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Autore: momoallaseconda    11/11/2016    2 recensioni
Di come potrebbe finire One Piece ne hanno parlato in tanti. A me piace pensare possa finire così.
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Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con il futuro e si preparò a vuotare il sacco.
-È finita, capitano.- Sorrideva serafica, come solo lei sapeva essere, anche in quel momento.
RufyxRobin SanjixViolet SaboxKoala
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Nami/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo autrice:

Non mi dilungherò so che questo cap. lo aspettavate da un bel po’   u.u

scusate per la lunghezza ma non sono riuscita a tagliare in due parti!

Non potevo non postare il nuovo cap. in occasione del compleanno del nostro meraviglioso spadaccino… nella speranza di vederlo ricomparire presto…… dai Oda!

Vi lascio alla storia!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Finito!! Ti ho battuto di nuovo!!”

Zoro sgranò l’occhio buono, rischiando di soffocarsi con il rhum, guardando la navigatrice scaraventare con forza il boccale ormai vuoto, sul tavolo.

Poggiò con più calma il suo, svuotato un secondo di troppo rispetto a quello della donna.

Aveva vinto lei. Ancora.

Era la terza volta di seguito, quella sera.

Confuso e con la vista un po’ annebbiata, ci mise qualche secondo a mettere a fuoco l’espressione della cartografa.

Nami ci stava prendendo gusto, glielo leggeva in faccia. Quel sorrisetto di sfida, unito allo sguardo vittorioso che gli lanciava, erano tutto un programma.

Scosse la testa, rassegnato, guardando il suo bicchiere.

Tutto sommato non era poi un gran problema.

Gli importava poco di aver perso. A lui bastava aver trovato da bere.

“Beh, che succede? Come mai non ribatti nulla, stasera?” mormorò lei, la voce leggermente impastata dall’alcool.

Zoro alzò di nuovo lo sguardo.

I gomiti poggiati al piano, una mano a sorreggere la testa e uno sguardo interrogativo, Nami lo fissava, in attesa.

Ancora lievemente stordito, si fermò a guardarla qualche secondo di troppo, come succedeva spesso ultimamente.

Gli occhi color cioccolato, adornati da un leggero strato di trucco, gli sembravano così grandi e luminosi mentre lo scrutavano. Le gote rosse, imporporate dalle numerose bottiglie disseminate sul tavolo, la facevano somigliare ad un pomodoro maturo.

Era certo di avere in corpo più o meno lo stesso tasso alcolemico dell’amica, eppure si sentì improvvisamente lucido mentre si perdeva a guardarla in ogni sua più piccola sfaccettatura, imprimendosela nella mente, come se fosse stata l’ultima volta.

La pelle leggermente abbronzata, le lunghe gambe accavallate, l’ovale perfetto del viso… si sorprese per l’ennesima volta nel constatare quanto fosse attraente, Nami.

La mano appoggiata al tavolo, quella ancora fasciata per la ferita al polso, si muoveva ticchettando con le dita sulla superficie come a suonare i tasti di un pianoforte immaginario. I capelli sciolti che cadevano morbidi sulle spalle. La canotta bianca che aveva messo per contrastare il caldo afoso che si respirava nella piccola cucina della casetta dove i Mugi passavano la notte, da due settimane.

Fingendo un’indifferenza che non provava, scrollò le spalle, prima di rispondere.

“Non ho niente da dire. Ho perso. Andrà meglio la prossima volta.”

La cartografa lo squadrò interdetta, posando entrambe le mani sul tavolo.

“Ma come? Nessuna lamentela sul fatto che secondo te ho barato? Nessuna richiesta di rivincita?”

Lo spadaccino sbuffò, divertito.

Non sono così prevedibile come credi.

“Sei strano oggi, Zoro.” Mormorò, non smettendo di guardarlo.

Il ragazzo sospirò tranquillo, allungandosi sulla sedia e incrociando le mani dietro la testa a mo’ di cuscino.

Sapeva che non sarebbe passata inosservata la sua insolita docilità. Nami lo conosceva meglio di chiunque altro, eccezion fatta forse per Rufy.

“Non ho niente. Avevo solo voglia di bere e stare in pace, per coronare la giornata.”

Se non contava i tre giorni passati a letto, per riprendersi dallo scontro contro la ciurma di Barbanera e il Governo Mondiale, quella che stava finendo era stata la prima vera giornata passata in completo relax, da quando la battaglia era finita, ormai quasi due settimane prima.

Niente più cure mediche. Nessuna festa da allestire. Neanche più case da riparare.

