Angolo autrice:
Non mi
dilungherò so che questo cap. lo aspettavate da un bel
po’ u.u
scusate per
la lunghezza ma non sono riuscita a tagliare in due parti!
Non potevo
non postare il nuovo cap. in occasione del compleanno del nostro
meraviglioso
spadaccino… nella speranza di vederlo ricomparire
presto…… dai Oda!
Vi lascio
alla storia!
“Finito!!
Ti ho battuto di nuovo!!”
Zoro sgranò
l’occhio buono, rischiando di soffocarsi con il rhum,
guardando la navigatrice scaraventare
con forza il boccale ormai vuoto, sul tavolo.
Poggiò con
più calma il suo, svuotato un secondo di troppo rispetto a
quello della donna.
Aveva vinto
lei. Ancora.
Era la
terza volta di seguito, quella sera.
Confuso e
con la vista un po’ annebbiata, ci mise qualche secondo a
mettere a fuoco
l’espressione della cartografa.
Nami ci
stava prendendo gusto, glielo leggeva in faccia. Quel sorrisetto di
sfida,
unito allo sguardo vittorioso che gli lanciava, erano tutto un
programma.
Scosse la
testa, rassegnato, guardando il suo bicchiere.
Tutto
sommato non era poi un gran problema.
Gli
importava poco di aver perso. A lui bastava aver trovato da bere.
“Beh, che
succede? Come mai non ribatti nulla, stasera?”
mormorò lei, la voce leggermente
impastata dall’alcool.
Zoro alzò
di nuovo lo sguardo.
I gomiti
poggiati al piano, una mano a sorreggere la testa e uno sguardo
interrogativo,
Nami lo fissava, in attesa.
Ancora lievemente
stordito, si fermò a guardarla qualche secondo di troppo,
come succedeva spesso
ultimamente.
Gli occhi
color cioccolato, adornati da un leggero strato di trucco, gli
sembravano così grandi
e luminosi mentre lo scrutavano. Le gote rosse, imporporate dalle
numerose
bottiglie disseminate sul tavolo, la facevano somigliare ad un pomodoro
maturo.
Era certo
di avere in corpo più o meno lo stesso tasso alcolemico
dell’amica, eppure si sentì
improvvisamente lucido mentre si perdeva a guardarla in ogni sua
più piccola
sfaccettatura, imprimendosela nella mente, come se fosse stata
l’ultima volta.
La pelle leggermente
abbronzata, le lunghe gambe accavallate, l’ovale perfetto del
viso… si sorprese
per l’ennesima volta nel constatare quanto fosse attraente,
Nami.
La mano appoggiata
al tavolo, quella ancora fasciata per la ferita al polso, si muoveva
ticchettando con le dita sulla superficie come a suonare i tasti di un
pianoforte immaginario. I capelli sciolti che cadevano morbidi sulle
spalle. La
canotta bianca che aveva messo per contrastare il caldo afoso che si
respirava
nella piccola cucina della casetta dove i Mugi passavano la notte, da
due
settimane.
Fingendo
un’indifferenza che non provava, scrollò le
spalle, prima di rispondere.
“Non ho
niente da dire. Ho perso. Andrà meglio la prossima
volta.”
La cartografa
lo squadrò interdetta, posando entrambe le mani sul tavolo.
“Ma come?
Nessuna lamentela sul fatto che secondo te ho barato? Nessuna richiesta
di
rivincita?”
Lo
spadaccino sbuffò, divertito.
Non sono
così prevedibile come credi.
“Sei strano
oggi, Zoro.”
Mormorò, non smettendo
di guardarlo.
Il ragazzo
sospirò tranquillo, allungandosi sulla sedia e incrociando
le mani dietro la
testa a mo’ di cuscino.
Sapeva che
non sarebbe passata inosservata la sua insolita docilità.
Nami lo conosceva meglio
di chiunque altro, eccezion fatta forse per Rufy.
“Non ho
niente. Avevo solo voglia di bere e stare in pace, per coronare la
giornata.”
Se non
contava i tre giorni passati a letto, per riprendersi dallo scontro
contro la
ciurma di Barbanera e il Governo Mondiale, quella che stava finendo era
stata la
prima vera giornata passata in completo relax, da quando la battaglia
era
finita, ormai quasi due settimane prima.
Niente più
cure mediche. Nessuna festa da allestire. Neanche più case
da riparare.
A caricare
la nave per la partenza del giorno dopo c’avevano pensato
Franky, Usop e Brook.
Stranamente
nessuno gli aveva chiesto niente per tutto il giorno.
Le uniche
cose concrete che aveva fatto erano state una doccia, un cambio
d’abito e
levarsi di dosso gli ultimi cerotti.
