Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: Nemainn    09/11/2016    4 recensioni
Andrea non sa cosa si cela dietro il fascino delle sue amate calli, tra i palazzi di Venezia, oltre le sue acque che placide riflettono la luna.
Il mistero di ciò che sta oltre il velo gli viene svelato e tutto quello che conosceva, o credeva di conoscere, diventa un ricordo.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 
- 2 -
- Il Carnevale -


 


Il risveglio, la rinascita, il momento in cui di nuovo “vivo” era emerso dalle tenebre per aprire gli occhi era stato unico. Era estasi, era un risveglio che aveva amplificato qualunque percezione in un'esplosione che lo aveva esaltato. Un viaggio che nessuna droga poteva rendere, eppure non era stato solo quello.
Il suo stesso corpo era cambiato: i piccoli difetti erano scomparsi, la pelle liscia come il perfetto e splendido marmo senza vita di una statua del Caravaggio. Così perfetta da simularla, così vicina alla vita eppure priva della scintilla: una qualunque opera del maestro era l'apoteosi della bellezza e lui, ora, era così. Capiva perché aveva trovato così bello Federico e, solo ora, notava che per parlargli in qualche modo si era in imbruttito per non spaventarlo: la scintillante perfezione di un vampiro era una fiamma che attirava le falene, uccidendole in un'unica vampata di gloria.
Più androgino di quanto lo fosse da vivo, quando già spesso lo scambiavano per una ragazza, Andrea seguiva il suo Sire attraverso le calli; così gli aveva detto che si chiamava il vampiro che ti donava la vita eterna. Gli aveva dato del sangue per nutrirlo e gli aveva iniziato a spiegare i dettagli di quel mondo oscuro, del lato nascosto della sua stessa famiglia.
Aveva bevuto, mentre Federico gli parlava della Bestia che viveva in ognuno di loro, sorridendo freddo e distante, osservandolo. Ora lo stava portando per la prima volta a caccia, facendogli scoprire un mondo uguale eppure così diverso da risultargli alieno: il modo stesso in cui vedeva ciò che lo circondava era radicalmente cambiato.
Gli aveva spiegato la maledizione del loro clan, come il loro morso causasse un grande dolore e di come fossero pochi quelli che lo desideravano, al contrario di quello degli altri vampiri che scatenava estasi e piacere. Lì, dove lui l'aveva portato quella notte, la ragazza che aveva prestato il suo collo al morso era una dei pochi che bramava il morso di un Giovanni.
«Bene, Andrea. Guardati in giro, cerca la preda, affascina e ammalia tanto da convincere chi scegli a seguirti in qualche vicoletto, ma ricorda che urlerà.»
«Come faccio a... beh. Racconterà tutto in giro, no?»
Federico scoppiò a ridere, passando una mano tra i capelli del ragazzo in una carezza lenta e si avvicinò al suo orecchio. «A quello ci penserò io e tu, lì, imparerai i rudimenti della dominazione. Le nostri menti sono più forti, tanto da influenzare gli umani, da comandarli, oscurarne i ricordi e seminarne di nuovi e fittizi» la mano del vampiro finì il suo percorso tra i morbidi ricci, posandosi poi sulla spalla. «Vai, io guarderò da qua.»
Andrea annuì, guardando il locale pieno di ragazzi ammassati che ballavano al ritmo della musica ad alto volume. Era praticamente fuori Venezia, una delle pochissime discoteche della città che potevano chiamarsi a quel modo. Si avviò, i suoi sensi più acuti che rendevano quell'esperienza al limite del doloroso, mentre l'odore di tutti quegli umani lo faceva smaniare. Il loro sangue aveva un odore decisamente invitante, molto, molto più di quello che Federico nei giorni precedenti gli aveva dato dai sacchetti sterili della banca del sangue.
Girò, in parte confuso per quell'assordante bombardamento verso i suoi sensi, decidendo di raggiungere un angolo mentre cercava di acclimatarsi. 
«Ehi, ciao, ma io ti conosco?»
Assolutamente perplesso Andrea fissò il ragazzo davanti a lui a petto nudo con un drink in mano. «Come, scusa?»
«Sì, dai, io ti conosco! Una come te la ho vista e se non te una che ti assomiglia molto, sei di Mestre?»
Con un certo shock Andrea realizzò che l'aveva scambiato per una ragazza e ci stava provando con lui. Sì, aveva bevuto e tanto, ma che l'avesse preso per una donna al punto di provarci lo destabilizzava. Però, d'altro canto, così gli rendeva le cose più facili. Gli sorrise, cercando di mantenere la sua attenzione, protendendosi verso di lui in un modo che era ancora istintivo.
«Può essere, vuoi che usciamo a fare due parole? Qua non si sente niente...»