A caricare la nave per la partenza del giorno dopo c’avevano pensato Franky, Usop e Brook.

Stranamente nessuno gli aveva chiesto niente per tutto il giorno.

Le uniche cose concrete che aveva fatto erano state una doccia, un cambio d’abito e levarsi di dosso gli ultimi cerotti.

Mah…

“Bastava dirlo, allora! Non ti avrei proposto nessuna gara. Avremmo potuto bere normalmente e non come se non ci fosse un domani!” affermò Nami, iniziando ad alterarsi. “Ho dato fondo a tutta la nostra riserva per una gara che non volevi nemmeno fare! Non mi dai neppure il gusto di vederti sconfitto!”

Zoro ghignò, mantenendo la posizione con le braccia dietro la nuca.

La solita mocciosa.

“Tranquilla, ho ancora qualche bottiglia sulla Sunny. Potremo bere di nuovo prima della prossima isola.” Annunciò sereno, chiudendo l’occhio, pronto ad un sonnellino pre-dormita notturna.

Questione di secondi ed era certo sarebbe partita a razzo in una filippica infinita contro di lui, strepitando arrabbiata. Si preparò mentalmente a salvaguardare le sue orecchie dai decibel che avrebbero captato di lì a poco, ma con sua sorpresa non accadde nulla.

Riaprì mezzo occhio, giusto in tempo per vederla sospirare pesantemente, mentre afferrava le bottiglie per buttarle nella pattumiera.

Si accigliò.

Senza più traccia di sonnolenza e completamente lucido, la osservò curioso poggiare le mani sul piano della cucina ed infossare la testa tra le spalle, dandogli la schiena.

Non dava segno di aver notato che fosse ancora sveglio.

La vide gettare uno sguardo assorto al mazzo di fiori poggiato vicino al lavandino, sistemato in un vasetto di fortuna, e sospirare di nuovo.

Erano quelli il problema..?

“Se non ti piacevano potevi buttarli… non penso che Koala se ne sarebbe accorta.”

Nami sobbalzò, girandosi di scatto a guardarlo.

“Mi hai fatto prendere un colpo!! Pensavo dormissi già!”

“Mi è passato…” rispose tranquillo “Allora? Perché li tieni se non li vuoi?”

Lei lo guardò interrogativa “Chi ha detto che non li voglio?”

Zoro si grattò la testa “Sembrava… ” mormorò, alzando le spalle.

Nami guardò il piccolo mazzo di fiori di campo e sorrise teneramente.

“Mi piacciono, invece. Sabo li ha raccolti a fatica, personalmente. Sono un simbolo d’amore. Non potrei buttarli neanche se volessi.”

Zoro aggrottò le sopracciglia.

“…A saperlo che bastava farti prendere un bouquet per renderti così dolce ti avrei portato a più matrimoni!” ghignò.

“Oh, e mi ci avresti accompagnato sempre tu?” lo guardò, furba.

Lo spadaccino esitò, preso in contropiede.

“Beh… si, perché no…?” mormorò, incerto.

Nami sorrise appena, tornando a guardare il mazzolino, e a Zoro non sfuggì il luccichio che aveva visto brillare per un istante nel suo sguardo.

Avvertì una strana stretta allo stomaco, mentre un’irragionevole voglia di vederglielo ancora negli occhi, lo assaliva. Deglutì.

Prese a seguire le sue mosse con occhio attento e, stranamente, teso.

La guardò sollevare il bouquet, sistemandolo nel lavandino per cambiare l’acqua al vaso.

Le mani lavoravano con precisione e delicatezza.

Senza riuscire a distogliere lo sguardo, rimase ipnotizzato dai suoi movimenti. Le braccia e le spalle, che si muovevano lentamente, in maniera elegante e aggraziata.

Seguì la linea immaginaria che partiva dalle scapole della ragazza e scendeva… scendeva per la spina dorsale, sui fianchi morbidi, verso le gambe fasciate in comodi shorts…

Scosse violentemente la testa.

La figura della navigatrice, ancora impegnata nel suo lavoro, gli stava provocando delle fitte persistenti all’altezza del costato.

Perché all’improvviso aveva caldo?

Si sentiva più stordito ora di quanto non lo fosse un’ora prima, ancora sotto l’effetto dell’alcool.

L’alcool…

Ma si certo! Si disse, esultando per la sensatezza di quel pensiero.

È certamente colpa del Rhum! Doveva essere ancora tremendamente ubriaco!

Era per quello che il cuore batteva così furioso da aver quasi iniziato a fare male.