Mah…
“Bastava
dirlo, allora! Non ti avrei proposto nessuna gara. Avremmo potuto bere
normalmente e non come se non ci fosse un domani!”
affermò Nami, iniziando ad
alterarsi. “Ho dato fondo a tutta la nostra riserva per una
gara che non volevi
nemmeno fare! Non mi dai neppure il gusto di vederti
sconfitto!”
Zoro ghignò,
mantenendo la posizione con le braccia dietro la nuca.
La solita mocciosa.
“Tranquilla,
ho ancora qualche bottiglia sulla Sunny. Potremo bere di nuovo prima
della
prossima isola.” Annunciò sereno, chiudendo
l’occhio, pronto ad un sonnellino
pre-dormita notturna.
Questione
di secondi ed era certo sarebbe partita a razzo in una filippica
infinita
contro di lui, strepitando arrabbiata. Si preparò
mentalmente a salvaguardare
le sue orecchie dai decibel che avrebbero captato di lì a
poco, ma con sua
sorpresa non accadde nulla.
Riaprì
mezzo occhio, giusto in tempo per vederla sospirare pesantemente,
mentre
afferrava le bottiglie per buttarle nella pattumiera.
Si
accigliò.
Senza più
traccia di sonnolenza e completamente lucido, la osservò
curioso poggiare le
mani sul piano della cucina ed infossare la testa tra le spalle,
dandogli la
schiena.
Non dava
segno di aver notato che fosse ancora sveglio.
La vide
gettare uno sguardo assorto al mazzo di fiori poggiato vicino al
lavandino,
sistemato in un vasetto di fortuna, e sospirare di nuovo.
Erano quelli il
problema..?
“Se non ti
piacevano potevi buttarli… non penso che Koala se ne sarebbe
accorta.”
Nami
sobbalzò, girandosi di scatto a guardarlo.
“Mi hai fatto
prendere un colpo!! Pensavo dormissi già!”
“Mi è
passato…” rispose tranquillo “Allora?
Perché li tieni se non li vuoi?”
Lei lo
guardò interrogativa “Chi ha detto che non li
voglio?”
Zoro si
grattò la testa “Sembrava… ”
mormorò, alzando le spalle.
Nami guardò
il piccolo mazzo di fiori di campo e sorrise teneramente.
“Mi
piacciono, invece. Sabo li ha raccolti a fatica, personalmente. Sono un
simbolo
d’amore. Non potrei buttarli neanche se volessi.”
Zoro
aggrottò le sopracciglia.
“…A saperlo
che bastava farti prendere un bouquet per renderti così
dolce ti avrei portato
a più matrimoni!” ghignò.
“Oh, e mi
ci avresti accompagnato sempre tu?” lo guardò,
furba.
Lo spadaccino
esitò, preso in contropiede.
“Beh… si,
perché no…?” mormorò,
incerto.
Nami
sorrise appena, tornando a guardare il mazzolino, e a Zoro non
sfuggì il
luccichio che aveva visto brillare per un istante nel suo sguardo.
Avvertì una
strana stretta allo stomaco, mentre un’irragionevole voglia
di vederglielo
ancora negli occhi, lo assaliva. Deglutì.
Prese a
seguire le sue mosse con occhio attento e, stranamente, teso.
La guardò
sollevare il bouquet, sistemandolo nel lavandino per cambiare
l’acqua al vaso.
Le mani
lavoravano con precisione e delicatezza.
Senza
riuscire a distogliere lo sguardo, rimase ipnotizzato dai suoi
movimenti. Le
braccia e le spalle, che si muovevano lentamente, in maniera elegante e
aggraziata.
Seguì la
linea immaginaria che partiva dalle scapole della ragazza e
scendeva… scendeva
per la spina dorsale, sui fianchi morbidi, verso le gambe fasciate in
comodi
shorts…
Scosse
violentemente la testa.
La figura
della navigatrice, ancora impegnata nel suo lavoro, gli stava
provocando delle
fitte persistenti all’altezza del costato.
Perché
all’improvviso aveva caldo?
Si sentiva
più stordito ora di quanto non lo fosse un’ora
prima, ancora sotto l’effetto
dell’alcool.
L’alcool…
Ma si certo! Si disse, esultando per la sensatezza di quel
pensiero.
È
certamente colpa del Rhum! Doveva essere ancora tremendamente ubriaco!
Era per
quello che il cuore batteva così furioso da aver quasi
iniziato a fare male.
Colpa sua
quel nodo in gola. E sempre opera sua il fuoco ardente che aveva preso
a
bruciargli dentro quando aveva visto la piccola mano di Nami afferrare
decisa i
lunghi capelli e spostarne l’intero peso sulla spalla destra,
permettendo così
allo spadaccino di avere piena visuale della sua nuca e della porzione
di collo
lasciata scoperta.
