Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: Marianna 73    09/11/2016    18 recensioni
Scelte che uniscono, trascinano, separano e ricongiungono. Scelte che condizionano un'esistenza ma che spesso poco possono contro l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Voce

È la sua voce, nel buio fluttuante e spesso in cui è immersa, a fare da appiglio, da sostegno, da richiamo.
Dapprima tutto le è sembrato un sogno, da quando ha compreso che qualcosa l’avrebbe colpita a quando il colpo ricevuto ha trasformato il suo orizzonte in un bianco abbacinante che si è espanso, sino a travolgerla per poi risucchiarla inesorabile in uno strano universo dai contorni sempre più  grigi e sfocati.
Solo una cosa le ha impedito di arrendersi a quell’abisso denso e silenzioso… una voce.
È  la voce di André ne è certa, non può sbagliarsi, anche se tutto è sfumato e l’ombra che inghiottisce ogni luce e distorce ogni suono sta risucchiando anche le sue forze. Sarebbe cosi facile lasciarsi andare… Ma quel volto, così nitido ed inaspettato, emerso chissà come dalla nebbia, la spinge a rimanere. 
Lo ha intravisto affrontare con furia gli uomini che si accanivano contro di lei e sgominarli, feroce e letale.
Ne ha sentito le urla, mentre combatteva, ed il cozzare del ferro sul ferro ha amplificato il dolore alla testa, tanto che ha dovuto strizzare le palpebre per cercare di arginare il susseguirsi di quei lampi candidi di pura sofferenza.
Lo ha sentito chiamarla interrottamente, ogni istante, e la sua voce, seppur attutita dall’ululare feroce che le martella le tempie e che la rende simile ad un'eco, è l’unica cosa viva e vera in quel sogno brumoso che le si stringe intorno. 
Non ha smesso mai di chiamare il suo nome, anche se non saprebbe dire se con voce vera o d’anima, sin quando è  riuscito a sollevarla tra le braccia e a spostarla, il battito furioso del cuore premuto contro il suo orecchio a cullare il dolore, la frescura  bagnata di un cespuglio a raccontare del fitto del bosco in cui è  riuscito ad addentrarsi, di alte fronde e densa foschia, divenute rifugio, come il suo abbraccio profumato di un tempo che credeva perduto e che non vuole più lasciare.
E ancora, ancora ed ancora, lo ha sentito ripetere il suo nome, sino a che il respiro si è fatto più lieve e le dita si sono ammorbidite sul tessuto della sua giacca.
È al sicuro, adesso. Come non lo è più stata da mesi, da quella notte lontana di rabbia e parole che non avrebbero dovuto essere pronunciate, figlie solo dell’orgoglio e dell’egoismo.
Deve dirglielo e dirglielo subito che lo ama, che non ha mai smesso di amarlo, che è stata una pazza, una sciocca arrogante, che tutto ciò che desidera, e che ha sempre desiderato è solamente lui. Deve solo riemergere da questa incorporea nuvola grigia che la avvolge, così impalpabile ma così greve, deve solo riaprire gli occhi e poi…
È quasi riuscita a concentrarsi sul movimento da compiere per sollevare le palpebre quando la tortura pulsante che si irraggia dalla spalla ogniqualvolta compie un piccolo movimento la aggredisce nuovamente e le impedisce di parlare.
Lo sente adagiarla sul terreno e piano, sbottonare la giacca dell’uniforme e scostare la camicia, sino a scoprire la spalla e lo sente tastare piano il punto dolente, quasi cercasse di comprendere come alleviare la sua sofferenza, le mani come piume amorevoli sullo strazio che le tortura la carne. 
E, di nuovo, tra le sue labbra, il suo nome, e quella voce amata divenire una volta di più un’ancora a cui aggrapparsi per non lasciarsi trascinare via dai flutti scuri dell’incoscienza.
“Ti farò  male,” dice “ma non posso far altro”
Vorrebbe rispondere che non fa nulla, che insieme a lui nulla più la spaventa e si sente capace di affrontare ogni cosa ma già una presa forte, sul polso ed al gomito, trasforma il dolore in un cristallo rovente che esplode, nella sua testa, in milioni di frammenti abbacinanti, che si moltiplicano, feroci ed infiniti,  quando quella stessa presa obbliga il braccio a ruotare.
Poi, in un istante di pausa, altre parole, un balsamo morbido in quell’universo divenuto aspro e dolente. “Resisti Oscar… ho  quasi fatto…”
Di nuovo, vorrebbe annuire ma non ci riesce. Si aggrappa al suono delle sue parole, alla sua voce rimasta uguale a come la ricordava: dolce, calda ed amorevole. E cosi sua…
Uno schiocco, ed un risucchio ad accompagnare l’ultima esplosione di sofferenza, così  grande da spezzarle il respiro, ed un ultimo pensiero incoerente ma innegabile, la certezza più  assoluta che abbia mai avuto. “Non voglio più lasciarti,  André, mai più….” 

