacciata dalla rapidità con cui gli eventi si erano succeduti. Rivide se stessa stretta tra le braccia di Killian confessargli quanto fosse felice e le sue speranze per il futuro e si sentì così stupida che dovette chiudere gli occhi e voltare il capo da un’altra parte per scacciare quella visione. Che ingenua era stata a credere di poter imbrigliare lo scapolo più ambito della città! Ma la cosa che più la feriva era che, nell’ignorare tutti i campanelli di allarme, aveva finito per rendersi ridicola e rinnegare la persona che aveva sempre creduto di essere. Che ne era stato di quella donna?
 
«Tesoro?»
 
La voce di suo padre che la cercava fu la goccia in grado di far traboccare il vaso. Senza nemmeno aspettare che le venisse incontro, Rosalinda scoppiò in un pianto disperato che riecheggiò per i giardini a lungo, come il lamento di un animale morente. Vedendola in quello stato, la madre, che di solito era una donna ruvida e poco fisica, la raggiunse prontamente e la cinse con le braccia, fornendole il sostegno di cui aveva bisogno; secca, ordinò al marito di far preparare la carrozza per tornare presso il proprio focolare domestico.
 
«Sst, piccola mia, da brava,» sussurrò con le labbra premute contro il capo di Rosalinda, sicché ogni movimento pareva un mezzo bacio dato alla figlia. «La vita non finisce per via d’un uomo,» la rassicurò e Rosalinda si stupì della perspicacia della madre, che doveva aver intuito tutto senza che fossero necessarie spiegazioni. «Il dolore che stai provando adesso sarà già sbadito domani e, ad ogni giorno che passa, ti parrà sempre più lontano, finché, una mattina, ti sveglierai e ne sarà rimasta solo una piccola traccia come monito per ricordarti che la vita può essere generosa ma anche perentoria.» Le sue, erano le parole di una donna che aveva sofferto la sua buona parte di dolori e Rosalinda, che ne conosceva solo una porzione, fu felice di averla come madre poiché le consentiva di sperare che fosse possibile rialzarsi più forti di prima. «Andrà tutto bene, te lo prometto. Io e papà siamo qui per te e ricorda che hai ancora te stessa. E’ non perdere la persona che sei l’unica arma che ti permetterà di superare ogni ostacolo.» S’interruppe un attimo. «E io sono fiera di te!»
 
All’altro capo della dimora, in un corridoio buio e isolato della casa presso la quale si teneva il ballo, Killian strinse in mano l’anello di fidanzamento che Rosalinda gli aveva restituito. Sospirando, chiuse gli occhi un istante, il battito del suo cuore forte nelle orecchie.
 
Era da lì che doveva partire.
 
*
 
Lo scroscio delle onde e lo scricchiolio delle assi della nave erano gli unici rumori udibili, quel giorno di gennaio in cui il mattino si preparava ad albeggiare. Il cielo, ancora in preda ai fumi del sonno, era tinto di un rosa tenue che sfumava in arancione, giallo e, infine, azzurro; solo più tardi il suo colore si sarebbe uniformato per fare posto alle occupazioni della giornata, benché Killian sapesse che molti fossero intenti nelle proprie faccende da ben prima che il sole pensasse di fare capolino oltre la linea dell’orizzonte. La fresca brezza del mattino gli sferzò il viso, costringendolo ad alzare il bavero del cappotto per coprirsi meglio, eppure era piacevole poiché pareva avere la meglio sulla stanchezza. Non aveva dormito molto nell’ultima settimana, tormentato dalle immagini di ciò che aveva fatto a Rosalinda e dall’incertezza che caratterizzava il suo presente, ed era stato più difficile del previsto prendere una decisione, ma, alfine, vi era riuscito: quella mattina, era iniziato il viaggio alla ricerca di se stesso, un viaggio che aveva portato solo dolore fino a quel momento. Liam era rimasto distrutto dalla prospettiva di separarsi da lui: dopo una prima reazione collerica, quando aveva intuito che i propositi del fratello fossero più che concreti, era subentrato lo sconforto. La sua espressione si era fatta portatrice di uno smarrimento che, se non fosse stato per Olivia, sarebbe stata sufficiente per spingere Killian a desistere dai suoi propositi. Se c’era qualcosa che non sopportava, era l’idea di cagionare sofferenza alla persona che più amava al mondo.
 