Deglutì di
nuovo e cercò di concentrarsi sul suo bicchiere vuoto,
ancora sul tavolo,
ragionando.
Si sentiva
lucido come non mai, anche se estremamente inquieto.
Prese a
fare dei respiri profondi, per calmare almeno il cuore.
Non era più
tanto sicuro fosse opera dell’alcool.
Una cosa
era certa. Non doveva più guardarla, non voleva sentire di
nuovo quella stretta
allo stomaco così incomprensibile ma, allo stesso tempo,
stranamente familiare.
Sgranò gli
occhi.
Era ben più
che familiare.
In effetti,
somigliava molto alla sensazione che aveva avvertito la sera della
festa di
fidanzamento del fratello di Rufy.
Si mosse a
disagio sulla sedia, gli occhi ancora fissi sul tavolo, ricordando.
Avevano
bevuto molto… Quasi tutti avevano deciso di dormire attorno
al falò. Ma lei,
Nami, voleva il suo letto e lui aveva deciso, DA SOLO e senza ALCUNA
intromissione da parte sua, di accompagnarla a casa.
Il
bernoccolo che aveva in testa e i vestiti bruciacchiati, come se li
avessero
colpiti un fulmine, erano dei chiari e lampanti segnali di quanto fosse
ormai
un uomo forte e capace di prendere le sue decisioni liberamente e senza
costrizioni
da parte di terzi.
Senza
contare che aveva dovuto ammettere, controvoglia, quanto sarebbe stato
meglio
un comodo materasso, rispetto alla dura terra.
Aveva acconsentito.
Entrambi
ancora un po’ alticci si erano avviati verso la casetta,
inprecando (lei),
prendendo qualche pugno (lui), ridendo e sostenendosi a vicenda per non
cadere.
Arrivati si
erano avviati verso le camere e al momento di salutarsi, Nami aveva
oltrepassato quel confine invalicabile che li divideva da una vita: gli
aveva
augurato la buonanotte con un bacio sulla guancia.
Casto,
tenero, un semplice sfioramento di labbra che aveva lasciato entrambi
senza
parole.
Sbigottito,
non ebbe nemmeno il tempo di reagire perché la navigatrice,
rossa in volto, era
fuggita via, chiudendosi in camera sua.
Zoro non
aveva aperto bocca per parecchio prima di rendersi conto di avere la
cassa
toracica a rischio di cedimento tanto il cuore batteva.
Sentiva la
pelle bruciare laddove lei aveva posato le labbra.
Ricordò di
avere dato nuovamente la colpa all’alcool e di essersene
andato a dormire.
Stranamente,
però, il sonno aveva faticato a venire…
Il giorno
dopo non ne avevano parlato. O meglio, lui non aveva tirato fuori
l’argomento
perché era evidente che lei non lo ricordasse, ubriaca
com’era. E, in ogni
caso, non aveva significato nulla.
Erano
amici, si disse. Poteva capitare una dimostrazione di affetto
più… evidente, ogni
tanto. Giusto…?
Lo stomaco
sottosopra, ora, sembrava dirgli il contrario, mentre i suoi occhi
tornavano
sulla figura della ragazza.
Il bouquet
di nuovo al suo posto, Nami si girò, nello stesso momento in
cui lui alzava lo
sguardo.
Un brivido
gli corse lungo la colonna vertebrale mentre annegava in quel mare di
cioccolato.
“È rimasto
del gelato, ne vuoi?”
Noi siamo amici!
Perché
guardarla negli occhi stasera era diverso?
“Non ce n’è
molto, in realtà…”
Solo amici!
Perché
all’improvviso l’idea di esserle solo amico gli
stava stretta?
“A me non
andrebbe, vuoi finirlo tu…?”
Siamo Nakama!
Perché
anche lei non scostava lo sguardo?
Questa cosa non
può cambiare!
La verità
che custodiva quell'ultimo pensiero gli arrivò potente
addosso, come un vento
gelido ed ebbe il potere di risvegliarlo.
“Non voglio
niente!” proferì, infastidito.
Scosse la
testa. Non doveva permettere alla sua mente di fargli questi brutti
scherzi!
“Non voglio
niente…” ripeté, più calmo.
Lo vide
distogliere lo sguardo e riuscì a malapena a trattenere la
delusione.
Aveva
sobbalzato nel sentirlo rispondere duro ed irritato ad una domanda
così
semplice.
Sorrise
mesta, abbassando lo sguardo.
Già,
è quello che capita quando qualcosa ti disturba.
Chissà perché credo di sapere cosa, o meglio chi,
continui a causarti problemi,
Zoro.
Ma perché
ancora si stupiva? Perché ancora sperava
di
poter avere con lui un rapporto d’amicizia normale?
Sospirò
rassegnata, ma tranquilla.