Sorrise; non capì nemmeno lui come mai l'altro acconsentisse, ma con lo sguardo decisamente più opaco lo seguì docilmente fuori, fino al retro del locale, dove Federico lo raggiunse stando nell'ombra, osservandolo.
Il rumore era assordante, nessuno era nei paraggi, e Andrea avvicinò le labbra all'orecchio di lui. 
Il ragazzo rabbrividì, poi Andrea lo schiacciò con il proprio corpo contro il muro e morse, premendo con la mano sulla sua bocca. Il sangue scivolò in gola, era ricco, denso, meraviglioso. L'estasi lo accese e qualcosa cercò di affiorare. 
«Fermati o morirà.»
Quelle parole arrivarono secche al suo orecchio e Andrea riuscì a fermarsi, mentre si staccava Federico gli ordinò di leccare la ferita, rimarginandola, mentre il ragazzo in stato di shock lo fissava tremando, pallido, tenuto ancora fermo contro il muro.
«Osserva, Andrea» Federico si avvicinò all'umano e gli prese il mento tra le dita, obbligandolo a guardarlo negli occhi. «Sei uscito con la ragazza, vi siete baciati, ma non vi siete spinti oltre. Poi lei se n'è andata. È successo solamente questo, solo questo, è chiaro?»
Lo sguardo si fece appannato, il corpo perse rigidità, e l'umano annuì.
«Bene, ora torna dentro, divertiti.»
Andrea guardò l'umano allontanarsi e poi fissò Federico.
«Insegnami.»
«Oh, ti insegnerò tutto, con il tempo. Torniamo indietro, hai iniziato a pensare a dove sarà il tuo rifugio? Non puoi stare con me per sempre.»
«Sì.» Andrea si grattò la testa, guardando il riflesso delle luci sull'acqua, pensieroso. «Però non so davvero dove poter andare...»
«Beh, per ora starai con me. Mi piace averti attorno...» il braccio del suo Sire gli si posò sulle spalle. «Quindi ti ha preso per una ragazza?»
Se avesse potuto, Andrea sarebbe arrossito per l'imbarazzo. «Era ubriaco.» 
In effetti una leggera euforia l'invadeva, si rese conto che era come ubriaco a sua volta, euforico.
La mano libera di Federico salì, il pollice si mosse con lentezza, scivolando sulle labbra di Andrea in una carezza. 
«La bellezza non ha sesso, dicono. Si trova e si vive, si filtra con i sensi, con gli occhi, con la mente. Tu sei di una bellezza unica, puoi essere quello che ti pare. Uomo o donna, non porti limiti, divertiti e gioca. Illudi chi ti sta attorno, muovili con i fili che tu crei, Andrea.»
Il giovane si ritrasse dal tocco del suo Sire, agitato. 
«Sono un maschio, Federico.»
La replica, secca e asciutta, fece sorridere il vampiro che smise di accarezzare la bocca del suo infante e lo strinse maggiormente a sé.
«La cosa è un limite solo se tu la vivi come tale.»
Camminarono, arrivando al rifugio di Federico in silenzio, mentre Andrea sentiva quella specie di ubriacatura ovattare la sua mente, sembrava rifiutarsi di abbandonarlo. Seguì i passi del suo Sire fino alla porta della stanza da letto di lui, intenzionato a proseguire, ma la presa di Federico non si allentò. Lo bloccò davanti a quella soglia e Andrea si trovò tra le sue braccia, confuso, ubriaco, immobile.
«Seguimi.»
Le iridi nere di Federico divennero il suo intero mondo, mentre il giovane non concepiva neppure l'idea di rifiutare.
Il sangue lo riempiva, dandogli un aspetto vivo, roseo, e Federico lo portò al letto, facendolo sdraiare. Nella mente di Andrea c'era solo lui, il suo sguardo, le sue parole. Vagamente un angolo di lui si rendeva conto che Federico gli stava facendo qualcosa, ma non riusciva a opporsi. Non desiderava farlo.
Le mani del vampiro scivolarono sotto gli abiti di Andrea, facendo cadere la maglia e slacciandogli i pantaloni, sussurrandogli di assecondarlo, di ubbidirgli, e così lui fece.
Perso, senza nessun desiderio se non quello di ubbidire, Andrea si spogliò, rimanendo nudo davanti a Federico che lo guardava, sfiorandolo con dita fredde e delicate.
«Quando ero giovane e umano, molte centinaia di anni fa, conoscevo Giambattista Tiepolo. Ti avrebbe voluto, sai? Avrebbe desiderato immortalarti sulla tela, Andrea. Renderti immortale nella tua bellezza imprimendoti nella memoria di chi sarebbe venuto dopo di lui, ammirando le sue opere. Un angelo, forse. Lo ammiravo al tempo, lo amavo. Frequentavo la sua bottega e spesso bevevamo assieme. Da allora sono passati anni, sono cambiati i tempi, i modi di parlare e i costumi. Gli uomini e le donne però sono sempre uguali. Guardami, Andrea.»