Alla fine, però, ce l’aveva fatta e, prima di partire, era perfino riuscito a chiarire uno degli aspetti del loro passato sul quale lui e Liam non erano mai voluti tornare. A lungo, dopo aver scoperto la successione degli eventi che avevano visto protagonista il fratello, Killian si era questo per quale ragione Liam non gli avesse fatto avere alcuna notizia, alimentando in lui la convinzione che fosse morto e causandogli una pena che sperava di non dovere provare mai più. Liam lo aveva guardato con sgomento quando l’altro gli aveva chiesto spiegazioni, intollerabilmente stupito all’idea che il suo silenzio potesse averlo ferito in qualche modo. L’unica ragione per cui non aveva ripreso i contatti con lui risiedeva nel timore che una sua lettera potesse spingerlo a lanciarsi in una sfiancante ricerca, irta di pericoli, che lo avrebbe portato ad addentrarsi in luoghi che non conosceva e ad affrontare persone che avrebbe potuto sottovalutare, andando così incontro a morte certa; quando era riuscito a sfuggire alla prigionia di Lively, invece, il suo unico timore era che la copertura saltasse e il piano di Emma potesse essere sviato, impedendole di raggiungere suo figlio. Killian aveva annuito sommessamente, comprendendo ma non condividendo tutte le motivazioni del fratello. Se solo avesse saputo cos’aveva significato per lui l’idea di averlo perduto per sempre, forse avrebbe agito diversamente, ma probabilmente quella separazione gliene avrebbe dato una vaga idea.
 
Si erano salutati con un lungo abbraccio silenzioso, poiché tra loro non c’era bisogno di parole la maggior parte delle volte. Infine, Killian si era scostato da lui e, mascherando la commozione al meglio delle sue possibilità, lo aveva raccomandato di prendersi cura di se stesso, Olivia e Theodore. Sarebbe tornato presto e desiderava che fossero tutti interi, pronti ad accoglierlo trovandolo più felice di quando l’avevano visto partire, e con un po’ di fortuna la famiglia Bravo avrebbe smesso di detestarlo. Entrambi avevano riso a quella battuta, l’ultima risata insieme per chissà quanto tempo ancora. A quel punto, Killian aveva raggiunto la nave a bordo della quale aveva deciso di imbarcarsi, un piano d’attacco stampato a chiare lettere in mente. Poi, il vascello era salpato.
 
«Non mi mancherà affatto quell’accozzaglia di ruderi,» fece un vecchio al suo fianco, mentre accendeva la pipa e si sporgeva dal parapetto per dare un’occhiata dabbasso. «E a te, ragazzo?»
 
«Mi mancherà la mia famiglia,» rispose con un sorriso divertito: quel tipo gli ricordava incredibilmente il vecchio Hank.
 
Lo vide aspirare una bella boccata di fumo, gustarlo e, infine, espirare. «Se la tua famiglia è qui, cosa ti spinge ad andare via? Sei in cerca di fortuna?» Gli lanciò un’occhiata interessata, studiandolo con attenzione. «No, non direi che te la passassi male laggiù. Cosa, dunque? Fama?»
 
«Se può avere qualche significato, me stesso.»
 
Il vecchio fermò la pipa tra i denti e batté un pugno vigoroso sul palmo dell’altra mano. «Perbacco, se ce l’ha! Un uomo deve avere le idee chiare su chi è e cosa vuole, altrimenti che ne sarà della sua vita?» Killian si sentì rincuorato dalle sue parole, come fossero di buon auspicio. «Ma dimmi una cosa,» fece e la maschera che era il suo volto provato dal sole e dalla salsedine assunse un’espressione insinuante, «c’è anche una donna di mezzo?»
 
Killian rise di cuore e, come lui, altri che avevano udito lo scambio di battute.
 
«Le donne c’entrano sempre,» fece un uomo sulla cinquantina a qualche passo di distanza da loro, sigaro alla mano. Ne offrì uno a Killian, che accettò di buon grado, e lo fece accendere. «Non conosco storia in cui non ci sia di mezzo, direttamente o indirettamente, una donna,» proseguì. «Creature pericolose, le donne. Bellissime e affascinanti, certo, ma pericolose.»
 
«Ebbene,» sbottò il vecchio, fregandosi le mani per il freddo, «parlaci di questa donna, ragazzo. Abbiamo un lungo viaggio davanti a noi e tanto vale distrarsi un po’. A proposito, qual è il tuo nome?»
 
«Killian Jones, per servirvi!»
 
«Fulmini e saette!» esclamò il vecchio e l’entusiasmo gli fece quasi cadere a terra la pipa. «Tu sei uno di quei due sciroccati che è sopravvissuto al Capitano Swan!»
 