Doveva
smetterla di farsi queste paranoie, ma in sua presenza faceva fatica ad
essere
razionale.
L’idea che
avesse in qualche modo tentato una sorta di approccio prima, dicendole
che
l’avrebbe portata ad altri matrimoni per renderla
più docile, l’aveva fatta
sorridere. In cuor suo non le sarebbe dispiaciuto, partecipare ad altre
feste,
con lui.
Ma, ora,
era tornato il solito, vecchio, scorbutico, spadaccino.
Quello che sarebbe
stato per sempre irraggiungibile.
E che di me non avrebbe
mai capito niente…
A volte si
chiedeva se lui la considerasse almeno un’amica, oltre che
una compagna di
ciurma e bevute.
Chissà
perché si illudeva ancora.
E Zoro non
accennava a smettere di fare quella smorfia, tanto che finì
col farle corrugare
la fronte.
Ma che
aveva…?
Poi un
lampo di comprensione la attraversò.
“Ti senti
male, per caso?” chiese, con una certa urgenza nella voce. Si
era appena
rimesso!
Il
ragazzo la guardò di sottecchi.
“No, perché
me lo chiedi?”
“È che hai
un’espressione… insomma, prima avrei detto di
noia… ma ora, sembri quasi…
sofferente… sicuro che va tutto bene?” gli chiese,
esitante. Se c’era una cosa
che non voleva era irritarlo maggiormente.
Zoro,
d’altro canto, non diceva nulla, continuava a mantenere lo
sguardo basso.
Se fosse
stata in una situazione normale gli avrebbe già tirato un
pugno per
riscuoterlo. Ma quello non era un giorno normale. L’aria era
carica di
elettricità, lo sentiva a pelle.
Era un bene
che fossero rimasti gli unici occupanti della casetta, quella sera.
Quasi tutti
avevano deciso di trascorrere l’ultima notte a Raftel, sparsi
in giro,
piuttosto che a casa con loro.
Rufy e
Robin ospitati da Shanks.
Usop, Franky
e Brook da Bartolomeo, con Bibi.
Chopper era
ancora in ospedale.
Sanji era
sparito quel pomeriggio, dopo aver trovato il coraggio di chieder loro
scusa
per l’altra sera.
Schioccò la
lingua, prese una bottiglia d’acqua e la posò sul
tavolo con due bicchieri,
sedendosi.
Lo
spadaccino la guardò finalmente in viso, aggrottando le
sopracciglia.
“L’alcool è
finito.” Mormorò, in risposta lei “E
avevo sete.”
Lui non
rispose, chiuse gli occhi e si stiracchiò sulla sedia.
Le sue
movenze le fecero capire che stava per congedarsi, probabilmente per
andare a
dormire.
L’urgenza
di trovare qualcosa, qualunque cosa, per
trattenerlo ancora con lei, si fece pressante.
“Mi ha
stupito vedere Mihawk.” Sussurrò, pacata. Il
bicchiere alle labbra.
Aveva detto
la prima cosa che le veniva in mente ed aveva fatto centro.
L’interesse
del ragazzo si era risvegliato.
“Cosa
intendi?” le chiese, indagatore.
Nami alzò
le spalle “Non credevo che sarebbe venuto ad aiutarci, dopo
quello che gli hai
fatto tre mesi fa.”
Zoro
ghignò. “E che gli avrei fatto?”
M guarda come cambia
personalità quando si tocca la
sua roba…
Lei sorrise.
“Lo hai battuto e gli hai rubato il titolo. Ma, lo hai anche
risparmiato.”
Poggiò la testa su una mano, guardandolo furba “Se
fossi stata io, col cavolo
che sarei venuta ad aiutare in battaglia quello che mi ha sottratto la
mia
ragione di vita!”
Il ghigno
del ragazzo si allargò ancora di più.
“Questo
perché tu sei una strega senza cuore.”
Mormorò, prendendola in giro.
Nami si
finse offesa “Ah si? Sempre meglio che essere
un’idiota con la testa vuota!”
Zoro
sghignazzò.
“Perona ha
fatto un buon lavoro.” Mormorò, tornando serio.
“Gli è rimasta solo la
cicatrice al volto…
“Per un
attimo, su quell’isola, ho pensato davvero di averlo
ucciso…”
La
cartografa rischiò di soffocarsi con l’acqua.
Davvero si stava
confidando?? Con lei??
Riprese un
contegno adeguato velocemente, dandogli tutta la sua attenzione, restia
a farsi
scappare un’occasione del genere.
Zoro non
sembrava essersi accorto di nulla. Lo sentì sospirare
pesantemente.
“All’inizio,
diventare il migliore significava porre fine alla vita del mio
predecessore.
Non era mai stato un problema per me.
