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Autore: Lady R Of Rage    10/11/2016    1 recensioni
Ci sono cose che, per quanto ci impegniamo, non riusciamo a capire.
Sans non capisce perché lui e Papyrus non possono entrare nel ristorante di pasta che suo fratello desiderava tanto provare.
Undyne non capisce perché i genitori del suo ammiratore numero uno siano stati uccisi a sangue freddo per strada senza aver fatto nulla per meritarlo.
Mettaton non capisce perché tre uomini col passamontagna siano entrati nel MTT Resort con in mano delle mitragliatrici e abbiamo fucilato senza pietà chiunque gli capitasse a tiro.
Alphys non capisce perché è rinchiusa da due giorni in una stanza piena di polvere, con i polsi stretti da catene e il corpo pieno di ferite causate da coltelli e bastoni.
E Frisk non capisce cosa stia succedendo ai suoi amici, per quale motivo siano costretti a soffrire in questo modo.
Non capisce perché l'umanità, a volte, sappia essere così poco umana.
Genere: Angst, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Alphys, Mettaton, Papyrus, Sans, Undyne
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Glitter E Polvere

Entrarono nel Resort a mezzogiorno in punto, vestiti con giacche a vento nere e coi volti coperti da dei passamontagna. Impugnavano ciascuno una grossa mitragliatrice. 
Il MTT Resort non era ancora stato ricostruito (Mettaton aveva in mente di riprogettarlo daccapo, più grande, più bello e con più glamour), ma il palazzo a noleggio che la star aveva affittato per sostituire la sede sotto terra, un luogo di solito adibito all’organizzazione di eventi e congressi, che la diva metallica aveva arredato con ogni sorta di sciccheria glitterata e riempito di poster che ritraevano il suo elegante corpo in posa plastica.  
-Avanti.- disse uno di loro, sollevando l’arma di fronte a sé.
Quando i mostri che si trovavano all’interno del locale li video, non fecero in tempo a reagire, prima che il capo del trio iniziasse a sparare all’impazzata, seguito dagli altri.
Il primo proiettile colpì il piccolo usciere dalla forma a stella, gettandolo riverso sul pavimento come una figura di cartoncino a poca distanza dall’uomo che l’aveva colpito. Non riuscì ad emettere che un rantolo strozzato prima di dissolversi in un mucchio di polvere.
La portinaia dalla testa a forma di mano fu polverizzata da una scarica di colpi mentre premeva freneticamente il pulsante d’emergenza nascosto sotto il bancone. L’inserviente dal corpo fatto di melma verde non fece in tempo ad alzare la testa dal pavimento, che puliva con solerzia da ore sempre nello stesso punto, prima di essere crivellato. La segretaria del ristorante, dall’aspetto di un grosso pesce verde pallido, pregò e pianse gorgogliando suppliche ai misteriosi assalitori, ma nemmeno quello bastò a salvarla: rimase a boccheggiare per un intero minuto, distesa sul pavimento dell’albergo, mentre una scia di sangue nero le scorreva da più buchi sotto lo stomaco, fino a che anche lei non si smaterializzò definitivamente. 
Continuarono a colpire alla cieca tutti i mostri che vedevano, gridando frasi piene di odio, agitando nell’aria le loro grosse mitragliatrici, prendendo a calci senza pietà i pochi che, ancora feriti, cercavano disperatamente di sgusciare via. Mostri grandi e piccoli, squamosi e pelosi, caddero uno dopo l’altro; alcuni piangendo, altri cercando una via di fuga, altri ancora abbracciando per l’ultima volta i loro cari. 
Furono lunghissimi minuti d’inferno, mentre i colpi di proiettile rimbombavano come tamburi funerari per tutta la stanza, e i pianti e i gemiti dei pochi feriti si spegnevano in sbuffi di polvere.
-Facciamoli neri tutti.- ringhiò il capo dei terroristi. -Uccidiamo questi fenomeni da baraccone.-
Con un gesto del braccio indicò ai compagni la corta scalinata che conduceva ai piani superiori. 
Improvvisamente una porta a vetri si aprì, sbattendo con forza contro le pareti.
-Adesso basta!- ordinò una profonda voce metallica.
Mettaton EX si ergeva in cima alla scala della hall, le braccia sollevate in posizione di guardia e i pugni stretti, un’espressione di disprezzo inveterato incisa sul volto d’acciaio e smalto. Non perse tempo ad ammirare le reazioni disorientate del trio, che probabilmente non si aspettava di trovarsi davanti un robot infuriato: allungò la mano destra, tenendo aperto il palmo, e lanciò uno spesso raggio laser verso i suoi nemici.
Caddero in un attimo, in un mucchio confuso di braccia e gambe, lasciando cadere a terra le ormai inutili mitragliatrici. Solo uno di loro, quello che aveva guidato l’assalto, riuscì ad afferrare un’ultima volta l’arma, e a sparare una nuova scarica contro Mettaton. L’automa riuscì a schivare quasi tutti i proiettili, scavalcando di scatto la ringhiera della scala; un’unica pallottola lo colpì di striscio al fianco schizzando di olio il tappeto coperto di polvere.