Il giovane obbedì, in balia del suo Sire, soggiogato dalla sua voce, dai suoi occhi, incapace di fare altro se non desiderare di assecondarlo con tutto se stesso.
Venne spinto sul letto, dove rimase, mentre Federico continuava a guardarlo come rapito. Infine l'altro gli si avvicinò, posando le mani accanto alla sua testa si puntellò, sovrastandolo.
«Cosa vedi, in me, Andrea?»
«Mi hai creato... sei il mio maestro. Sei tu che mi insegni e mi insegnerai quello che voglio sapere più di ogni altra cosa.» La voce di Andrea era bassa, trasognata, mentre guardava il suo Sire. «Non pensavo fossi così vecchio.»
«Sei fortunato, Andrea. Ci sono membri di questa famiglia che ucciderebbero chiunque per l'onore che hai ricevuto tu. Io e Domenico ci siamo litigati il privilegio di darti il bacio, sai?»
«...Domenico?»
«Lo conoscerai, lo conoscerai... il 4 non è poi lontano e, del resto, voglio sfoggiarti un po'. Il mio infante. Non credo ti tratteranno un granché bene, fino a quando non sarai presentato ufficialmente, beh... si può dire che tu sia una specie di servo per me agli occhi della nostra società, ma non prendertela. Rimani un Giovanni, Andrea, e uno dei più brillanti degli ultimi secoli.»
Sotto Federico, Andrea si mosse, sentendosi a disagio. La sua mente lottava, si rendeva conto dell'influenza che Federico esercitava, ma non riusciva a sfuggire. 
Ancora una volta lo sguardo del suo Sire lo catturò, rafforzando ancora di più quella rete che lo intrappolava a lui, ai suoi desideri, rendendoli anche i desideri del più giovane.
Le mani di Federico erano fredde mentre scorrevano sulla pelle di Andrea, lusingandolo, piegandolo a ciò che desiderava fare, blandendolo.
Il giovane completamente soggiogato si fece trasportare, ubbidendo e desiderando la felicità del suo Sire, donandosi a lui come non aveva mai fatto o pensato di fare. 
Si abbandonò, addormentandosi in quel letto quando l'alba ormai stava per sfiorare la città lacustre, tra le braccia di chi gli aveva dato una nuova vita.

 

Quando si svegliò spalancò gli occhi di colpo, rimanendo però immobile. 
Ciò che era avvenuto la notte prima gli era perfettamente chiaro in testa e assieme alla vergogna provò rabbia. Era chiaro che Federico l'aveva in qualche modo assoggettato al suo volere. Quello che aveva fatto, il sesso, non era  decisamente quello che avrebbe fatto se fosse stato in sé!
Voltò il capo, il suo Sire non si era ancora del tutto destato. Si trovava tra le sue braccia, stretto in un abbraccio rigido e freddo, che gli metteva solo rabbia. Avrebbe voluto urlargli di lasciarlo, ma si impose la calma.
Non era felice di quello che era successo, di essere stato raggirato e costretto. 
Federico, però, era il suo Sire. Poteva farlo, aveva il potere di dominarlo, volendo. Se avesse fato storie avrebbe solo ottenuto di passare più tempo sotto l'influenza dell'altro, costretto ad agire come una bambola e felice di farlo; a quel modo gli avrebbe tolto la possibilità di imparare, di domandare. Così facendo gli spegneva il cervello e quello non poteva accettarlo. Se il suo Sire si sentiva solo a tal punto poteva giocare a suo vantaggio, poteva magari portarlo a insegnarli di più, più in fretta, ad aprirsi rivelandogli le conoscenze che aveva senza centellinarle.
«Ben svegliato» si limitò a dire, cercando di non far trapelare quello che provava, non appena gli occhi neri di Federico si posarono su di lui.
«Credevo che ti avrei trovato furibondo.»
Andrea inclinò un po' il capo. «Non sono particolarmente felice... non mi è piaciuto quello che mi hai fatto. Potevi chiedere.»
«Avresti detto sì?»
«Non lo so.»
Federico rise, passando la mano tra i capelli di Andrea. «Mi sono risparmiato il disturbo.»
«È un tuo diritto farlo. Però la prossima volta, chiedi.»
«E come mi risponderai?»
«Dirò di sì» Andrea storse appena le labbra. «Almeno potrò fingere di poter scegliere. Non mi è affatto piaciuto...»