“Ma poi…
quello stesso uomo, per due anni è stato il mio maestro ed
ho iniziato a
rivalutare la cosa.
Fin
dall’inizio dello scontro, nel bene o nel male, non avevo
alcuna intenzione di ucciderlo!”
chiuse gli occhi, ricordando.
Nami non si
perdeva una sillaba.
Nessuno sapeva
cosa fosse successo durante l’ultimo, definitivo scontro, con
Mihawk.
Zoro aveva
raccontato tutto solo ed esclusivamente al suo capitano.
La
consapevolezza che, ora, si stesse aprendo con lei le scaldò
il cuore,
rubandole il fiato.
“Sapervi
tutti al sicuro al largo, mi ha aiutato.” Continuò
il ragazzo “Ho combattuto
spingendomi al limite tante volte, ma quella era una battaglia
diversa.” Fece
un sorrisetto “Non ero certo di uscirne.”
Nami annuì,
partecipe.
Lei lo
sapeva bene. I Kami solo sapevano quanto era stata male in quei due
giorni.
Non sapere
come stava era stato logorante e le aveva aperto gli occhi.
Solo uno
dei due sarebbe riemerso da quell’isola e doveva lottare con
la logica che le imponeva
di valutare anche l’idea di non rivederlo mai più.
Due giorni
passati tra l’angoscia e la speranza.
Tutta la
ciurma avvertiva la tensione e cercava di tenersi occupata.
Solo Rufy,
stoico, non si era mai mosso. Seduto sulla polena a braccia incrociate,
occhi
determinati fissi sull’isola, attendeva l’esito
dello scontro, mangiando solo
le cose che Sanji o Robin gli portavano di tanto in tanto.
Quando il
razzo segnalatore si era alzato dalla montagna al tramonto del secondo
giorno,
a decretare la fine dell’incontro come pattuito, Rufy aveva
voluto andare
personalmente a riprendersi il suo amico. In qualunque stato fosse,
vivo o
morto, doveva essere il primo a vederlo. Aveva voluto con sé
solo Chopper,
Franky e Sanji.
Non riuscì
dire grazie a quale forza divina fu in grado di trattenersi
dall’ordinare al
proprio capitano di portarla con loro.
Li avevano
aspettati per un tempo indefinito, col cuore in gola.
Scoprire
che era ancora vivo era stato come rinascere una seconda volta.
C’erano voluti
dieci giorni per rimetterlo in piedi e durante questo lasso di tempo,
si era
allontanata dall’infermeria giusto per sistemare la rotta o
fare una doccia.
Chopper aveva rinunciato a chiederle di riposarsi. Poteva dormire
lì, un
secondo letto c’era.
Era diverso
da Thriller Bark…
Non
riusciva ad allontanarsi da lui. E la cosa che la mandava in bestia era
che non
capiva perché!
Perché il
cervello andava in tilt quando lui, nel sonno, le stringeva la mano?
Perché si
angosciava tanto se vedeva che una sua ferita si era riaperta?
Perché il
cuore sembrava andare in arresto cardiaco ad ogni suo ghigno sofferente?
Alcuni dei suoi
compagni avevano preso a lanciarle persistenti occhiate inequivocabili,
a cui
non dava credito.
Impensabile,
impossibile, oltre ogni previsione, era stato difficile ammettere con
sé stessa
la verità.
Ma aveva
dovuto capitolare.
Ed ora, a
tre mesi da quella rivelazione, le sembrava di averlo sempre saputo.
Era destino…
“Io credo
che Occhi di Falco sia felice che tu l’abbia
battuto.” Mormorò in un soffio,
fissandolo seria.
“Tu credi…?”
le chiese, scettico.
“Lui sapeva
che eri l’unico degno di succedergli. Era il tuo destino batterlo. Altrimenti non si
sarebbe mai preso il disturbo
di allenarti. Se fossi stato un altro ti avrebbe ignorato o mandato a
quel
paese.” Zoro la ascoltava attento “Io credo, che
lui abbia sempre saputo che
prima o poi tu l’avresti superato.”
Lo
spadaccino fece un sorrisetto “Una cosa tipo,
l’allievo che supera il maestro? Di
certo, però, non si aspettava di sopravvivere per
vederlo.”
Nami rise,
scuotendo i lunghi capelli “No, infatti. Gli hai tirato un
gran brutto scherzo!”
Sghignazzarono
per un po’, malinconici.
Fu Zoro a
prendere parola per primo, guardandola fisso. “Che succede,
Nami?”
Lei lo
squadrò, presa in contropiede.
“Pensavo…” ammise.
“Alle scuse
patetiche che ci ha fatto oggi torcigliolo pazzo?”
La
cartografa roteò gli occhi. “Smettila…
è stato gentile. Non era obbligato.”
