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Autore: charly    13/11/2016    1 recensioni
In questo libro conclusivo assisteremo ai primi anni di matrimonio di Deja e Zaron, in cui lei si renderà conto di provare qualcosa per suo marito, qualcosa di profondo, che la spingerà a cercare con insistenza la compagnia di suo marito e la passione che scopre tra le sue braccia. Saranno anni turbolenti: le avances non richieste di un terzo incomodo, la gelosia e due attentati. Riuscirà Deja a conquistare il cuore di Zaron?
Estratto:
Deja aveva atteso con trepidazione l’arrivo del suo quindicesimo compleanno. […] Presto sarebbe stata un’adulta e di sicuro suo marito l’avrebbe vista con occhi diversi. Di sicuro.
-
Avrebbe voluto che le cose tornassero a com’erano prima, a quando lei aveva avuto dodici anni e il loro rapporto era stato semplice, […], quando l’aveva considerata una bambina graziosa e la sua vicinanza tra le lenzuola non l’aveva mai turbato.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore di un drago'
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II. ISSA MIA, CHE TE SPECCHI NELL’ONDE*

 
 
La mattina dopo Deja aveva coperto il livido optando per indossare i numerosi bracciali che Zaron le aveva regalato, sei per braccio così che non scivolassero rivelando i segni che lui le aveva lasciato. Solo Larissa li vide e strinse le labbra in segno di disapprovazione e di leggero allarme. Larissa sapeva che non vi erano altri lividi nascosti dai vestiti e che quelli erano i primi a comparire sulla sua pelle. E anche gli ultimi si era ripetuta mille volte Deja, cercando di rassicurarsi: lui manteneva sempre le sue promesse. Nonostante tutto, ogni volta che lasciava il palazzo Deja si premurava sempre di cercare suo marito per informarlo dei suoi spostamenti o, se lui non era a palazzo, gli lasciava un messaggio. Deja provava una segreta e colpevole soddisfazione nel vederlo mortificato da quella sua premura. Solo una volta capitò che lui volle accompagnarla: in una delle visite di Deja all’Accademia delle scienze. Lei aveva voluto mettersi in pari con le novità sulle ricerche dei suoi scienziati preferiti e Zaron aveva immediatamente accantonato quello che stava facendo per seguirla. L’imperatore era parso affascinato dalle invenzioni meccaniche, passando la maggior parte della visita alla facoltà d’ingegneria civile, subissando i ricercatori di domande, cercando di farsi spiegare come funzionavano i macchinari su cui stavano lavorando e rivolgendosi a Deja per farsi spiegare in termini più comprensibili alcune cose. Neanche lei era sempre in grado di capire il funzionamento di alcune macchine, ma era tuttavia lieta e soddisfatta che lui sembrasse condividere quella sua passione.
L’interesse di Zaron sembrò concentrarsi sugli utilizzi del motore a vapore.
- Perché viene impiegato solo per le aeronavi? Non si potrebbe usare per far spostare altri mezzi? Si potrebbe provare a installarne uno anche su una nave, per esempio. Invece di centinaia di braccia che remano basterebbe utilizzare un motore che non si stanca mai.
Deja lo guardò, incuriosita.
- Le navi issiane solcano i mari e per spostarsi utilizzano le vele, non i vogatori.
- Il mio impero ha molti fiumi navigabili in cui le barche seguono la corrente per scendere verso il mare e vogatori per risalire la corrente. È un lavoro che spezza la schiena e che rallenta il traffico. Immagina se ci fosse un motore che spinge i remi…
Mastro Rutief, che li stava ascoltando e che aveva scosso il capo per tutto il tempo, sembrò illuminarsi di colpo e interruppe l’imperatore, senza badare minimamente all’infrazione d’etichetta che stava compiendo.
- Non remi, ma una pala!
Corse al suo tavolo da lavoro e prese un foglio e una matita, chinandosi per fare uno schizzo frettoloso. Deja e Zaron guardarono da sopra la sua spalla.
- Guardate, vostre maestà! Una nave, con una ruota, come quelle dei mulini ad acqua, solo che invece di essere la ruota a essere spinta dall’acqua corrente, è il motore che spinge la ruota, facendo muovere in avanti la nave! E se il motore la fa muovere a ritroso la nave va all’indietro! Certo, non so quanto durerebbe in alto mare, ma su un fiume…!
Poi, mentre i sovrani guardavano lo schizzo che, a dire la verità, non somigliava affatto a una nave, Mastro Rutief sembrò essere preso da un’altra idea.
- I mulini, ma certo!
Borbottò, parlando da solo.
- Per macinare senza sforzo anche se non c’è acqua**…!
Deja tirò delicatamente il braccio di suo marito.
- È meglio che andiamo: quando è così potrebbe anche crollargli in testa il tetto che lui non se ne accorgerebbe neppure.
Tornando a palazzo in carrozza Zaron le tenne la mano sinistra, carezzandole la pelle sotto i braccialetti, dove l’impronta delle sue dita era quasi svanita.
- Tra un paio di giorni è il tuo compleanno.
Deja lo ascoltò, chinando il capo incuriosita.