Colpa sua quel nodo in gola. E sempre opera sua il fuoco ardente che aveva preso a bruciargli dentro quando aveva visto la piccola mano di Nami afferrare decisa i lunghi capelli e spostarne l’intero peso sulla spalla destra, permettendo così allo spadaccino di avere piena visuale della sua nuca e della porzione di collo lasciata scoperta.

Deglutì di nuovo e cercò di concentrarsi sul suo bicchiere vuoto, ancora sul tavolo, ragionando.

Si sentiva lucido come non mai, anche se estremamente inquieto.

Prese a fare dei respiri profondi, per calmare almeno il cuore.

Non era più tanto sicuro fosse opera dell’alcool.

Una cosa era certa. Non doveva più guardarla, non voleva sentire di nuovo quella stretta allo stomaco così incomprensibile ma, allo stesso tempo, stranamente familiare.

Sgranò gli occhi.

Era ben più che familiare.

In effetti, somigliava molto alla sensazione che aveva avvertito la sera della festa di fidanzamento del fratello di Rufy.

Si mosse a disagio sulla sedia, gli occhi ancora fissi sul tavolo, ricordando.

Avevano bevuto molto… Quasi tutti avevano deciso di dormire attorno al falò. Ma lei, Nami, voleva il suo letto e lui aveva deciso, DA SOLO e senza ALCUNA intromissione da parte sua, di accompagnarla a casa.

Il bernoccolo che aveva in testa e i vestiti bruciacchiati, come se li avessero colpiti un fulmine, erano dei chiari e lampanti segnali di quanto fosse ormai un uomo forte e capace di prendere le sue decisioni liberamente e senza costrizioni da parte di terzi.

Senza contare che aveva dovuto ammettere, controvoglia, quanto sarebbe stato meglio un comodo materasso, rispetto alla dura terra.

Aveva acconsentito.

Entrambi ancora un po’ alticci si erano avviati verso la casetta, inprecando (lei), prendendo qualche pugno (lui), ridendo e sostenendosi a vicenda per non cadere.

Arrivati si erano avviati verso le camere e al momento di salutarsi, Nami aveva oltrepassato quel confine invalicabile che li divideva da una vita: gli aveva augurato la buonanotte con un bacio sulla guancia.

Casto, tenero, un semplice sfioramento di labbra che aveva lasciato entrambi senza parole.

Sbigottito, non ebbe nemmeno il tempo di reagire perché la navigatrice, rossa in volto, era fuggita via, chiudendosi in camera sua.

Zoro non aveva aperto bocca per parecchio prima di rendersi conto di avere la cassa toracica a rischio di cedimento tanto il cuore batteva.

Sentiva la pelle bruciare laddove lei aveva posato le labbra.

Ricordò di avere dato nuovamente la colpa all’alcool e di essersene andato a dormire.

Stranamente, però, il sonno aveva faticato a venire…

Il giorno dopo non ne avevano parlato. O meglio, lui non aveva tirato fuori l’argomento perché era evidente che lei non lo ricordasse, ubriaca com’era. E, in ogni caso, non aveva significato nulla.

Erano amici, si disse. Poteva capitare una dimostrazione di affetto più… evidente, ogni tanto. Giusto…?

Lo stomaco sottosopra, ora, sembrava dirgli il contrario, mentre i suoi occhi tornavano sulla figura della ragazza.

Il bouquet di nuovo al suo posto, Nami si girò, nello stesso momento in cui lui alzava lo sguardo.

Un brivido gli corse lungo la colonna vertebrale mentre annegava in quel mare di cioccolato.

“È rimasto del gelato, ne vuoi?”

Noi siamo amici!

Perché guardarla negli occhi stasera era diverso?

“Non ce n’è molto, in realtà…”

Solo amici!

Perché all’improvviso l’idea di esserle solo amico gli stava stretta?

“A me non andrebbe, vuoi finirlo tu…?”

Siamo Nakama!

Perché anche lei non scostava lo sguardo?

Questa cosa non può cambiare!

La verità che custodiva quell'ultimo pensiero gli arrivò potente addosso, come un vento gelido ed ebbe il potere di risvegliarlo.

“Non voglio niente!” proferì, infastidito.

Scosse la testa. Non doveva permettere alla sua mente di fargli questi brutti scherzi!

“Non voglio niente…” ripeté, più calmo.

 

Lo vide distogliere lo sguardo e riuscì a malapena a trattenere la delusione.

Aveva sobbalzato nel sentirlo rispondere duro ed irritato ad una domanda così semplice.

Sorrise mesta, abbassando lo sguardo.

Già, è quello che capita quando qualcosa ti disturba. Chissà perché credo di sapere cosa, o meglio chi, continui a causarti problemi, Zoro.