«Quale parte?» All'espressione seccata di Andrea, Federico rise, districandosi dall'altro e alzandosi. Tornò a guardare il suo infante, senza però piegarlo alla sua volontà.
«Andrea, vai allo studio. Sul tavolo ci sono dei libri, mi aspetto che tu li studi e al mio ritorno ne parleremo. Sono in latino, questo potrebbe prenderti un po' più di tempo, ma ci sono anche dizionari lì, da qualche parte.»
«Vai via?»
«Un paio di notti, il sangue è al solito posto.»
Andrea si sentì smarrito per un lungo minuto, prima di stringersi nelle spalle e scivolare fuori dal letto, rimettendosi gli abiti del giorno prima.
«Andrea...?» al richiamo il giovane si voltò. «Non uscire per nessun motivo e non dire a nessuno i miei affari. Sono stato chiaro?»
Il tono era stato gelido e il giovane annuì.
«Sì... non esco e non parlo, promesso.»
«Allora vai.»
In parte sorpreso e in parte risentito anche per il tono usato, Andrea lasciò la stanza, andando allo studio dove trovò una decina di libri posati sulla scrivania.
Seriamente pensava potesse studiarli in due sole notti?
Scosse il capo, iniziando quel compito, concentrandosi su di esso per non pensare ad altro.

 

Così cominciò la sua istruzione: Federico andava e veniva e, quando tornava, passavano le notti a parlare di ciò che Andrea studiava, approfondendolo e portando il tutto a un livello superiore. Il suo Sire pareva contento dei suoi studi, dei suoi progressi, della rapidità con cui assimilava concetti e rituali. La volontà di Andrea era forte e determinata eppure Federico rinunciò a sfoggiarlo, tenendolo in disparte e principalmente segregato nella grande casa, dove pur non mancandogli nulla iniziava a sentirsi decisamente stretto.
Doveva sparire per un po' dalla circolazione, gli era stato detto. 
Tutti dovevano crederlo morto. 
Suo padre sapeva la verità, eppure anche lui aveva ricevuto l'ordine di fingere il figlio fosse deceduto. 
Quando il suo Sire tornava dalle sue misteriose uscite, delle volte lo portava fuori, stando ben attento a dirigersi fuori Venezia. Quando poi rientravano, colmi di sangue, lo portava nel suo letto e Andrea ormai aveva accettato quell'aspetto della situazione. Non era una cosa che probabilmente avrebbe cercato, ma si trovava a riconsiderarla: del resto non era affatto spiacevole, se si era in sé.
Inoltre quello alleviava la sua solitudine. Non lo avrebbe mai ammesso, non avrebbe mai detto di desiderare con tutto se stesso un po' di compagnia, di trovarsi sull'orlo di lacrime che non poteva più versare così spesso da vergognarsi di quella sua debolezza. Quando Federico passava la notte con lui a parlare, quando poi rimaneva qualche giorno e apparentemente il prezzo di quella presenza era concedersi, lo faceva di buon grado. Tutto aveva un prezzo, tutto. Anche la compagnia del proprio creatore.
Natale arrivò e la speranza di Andrea di partecipare alla cena di famiglia evaporò come neve al sole. Non era ancora il momento, gli disse Federico mentre usciva dall'antica casa per andare verso la villa. Andrea accettò in silenzio come sempre, chiudendo la porta alle spalle del suo Sire e andavano allo studio, sfogliando annoiato i libri che avrebbe dovuto studiare, guardando le calli fuori dalla finestra, i passanti che si intravedevano dal secondo piano, lo sguardo chiaro perso nei ricordi della sua infanzia.
Passarono altri mesi e una sera, appena svegli, Federico si sedette dall'altra parte del grosso tavolo dove Andrea era solito studiare, osservandolo in silenzio con gli occhi scuri ancora più impenetrabili del solito.
«Domani si terrà una festa per carnevale, al Palazzo Ducale.»
«Andrai?»
Federico sorrise appena al tono neutro di Andrea, che non aveva neppure alzato gli occhi dal tomo che aveva tra le mani. «Andremo.»
Ci volle un lungo attimo, il tempo di un respiro, prima che il giovane assimilasse quella parola.
Sollevò lo sguardo, gli occhi sgranati e increduli, felici.
«Anche io?»
Federico rise, quella manifestazione di gioia trattenuta dalle forti corde dell'autocontrollo che aveva imposto al suo infante erano qualcosa di bello, per lui. «Sì, andremo assieme. Ci saranno membri di famiglia, sia Fratelli che ghoul, e umani. È una festa molto meno formale del Natale, nessuno ti misurerà con particolare interesse. Quella notte ci si lascia andare a vari eccessi, non ti sorprendere di nulla, Andrea.»