- La visita a Issa si è quasi conclusa. Questo ti intristisce?
Lei annuì.
- In parte. Sono contenta di essere qui e cerco di non pensare al fatto che tra cinque giorni ripartiremo. Issa mi mancherà.
Lui le baciò le dita della mano.
- Ti piacerebbe festeggiare qui ogni tuo compleanno?
Deja si illuminò.
- Davvero? Oh, sarebbe magnifico! Anche mio padre te ne sarà incredibilmente grato!
Zaron fece una smorfia scontenta a sentir nominare il padre di lei e Deja sbuffò esasperata.
- Vuoi dirmi una volta per tutte perché tu e mio padre non riuscite ad andare d’accordo?
Zaron fece un mezzo sorriso, quasi ridendo di sé.
- È una cosa da uomini, mia piccola signora.
Deja aggrottò la fronte, scontenta.
- Bella scusa per non dover rispondere. Quando l’ho chiesto a mio padre lui ha detto: non capiresti!
Zaron rise al pensiero di essere d’accordo con l’altro uomo, almeno in questo.
- Se può aiutarti a capire ti dirò solo questo: probabilmente avrò voglia di far sbattere in una segreta buia e puzzolente ogni pretendente alla mano delle mie figlie quando per loro verrà il momento di cercare marito.
Deja roteò gli occhi al cielo e borbottò sottovoce qualcosa che suonava vagamente come un epiteto poco lusinghiero rivolto verso gli uomini in generale e al loro bisogno di gonfiare i muscoli l’uno difronte all’altro.
Zaron sapeva che Aborn non gli avrebbe mai perdonato di aver strappato con il ricatto l’assenso al matrimonio con Deja, né di averla costretta alle nozze così giovane. Sapeva che se qualcuno avesse osato allungare anche solo un dito con intenzioni disonorevoli sulle sue figlie, avrebbe ucciso quel qualcuno a mani nude, quindi in parte comprendeva l’altro uomo. Allo stesso tempo però provava rancore per il fatto che Aborn lo trattasse con velato disdegno, al riparo da ogni ritorsione e minaccia, protetto dall’amore incondizionato della figlia che Zaron non voleva in alcun modo turbare. Zaron avrebbe lasciato che la loro piccola faida personale proseguisse solo fino a che l’altro non avesse cercato di mettergli contro sua moglie. Se Aborn avesse anche solo osato cercare di maldisporre l’animo di Deja nei suoi confronti l’avrebbe allontanato e non avrebbe più permesso nessun contatto tra i due. Questa era la promessa che gli aveva fatto, il primo giorno di permanenza a Issa e l’altro aveva capito e chinato il capo.
Visitare l’Accademia era stato esaltante, la sua mente ne era stata stimolata e aveva parlato di persona con il rettore della possibilità di aprire sedi anche in altre città. Non ad Halanda, non subito: Rakon non era pronta ancora; ma la provincia di Pudja, la prima a essere conquistata, si era ripresa dalla guerra e stava attraversando un periodo di ricchezza e sviluppo.
Zaron stava trovando stancante Issa, per il semplice fatto che sembrava esserci qualcosa che lo spingeva a litigare con Deja. In cinque mesi a Halanda non avevano mai alzato la voce l’uno con l’altra mentre in pochi giorni a Issa lo avevano fatto due volte.
Il loro secondo litigio era avvenuto proprio la notte prima del compleanno di Deja e aveva lasciato Zaron più confuso che arrabbiato.
Quasi ogni notte Zaron passava alcune ore con Perla, prima di coricarsi con la moglie. La concubina era confinata nei suoi appartamenti, impossibilitata a uscirne e Zaron le aveva chiesto più volte se si sentisse sola ma lei aveva replicato che le faceva bene un po’ di quiete, lontano dal caos organizzato che poteva essere l’ala femminile del Palazzo Reale. Passava le sue giornate a leggere e a scrivere poesie e la sera a conversare con Zaron. Lui la lasciava addormentata tra le lenzuola e poi passava agli appartamenti accanto e stendersi al fianco della sua regina, che già dormiva.
La notte prima del suo compleanno, al suo ritorno negli appartamenti reali, Zaron la trovò ancora sveglia. Era seduta a letto, in camicia da notte e vestaglia, che leggeva e Zaron, dopo essersi cambiato e disteso, ebbe la malaugurata idea di compararla a Perla, a come lei lo avesse atteso sveglia, seduta sul suo letto e con il naso in un libro, la notte dell’incoronazione di Deja.
Sua moglie si era visibilmente irrigidita e aveva stretto il libro fino a farsi sbiancare le nocche. Poi, lentamente, si era voltata verso Zaron e lo aveva fulminato con lo sguardo.
- Hai addosso il suo profumo, lo sai?
Gli aveva ringhiato. Zaron era rimasto interdetto, perché non l’aveva mai udita esprimersi con tale astio.
- Potresti almeno fare lo sforzo di darti una lavata prima di venire a letto con me!
Lui si era alzato a sedere, voltandosi completamente verso di lei, genuinamente confuso.
- Di cosa stai parlando?
Lei si era chinata verso di lui, annusandolo.