«Sissignore,» rispose Killian, il sorriso ancora sulle labbra mentre accostava il sigaro alla bocca.
 
«Per tutti i tritoni, ragazzo, sei un maledettissimo miracolo vivente,» commentò e, come lui, molti altri annuirono, guardando Killian con una certa curiosità. «Dicci com’è. E’ davvero terribile come si dice?»
 
Killian indugiò a lungo prima di parlare, riempiendosi i polmoni alternativamente di aria salmastra e fumo. Era una domanda difficile cui rispondere con un secco sì o no, ma, guardando gli uomini nel suo raggio d’azione, comprese che ciascuno di loro si aspettava qualcosa da lui. L’interesse che aveva destato il suo nome, poco meno di un’ora dopo la partenza da Thrain, gli suggerì che in futuro sarebbe stato saggio evitare di usarlo fintanto che non fosse stato necessario. Avrebbe pensato anche a quello in seguito, ma oramai era tardi per tornare indietro.
 
«Sì, lo è.»
 
«E non temi di incontrarlo nuovamente sulla tua strada e di non essere stavolta tanto fortunato da sfuggirgli?» fece uno dei tanti attorno a lui, prendendo parte alla conversazione.
 
«A meno che questo viaggio non abbia proprio quello scopo, trovarlo e farsi trovare,» fece il vecchio con voce sommessa, quasi stesse parlando a se stesso solo usando un tono di voce più alto del previsto.
 
«Ma cosa vai dicendo, vecchio pazzo?» commentò un altro e ricevette un coro di assenso. «Solo un suicida farebbe una cosa del genere e tanto varrebbe, a quel punto, infilarsi una pistola in bocca e farla finita senza tante cerimonie.»
 
«Già. Perché farsi torturare da un pirata, se proprio si vuole morire? Io lo farei dopo una bella scopata, o magari durante,» fece un altro ancora, suscitando, stavolta, un sostegno perfino maggiore. «Dopo aver sparso per l’ultima volta il mio seme.»
 
«Tra le braccia di una bella donna tutta tette e-»
 
Da quel momento, la conversazione prese una piega del tutto diversa e Killian non avrebbe potuto esserne più lieto. Sorrise, annuì e fece alcuni commenti a sua volta, fumando placidamente il suo sigaro. Quella stessa notte, però, quando pensava che la fortuna non avrebbe potuto arridergli più di quanto non avesse fatto quel mattino, il vecchio gli si avvicinò mentre stava seduto sulle scale e lo squadrò con quel modo di fare schietto di chi non chiede scusa per essere ciò che è.
 
«E’ lei la donna della tua storia, non è così? Il capitano della Nostos, dico.» Colto di sorpresa, Killian aprì la bocca e fece per farfugliare una scusa, ma l’altro lo precedette. «Credi che non abbia sentito le voci che circolano su di lui, lei, qualunque cosa sia?» Era una domanda che non richiedeva risposta. «Inoltre, hai la faccia di uno che è stato fregato per benino e, se anche solo un tozzo di quello che si dice sul suo conto è vero, tutto torna.»
 
Non avrebbe avuto senso negare l’evidenza. «Cosa volete che vi dica? Lascia il segno!»
 
Il vecchio rise della sua battuta. «Non ho dubbi a riguardo,» commentò. «Ha mai tentato di ucciderti?»
 
«Ripetutamente,» rispose Killian.
 
«Perdio,» fece il vecchio, ridendo. «Sembra così eccitante! Ma è una bella donna o è deforme?»
 
Killian rispose senza un attimo di esitazione, quasi che le parole venissero fuori dalla sua bocca senza bisogno di essere ponderate o guidate. «E’ la più bella donna che io abbia mai visto, signor-»
 
«Virgin. Chiamami Virgin e dammi del tu.» All’occhiata sardonica che Killian gli rivolse, il vecchio non tardò a commentare: «Un nome del cazzo, lo so, ma sono stato abbastanza uomo da smentirne il significato, ragazzo, se capisci cosa intendo.»
 
Killian alzò le mani in segno di rispetto, poi torno a poggiare le braccia alle ginocchia, sovrappensiero. «Non avevo mai visto nulla di simile in tutta la mia vita, Virgin. E’ bella, è potente, è sfrontata, è determinata, è impavida, è…» indugiò un attimo, incerto su come concludere. «E’ una forza della natura.»
 