Ma perché ancora si stupiva? Perché ancora sperava di poter avere con lui un rapporto d’amicizia normale?

Sospirò rassegnata, ma tranquilla.

Doveva smetterla di farsi queste paranoie, ma in sua presenza faceva fatica ad essere razionale.

L’idea che avesse in qualche modo tentato una sorta di approccio prima, dicendole che l’avrebbe portata ad altri matrimoni per renderla più docile, l’aveva fatta sorridere. In cuor suo non le sarebbe dispiaciuto, partecipare ad altre feste, con lui.

Ma, ora, era tornato il solito, vecchio, scorbutico, spadaccino.

Quello che sarebbe stato per sempre irraggiungibile.

E che di me non avrebbe mai capito niente…

A volte si chiedeva se lui la considerasse almeno un’amica, oltre che una compagna di ciurma e bevute.

Chissà perché si illudeva ancora.

E Zoro non accennava a smettere di fare quella smorfia, tanto che finì col farle corrugare la fronte.

Ma che aveva…?

Poi un lampo di comprensione la attraversò.

“Ti senti male, per caso?” chiese, con una certa urgenza nella voce. Si era appena rimesso!

 Il ragazzo la guardò di sottecchi.

“No, perché me lo chiedi?”

“È che hai un’espressione… insomma, prima avrei detto di noia… ma ora, sembri quasi… sofferente… sicuro che va tutto bene?” gli chiese, esitante. Se c’era una cosa che non voleva era irritarlo maggiormente.

Zoro, d’altro canto, non diceva nulla, continuava a mantenere lo sguardo basso.

Se fosse stata in una situazione normale gli avrebbe già tirato un pugno per riscuoterlo. Ma quello non era un giorno normale. L’aria era carica di elettricità, lo sentiva a pelle.

Era un bene che fossero rimasti gli unici occupanti della casetta, quella sera.

Quasi tutti avevano deciso di trascorrere l’ultima notte a Raftel, sparsi in giro, piuttosto che a casa con loro.

Rufy e Robin ospitati da Shanks.

Usop, Franky e Brook da Bartolomeo, con Bibi.

Chopper era ancora in ospedale.

Sanji era sparito quel pomeriggio, dopo aver trovato il coraggio di chieder loro scusa per l’altra sera.

Schioccò la lingua, prese una bottiglia d’acqua e la posò sul tavolo con due bicchieri, sedendosi.

Lo spadaccino la guardò finalmente in viso, aggrottando le sopracciglia.

“L’alcool è finito.” Mormorò, in risposta lei “E avevo sete.”

Lui non rispose, chiuse gli occhi e si stiracchiò sulla sedia.

Le sue movenze le fecero capire che stava per congedarsi, probabilmente per andare a dormire.

L’urgenza di trovare qualcosa, qualunque cosa, per trattenerlo ancora con lei, si fece pressante.

“Mi ha stupito vedere Mihawk.” Sussurrò, pacata. Il bicchiere alle labbra.

Aveva detto la prima cosa che le veniva in mente ed aveva fatto centro.

L’interesse del ragazzo si era risvegliato.

“Cosa intendi?” le chiese, indagatore.

Nami alzò le spalle “Non credevo che sarebbe venuto ad aiutarci, dopo quello che gli hai fatto tre mesi fa.”

Zoro ghignò. “E che gli avrei fatto?”

M guarda come cambia personalità quando si tocca la sua roba…

Lei sorrise. “Lo hai battuto e gli hai rubato il titolo. Ma, lo hai anche risparmiato.” Poggiò la testa su una mano, guardandolo furba “Se fossi stata io, col cavolo che sarei venuta ad aiutare in battaglia quello che mi ha sottratto la mia ragione di vita!”

Il ghigno del ragazzo si allargò ancora di più.

“Questo perché tu sei una strega senza cuore.” Mormorò, prendendola in giro.

Nami si finse offesa “Ah si? Sempre meglio che essere un’idiota con la testa vuota!”

Zoro sghignazzò.

“Perona ha fatto un buon lavoro.” Mormorò, tornando serio. “Gli è rimasta solo la cicatrice al volto…

“Per un attimo, su quell’isola, ho pensato davvero di averlo ucciso…”

La cartografa rischiò di soffocarsi con l’acqua.

Davvero si stava confidando?? Con lei??

Riprese un contegno adeguato velocemente, dandogli tutta la sua attenzione, restia a farsi scappare un’occasione del genere.

Zoro non sembrava essersi accorto di nulla. Lo sentì sospirare pesantemente.