C’è un’altra voce a farsi strada nel rimbombare sordo che le martella le tempie, ora.
Sconosciuta, questa, ma profonda ed intensa. “Avete fatto davvero un ottimo lavoro amico mio… se non aveste subito ridotto la lussazione l’articolazione avrebbe potuto subire danni gravissimi….”
Ode un sospiro poi, quando già il suo cuore stava incominciando a sentirne la mancanza, la voce di Andrè. 
“E che mi dite del colpo che ha ricevuto dottore? Quando l’ho vista perdere i sensi ho temuto…”
Le parole si incrinano, vinte dalla paura e da una stanchezza cosi grande da rieccheggiare sino a lei.
“Non preoccupatevi. È probabile che il mancamento sia dovuto al dolore lancinante provato nel riportare la spalla nella sua sede. Quanto al colpo alla testa...”
La voce dell’uomo che André ha chiamato dottore non  può nascondere un poco d’inquietudine, quando prosegue. “Dobbiamo attendere che si svegli, per valutare la situazione”
Sente un rumore di passi, poi di nuovo la voce sconosciuta.
”Fatemi chiamare, non appena si sveglia … e vi prego, riposate…. Aggraverete solo la situazione se crollerete anche voi…”
Il discorso prosegue ma il cigolio di una porta nasconde le voci e nel luogo i cui si trova torna il silenzio.
E, subitaneo, un terrore inspiegabile torna ad avvolgerla e a toglierle il respiro, quasi che senza quella voce, e quella presenza, nuovamente si sciogliesse ogni legame col mondo reale o non vi fossero motivi per cui il suo cuore dovesse continuare a pulsare.
Prova ad arginare la paura che la sta risucchiando, ed a raccogliere le forze per  richiamarlo vicino a sé  ma la voce non risuona che nella sua testa, tanto che le pare di essere prigioniera di uno di quei sogni terribili, in cui ci si affanna per urlare senza riuscirci: il panico si ingigantisce e si trasforma in un artiglio gelato che le serra la gola, le orecchie invase da un ronzio stridente in cui la consapevolezza di essere sola la fa tremare, annichilita ed impotente. Poi di nuovo, un attimo prima di soccombere al buio in cui galleggia e dal quale non riesce a fuggire, qualcosa la salva.
Un tocco, stavolta, una stretta gentile e calda alle sue dita abbandonate ed un balsamo amorevole che si diffonde lento e supera ogni barriera, pelle e sangue ed ossa, per giungere diretto e potentissimo sino al cuore. Un balsamo che racconta di una parte della sua anima  ritrovata, che reca ricordi dolci d’infanzia e racconta di un amore così  grande da superare ogni barriera. Che lenisce e conforta e rassicura. Che la guida, caldo, nel sonno quieto che tutto può  riparare, le parole sussurrate vicine al suo orecchio l’unico medicamento di cui ha bisogno. 
 