Il giovane annuì, un sorriso sulle labbra, mentre le dita si muovevano sulla carta antica del libro davanti a lui in un gesto inconsapevole del suo entusiasmo. Sarebbe uscito, e non per rimanere nell'ombra e cacciare, cosa che non amava particolarmente, ma per parlare. Avrebbe potuto finalmente divertirsi, svagarsi, uscire davvero da quella casa: perché la caccia era un viaggio veloce, si individuava la preda e subito dopo essersi nutriti facevano ritorno. Senza svago, senza nulla che lo distraesse. Federico lo guardava, sembrava divertito.
«Sei così simile a lui...» mormorò.
«A chi?» Andrea inclinò appena il capo e Federico si strinse nelle spalle in un gesto decisamente umano.
«Si chiamava Ludovico, ma è morto circa quattrocento anni fa.» Federico si alzò, dirigendosi alla porta. «Finisci di studiare, non farmi pensare che questo sia in grado di distrarti e quindi pentire della mia scelta.»
Andrea annuì, la porta si chiuse e tornò con lo sguardo sulle pagine vergate in latino, concentrandosi. L'indomani avrebbe finalmente potuto alleviare la sua solitudine; per quanto Federico fosse una piacevole compagnia era più il tempo passato in quell'isolamento che con lui e ormai ammetteva anche a se stesso di patire quella condizione.
La sera seguente si risvegliò con un'eccitazione che non credeva possibile, aprì gli occhi per primo, come al solito, e scese dal letto che aveva condiviso con il suo Sire andando a nutrirsi dalle riserve che avevano in casa. Poco dopo Federico lo raggiunse, gli occhi neri che non lo abbandonavano un solo attimo.
«Vieni.»
Seguendo l'altro salì al piano superiore entrando in una delle camere che non usavano mai e Andrea vide una marea di stoffa distesa su delle sedie. Broccati pesanti e preziosi, ricchi di ricami e pizzi, non sembravano abiti da carnevale, ma autentici abiti settecenteschi.
Federico accarezzò quei tessuti damascati con un'espressione malinconica sul viso.
«Una volta Venezia era diversa... molto. Il carnevale durava mesi e mesi, per il periodo natalizio era sospeso per poi riprendere. Indossavi la bautta ed eri per tutti irriconoscibile, le feste erano ovunque così come l'arte e la musica. Il teatro era una delle mie ragioni di vita, i canti dei più grandi castrati che tutti ascoltavano in silenzio, rapiti, li riempivano assieme a opere di squisita bellezza. Le voci e gli strumenti riempivano case e strade dando alla città una vita mai stanca ed esuberante; poi c'erano le notti passate nei salotti delle cortigiane, a discutere di filosofia o poesia, per poi finire tra le loro lenzuola profumate di sandalo.»
Andrea rimase in silenzio, osservando il suo Sire rapito dai ricordi. Sapeva per caso cosa fosse la bautta, un fitto velo che si metteva sul tricorno che mascherava e rendeva uguali nobili e plebei. Era l'antica usanza del carnevale far sì che mascherasse l'identità di chi l'indossava. Federico prese in mano una giacca di un blu luminoso, damascato, e sorridendo continuò a parlare. «Nei palazzi patrizi non si impediva l'accesso a nessuno che fosse mascherato, i più incredibili eccessi diventavano regola, una volta messo il tabarro, e ricchi e poveri erano uguali. Si vedevano donne di ogni ceto e condizioni, nubili, sposate e vedove, frammischiarsi alle cortigiane. Poiché la maschera rendeva tutti uguali non c'erano impudicizie alle quali non s'abbandonassero con chi le desiderava, giovani o vecchi.»
La voce del suo Sire era cambiata, il tono era divenuto più mellifluo mentre il suo modo di parlare ricalcava il veneziano di più di trecento anni prima. Con uno scrollone Federico sembrò tornare al presente, puntando gli occhi su Andrea che lo guardava a occhi spalancati, affascinato.
«Una vita diversa...»
«Che però è stata l'ultima scintilla di Venezia. Poi i palazzi barocchi non son più stati costruiti, la bellezza è diventata un ricordo così come la vera arte. Ho visto la Vecchia Signora sfiorire e mantenere lo smalto di un passato ricco e meraviglioso solo in superficie, ma qualcosa ancora sopravvive» Federico fece cenno ad Andrea di avvicinarsi. «È ora di vestirsi.»
Con quelle parole le mani pallide del vampiro frugarono tra le stoffe mentre il giovane assottigliava lo sguardo.
«Stai scherzando?»
«È carnevale, Andrea.»
Il giovane fissò l'abito da donna, le ingombranti stoffe, e scosse il capo. «Non ho cambiato sesso mentre non guardavo, sono sicuro di essere un uomo...»