«E tu non riesci a togliertela dalla testa, anche se sai che è una specie di cancrena, una mela marcia,» fece Virgin. «Perdiana, credo che me la farei nelle mutande da tutti e due i buchi nonostante la mia età, se mai la incontrassi.»
 
Killian rise dell’immagine colorita fornitagli dal vecchio. «Le piaceresti!»
 
«Davvero?» L’altro annuì. «Presentamela! Portami con te!» Killian lo guardò con espressione poco convinta, come se stesse assistendo al delirio di un folle. «Oh, andiamo! Sono a un passo dalla tomba, mi fermo di tanto in tanto nei porti per fare una pisciatina senza il rischio di bagnarmi le scarpe, ma la verità è che non riesco a stare lontano dal mare. Realizza il sogno di un povero vecchio, su.»
 
«Virgin, non ho idea di dove sia e, diamine, non è per lei che sto affrontando questo viaggio.» Virgin lo guardò torvo, poi sputò sulle assi del pavimento come se le sue parole fossero menzogne e lo disgustassero. «Ti ho già detto che sto cercando di trovare me stesso. Devo capire cosa fare della mia vita, ora che quella che conducevo a Thrain non mi calza più come un tempo.»
 
«”Non mi calza più come un tempo”,» gli fece il verso, scimmiottando i suoi modi di fare e assumendo un’aria civettuola e caricaturale. «Ma sentiti, ragazzo! E tu vorresti provare ad arrivare a lei parlando in questo modo? Che il Cielo mi fulmini ora se hai una possibilità di farcela!» Tacque un attimo, alzando lo sguardo al cielo di sottecchi come in attesa di un segnale, ma non arrivò nulla. «Vedi? Non c’è verso che tu ci riesca! Sei troppo perbene.»
 
«Non sapevo fosse un difetto,» fece Killian, inorgoglitosi.
 
«Senti, ragazzo mio, lascia che il vecchio Virgin sia chiaro con te, visto che tu non sei in grado di fare lo stesso: sei un uomo di mare, preparato e con qualche asso nella manica. Se quello che ho sentito sul tuo conto è vero, sei un gran capitano e questo puoi sfruttarlo a tuo favore. Ma c’è questo problemino del tuo comportamento! Nessun uomo dei porti dove intendi andare ti darà mai una possibilità, se continui a sembrare uno dei cani della marina reale.» Killian dovette ammettere che le obiezioni di Virgin erano sensate: aveva avuto le stesse perplessità, quando si era domandato come avrebbe fatto a sopravvivere e a trovare un ruolo che gli confacesse. «Ed è chiaro che tu te lo vuoi lasciare alle spalle quel passato, perché non sei più quell’uomo. Cala un po’ le penne, allora. I pirati sono persone subdole, che fiutano le debolezze degli altri e se ne servono. Devi essere più furbo di loro e nascondere le tue capacità. Sarai anche bravo con la spada, no?» Killian annuì. «Bene, loro, questo, non devono saperlo. Devi essere… misterioso, ecco.»
 
«Dove vuoi arrivare, Virgin?»
 
«Ti ho già detto cosa voglio, ragazzo. Non pensare che Virgin usi dei trucchetti: sono troppo vecchio per queste cose e, comunque, con uno come te si guadagna più essendo sinceri.» Era un uomo sorprendentemente sveglio, ammise Killian, e avrebbe potuto imparare molto da lui. «Pensaci. Ti chiedo soltanto questo.»
 
Il più giovane dei due annuì, suscitando il riso mezzo sdentato dell’altro che si ampliò quando Killian pronunciò le seguenti parole: «Se per caso, a un certo punto del mio viaggio, dopo aver trovato me stesso,» a questo punto le sopracciglia di Virgin avevano reso l’espressione di lui piuttosto insinuante, «decidessi di volerla trovare, tu sapresti come fare, giusto?»
 
«Puoi scommetterci il culo, ragazzo!»
 
Quella fu la fine dello scambio di battute tra i due, almeno per quella sera. Una settimana dopo, avevano già stretto l’accordo: Virgin sarebbe stato il compagno di viaggio di Killian. 

Lo aspettavano gli albori di una nuova vita.