Mettaton gemette di dolore, mentre con un nuovo gesto della mano dirigeva quattro piccoli robot dalla forma rettangolare verso il suo aggressore. Le loro piccole mani lo ancorarono al terreno come manette, tenendolo stretto mentre Mettaton vi si avvicinava.
-Basta.- ripeté la voce della star, mentre il suo stivale rosa col tacco a spillo lo colpiva al lato della testa con un calcio iroso.
Privo di sensi, l’uomo si lasciò ricadere all’indietro con tutto il corpo, inerte. Sul lato del passamontagna si formò una macchia liquida. 
Mettaton digrignò i denti, portando la mano al fianco che gocciolava olio. Le sue bellissime gambe erano sul punto di cedere. Si lasciò cadere sul pavimento polveroso, tremando di paura e terrore.
Morti. Tutti morti. Cadaveri di amici, dipendenti, clienti, ridotti a un ammasso informe di polverina grigiastra.
Il robot era talmente spaventato da non sentire nemmeno il dolore al fianco. Il silenzio della stanza pesava su di lui come una cappa di piombo, intrisa di morte e della polvere delle vittime.
-Ma come si può… come?- domandò a nessuno in particolare, accarezzando con il guanto uno dei mucchietti di polvere. 
Chiuse gli occhi, attendendo la discesa delle lacrime. 
L’aria rarefatta del locale aveva assunto un odore di cadavere che penetrava persino nei sistemi meccanici del conduttore robotico. Non sapeva come liberarsene, non osava nemmeno tentare di fuggire. Anche se il fianco non gli avesse fatto male, si sarebbe comunque sentito in trappola.
-Capo…- gridò improvvisamente una voce.
Mettaton parve ridestarsi da un coma lungo mille anni. Con le gambe traballanti riuscì ad alzarsi da terra, e ad arrancare verso il punto da cui proveniva il richiamo: il bancone dei Glamburger e degli Starfait.
Burgerpants giaceva di fianco al tavolo, con la schiena appoggiata contro il muro e le labbra strette in un urlo soffocato. 
Mettaton arrancò nella sua direzione, inciampando nei suoi stessi piedi. 
-Tesoro… tu…-
Il mostro felino tossì violentemente, stringendosi il petto con le zampe macchiate di sangue.
Sangue? Mettaton trasalì visibilmente. Un buco rossiccio si era formato nella polo color salmone che il giovane indossava, una spanna sotto l’ascella. Un buco piccolo, tondo, dal quale gocciolava un’inconfondibile traccia cremisi.
Mettaton allungò le mani coperte dai guanti verso le spalle tremanti del suo dipendente, accogliendolo in un abbraccio. Burgerpants si acciambellò nel suo grembo, gemendo piano. La mano del robot accarezzò con delicatezza il pelo sulla sua testa, strappandogli alcune flebili fusa.
-Andrà bene, tesoro.- sussurrò Mettaton stringendo la zampina tremante dell’altro nella stretta dell’altra mano. -Cerca di restare sveglio.-
La sua voce si spezzò: -È il tuo capo che te lo ordina.-
Burgerpants sorrise docilmente:-Mi sa… che ho finito di lavorare.-
-Non dire così, tesoro.- disse Mettaton, cercando di mantenere un tono allegro. -Sei sempre il benvenuto al MTT-Brand Emporium. Ti farò curare e…-
Ma il ragazzo sembrava preso da altri pensieri. -Dopotutto cosa importa?- rantolò, la voce strozzata da un miagolio di dolore. -Non ho nessuno… non mancherò a nessuno… posso anche…-
-Per favore, non pensare così.- la mano di Mettaton si posò sul muso di Burgerpants, interrompendo con garbo il monologo dell’altro. -Non voglio che tu vada. Sei importante. Tutti sono importanti. E per me, tu conti davvero.-
Il robot tacque per un attimo, senza smettere di accarezzare il pelo arancione del micio.
-Forse non sono bravo a mostrarlo… ma tu mi piaci tantissimo. Non ti cambierei con nessun altro al mondo. E non voglio che tu vada via. Te lo giuro sulle mie gambe: sentirei davvero la tua mancanza.-
Mettaton strinse con rabbia i denti d’avorio, mentre le lacrime cominciavano a scendere lungo il suo volto. Ebbe bisogno di tutte le sue forze per tornare a guardare il gatto morente.
Burgerpants sorrideva. E non si trattava del suo solito sorriso teso, traboccante di rimorsi e rancore: era un sorriso sincero, di chi non ha nessuna preoccupazione al mondo
-Addio, capo.- disse, chiudendo lentamente gli occhi. -Non credevo di dirlo, ma… anche tu mi mancherai.-
Un attimo dopo, tra le braccia di Mettaton non c’erano che una polo rosata e un cappellino di stoffa con su ricamata una M, assieme a un mucchietto di polvere bianchiccia e setosa.
Il robot portò le mani al volto, atterrito, ansimando come un vecchio affamato d’aria. Lacrime grosse e copiose scesero dai suoi occhi mentre le dita tremanti accarezzavano la polvere che era stato il suo dipendente principale.
Cadde in ginocchio sul freddo pavimento coperto di polvere, singhiozzando, urlando al cielo e ai morti tutto il suo dolore, colpendo coi pugni coperti dai guanti insanguinati le piastrelle e il bancone.
Così lo trovarono le forze dell’ordine, quando vennero a prendere i tre terroristi. 
L’unica cosa che riuscì a dire, mentre i poliziotti gli porgevano una coperta e gli chiedevano se stesse bene, fu “Non capisco".

 
  
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