«Quante storie, vuoi venire o no?» 
Andrea storse le labbra. «O così o niente?»
«Esattamente.»
Il giovane fissò il suo Sire con aria afflitta, poi annuì. Le mani di Federico gli riservarono una carezza lungo l'ovale del viso, mentre gli spingeva le ciocche dietro l'orecchio e, pur guardandolo, sembrava vedere altro. Le mani scesero, spogliando Andrea che lo lasciò fare, capendo che qualcosa, in quei gesti, era tanto delicato da non essere davvero rivolto a lui. Accarezzava la sua pelle, ma non lui. 
Chi vedeva, in realtà, il suo sire mentre lo spogliava?
Questa domanda continuava a girare nella mente del giovane, mentre una volta nudo e in piedi davanti a Federico, aspettava.
Come rapito dall'osservazione Federico era immobile e solo quando Andrea si mosse, quasi spaventato da quella fissità, riprese ad armeggiare, facendogli indossare quegli strati di stoffa.
«Gli assomigli terribilmente, sembri un suo figlio... ma non poteva averne.»
Parole mormorate mentre strati venivano indossati e lacci stretti e Andrea si trovava a chiedersi cosa ci fosse in quella mente con sempre più insistenza.
Probabilmente se avesse dovuto respirare quell'abito sarebbe stato un problema, si disse guardandosi all'enorme e antico specchio, macchiato dal tempo, che troneggiava nel corridoio. 
La stoffa pesante, la gonna che sui fianchi era larghissima, tenuta su da un soppalco celato di stecche, il corpetto stretto tanto da far sembrare avesse una vita sottile. Alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se davvero voleva uscire così.
Comparve alle sue spalle Federico, entrambi vestivano di blu e nero, con grandi maschere preziose sul volto e bianche parrucche sul capo.
«Carnevale» borbottò con fastidio Andrea, fissando la sua immagine. 
«Sì, andiamo, ora.»
Scesero le scale dell'abitazione antica del vampiro e salirono su una gondola che li attendeva. La manovrava un ghoul silenzioso, mascherato a sua volta, che condusse per portarli a palazzo ducale, mentre la notte di luna piena sembrava rischiarare a giorno, complici i luminari, quelle vie liquide e oscure.
La mano di Federico si mosse, sfiorando il collo nudo di Andrea e scivolando delicata lungo la curva fino alla spalla. Un fiocco di pizzo immacolato circondava delicato la gola del giovane, che girò il capo, fissando in silenzio il suo maestro che ancora una volta guardava lui vedendo qualcun altro.
Era silenziosa quella notte, né Andrea né Federico dissero nulla. Il giovane a disagio, il più antico semplicemente perso nella propria memoria, fin quando non arrivarono davanti al palazzo ducale. Entrarono, attraversando i corridoi dall'opulenza inaudita, guardie e uscieri in costume, servitù vestita nella moda d'epoca, musica di clavicembali e luci che rendevano le grandi sale accoglienti e sinistre allo stesso tempo.
Un uomo alto, dai corti capelli grigi, vestito di nero e scarlatto si avvicinò loro e Federico accennò un sorriso.
«Domenico, non pensavo saresti venuto.»
«Volevo vedere qualche faccia nuova, pare ce ne siano, stavolta» lo sguardo di iride grigie, con quella stessa aria lontana che avevano quelle del suo Sire, si soffermarono su Andrea. «Somiglianza... notevole. Degna di nota.»
Andrea, in silenzio, accolse il gesto di Federico che lo invitava ad allontanarsi e così fece. Vagò tra le sale immense, piene di Giovanni e pochi altri eletti, osservando gli invitati e rimanendo in disparte. L'opulenza di ori e dipinti, di lusso, era meravigliosa, così come era splendido girare in quel luogo come se fosse stato la sua casa e non un museo. Quanto potere aveva in effetti la sua famiglia, per permettersi tutto quello mettendo a tacere ogni dissenso e ogni voce? Quanto lunghe erano le dita della loro autorità?
Si incamminò ai margini di una grande sala, dove la musica settecentesca era seguita da elaborate danze, osservando quel gioco di colori che l'intreccio dei ballerini offriva.
«Andrea?»
Il tono era incerto, ma la voce era inconfondibile.
Con lentezza enorme si voltò, trovandosi davanti il padre. Sembrava invecchiato enormemente, i ricci scuri e corti striati di grigio dove prima neppure un filo chiaro li intaccava.
«I... papà...»
Gli occhi di Guglielmo si inumidirono di colpo, arrossandosi. Prese la mano del figlio, portandolo in una delle piccole stanze e chiudendo la porta alle loro spalle lo fissò. Con lentezza Andrea si tolse la maschera, facendo cadere la parrucca a terra e sentendo le emozioni offuscargli la vista rimase immobile.