______________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

UDITE, UDITE, popolo di Nostos! Grazie alla sfida lanciatami dalla cara k_Gio, che supponeva non avrei pubblicato prima dell'anno nuovo (e chi può giudicarla?!), la qui presente sfaticata è riuscita a pubblicare l'aggiornamento in meno di due mesi. Sono sfinita, ma sono anche molto fiera di me e del capitolo, che è venuto fuori con una tale spontaneità da richiedere minime correzioni e, considerato il fatto che io di solito ne faccio a bizzeffe, è tutto dire anche questo.
Ad ogni modo, il capitolo comporta un salto temporale di circa quattro anni dall'ultima volta che ci siamo lasciati e apre una finestra sulla vita dei fratelli Jones, spiegandoci cosa abbiano fatto in tutto questo tempo. Non so se aveste immaginato qualcosa de genere, o se vi foste aspettati che Killian si lanciasse ad una spasmodica ricerca di Emma per vendicarsi o che altro, ma spero di avervi soddisfatti. A mio avviso, questa è la piega più naturale che potessero prendere le cose e l'ho sempre immaginata in questo modo, soprattutto per sottolineare un tema ricorrente in tutta la storia: il bisogno di trovare se stessi. Abbiamo visto, infatti, sia Emma che Killian affannarsi alla ricerca delle persone che amavano, ma li abbiamo anche visti tormentarsi nel tentativo di capire chi fossero diventati a seguito di tutti gli eventi di cui era stata costellata la loro vita. E' un tema che mi è molto caro, perché, lungo il percorso che mi ha vista dare forma a questa storia, io stessa ho dovuto percorrere quel sentiero, scoprendone la tortuosità e l'importanza. Se dovessi definire questa storia, inoltre, non lo definirei mai un romanzo d'amore, né materno né di coppia: per me, questa storia nasce per dimostrare la tenacia dell'essere umano, il bisogno di trovare il proprio posto nel mondo e fare i conti con se stessi per accettare quello che si è; e questo capitolo ripercorre in maniera un po' più lineare e chiara queste fasi rispetto a quanto non avvenga nel resto dei capitoli, dove questo percorso era affiancato da quello volto a trovare Henry e Liam.

Detto questo, rimangono due cose da fare e mi accingo subito. Innanzitutto, ricordarvi che - salvo cambiamenti di idea - questo è il penultimo capitolo della storia. In secondo luogo, devo procedere ai ringraziamenti per chi ha letto e recensito, ma soprattutto per Adele: non sarei mai riuscita a scrivere in maniera tanto fluida questo capitolo senza "When we were young" in sottofondo. Non so se abbiate per voi possa fare alcuna differenza, ma, se volete capire un po' di più l'atmosfera in cui ho immaginato e vissuto tutte le scene, vi consiglio di rileggerlo con quella in sottofondo appena ne avete l'occasione.

-Lady Lara, non sai quanto io rimpianga che i tuoi commenti siano arrivati solo sul finire di questa esperienza. Sono così puntuali nel soffermarsi sui personaggi e sui singoli aspetti della vicenda da placare uno dei miei timori più grandi quando scrivo: quello di non fare arrivare il significato di ciò che metto su carta, come se i miei scopi non riuscissero ad emergere e voi brancolaste un po' nel buio. Mi rende immensamente felice sapere che non è così, ma anche infinitamente triste il pensiero che avrò occasione di leggere soltanto un'altra delle due recensioni, forse. Ti ringrazio, quindi, dal profondo del cuore non solo per aver commentato, ma soprattutto per aver deciso di dare una chance a me e alla mia storia. Sei preziosa!

-Mia carissima k_Gio, voglio dirti sin da subito che hai perfettamente centrato tutti gli aspetti del capitolo, soprattutto attraverso la tua reazione emotiva. Volevo proprio che Emma vi suscitasse questo conflitto interiore tra il capirla e il non capirla affatto, tra il biasimo e la compresione per aver commesso una strage praticamente gratuita e priva di qualsiasi scopo, anche col rischio di mettere in pericolo Henry che, ricordiamolo, è comunque su una barchetta in mezzo all'oceano.Volevo che ciò accadesse perché volevo riprodurre in voi, più o meno, il tormento che vive lei, così divisa tra ciò che è, ciò che dovrebbe essere e ciò che vuole essere e incapace di conciliare aspetti tanto in contraddizione tra loro. Sono elettrizzata all'idea che vi sia arrivata tanto, anche a chi fatica a capire Emma in tutte le sue scelte. So di aver creato un personaggio privo di zone grigie: o la ami o la odi, ma in qualche modo finisce che la capisci comunque. Ti ringrazio tanto anche per i complimenti, ma soprattutto per avermi mezzo sfidata con l'ultima frase della tua recensione, spingendomi ad accorciare i tempi di attesa per l'aggiornamento. E' stato un viaggio bellissimo anche questo capitolo e, anche se mi rattrista essere così vicina alla fine, sento che è giunto il momento per poter lavorare al progetto cui accennavo la scorsa volta. Ma, come sempre, grazie per aver letto e commentato e per essere ancora qui dopo tutto questo tempo. E' commovente e mi scalda il cuore. Grazie! 