*** *** ***

Si appoggia un istante al massiccio del battente, la fronte posata sul fresco del legno, per raccogliere le forze dopo aver salutato il Dott. Delacroix.
Il tonfo del battente, che chiude fuori il resto del mondo, gli dà la forza di prendere un respiro profondo, rassicurato da quel silenzio ovattato, ulteriore conferma, dopo la confusione rumorosa del loro arrivo e dell’assistenza di cui avevano avuto bisogno, che quell’incubo terribile è davvero finito.
Si volta piano, ancora  timoroso che non sia vera, quella figura diafana distesa nel letto, le coltri ben rimboccate.
È da quando è piombato in quella radura e l'ha vista a terra, quasi travolta dalla furia dei suoi assalitori, che fa fatica a riacquistare il contatto con la realtà.
Ogni pensiero, ogni gesto, ogni respiro si è cristallizzato su quell’immagine, su quel volto bellissimo e contratto per la sofferenza e sulla luce che ne ha illuminato lo sguardo quando lo ha visto arrivare… C’era la vita che aveva desiderato con lei, in quell’azzurro. C’era amore e desolazione e solitudine e speranza… c’era lui, e l’emozione con cui si erano donati l’un l’altra la prima volta, in quello sguardo.
Aveva sentito la sua anima destarsi e impetuosa riprendere vita, mentre scendeva con un balzo da cavallo e sguainava la spada, la spossatezza di quelle ore faticosissime improvvisamente dimenticata. L'aveva sentita, quella stessa anima raggiungere quella di Oscar e serrarvisi forte, incastro arcano e perfetto che non aveva dimenticato il percorso da compiere…
E non avevano più smesso di raccontarsi e cullarsi le loro anime, da quell'istante preciso. Ne sente il canto potente anche ora, mentre si avvicina al letto e si siede sulla sedia  che lo affianca, la mano protesa a cercare la seta fredda di quelle dita abbandonate sul lenzuolo, candide quanto la stoffa.
Un brivido lo percorre, mentre le ricopre con il palmo e stringe piano, un respiro che è insieme sollievo e stupore a riempirgli i polmoni.
È arrivato in tempo, è viva. È lì con lui, bellissima e pallida, una delle chemise di seta di Elise ad incorniciare il collo niveo deturpato dal carminio di un graffio che il medico ha deterso dal fango di cui era cosparso. La mano lascia le dita per raggiungere una guancia, pallidissima anch'essa, e dopo una lieve carezza, scende a scostare un ricciolo che quel graffio lo sfiora, nel tentativo di alleviarle anche il piccolo fastidio che quel contatto di piuma potrebbe arrecarle.
Il respiro gli si spezza, quando ritrova quelle ciglia d'oro, fermissime nell’abbandono dell'incoscienza.
“Ho creduto di morire, Oscar” sussurra “quando ti ho vista a terra…”
Il terrore torna a percorrerlo mentre rivive, attimo dopo attimo, ogni parte di quella sequenza terribile di eventi.
Il legno impietoso che si era abbattuto su di lei prima che potesse far qualcosa per impedirlo, il piccolo gemito con cui si era accasciata al suolo, a riempirlo della furia necessaria per affrontarli tutti e tutti sgominarli prima di chinarsi su di lei, il petto ansante e la gola prosciugata dalla sofferenza, per stringerla in un abbraccio e sollevarla e poi correre, correre nel fitto della vegetazione, al riparo, lontano dall’irrompere impetuoso delle guardie chiamate a rinforzo che in fretta avevano avuto la meglio sui malviventi rimasti, e chiamarla, chiamarla, chiamarla… aveva ripreso a respirare solo quando le sue dita avevano trovato, sotto la rigidezza del colletto, il pulsare lieve della sua gola umida di capelli madidi di sudore. Solo allora se la era stretta al petto, la spada ad intralciarlo e renderlo goffo e maldestro, le ginocchia nel fango ghiacciato e aveva pianto, lunghi singhiozzi nervosi e lacrime calde ad inondargli il viso di incongruo sollievo.
Poi l’istinto, richiamato dal lamento di Oscar, aveva guidato i suoi gesti. Aveva percepito il gonfiore innaturale sotto la giacca, e ritrovato il profumo della sua pelle di latte che gli si svelava mentre le slacciava l’uniforme. A cancellare ogni emozione era stato l'orrore dell'articolazione lussata, ed il sudore gli aveva imperlato il viso mentre ritrovava le nozioni apprese dai libri di medicina e si cimentava  per arrecare sollievo a quel corpo offeso.
Le lacrime lo avevano quasi accecato al suono orribile che avevano prodotto le membra straziate di lei mentre le maneggiava e al suo pietoso dimenarsi, per provare invano ad opporsi al dolore. Aveva atteso qualche minuto, cullandola piano, poi aveva immobilizzato il braccio con lunghe strisce di stoffa strappate al suo mantello ed aveva atteso che la confusione nella radura poco lontana si placasse, il corpo inerte di lei stretto al petto ed uno strano istinto a cui non era riuscito a dar nome a spingerlo a tenersi nascosto, a non rivelarsi, a proteggerla, sua soltanto forse per la prima volta nella sua vita. 
Aveva lasciato il suo rifugio ore dopo e recuperato il cavallo era arrivato a casa, stremato, quando già il pomeriggio imbruniva.
Il resto non erano che ricordi confusi: lo zelo di domestici e del dottore che si muovevano come un ronzio soffuso ai margini del suo sguardo che non si era staccato dal volto cereo di lei, nella mente un unico dirompente pensiero. 
Lo sussurra piano, adesso, per la prima volta, spaventato e confortato al tempo stesso dall'importanza di quelle parole che ha trovato la forza di formulare ad alta voce. 
“Non ti lascio più “ sussurra, mentre ritrova il diaccio delle dita bianche di lei e lo intreccia alle sue. “Non ti lascio più…”
Ne è certo, come mai lo è stato di qualcosa prima d'ora.
A costo di rinnegare se stesso e la sua anima, a costo di spezzare, vigliacco ed imperdonabile ogni suggello con ciò che è diventato.
Non l'avrebbe perduta un'altra volta. Il suo cuore, ne era certo, non sarebbe stato in grado di sopportarlo.
Stringe appena quelle falangi tenere mentre si china su di lei e le labbra trovano la seta dei suoi capelli, la guancia appoggiata sul cuscino e gli occhi che si chiudono sommersi dal baluginare di tutto quell’oro.
L’ultimo pensiero coerente è la voce stessa della sua anima: “Non ti lascio più, Oscar”

Continua…

A tutte coloro che sono giunte fin qui, malgrado i miei tempi sempre più lunghi, grazie.
Vi abbraccio tutte.

   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: Marianna 73