«Mio Dio, Andrea, sei davvero tu... credevo, mi avevano detto che... oddio...»
Per la prima volta in tutta la sua vita, Andrea vide Guglielmo piangere. 
Lacrime silenziose in un viso commosso, incredulo, mentre in uno slancio un abbraccio forte lo stringeva e Andrea spalancò gli occhi.
«Non sapevi?»
«Non si può mai credere a quello che dicono.» 
Guglielmo si sedette, osservando quel figlio che pensava perduto e che in effetti lo era, anche se non come gli avevano lasciato credere.
«Hai scelto di diventare uno di loro» non era una domanda, ma Andrea annuì lo stesso. Il padre sospirò, scuotendo piano il capo. «Ho fallito. Ho fatto di tutto perché non ti notassero, perché tu potessi vivere da uomo, farti magari una famiglia, crescere... ho fallito.»
«Ho fatto la scelta che volevo, papà.»
«Hai scelto il potere della Famiglia. Hai scelto di... non vivere.»
«Ti importa davvero?» con un gesto di stizza Andrea si rivoltò contro il padre. «Mi lasciavi sempre solo, non mi pare proprio che la mia vita di interessasse poi così tanto.»
Fu la trasformazione del viso del padre a straziare il cuore di Andrea.
Vide il volto di un uomo che abbandonava ogni maschera, privo di difese, un uomo improvvisamente vecchio che scuoteva disperatamente il capo.
«Avevo promesso a Clara che non ti avrebbero avuto. Le avevo giurato che saresti stato un uomo, libero...»
«Libero di morire?»
«Libero di vivere, Andrea. Vivere sotto il solo, amare, vedere albe e tramonti, frequentare le ragazze, magari sposarti e avere figli. Libero di guardare le stelle sapendo che potevi arrivarci. Un uomo» Guglielmo sussurrava, disperato, fissando il figlio. «So cosa sei, lo so. Mai avrei voluto che tu... fossi così. Avrei dovuto parlarti, spiegarti,  ma mi avresti creduto pazzo. Vampiri, papà, certo, come no, mi sembra di sentirti mentre lo dici. Mi sembra di vederti mentre mi guardi come se avessi perso una rotella» sospirando, l'uomo continuò, gli occhi rossi per le lacrime trattenute. «Tua mamma è morta perché non ho obbedito e ora sai quanto sia vera quella parte. Non volevano la sposassi, avevano già deciso chi sarebbe stata la mia sposa, ma io amavo lei. Era bellissima, dolce, era libera. Quando sei nato ce l'hanno presa, Andrea, e per evitare prendessero anche te ho stretto un patto. Avrei rimediato ai miei errori, avrei servito la famiglia più fedelmente che mai. Ma tu sei troppo intelligente, e mi faceva paura l'idea se ne accorgessero. Non sai quante volte avrei voluto abbracciarti, dirti che ero orgoglioso di te, dei tuoi voti, quando da piccolo tornavi a casa con le lodi delle maestre, o anche più tardi... ma pensavo che se tu avessi creduto che non avevano importanza avresti abbandonato quella tua passione per lo studio. Ho sbagliato, ti ho solo allontanato. Ti ho solo reso così solo da decidere di fare questo...»
Se avesse potuto tremare per le emozioni che gli rombavano nel petto l'avrebbe fatto. Se avesse potuto urlare e piangere avrebbe permesso a tutto quello di venire a galla, ma non poteva.
«Tu... tu eri orgoglioso?»
«Da morire. Sei, eri...sei...» Guglielmo deglutì, «sei la gioia della mia vita, la sua luce. Pensavi davvero non ti amassi, quindi.»
«Sì.»
In quell'unica parola, sussurrata, c'era una vita di dolore a cui Andrea non aveva mai permesso di emergere.
«È solo colpa mia... è solo colpa mia! Avrei dovuto capirlo che non era il modo giusto.» Sospirò. «Avrei tanto voluto trasferirmi con te dall'altra parte del mondo, ma sarebbe stato inutile, L'unica possibilità era che tu ti rivelassi mediocre. Tu, però, sei tutt'altro. Avrei dovuto capire vedendo certi libri in camera tua che non avevo davvero speranze di tenerti con me.»
«Tu sapevi?»
«Che ti interessava l'occulto e il mondo dei morti?» L'uomo annuì, divertito. «Andrea, sono pur sempre tuo padre, non un idiota. Non del tutto, almeno... perché? Cosa ti ha spinto...?»
«Volevo capire dove fosse la mamma»  Guglielmo spalancò gli occhi, quella risposta era molto diversa da quello che si aspettava. Andrea sorrise, scuotendo piano il capo a quella reazione, e continuò. «Era in cielo? Dove? Esisteva ancora da qualche parte? Così è cominciato tutto.»