Il ragazzo
si accigliò “Come ‘non era
obbligato’?? Ha tentato di farmi la pelle!”
Nami fece
una smorfia. “Come se fossi mai stato davvero preoccupato di
questo! E poi, era
ubriaco! Lo sai che non pensava nulla delle cose che ha
detto… era triste per
Viola…” asserì, mesta.
“Non la
ritengo una motivazione valida per dare fastidio agli altri!”
concluse lui,
incrociando le braccia, imbronciato.
“Quando si
è ubriachi si parla a briglia sciolta. Si fanno cose che da
sobri non avresti
mai il coraggio di fare. Se poi ci metti anche una buona dose di
depressione,
esce il lato peggiore di te…” mormorò
lei stancamente, fissando il tavolo.
Zoro
strinse gli occhi. Stiamo ancora parlando
di Sanji…?
Probabilmente
no.
Era più
facile pensare che si fosse ricordata il bacio dell’altra
sera, e che si stesse
facendo delle paranoie assurde, soppesando a chissà quale
risvolto problematico
avrebbe potuto portare.
Dio quanto siamo uguali
noi due…
Scosse la testa
impercettibilmente, guardando con affetto la ragazza che aveva di
fronte,
fissare con sguardo perso il suo bicchiere.
Sarebbe
stato un’idiota se non avesse ammesso, almeno a sé
stesso, di averci pensato
anche lui, a quell’eventuale risvolto. Doveva
dirlo… se fosse stato positivo lo
avrebbe preferito di gran lunga.
Quella
complicità, quel senso di famiglia, con lei erano
amplificati.
Il suo lato
manesco e autoritario fuoriusciva per la maggiore, ma
all’occorrenza dimostrava
un’indole umana di rara bellezza. Difficile non gravitarle
attorno quando
lasciava uscire la sua parte più dolce.
Nami era il
cuore della ciurma. La depositaria principale delle sofferenze e delle
gioie di
tutti.
Si era
fatta carico di pesi infinitamente superiori alle sue spalle
già da piccola e
continuava, silente, ad essere la custode di ogni carico emotivo triste
o
felice, soggiornasse nei suoi Nakama.
Ricordava
ancora il senso di beatitudine e sollievo che aveva provato quando, al
suo
risveglio dopo aver sconfitto Mihawk, l’aveva trovata al suo
capezzale.
L’appellativo
con cui spesso Sanji l’apostrofava era azzeccato in quel
periodo: un angelo
sorridente, che l’aveva assistito per giorni, instancabile.
Era felice
di essere ancora vivo. Felice perché così lei,
non era triste.
Era questa
la Nami che avrebbe voluto vedere sempre, non l’isterica
ragazzina o l’avara
doppiogiochista, maschere create appositamente per celare quel lato del
suo
carattere troppo fragile.
La sua intelligenza
e umanità, unite alla sua innegabile bellezza, la rendevano
la donna perfetta
che chiunque avrebbe sognato. E, aveva scoperto recentemente con un
certa dose
di inquietudine, lui compreso.
Certo,
dirlo a voce alta era tutto un altro paio di maniche e avrebbe dovuto
gelare
l’inferno, prima.
Ma tant’era,
perché ormai ci pensava da una settimana, ogni volta che
restavano soli.
E, come un
mantra, si ripeteva che Nami era sua amica. Una Nakama!
Che queste
fantasie non dovevano neanche passargli per l’anticamera del
cervello!
Che non
doveva pensare ad un eventuale ‘noi’.
Perché faceva paura e metteva angoscia. Ed
era un pensiero che si imponeva di evitare.
Nonostante
tutti i suoi buoni propositi non riusciva a fare a meno di pensarci.
La voglia
di guardarla, di sfiorarla, era pressante. Al mattino, appena sveglio,
non
riusciva ad impedirsi di cercarla con gli occhi.
Stordito,
iniziava a fare i conti con sensazioni evidenti e palpabili, che negli
anni
aveva relegato in un angolino della sua testa. Per forza quei giorni
gli erano
sembrati strani!
Non sapeva
spiegarselo… era come se tutte le sue emozioni fossero state
messe in stand-by
dal suo cervello per cinque anni, per poi farle esplodere di colpo
nell’ultima
settimana.
Era impossibile,
eppure gli sembrava di provarle da sempre.
Negli anni,
sapendo di non potersi permettere distrazioni, aveva alzato un muro
intorno a
sé, non permettendo a nessun genere di sentimento di
fuoriuscire, se escludiamo
la fedeltà verso Rufy e la propria famiglia.
E ora…
Guardò le
sue fidate spade, sempre al suo fianco.
Ora che la
promessa fatta a Kuina era stata rispettata e la lealtà
verso il suo capitano
si era mantenuta salda fino alla fine, aiutandolo a raggiungere il suo
sogno,
si sentiva realizzato come pirata e spadaccino.