- Hai addosso il profumo che Perla indossa sempre, ce l’hai sulla pelle.
Zaron aveva scosso il capo, perplesso.
- Certo: sono stato da lei fino ad adesso. Lo sai che sto con lei prima di venire qui.
Poi, ancora incredulo e incapace di comprendere quale fosse il problema di Deja, aggiunse.
- Non ti piace il profumo che usa Perla?
- Non mi piace che mio marito abbia addosso il profumo preferito della sua amante quando viene a letto con me!
Gli urlò in faccia lei. Zaron fece un balzo indietro, quasi cadendo dal materasso perché, per rispetto degli spazi di sua moglie, dormiva sempre sul bordo. Poi scese dal letto, tirandosi in piedi e alzando anche lui la voce.
- Deja, si può sapere che ti prende?
Per la costernazione di Zaron lei scoppiò a piangere.
- Suvvia, non fare così, piccola mia, non piangere…
Lui aveva allungato una mano, per confortarla, ma lei lo aveva respinto, usando il libro chiuso come un’arma, per colpire l’arto teso. Zaron ritirò immediatamente la mano, incredulo e offeso. Si arrabbiò, finendo per dire parole di cui poi si pentì immediatamente, non appena furono uscite dalla sua bocca.
- Lo sai che vado da lei per non dare fastidio a te! Lo sai che lo faccio per avere quello che tu non puoi darmi!
Deja rantolò, impallidendo e poi, prima che Zaron potesse scusarsi, gli scagliò contro il libro, colpendolo sul braccio che aveva alzato per difendersi il viso.
- E allora va’ a dormire da lei!
Urlò Deja, con tutta la voce che aveva.
- Magari lo farò!
Rispose in egual tono Zaron prima di raccogliere il pugnale da sotto il cuscino, infilarselo nella manica e uscire, a piedi nudi e sentendosi leggermente ridicolo, dai suoi appartamenti e rientrare in quelli di Perla. Tornò nella camera da letto della concubina sbattendo la porta, svegliandola di soprassalto.
Perla uscì dal letto e si affrettò ad accendere dei lumi.
- Zaron, che ci fai qui? Che ora è?
Zaron si era seduto sul bordo del letto e aveva seguito con gli occhi Perla che, dopo aver acceso le luci, si era coperta con una vestaglia.
- Ho appena litigato con Deja.
Le disse, con voce piatta.
- E non ho idea del perché.
Concluse con tono perplesso. Lei si sedette al suo fianco, preoccupata, sapendo cos’era accaduto l’ultima volta.
- Raccontami cos’è successo.
Lui lo fece, ancora confuso per come una semplice osservazione avesse scatenato la furia della sua giovane moglie. Quando lui ebbe finito il suo resoconto, Perla fece una strana smorfia, le labbra cominciarono a tremarle e poi scoppiò in una fragorosa risata, ricadendo con la schiena sulle lenzuola sfatte.
- Non c’è nulla di divertente, Perla: le ho detto una cosa orribile.
Perla annuì, con le lacrime agli occhi dal gran ridere e cercando di recuperare fiato. Zaron era leggermente irritato.
- Mi sembra evidente che tu abbia capito cosa sia successo e che la cosa ti diverta molto. Ti spiacerebbe condividere con me, così magari riderò anch’io?
Proseguì acidamente.
- Oh, Zaron!
Disse Perla, tirandosi su e asciugandosi gli occhi.
- Tua moglie era gelosa!
- E di cosa?
Perla lo guardò, con un’espressione simile alla pietà.
- Tua moglie,
Cercò di spiegargli, parlando lentamente e scandendo le parole.
- È infatuata di te ed è gelosa del fatto che passi del tempo con me, gelosa che io abbia il tuo favore e probabilmente ferita dal fatto che, come hai poco elegantemente sottolineato, io posso darti qualcosa che lei non è pronta a darti.
Zaron scattò in piedi, agitato dalle parole di lei.
- Ti sbagli, Perla, ti sbagli. Deja trova probabilmente gradevole la mia compagnia, ma lei non… è una bambina, Perla, solo una bambina. Non può di certo amarmi, non come intendi tu.
Perla lo guardò camminare, nervoso e turbato.
- Mi hai frainteso.
La concubina era seria e non rideva più.
- Non ho detto che è innamorata di te o che ti desidera.
Zaron fece una smorfia disgustata all’idea.
- Tredici anni… è un’età difficile in cui una fanciulla, soprattutto se nobile e dall’infanzia protetta, come tua moglie, è fragile e impressionabile. È facile che si lasci… influenzare e che sviluppi un attaccamento, spesso totalmente innocente, verso un uomo. Tu sei suo marito, la tratti con cortesia e la riempi di attenzioni, quando siete in pubblico le dimostri un particolare favore che implica un rapporto speciale e intimo tra voi due, che però non c’è davvero, non quando siete da soli. Quindi è probabile che si sia infatuata di te: hai tutte le caratteristiche dell’innamorato e in più con te si sente al sicuro, perché sa che non la toccheresti mai.
Lui aveva scosso il capo, negando le parole di Perla.
- Ti sbagli, è una bambina, solo una bambina. Magari era nervosa per il suo compleanno, o arrabbiata perché tra pochi giorni ripartiremo.