“All’inizio, diventare il migliore significava porre fine alla vita del mio predecessore. Non era mai stato un problema per me.

“Ma poi… quello stesso uomo, per due anni è stato il mio maestro ed ho iniziato a rivalutare la cosa.

Fin dall’inizio dello scontro, nel bene o nel male, non avevo alcuna intenzione di ucciderlo!” chiuse gli occhi, ricordando.

Nami non si perdeva una sillaba.

Nessuno sapeva cosa fosse successo durante l’ultimo, definitivo scontro, con Mihawk.

Zoro aveva raccontato tutto solo ed esclusivamente al suo capitano.

La consapevolezza che, ora, si stesse aprendo con lei le scaldò il cuore, rubandole il fiato.

“Sapervi tutti al sicuro al largo, mi ha aiutato.” Continuò il ragazzo “Ho combattuto spingendomi al limite tante volte, ma quella era una battaglia diversa.” Fece un sorrisetto “Non ero certo di uscirne.”

Nami annuì, partecipe.

Lei lo sapeva bene. I Kami solo sapevano quanto era stata male in quei due giorni.

Non sapere come stava era stato logorante e le aveva aperto gli occhi.

Solo uno dei due sarebbe riemerso da quell’isola e doveva lottare con la logica che le imponeva di valutare anche l’idea di non rivederlo mai più.

Due giorni passati tra l’angoscia e la speranza.

Tutta la ciurma avvertiva la tensione e cercava di tenersi occupata.

Solo Rufy, stoico, non si era mai mosso. Seduto sulla polena a braccia incrociate, occhi determinati fissi sull’isola, attendeva l’esito dello scontro, mangiando solo le cose che Sanji o Robin gli portavano di tanto in tanto.

Quando il razzo segnalatore si era alzato dalla montagna al tramonto del secondo giorno, a decretare la fine dell’incontro come pattuito, Rufy aveva voluto andare personalmente a riprendersi il suo amico. In qualunque stato fosse, vivo o morto, doveva essere il primo a vederlo. Aveva voluto con sé solo Chopper, Franky e Sanji.

Non riuscì dire grazie a quale forza divina fu in grado di trattenersi dall’ordinare al proprio capitano di portarla con loro.

Li avevano aspettati per un tempo indefinito, col cuore in gola.

Scoprire che era ancora vivo era stato come rinascere una seconda volta.

C’erano voluti dieci giorni per rimetterlo in piedi e durante questo lasso di tempo, si era allontanata dall’infermeria giusto per sistemare la rotta o fare una doccia. Chopper aveva rinunciato a chiederle di riposarsi. Poteva dormire lì, un secondo letto c’era.

Era diverso da Thriller Bark…

Non riusciva ad allontanarsi da lui. E la cosa che la mandava in bestia era che non capiva perché!

Perché il cervello andava in tilt quando lui, nel sonno, le stringeva la mano?

Perché si angosciava tanto se vedeva che una sua ferita si era riaperta?

Perché il cuore sembrava andare in arresto cardiaco ad ogni suo ghigno sofferente?

Alcuni dei suoi compagni avevano preso a lanciarle persistenti occhiate inequivocabili, a cui non dava credito.

Impensabile, impossibile, oltre ogni previsione, era stato difficile ammettere con sé stessa la verità.

Ma aveva dovuto capitolare.

Ed ora, a tre mesi da quella rivelazione, le sembrava di averlo sempre saputo.

Era destino…

 

“Io credo che Occhi di Falco sia felice che tu l’abbia battuto.” Mormorò in un soffio, fissandolo seria.

“Tu credi…?” le chiese, scettico.

“Lui sapeva che eri l’unico degno di succedergli. Era il tuo destino batterlo. Altrimenti non si sarebbe mai preso il disturbo di allenarti. Se fossi stato un altro ti avrebbe ignorato o mandato a quel paese.” Zoro la ascoltava attento “Io credo, che lui abbia sempre saputo che prima o poi tu l’avresti superato.”

Lo spadaccino fece un sorrisetto “Una cosa tipo, l’allievo che supera il maestro? Di certo, però, non si aspettava di sopravvivere per vederlo.”

Nami rise, scuotendo i lunghi capelli “No, infatti. Gli hai tirato un gran brutto scherzo!”

Sghignazzarono per un po’, malinconici.

Fu Zoro a prendere parola per primo, guardandola fisso. “Che succede, Nami?”

Lei lo squadrò, presa in contropiede. “Pensavo…” ammise.

“Alle scuse patetiche che ci ha fatto oggi torcigliolo pazzo?”