-Alyen, cara dolce mervigliosa Alyen, è un piacere così grande leggere le tue recensioni che, quasi quasi, aggiungo due o tre capitoli alla storia solo per goderne ancora un po'. Che dire?! Sei stata in grado di sfocare i miei dubbi con le tue parole, sia rispetto alla mia capacità di rendere reali e vivi i personaggi, sulla sulla struttura del personaggio. Devo confessare che non avevo mai scritto nulla del genere, la cui complessità sta tutta su un altro livello per il dinamismo dell'azione, e che, ancora adesso, ho un po' il timore di aver arraffazzato le cose; ma sono lieta di sapere che le immagini fossero vivide abbastanza da farvi sentire su quella nave, teatro di indicibili orrori. Come hai detto tu, forse la separazione tra i Jones ed Emma non è stata tanto sorprendente e, in effetti, io l'ho sempre avuta in mente dagli albori della storia, quando avevo scritto solo il primo capitolo e non sapevo un accidenti di niente su cosa scrivere nel secondo, su come snodare la trama. Questa lunga pausa - non so se vi aspettaste anche che fosse tanto dilatata nel tempo - è servita ai fratelli Jones per leccarsi le ferite e capire cosa farne del loro futuro, ma, soprattutto, è servita a Killian per mettere da parte l'orgoglio e ammettere che Emma avesse vinto la scommessa: è cambiato tanto, più di Liam, più di quanto si fosse aspettato e non può limitarsi ad affondare la testa nella sabbia, fingendo che tutto vada bene. In questo, è stata determinante Olivia, a proposito della quale spero di avervi fatto una piccola sorpresa: non so se qualcuno di voi la ricordasse e si aspettasse di rivederla o meno, ma ho sempre sentito, dal primo momento in cui ho scritto di lei nell'ottavo capitolo, di non poterla lasciare andare, di non poter permettere che fosse una piccola cometa. Mi piace pensare che gli intrecci del destino siano tanto strani da far incontrare persone che, per tutta la vita, si sono mancate per un soffio. E' poetico, a mio avviso. 
Grazie per essere tornata a scrivere le tue recensioni e grazie per avermi letta con lo stesso, immutato entusiasmo, che spero di aver mantenuto alto durante questo capitolo. Grazie davvero di cuore!

-Simogi, tu sei la più fortunata dei recensori in assoluto. Ci pensi che hai pubblicato alle 00:01 di oggi e ti becchi l'aggiornamento a distanza di sole 18 ore? Quando mi sono accorta della recensione, il tutto assolutamente per caso, quasi non credevo ai miei occhi. Spero possa essere per te un bel regalo, come per me lo è stato trovare la tua recensione. A proposito di ciò, sono lieta di constatare che tu condivida la mia visione di Emma, del bisogno che ha di cambiare qualcosa, sì, ma senza rinnegare la persona che sa di essere e, soprattutto, che vuole essere. A mio avviso, l'errore più grande che si possa commettere è annullarsi per qualcuno, chiunque esso sia, perfino per un figlio. Penso che i rimpianti mi distruggerebbero, se mai facessi una cosa del genere, ammesso che ci riesca senza impazzire. Bando alle ciance, spero che il capitolo ti sia piaciuto e non vedo l'ora di sapere cosa te ne è parso. Grazi ancora, sempre!

Prima di lasciarvi, volevo rinnovare i ringraziamenti per chi ha letto dopo quasi tre anni dall'inizio di questa storia e anche chi si è appena approcciato. Le visualizzazioni crescono in maniera tanto rapida che, a volte, fatico a credere che numeri simili possano essere miei. Siete preziosi! Inoltre, ci tenevo a dirvi che nutro una serie di curiosità in relazione alle vostre impressioni sul capitolo:
a) Che ve n'è parso di Rosalinda?
b) Avete subito ricordato Olivia e vi ha fatto piacere rivederla in queste vesti?
c) Che fine pensate che abbia fatto il nostro capitano e cosa ne è stato di lui in questi 4 anni, secondo voi?

Grazie mille, ancora.
Buona lettura!
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Brooke Davis24