Perla aveva sollevato le spalle,
- Se è questo che ti piace pensare. Però, ti prego, accetta il mio consiglio. Lavati, se il mio profumo la disturba: le farà capire che l’hai ascoltata e cedendo su questo le dimostrerai che i suoi bisogni per te contano. Ma torna da lei, non lasciare mai, mai che vada a letto arrabbiata con te. Chiedile scusa se credi che possa aiutare, ma fate pace.
- Ma se lei…
- Zaron!
Lo interruppe Perla che con un gesto perentorio gli indicò la porta. Zaron se ne andò, sbuffando dal naso.
Si diresse per prima cosa nella sala da bagno, cercando di ignorare i singhiozzi di sua moglie che giungevano dalla porta della camera che lui, nella fretta di andarsene, aveva lasciato spalancata.
Rientrò nella camera da letto reale, avvicinandosi alla forma semisepolta dalle lenzuola e dai cuscini.
- Deja…
Si sedette sul bordo del letto, poggiandole con delicatezza una mano sulla schiena. Lei fece capolino tra le lenzuola, tirando su con il naso, come una bambina piccola.
- Mi dispiace, Zaron.
Esordì lei, con un filo di voce.
- Non so cosa mi sia preso… Lo so che vai da Perla, mi fa piacere che tu stia tanto tempo con lei. Anche io la vado a trovare almeno una volta al giorno, visto che lei non vuole uscire. Sei arrabbiato con me?
Zaron le aprì le braccia.
- No, non sono arrabbiato.
Le disse con voce bassa e calma. Lei uscì timidamente dal suo guscio di stoffa e lo abbracciò poggiando il capo contro il suo petto e notando il profumo di sapone.
- Non dovevi lavarti! Oh, sono mortificata, non è vero che mi dà fastidio il profumo di Perla! Sei stato davvero da lei, adesso? Non le avrai mica detto le cose orribili che ti ho urlato contro? Si è offesa?
- A dire la verità ha riso di me. Non preoccuparti, credo che ti abbia dato ragione. E a proposito di cose orribili, mi dispiace per quello che ho detto, non lo pensavo davvero. Non pretenderei mai che tu… assolvessi… ai tuoi doveri di moglie. Questo lo sai vero?
Deja era arrossita e con un gemito di vergogna aveva sbattuto la fronte contro lo sterno di Zaron.
- Lo so…
Aveva mugolato, avvilita.
- Quindi, è tutto finito?
Aveva chiesto Zaron dopo un po’ schiarendosi la voce.
- Sì, scusami ancora.
Aveva risposto lei, sciogliendosi dal suo abbraccio.
- Possiamo riposare allora?
Deja aveva sospirato.
- Sì, sì.
Poi aveva aggiunto, con un pizzico di malizia.
- Dopotutto le persone anziane hanno bisogno del loro riposo.
Zaron aveva sorriso e, dirigendosi dalla sua parte del letto, aveva replicato, fingendo di fraintenderla.
 - Ma Deja, a tredici anni non sei ancora anziana, su di morale!
Lei aveva riso alla sua battuta e Zaron si era addormentato serenamente.
 
La mattina dopo era stato lui a svegliarla, scuotendola per una spalla e sussurrando il suo nome.
Deja aveva aperto un occhio e lo aveva guardato attraverso i capelli che le coprivano il viso, gemendo e cercando di nascondere la testa sotto il cuscino.
- Svegliati Deja. È già metà mattina. La tua cameriera è nell’anticamera che aspetta.
Lei si era tirata a sedere, scostandosi i capelli dagli occhi, sbadigliando e stiracchiandosi.
- Che ore sono?
Lui le aveva sorriso, indulgente.
- Buon compleanno, mia piccola regina.
Deja si era immobilizzata e poi aveva sorriso anche lei.
- Grazie!
- Volevo essere il primo a dirtelo, per questo sono ancora qui: stavo aspettando che ti svegliassi, ma tu sembravi voler dormire tutta la mattina.
Deja guardò allarmata fuori dalla finestra, al sole alto nel cielo azzurro.
- Perché non mi hai svegliata prima?
Urlò, suscitando l’ilarità del marito.
- Perché le persone anziane hanno bisogno del loro riposo!
Rispose lui, guadagnandosi un cuscino lanciato in faccia.
Ridendo si alzò dal bordo del letto, mentre sua moglie chiamava Larissa, e andò ad aspettarla in sala da pranzo, per stare con lei mentre faceva colazione.
Quando finalmente Deja si sedette a tavola e cominciò a mangiare, Zaron prese un pacco che aveva tenuto in grembo, lontano dalla sua vista, e glielo allungò. Deja bevve un sorso di thè e lo prese.
- Buon compleanno.
Lei guardò trasfigurata il pacchetto, prendendolo in mano intuì subito di cosa si trattasse e guardò stupita suo marito.
- Be’, aprilo.
Disse lui con espressione nervosa. Sorridendo lei strappò la carta che lo avvolgeva e con amore accarezzò la copertina di cuoio rigido del libro, aprendolo e leggendo il titolo scritto sull’intestazione.