La cartografa roteò gli occhi. “Smettila… è stato gentile. Non era obbligato.”

Il ragazzo si accigliò “Come ‘non era obbligato’?? Ha tentato di farmi la pelle!”

Nami fece una smorfia. “Come se fossi mai stato davvero preoccupato di questo! E poi, era ubriaco! Lo sai che non pensava nulla delle cose che ha detto… era triste per Viola…” asserì, mesta.

“Non la ritengo una motivazione valida per dare fastidio agli altri!” concluse lui, incrociando le braccia, imbronciato.

“Quando si è ubriachi si parla a briglia sciolta. Si fanno cose che da sobri non avresti mai il coraggio di fare. Se poi ci metti anche una buona dose di depressione, esce il lato peggiore di te…” mormorò lei stancamente, fissando il tavolo.

Zoro strinse gli occhi. Stiamo ancora parlando di Sanji…?

Probabilmente no.

Era più facile pensare che si fosse ricordata il bacio dell’altra sera, e che si stesse facendo delle paranoie assurde, soppesando a chissà quale risvolto problematico avrebbe potuto portare.

Dio quanto siamo uguali noi due…

Scosse la testa impercettibilmente, guardando con affetto la ragazza che aveva di fronte, fissare con sguardo perso il suo bicchiere.

Sarebbe stato un’idiota se non avesse ammesso, almeno a sé stesso, di averci pensato anche lui, a quell’eventuale risvolto. Doveva dirlo… se fosse stato positivo lo avrebbe preferito di gran lunga.

Quella complicità, quel senso di famiglia, con lei erano amplificati.

Il suo lato manesco e autoritario fuoriusciva per la maggiore, ma all’occorrenza dimostrava un’indole umana di rara bellezza. Difficile non gravitarle attorno quando lasciava uscire la sua parte più dolce.

Nami era il cuore della ciurma. La depositaria principale delle sofferenze e delle gioie di tutti.

Si era fatta carico di pesi infinitamente superiori alle sue spalle già da piccola e continuava, silente, ad essere la custode di ogni carico emotivo triste o felice, soggiornasse nei suoi Nakama.

Ricordava ancora il senso di beatitudine e sollievo che aveva provato quando, al suo risveglio dopo aver sconfitto Mihawk, l’aveva trovata al suo capezzale.

L’appellativo con cui spesso Sanji l’apostrofava era azzeccato in quel periodo: un angelo sorridente, che l’aveva assistito per giorni, instancabile.

Era felice di essere ancora vivo. Felice perché così lei, non era triste.

Era questa la Nami che avrebbe voluto vedere sempre, non l’isterica ragazzina o l’avara doppiogiochista, maschere create appositamente per celare quel lato del suo carattere troppo fragile.

La sua intelligenza e umanità, unite alla sua innegabile bellezza, la rendevano la donna perfetta che chiunque avrebbe sognato. E, aveva scoperto recentemente con un certa dose di inquietudine, lui compreso.

Certo, dirlo a voce alta era tutto un altro paio di maniche e avrebbe dovuto gelare l’inferno, prima.

Ma tant’era, perché ormai ci pensava da una settimana, ogni volta che restavano soli.

E, come un mantra, si ripeteva che Nami era sua amica. Una Nakama!

Che queste fantasie non dovevano neanche passargli per l’anticamera del cervello!

Che non doveva pensare ad un eventuale ‘noi’. Perché faceva paura e metteva angoscia. Ed era un pensiero che si imponeva di evitare.

Nonostante tutti i suoi buoni propositi non riusciva a fare a meno di pensarci.

La voglia di guardarla, di sfiorarla, era pressante. Al mattino, appena sveglio, non riusciva ad impedirsi di cercarla con gli occhi.

Stordito, iniziava a fare i conti con sensazioni evidenti e palpabili, che negli anni aveva relegato in un angolino della sua testa. Per forza quei giorni gli erano sembrati strani!

Non sapeva spiegarselo… era come se tutte le sue emozioni fossero state messe in stand-by dal suo cervello per cinque anni, per poi farle esplodere di colpo nell’ultima settimana.

Era impossibile, eppure gli sembrava di provarle da sempre.

Negli anni, sapendo di non potersi permettere distrazioni, aveva alzato un muro intorno a sé, non permettendo a nessun genere di sentimento di fuoriuscire, se escludiamo la fedeltà verso Rufy e la propria famiglia.

E ora…

Guardò le sue fidate spade, sempre al suo fianco.