Ma come uomo,
iniziava a rendersi conto di
desiderare ben altro. Qualcosa che non avrebbe dovuto volere ma, a
dispetto del
suo orgoglio, il cuore faticava a restare nel petto quando lei lo
guardava.
Non avrebbe
dovuto permettere che accadesse!
La
situazione doveva restare così… non aveva senso
esporre alla navigatrice i suoi
dubbi, parlarle di quegli strani sentimenti che sentiva crescere verso
di lei,
ogni giorno un po’ più forti.
Non aveva
senso ammettere che, forse, non era più amicizia quella che
provava per lei.
La loro
avventura era conclusa, ormai… Nami era destinata a tornare
nella sua isola,
senza di lui.
Cosa avrebbe
fatto dopo averla lasciata a Coco…?
Sarebbe
riuscito ugualmente a vivere bene, sapendo di essersi lasciato sfuggire
l’occasione di conoscere la verità?
Perché una verità c’era. E, forse
forse,
iniziava ad intuirla…
“Chissà
quando rivedremo Robin…” sussurrò lei,
triste.
Il ragazzo
la guardò assorto, con un sorrisetto “Ha preso la
decisione giusta... E anche Rufy…
lei saprà tenerlo a bada!”
“Ammetto
che mi hanno sorpreso…”
“A me no.”
Nami lo
guardò curiosa.
“Si
avvertiva…” asserì lui, con alzata di
spalle.
Lei non aggiunse
altro, ponderando le sue parole.
Zoro aveva
da sempre una sorta di sesto senso.
In
battaglia gli tornava utile soprattutto perché riusciva
spesso ad anticipare le
mosse del nemico e avvertiva facilmente i pericoli che lo minacciavano.
Ma con gli
occupanti della Sunny, dava il meglio di sé. Capiva al volo
se qualcuno stava male,
era triste o semplicemente voleva essere lasciato in pace. Non era
empatia, era
una cosa più viscerale. Qualcosa che gli veniva da dentro e
che non poteva
controllare.
Con pochi
elementi, era in grado di valutare in rapidità, se era il
caso di impicciarsi o
no. Spesso propendeva per la seconda ipotesi, preferendo di gran lunga
una
dormita sul ponte della nave, intuendo che il suo intervento non era
necessario.
Sfortunatamente
(o fortunatamente se fosse dipeso da lui), tra i suoi Nakama questa
abilità
veniva scambiata ogni volta per menefreghismo acuto, tutti ormai certi
che lui
avesse il patrimonio emozionale di un fermacarte.
In realtà
era solo molto bravo a scansare i problemi che non lo toccavano
personalmente o
che non mettevano in pericolo la famiglia.
Zoro era da
sempre la loro roccia. Non aveva mai dato segno di avere alcuna minima
debolezza.
A
differenza della fedeltà assoluta che provavano per Rufy,
quella verso Zoro era
totale e indissolubile fiducia. Lui era quello su cui ognuno di loro
faceva
affidamento nei momenti peggiori. L’unico in grado di far
ragionare anche
quello scavezzacollo del loro capitano. L’unico che non si
sarebbe mai tirato
indietro, certi che li avrebbe fatti uscire dai guai ancora una volta.
Per una
sorta di accordo comune non scritto, sapevano che se lui avesse
vacillato anche
tutti loro sarebbero colati a picco, capitano compreso. Ma non era mai
successo.
Chissà se
avvertiva anche quello che scaturiva da lei.
…io non
vorrei guardarti cosi... non devo
guardarti così…
Voleva ostinatamente
un gesto che le confermasse quello che il suo cuore bramava
più di ogni altra
cosa.
Voleva disperatamente
essere amata da lui.
Robin da
una settimana le lanciava occhiatine insistenti, voleva che si facesse
avanti. Voleva
lasciarla felice.
Ma non
sapeva quanto l’avrebbe annientata, venire rifiutata.
La loro
avventura volgeva al termine e sembrava essere arrivato il capolinea
anche per
lei e i suoi sentimenti. Nonostante avesse solo ventidue anni, sentiva
di aver
passato abbastanza guai e avventure da bastarle per una vita intera.
Tornare a
casa avrebbe significato la fine definitiva di tutto.
Non lo
rivedrò più… Forse Robin ha
ragione…
“Tu che
pensi di fare quando saremo tornati nel mare orientale?”
buttò lì, trattenendo
impercettibilmente il fiato.
Lui non si
scompose, alzò le spalle “Non lo so.”
Ammise.
Nami annuì.
Era certa di questa sua risposta. “Potrei avere una proposta
per te, allora.”
Mormorò, fissandolo furba.
Zoro alzò
un sopracciglio, scettico. “Dubito sia qualcosa che mi
interessi…”
“Non sai
neanche cosa sia!”