- Il saggio di Brino Caanf sulla Repubblica di Fariun! Oh, mia dea, dove l’hai trovato?
- Ti piace?
Le chiese con una punta d’ansia.
- È meraviglioso! Non sono mai riuscita a trovarne una copia! Era tanto che lo volevo leggere… Come hai fatto a sapere…?
Lui si mosse a disagio.
- Devo ammettere di essermi fatto aiutare nella scelta da Oscia. Mi ha consigliato lei il titolo. E… magari a Issa e Halanda il libro è introvabile ma a Fariun ce ne sono ancora alcune copie.
Deja saltò in piedi e gli si avvicinò, buttandogli le braccia al collo e baciandolo sulla guancia. Come aveva visto fare alle sue figlie, si ricordò Zaron, come una figlia bacerebbe il padre e con questo pensiero mise da parte la teoria di Perla per cui Deja si fosse infatuata di lui. Non c’era nulla di ambiguo nel modo in cui lei lo trattava, nulla di suggestivo nel modo in cui lo toccava, gli sorrideva o lo baciava. Solo innocenza e affetto infantile. Si sentì più tranquillo e il disagio che lo aveva colto da quando aveva conversato con la concubina si dissipò del tutto.
La giornata per Deja fu perfetta e felice. Nel primo pomeriggio ricevette il dono del padre: da quando aveva dieci anni e aveva iniziato a partecipare alle feste a palazzo suo padre le faceva preparare un abito a sorpresa che Deja avrebbe indossato alla sera durante la festa. Quell’anno era blu oltremare con ricami dorati che si muovevano sinuosi sulla gonna, a simboleggiare le onde. Una volta indossato Larissa, costernata, guardò il bordo che non toccava il pavimento: la punta delle scarpette di raso era chiaramente visibile.
- Le scarpe sono strette.
Si lamentò la regina.
- E la gonna è corta!
Sussurrò esterrefatta la domestica. Le scarpe furono sostituite e la sarta chiamata in tutta fretta per scucire l’orlo e guadagnare quel centimetro necessario per rendere l’abito decente. La sarta era mortificata ma la regina rideva felice al pensiero di essere cresciuta senza neanche accorgersene.
Dopo il banchetto aprì le danze con suo padre, come faceva ogni anno e Aborn era raggiante e felice di avere la figlia tutta per sé, ancora una volta: quando avevano detto a Zaron che avrebbe dovuto essere lui a ballare con Deja, questi si era categoricamente rifiutato, asserendo che non avrebbe mai ballato, per nulla la mondo, neanche per far contenta la sua sposa il giorno del suo compleanno.
- Non ti preoccupare, non sono offesa.
Lo aveva placato lei.
- Neanche io amo molto danzare, ma è tradizione e cortesia che il padrone e la padrona di casa ballino insieme il primo ballo, prima di lasciare la pista agli altri ballerini. Mi accompagnerò a mio padre, come ho sempre fatto.
- A Rakon a danzare sono solo ballerine professioniste, gli uomini non ballano. Sai,
Aveva proseguito con malizia.
- Non vedo l’ora di vedere le facce dei miei ministri quando vedranno i nobili e le nobildonne issiane ballare insieme***.
Poi aveva aggiunto, con voce preoccupata.
- Tu ballerai solo con tuo padre, vero?
Deja aveva riso.
- Sì. Essendo la regina nessuno può chiedermi di ballare: devo essere io a farlo. Essendo minorenne posso ballare solo con i miei parenti maschi e quindi con mio padre, il mio zio materno, che non balla, e con te, che sei mio marito.
- Sono felice di notare che voi issiani non siate totalmente dei barbari.
Aveva osservato Zaron con voce ironica e sorridendo, per farle capire che scherzava e non intendeva insultare.
- Per tua informazione c’è un’etichetta piuttosto rigida che riguarda i balli: a chiedere di danzare è sempre quello con il rango maggiore e, se sullo stesso livello, sempre l’uomo. Se un uomo chiede a una ragazza non sposata di danzare per più di tre volte in una sera questo indica l’interesse a corteggiarla. È cortesia accettare sempre il primo invito poi, se l’interesse non è corrisposto, è possibile rifiutare. Per questo neanche mio padre balla mai: può chiedere solo a me o alla moglie di mio zio, e lui ha già divorziato quattro volte e quindi mio padre non si avvicina mai alla moglie di turno. Se invitasse qualcun’altra a ballare potrebbe sembrare che abbia intenzione di risposarsi.
Zaron aveva sollevato un sopracciglio, sorpreso. Poi aveva chiesto, incredulo.
- Tuo zio ha divorziato quattro volte?
Deja aveva annuito.
- Non riesce ad avere figli. Le sue mogli dicono che è colpa sua e dopo qualche anno chiedono il divorzio, ma lui non si è ancora arreso. Mio padre mi ha detto che sta cercano la moglie numero cinque.
Zaron scosse il capo, divertito: a Rakon tutti avrebbero pensato ovviamente che il problema fosse della donna, ma se lo zio di Deja aveva già cambiato moglie quattro volte evidentemente era lui a non riuscire ad avere figli.