Ora che la promessa fatta a Kuina era stata rispettata e la lealtà verso il suo capitano si era mantenuta salda fino alla fine, aiutandolo a raggiungere il suo sogno, si sentiva realizzato come pirata e spadaccino.

Ma come uomo, iniziava a rendersi conto di desiderare ben altro. Qualcosa che non avrebbe dovuto volere ma, a dispetto del suo orgoglio, il cuore faticava a restare nel petto quando lei lo guardava.

Non avrebbe dovuto permettere che accadesse!

La situazione doveva restare così… non aveva senso esporre alla navigatrice i suoi dubbi, parlarle di quegli strani sentimenti che sentiva crescere verso di lei, ogni giorno un po’ più forti.

Non aveva senso ammettere che, forse, non era più amicizia quella che provava per lei.

La loro avventura era conclusa, ormai… Nami era destinata a tornare nella sua isola, senza di lui.

Cosa avrebbe fatto dopo averla lasciata a Coco…?

Sarebbe riuscito ugualmente a vivere bene, sapendo di essersi lasciato sfuggire l’occasione di conoscere la verità? Perché una verità c’era. E, forse forse, iniziava ad intuirla…

 

“Chissà quando rivedremo Robin…” sussurrò lei, triste.

Il ragazzo la guardò assorto, con un sorrisetto “Ha preso la decisione giusta... E anche Rufy… lei saprà tenerlo a bada!”

“Ammetto che mi hanno sorpreso…”

“A me no.”

Nami lo guardò curiosa.

“Si avvertiva…” asserì lui, con alzata di spalle.

Lei non aggiunse altro, ponderando le sue parole.

Zoro aveva da sempre una sorta di sesto senso.

In battaglia gli tornava utile soprattutto perché riusciva spesso ad anticipare le mosse del nemico e avvertiva facilmente i pericoli che lo minacciavano.

Ma con gli occupanti della Sunny, dava il meglio di sé. Capiva al volo se qualcuno stava male, era triste o semplicemente voleva essere lasciato in pace. Non era empatia, era una cosa più viscerale. Qualcosa che gli veniva da dentro e che non poteva controllare.

Con pochi elementi, era in grado di valutare in rapidità, se era il caso di impicciarsi o no. Spesso propendeva per la seconda ipotesi, preferendo di gran lunga una dormita sul ponte della nave, intuendo che il suo intervento non era necessario.

Sfortunatamente (o fortunatamente se fosse dipeso da lui), tra i suoi Nakama questa abilità veniva scambiata ogni volta per menefreghismo acuto, tutti ormai certi che lui avesse il patrimonio emozionale di un fermacarte.

In realtà era solo molto bravo a scansare i problemi che non lo toccavano personalmente o che non mettevano in pericolo la famiglia.

Zoro era da sempre la loro roccia. Non aveva mai dato segno di avere alcuna minima debolezza.

A differenza della fedeltà assoluta che provavano per Rufy, quella verso Zoro era totale e indissolubile fiducia. Lui era quello su cui ognuno di loro faceva affidamento nei momenti peggiori. L’unico in grado di far ragionare anche quello scavezzacollo del loro capitano. L’unico che non si sarebbe mai tirato indietro, certi che li avrebbe fatti uscire dai guai ancora una volta.

Per una sorta di accordo comune non scritto, sapevano che se lui avesse vacillato anche tutti loro sarebbero colati a picco, capitano compreso. Ma non era mai successo.

Chissà se avvertiva anche quello che scaturiva da lei.

…io non vorrei guardarti cosi... non devo guardarti così…

Voleva ostinatamente un gesto che le confermasse quello che il suo cuore bramava più di ogni altra cosa.

Voleva disperatamente essere amata da lui.

Robin da una settimana le lanciava occhiatine insistenti, voleva che si facesse avanti. Voleva lasciarla felice.

Ma non sapeva quanto l’avrebbe annientata, venire rifiutata.

La loro avventura volgeva al termine e sembrava essere arrivato il capolinea anche per lei e i suoi sentimenti. Nonostante avesse solo ventidue anni, sentiva di aver passato abbastanza guai e avventure da bastarle per una vita intera.

Tornare a casa avrebbe significato la fine definitiva di tutto.

Non lo rivedrò più… Forse Robin ha ragione…

“Tu che pensi di fare quando saremo tornati nel mare orientale?” buttò lì, trattenendo impercettibilmente il fiato.

Lui non si scompose, alzò le spalle “Non lo so.” Ammise.

Nami annuì. Era certa di questa sua risposta. “Potrei avere una proposta per te, allora.” Mormorò, fissandolo furba.

Zoro alzò un sopracciglio, scettico. “Dubito sia qualcosa che mi interessi…”

“Non sai neanche cosa sia!”