“Non serve!
Di solito, quando mi chiedi qualcosa con quella faccia vuol dire che
sarà
piacevole solo per te!”
Lei, sicura
di avere il coltello dalla parte del manico, si guardò le
unghie,
distrattamente. “Per caso, ricordi quel certo debito che hai
nei miei
confronti…?”
Il verde
sgranò l’occhio buono, sudando freddo.
“Non ho alcun debito verso di te!”
ringhiò.
“Oh, credo
che tu ti stia sbagliando…” mormorò,
astuta.
Zoro
deglutì vistosamente.
O la va’ o la
spacca…
“Stavo
pensando che il mio agrumeto a Coco sarà cresciuto
parecchio, ormai. Io e
Nojiko dovremo lavorare sodo per mantenerlo bello e rigoglioso. Ho
paura che da
sole riusciremmo a fare ben poco. Ci servirebbe un po’
d’aiuto e, guarda caso,
tu non hai altro da fare e mi devi già una discreta somma di
denaro… per cui…
beh, potresti venire a lavorare da me per un po’, per
ripagarmi…”
Zoro la
fissò.
Sta per caso cercando
di…
Incrociò le
braccia, squadrandola serio. “Potrei
rifiutarmi…” mormorò, prendendola
larga.
Credeva di
aver intuito cosa gli stesse chiedendo tra le righe, ma voleva
farglielo dire
chiaramente.
Doveva
essere certo di non esserselo sognato il tono esitante di lei mentre
pronunciava l’ultima frase.
Non poteva
permettersi un passo falso.
“Non ti
converrebbe…” sussurrò, nervosa.
Il cuore
prese a scalpitare, irrequieto.
“Robin può
rinunciare e io no?”
Vuoi che resti con te,
Nami…? Lo vuoi, o no?
“Lei non mi
deve un sacco di soldi!” disse la navigatrice, imbronciandosi.
Zoro ghignò,
sentendo il corpo in fibrillazione. “Ma io potrei voler fare
altro… ora sono il
miglior spadaccino del mondo…”
“È vero, ma
un giorno non troppo lontano potresti arrivare a chiederti come sarebbe
potuto
essere…” sussurrò, tesa come una corda
di violino “…lavorare in un agrumeto,
intendo.” Aggiunse veloce.
Il ghignò
aumentò e il cuore impazzì del tutto, facendogli
girare la testa.
Volevano la stessa
cosa…
“Non mi
lasci molta scelta, allora…”
Nami tremò
emozionata.
“Ormai,
pensavo di averla fatta franca…” ammise,
guardandola intensamente, comunicando
con gli occhi tutto quello che non sarebbe riuscito mai ad esternare.
“Per
fortuna me ne sono ricordata…” sorrise lei, il
cuore che esplodeva nel petto. “Non
volevo lasciarmi sfuggire l’occasione di vederti lavorare per
una volta in vita
tua!” gli fece la linguaccia.
“Strega…”
sghignazzò il verde.
Sta succedendo
davvero…? Anche lui… oh mio dio…
anche lui…!
“Avrò
almeno vitto e alloggio gratis, vero..?”
“Non
esistono alberghi a Coco. Dovrai farti bastare casa
mia…” alzò le spalle,
fingendo noncuranza.
“Vedrò di
farmela piacere…” sussurrò,
inumidendosi vistosamente le labbra.
Nami
sorrise raggiante, incapace di fare altro.
“È tardi.
Domani si parte. Credo che dovremo andare a letto.” Si
alzò, continuando a
tenere gli occhi incatenati nei suoi. Era
forse un invito…?
Quella
bocca rossa, piena, invitante, sembrava dire di si…
“Ah, Zoro?”
si fermò sulla soglia, colta da un pensiero.
Il ragazzo
girò appena la testa, dando segno di essere in ascolto.
Nami tornò
indietro “Dimenticavo…”
mormorò, prima di posargli un tenero e leggero bacio
sulla guancia, vicino alle labbra. “Buon
compleanno…” sussurrò con un dolce
sorriso, accarezzandogli maliziosamente la nuca.
Il verde
ghignò apertamente, osservandola con la coda
dell’occhio allontanarsi e sparire
oltre l’uscio.
Pazzesco…
era davvero un invito a seguirla..?
Sorrise di
cuore, sentendosi leggero e rilassato.
Incredibile…
Provavano le stesse cose ed avevano
appena deciso di vivere insieme a
Coco.
.............ed
in casa non c’era nessun
altro…………
Che diavolo
stava aspettando???
Zoro le
concesse cinque secondi vantaggio prima di catapultarsi nel corridoio.
Quella
notte, la sedia caduta a terra nella foga, non fu l’unico
rumore che quei muri
sentirono.