Durante i festeggiamenti serali, al banchetto e alla festa, Zaron si era divertito moltissimo a osservare le reazioni dei nobili che lo avevano seguito da Halanda a Issa. A tavola uomini e donne erano distribuiti a seconda dei gruppi familiari: mogli vicino ai mariti, figli accanto ai genitori, con l’eccezione dei nobili rakiani che erano raggruppati insieme e passarono la prima parte del banchetto a fissare sbalorditi le moglie e le figlie dei loro vicini che sedevano gomito a gomito con altri uomini e conversavano allegramente con loro. Dal canto suo Zaron era lieto che Deja sedesse tra lui e suo padre: se lo scandalo che poteva leggere nelle espressioni dei suoi connazionali lo divertiva, trovava confortante che l’onore della sua regina fosse conservato agli occhi delle tradizioni della sua terra. 
Durante il ballo osservò con attenzione dove Deja e suo padre si toccavano: la mano desta di lui stringeva quella sinistra di lei e la mano sinistra di Aborn reggeva il gomito destro di Deja, che gli teneva la mano poggiata sul braccio. Alle prime note padre e figlia, che erano al centro della sala da ballo circondati dei nobili issiani, cominciarono a muoversi in unisono mentre Zaron e i suoi se ne stavano in disparte, vicino al trono. Aborn guidava la figlia, che si muoveva a ritroso, in cerchi aggraziati e regolari. Subito dopo altre coppie si unirono a loro e presto la regina e suo padre smisero di ballare, spostandosi verso l’imperatore. Appena furono fuori dalla pista i ballerini si bloccarono all’improvviso e le donne si mossero tutte insieme, facendo tutte qualche passo a desta e cambiando compagno di danza. Al suo fianco esplose il mormorio indignato e turbato dei suoi nobili e Zaron sorrise alla sua regina che era tornata al suo braccio, lasciata andare a malincuore dal padre.
- Vieni,
Disse lei, tirandolo.
- Usciamo.
Lei lo condusse nuovamente in giardino, dove i tavoli e le sedie venivano rapidamente portati via dalla servitù. Deja sospirò contenta.
- Non mi avevi detto che il ballo prevedeva un cambio di compagno.
Osservò lui; lei lo guardò, sollevando un sopracciglio e incurvando il labbro in un sorriso divertito.
- Secondo te perché apriamo sempre la prima danza ma non finiamo mai di ballarla? Io perché non posso, e mio padre perché non vuole ballare con nessuna. Non da quella parte Zaron, restiamo sul cammino principale.
Deja lo trattenne dal dirigersi verso una zona seclusa del parco.
- Perché?
Chiese lui, incuriosito. Deja arrossì leggermente.
- Le feste sono occasioni per socializzare e a volte alcuni innamorati che non hanno occasione di incontrarsi altrove ne approfittato per… appartarsi. Non voglio sorprendere nessuno, quindi restiamo in aree aperte.
- Stai scherzando, vero?
Deja rise, rovesciando la testa.
- No, affatto. È così che ho conosciuto Famira: sono quasi inciampata in sua sorella e il suo fidanzato che si baciavano dietro un cespuglio! Oh, che imbarazzo!
- Barbari!
Disse lui, ridendo insieme alla moglie.
- Siete dei veri barbari!
Lei gli diede un buffetto scherzoso sulla spalla.
- Non è vero, si stavano solo baciando, niente di che e comunque si sono sposati un paio di mesi dopo.
Deja si sedette su una panchina di pietra, davanti a un’aiuola fiorita. Guardò in alto, nel cielo e Zaron seguì il suo sguardo. La luna era piena, bianca e vicina alla terra e le stelle brillavano piano, la loro luce offuscata dal fulgore del satellite notturno.
- È una notte meravigliosa,
Esordì Deja con voce sognante.
- Lo sai che porta fortuna avere la luna piena nel giorno del compleanno? Buona sorte tutto l’anno, la dea Lona veglierà su di te e ti farà avere un anno proficuo e felice.
Zaron la guardò: Deja teneva la testa rovesciata all’indietro, il viso rivolto verso il cielo. La pelle era pallida alla luce argentea della luna e gli occhi apparivano scuri. Sembrò adulta, sembrò bella e lui distolse in fretta lo sguardo, rivolgendolo alle stelle.
Rimasero su quella panchina per il tempo restante della festa, con la musica che giungeva lieve dalle porte spalancate della balconata e Deja che raccontava a Zaron le leggende sugli dei issiani.
- Quindi la dea Lona non ha marito?
- No,
Rispose Deja.
- Sua figlia, la dea bambina Naraìs, è figlia di un mortale. Quando lui è invecchiato lo ha preso con sé in cielo e lo ha fatto addormentare in un sonno eterno in cui loro possono stare insieme nei suoi sogni****.
- Sei sicura di non voler rientrare, Deja? È la tua festa di compleanno e tu la stai passando in giardino da sola.
Lei scosse la testa.
- È qui in giardino che possiamo godere meglio dello spettacolo principale. Amo i fuochi d’artificio.
Ci fu un sibilo acuto, che fece sobbalzare Zaron, e una fiamma si accese nel cielo, seguita da un botto sordo, che gli fece tremare i timpani.