“Non serve! Di solito, quando mi chiedi qualcosa con quella faccia vuol dire che sarà piacevole solo per te!”

Lei, sicura di avere il coltello dalla parte del manico, si guardò le unghie, distrattamente. “Per caso, ricordi quel certo debito che hai nei miei confronti…?”

Il verde sgranò l’occhio buono, sudando freddo. “Non ho alcun debito verso di te!” ringhiò.

“Oh, credo che tu ti stia sbagliando…” mormorò, astuta.

Zoro deglutì vistosamente.

O la va’ o la spacca…

 

“Stavo pensando che il mio agrumeto a Coco sarà cresciuto parecchio, ormai. Io e Nojiko dovremo lavorare sodo per mantenerlo bello e rigoglioso. Ho paura che da sole riusciremmo a fare ben poco. Ci servirebbe un po’ d’aiuto e, guarda caso, tu non hai altro da fare e mi devi già una discreta somma di denaro… per cui… beh, potresti venire a lavorare da me per un po’, per ripagarmi…”

Zoro la fissò.

Sta per caso cercando di…

Incrociò le braccia, squadrandola serio. “Potrei rifiutarmi…” mormorò, prendendola larga.

Credeva di aver intuito cosa gli stesse chiedendo tra le righe, ma voleva farglielo dire chiaramente.

Doveva essere certo di non esserselo sognato il tono esitante di lei mentre pronunciava l’ultima frase.

Non poteva permettersi un passo falso.

“Non ti converrebbe…” sussurrò, nervosa.

Il cuore prese a scalpitare, irrequieto.

“Robin può rinunciare e io no?”

Vuoi che resti con te, Nami…? Lo vuoi, o no?

“Lei non mi deve un sacco di soldi!” disse la navigatrice, imbronciandosi.

Zoro ghignò, sentendo il corpo in fibrillazione. “Ma io potrei voler fare altro… ora sono il miglior spadaccino del mondo…”

“È vero, ma un giorno non troppo lontano potresti arrivare a chiederti come sarebbe potuto essere…” sussurrò, tesa come una corda di violino “…lavorare in un agrumeto, intendo.” Aggiunse veloce.

Il ghignò aumentò e il cuore impazzì del tutto, facendogli girare la testa.

Volevano la stessa cosa…

“Non mi lasci molta scelta, allora…”

 

Nami tremò emozionata.

“Ormai, pensavo di averla fatta franca…” ammise, guardandola intensamente, comunicando con gli occhi tutto quello che non sarebbe riuscito mai ad esternare.

“Per fortuna me ne sono ricordata…” sorrise lei, il cuore che esplodeva nel petto. “Non volevo lasciarmi sfuggire l’occasione di vederti lavorare per una volta in vita tua!” gli fece la linguaccia.

“Strega…” sghignazzò il verde.

Sta succedendo davvero…? Anche lui… oh mio dio… anche lui…!

“Avrò almeno vitto e alloggio gratis, vero..?”

“Non esistono alberghi a Coco. Dovrai farti bastare casa mia…” alzò le spalle, fingendo noncuranza.

“Vedrò di farmela piacere…” sussurrò, inumidendosi vistosamente le labbra.

Nami sorrise raggiante, incapace di fare altro.

 

“È tardi. Domani si parte. Credo che dovremo andare a letto.” Si alzò, continuando a tenere gli occhi incatenati nei suoi. Era forse un invito…?

Quella bocca rossa, piena, invitante, sembrava dire di si…

“Ah, Zoro?” si fermò sulla soglia, colta da un pensiero.

Il ragazzo girò appena la testa, dando segno di essere in ascolto.

Nami tornò indietro “Dimenticavo…” mormorò, prima di posargli un tenero e leggero bacio sulla guancia, vicino alle labbra. “Buon compleanno…” sussurrò con un dolce sorriso, accarezzandogli maliziosamente la nuca.

Il verde ghignò apertamente, osservandola con la coda dell’occhio allontanarsi e sparire oltre l’uscio.

Pazzesco… era davvero un invito a seguirla..?

Sorrise di cuore, sentendosi leggero e rilassato.

Incredibile… Provavano le stesse cose ed avevano appena deciso di vivere insieme a Coco.

.............ed in casa non c’era nessun altro…………

Che diavolo stava aspettando???

Zoro le concesse cinque secondi vantaggio prima di catapultarsi nel corridoio.

Quella notte, la sedia caduta a terra nella foga, non fu l’unico rumore che quei muri sentirono.

 

 

 

   
 
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