Nell'improvviso silenzio di quella saletta i due si guardarono, veramente uniti ora che erano per sempre divisi, mentre per la prima volta il dubbio assaliva Andrea. Aveva avuto davvero scelta, però?
Come un animale aveva imboccato ottusamente la strada che gli avevano preparato, inconsapevole, fino al bivio davanti cui lo aveva posto Federico. La morte, o quella non vita?
Del resto la morte non era davvero una soluzione, così aveva iniziato a imparare cose che aveva solo sognato e la sua sete di sapere diventava ogni giorno più grande, invece che colmarsi dalla fonte a cui attingeva.
La porta si aprì e l'uomo che aveva parlato con Federico entrò, sorridendo a entrambi. 
«Andrea, sei qua, ti cercavo per parlarti.»
Guglielmo strinse le labbra, cogliendo l'invito dell'altro. «Allora vi lascio soli, Domenico. A più tardi, Andrea.»
Il giovane annuì, guardando la porta chiudersi alle spalle del padre mentre Domenico gli girava attorno. Alto e sottile, sembrava quasi una gru dai movimenti eleganti mentre lo studiava, mettendolo sempre più a disagio. Lo guardava annuendo tra sé a scatti, serrando le labbra. 
«Ehm... di cosa mi voleva parlare?»
«In realtà volevo solo studiarti. Sei davvero l'immagine speculare di Ludovico, ci credo che Federico straveda per te. Studia, ragazzo, impegnati. Hai un futuro promettente davanti.»
Con uno svolazzo Domenico se ne andò, lasciando Andrea in silenzio, confuso.
Ancora Ludovico.
Girò e rimase nell'ombra a osservare la festa che prese una piega decisamente diversa, indulgendo in eccessi sfrenati. Il sangue iniziò a scorrere riempiendo le vene dei vampiri, che si concedevano sregolatezze tali da riuscire sia a imbarazzarlo che affascinarlo. Umani drogati venivano prosciugati: venivano portati lì, sotto effetto di alcol o droghe, e il loro sangue rendeva ebbri i vampiri che se ne nutrivano, trasformandoli.
Fu lì che Federico lo raggiunse, cingendogli la vita e iniziando a baciarlo sul collo. Era più vivo di quanto Andrea l'avesse mai visto, mentre l'accarezzava e infilava le mani ovunque. Spinse Andrea contro un tavolo, alzando la gonna e infilandosi tra la stoffa alla ricerca di ciò che desiderava.
In preda all'imbarazzo il giovane cercò di fermarlo.
«Federico, non qua, non qua!»
«Da quando sei così pudico?» 
Ebbro e sconsiderato, ignorando il suo infante, il vampiro proseguì tra le pieghe della seta e del damasco, raggiungendo il suo obbiettivo.
«Basta!» Andrea riuscì a togliersi dalle mani di Federico. Non sapeva che fare, reagire, scappare, arrendersi... qual'era la giusta soluzione?
Si guardò attorno e decise di scappare, di tornare a casa. Tra l'orgia in atto in quella sala, tra sesso e sangue, fuggì il più velocemente possibile. Una volta raggiunto l'esterno si guardò attorno, ma non ebbe tempo di fare un altro passo che la stretta di Federico era di nuovo su di lui.
«Non te ne andrai, non ora» la voce del vampiro si era fatta bassa e roca, suadente eppure imperiosa. «Andiamo a casa, se è quel che vuoi.»
«Sì.»
Ringraziando tra sé ogni Santo, il giovane seguì in una corsa sfrenata il suo sire, vedendo per la prima volta la sua vera forza. Più di una volta Federico lo portò con un solo salto da una parte all'altra di un canale, o di un tetto, e in breve furono alla villa.
La stoffa venne lacerata, gettata a terra, mentre le coltri del grande letto a baldacchino si arrotolavano attorno ai corpi dei due vampiri. Più volte il nome Ludovico danzò sulle labbra di Federico mentre Andrea si chiedeva se il prezzo di quella conoscenza che tanto bramava non fosse troppo alto. La solitudine, i segreti, prestarsi a quelle notti di sesso, sentire il suo corpo riempirsi della presenza dell'altro, fingere di non sentire quel nome e di non vedere come non fosse lui in quel letto per il suo Sire. 
Era l'ombra di quel Ludovico, il ricordo di lui che tornava in vita, evidentemente a causa di quella straordinaria somiglianza.
Quando l'alba giunse e con essa il sonno, il giovane le fu grato: poteva abbandonarsi, morire della piccola morte del giorno, e dimenticare.

 


 

 

 


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