- Eccoli!
Esclamò entusiasta sua moglie, indicando il fiore verde che si era aperto contro il cielo notturno.
Altri botti e altre luci comparvero nel cielo e se Deja li guardava sorridendo, con le labbra socchiuse dalla meraviglia, Zaron fissava quelle esplosioni colorate con sguardo preoccupato.
- Come sono fatti?
Le chiese.
- Sono composti da una polvere che prende fuoco. Li hanno inventati i nostri chimici. A seconda delle sostanze che ci aggiungi ottieni colori diversi. Non sono bellissimi?
- Una polvere che prende fuoco? Quanto in alto possono arrivare?
La sua voce era stranamente severa e Deja si voltò brevemente a guardarlo.
- Non lo so, perché?
- Immagina che danni uno di quei graziosi fuochi d’artificio potrebbe fare se puntato contro un’aeronave.
Lei spalancò gli occhi e guardò i fuochi con una nuova consapevolezza.
- Oh…
- Già.
Ribatté Zaron cupamente.
I fuochi d’artificio che segnalavano la conclusione dei festeggiamenti per il compleanno della regina andarono avanti parecchio. I colori sgargianti e luminosi dei fuochi si riflessero sui volti puntati verso il cielo di Zaron e Deja che li osservarono silenziosi.
Zaron passò la notte insonne, torturandosi per quei dannati giochi di luce notturni e volle conoscere tutto della loro produzione, insistendo per far visita al laboratorio dove venivano prodotti. Il luogo era isolato, fuori città, e la piccola famiglia che si occupava della loro realizzazione e commercio conservava con gelosia paranoica il segreto della loro fabbricazione. Zaron si sentì più rincuorato constatando che nessuno aveva ancora mai pensato agli usi bellici della polvere pirica e che i fuochi d’artificio venivano considerati unicamente come un costoso svago per le feste dei nobili e dei ricchi. Tuttavia se ci aveva pensato lui poteva farlo qualcun altro e così, di comune accordo con Deja, furono promulgate leggi severe che regolamentavano la distribuzione e l’utilizzo dei fuochi d’artificio, leggi che all’apparenza favorivano i produttori e aumentavano la sicurezza costringendo gli acquirenti a utilizzare tutti i fuochi comprati sotto la stretta vigilanza della compagnia produttrice che diveniva la sola autorizzata a maneggiarli.
L’unica cosa che confortava Zaron era che le aeronavi volassero troppo in alto per essere raggiunte dai razzi e che i soli momenti in cui erano vulnerabili erano quelli del decollo e dell’atterraggio.
 
La partenza di Deja da Issa questa volta fu meno straziante. Il fatto che avvenisse in pubblico, davanti al popolo e ai membri della nobiltà, aveva costretto Aborn e la regina a salutarsi precedentemente. Il padre era stato terribilmente restio a lasciare andare nuovamente la sua bambina, neanche la consapevolezza che l’avrebbe rivista entro un anno lo rasserenava: un anno era un periodo lunghissimo, in cui si sarebbe perso una grossa parte della sua vita, chissà come le sarebbe apparsa cambiata Deja a quattordici anni e come sarebbe maturato il suo rapporto con l’uomo che aveva sposato. Aborn aveva trovato allarmante la familiarità, l’amicizia quasi affettuosa con cui Deja lo trattava. Allarmante e incomprensibile. Come era riuscito quell’uomo a conquistare la sua fiducia in così breve tempo? Cosa le aveva fatto? Cosa le aveva detto? Con lui Zaron era stato minaccioso e antagonistico, sorvegliando Deja come un mastino fa con il suo osso, come un drago con il suo tesoro. Deja gli aveva giurato che lui non l’aveva sfiorata e la presenza della concubina rakiana che lui visitava ogni notte sembrava corroborare le sue parole, ma quanto gli era costato farli dormire nella stessa stanza, nello stesso letto! Deja sarebbe stata più vecchia l’anno seguente, più matura e dopo i quattordici anni presto sarebbero seguiti i quindici e la maggiore età e a quel punto cosa avrebbe fermato più Zaron? Cosa gli avrebbe impedito di pensare che quattordici fosse l’età ideale per reclamare la sua sposa? E Deja… Deja che non aveva più paura di lui, che si appoggiava al suo braccio, che gli porgeva la mano con un sorriso sulle labbra. Con fiducia. Aborn non riusciva a credere che lui non l’avrebbe delusa, che quello straniero, quel conquistatore, fosse l’uomo giusto per lei, che quello fosse l’uomo in grado di renderla felice, un uomo non scelto da lei ma impostole con la forza.
Nessuno dei suoi dubbi era trapelato durante la permanenza di Deja a casa, neanche durante il loro addio aveva potuto dirle niente, con Zaron che aleggiava vicino, osservandoli e che non appena Aborn l’aveva lasciata, ne aveva reclamato la presenza al proprio fianco.
Anche per Deja era stato difficile lasciare suo padre, si era stretta a lui per molto tempo, piangendo nuovamente contro il suo petto, e poi si era aggrappata a Zaron e al suo braccio fermo che l’aveva sostenuta. Aveva sorriso ai suoi cittadini e ai suoi nobili, ringraziandoli pubblicamente per l’ospitalità ricevuta e l’affetto e il calore che le avevano riservato. Solo una volta salita sull’aeronave che l’avrebbe riportata ad Halanda si era lasciata andare, mostrando senza ritegno quanto casa sua le sarebbe mancata. Zaron l’aveva accompagnata al ponte d’osservazione che permetteva di guardare il terreno che si allontanava e Issa dall’alto, bianca e dorata, che si specchiava nel mare cristallino della baia.
- Ho una sorpresa per te, Deja.
Le sussurrò Zaron alle spalle, poggiandole una mano sulla schiena per confortarla.
- Non volevo parlartene fino a che non fosse stato tutto completato, doveva essere una sorpresa, ma sei così afflitta che spero possa tirarti su di morale.
Si chinò, abbassando la testa in modo da essere allo stesso livello di quella di sua moglie e indicò fuori dalla finestra appoggiando quasi la guancia a quella di Deja in modo che lei potesse seguire la linea immaginaria tracciata dal suo indice.
- Li vedi quei pali che a distanza regolare sono stati piantati al di fuori delle mura di Issa?
Deja annuì e poi inspirò sorpresa, riconoscendoli.
- Telegrafo…? Ma vanno nella direzione sbagliata…
Zaron sorrise.
- No, vanno nella direzione giusta: verso Halanda. Impossibile prevedere quanto tempo ci vorrà, ma Issa sarà collegata alla capitale dell’impero e a tutte le città principali lungo il cammino. Potrai comunicare istantaneamente con la tua patria ogni volta che lo desidererai, scambiandoti messaggi con tuo padre ogni qualvolta lo vorrai, ricevendo risposte immediate.
Deja si voltò tra le sue braccia, cingendogli la vita e stringendolo forte.
- Grazie!
Poi dato che in quella posizione lui era tanto più alto di lei, gli diede un leggero bacio sul collo invece che sulla guancia. Zaron si irrigidì leggermente, prima di carezzarle fugacemente i capelli e staccarsi da lei. Deja si voltò nuovamente verso la finestra, guardando fuori la sua città che si allontanava sempre di più e sorridendo con nostalgia.



 
*Né mai più toccherò le sacre sponde/ ove il mio corpo fanciulletto giaque,/ Zacinto mia, che te specchi nell’onde/ del greco mar, […]: E’ l’inizio di “A Zacinto” di Foscolo. 
** Ed ecco perché ci sono i dirigibili e niente altro, tipo macchine o treni: Issa è una città portuale, e quindi non pensa al trasporto su ruota. Per la nave con la ruota mi sono ispirata ai battelli del Mississippi. Oltretutto penso che Mastro Rutief abbia appena fatto il primo importante passo verso l’industrializzazione: una volta che capisci che puoi usare un motore per macinare il grano il prossimo, logico passo è la filatura e da lì la tessitura e poi la strada è tutta in discesa, come l’industrializzazione in Inghilterra.
*** Uomini e donne che ballano insieme: mi ricordo, tanti, tanti anni fa, in un film un personaggio indiano (dell’India) che dice, conversando con un nobiluomo inglese, quanto trovasse barbarica e scandalosa la consuetudine europea per cui uomini e donne ballavano insieme. È stata una cosa che ha colpito la mia mente giovane: come gli usi possano risultare così diversi che qualcosa che noi facciamo con naturalezza possa essere considerato osceno da un’altra cultura.
****La dea della luna e un mortale. Qui mi sono spudoratamente ispirata alla storia della dea della luna Selene e il pastore di cui si era innamorata: Endymion.
 
NOTE DELL’AUTRICE: Rieccoci. Vi è piaciuto come ho fatto fare la figura della scimmietta che non sente, non vede e non parla a Zaron? È in piena fase di diniego, poverino. Inizialmente lui e Deja dovevano avere una conversazione molto matura sulla differenza tra l’amare e l’essere innamorati e lui doveva far capire a Deja che ama sì Perla ma non è innamorato di lei, non più. Ma Zaron non si è rivelato ancora pronto per toccare un simile argomento, e quindi sono stata costretta a rimandare; forse, nell’ultimo capitolo di Il dio della guerra, che ho intitolato “metter via le cose infantili”, alcuni avranno pensato che mi riferissi a Deja che deve smettere di essere una bambina, ma io pensavo a Zaron che, pur essendo un uomo adulto, in alcuni aspetti è ancora immaturo e non è pronto ad affrontare certe realtà e certi argomenti, come il suo colloquio con Perla ha indicato. Per questo ha problemi a gestire le situazioni che non riesce a controllare, come quando Deja si allontana da palazzo e lui non sa dov’è o la sua competizione con il suocero per avere le attenzioni della moglie. Si troverà sempre più a disagio con una Deja che matura e farà una fatica tremenda ad accettare che lei sia cresciuta e che lo ami, perché non riesce a vederla come una donna, avendola fermamente relegata nella sua testa con l’etichetta di bambina: guarda quant’è graziosa ma non toccare e non desiderare.
  
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