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Autore: MaDeSt    15/11/2016    5 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

ONE LIFE FOR ANOTHER

La settimana passò lenta per tutti i giovani ragazzi: per Andrew perché per accontentare sua madre aveva deciso di obbedirle, e quindi di rinunciare alla compagnia di Umbreon per alcuni giorni; per Layla perché sebbene andasse spesso a trovare i draghetti il più delle volte era sola; per Mike perché non vedeva l’ora di partire, in un certo senso non voleva aspettare il ritorno dei suoi genitori; per Jennifer perché, per questa ragione, discuteva spesso con Mike quando si trovavano da soli; per Cedric che lavorava quasi senza sosta cogliendo al volo ogni occasione che gli capitava per portare a casa denaro o beni barattati prendendo momentaneamente il posto di suo padre, e se si trovava nella stessa stanza con Lily litigavano urlando talvolta quasi arrivando alle mani; e infine per Susan perché finalmente aveva potuto godersi ogni momento coi genitori, gli aveva presentato Sulphane al settimo cielo quando la draghetta le aveva detto di essere felice di aver fatto la loro conoscenza ed era finalmente venuta a sapere nel dettaglio cosa fosse successo ai suoi genitori coi soldati.
Era stato Deren principalmente a raccontare l’intero accaduto, cercando sia di non spaventare troppo la figlia sia di non mancare troppi particolari. Le aveva detto che in quelle settimane gli uomini armati non avevano fatto altro che tenerli prigionieri a volte dentro una tenda e a volte legati a un palo all’aperto, ma non li avevano mai separati - principalmente per interrogare uno davanti agli occhi dell’altra e sperando di trarre vantaggio dal dolore emotivo di uno dei due, ma questo aveva evitato di dirlo a Susan. Non le aveva nascosto invece la parte dell’interrogatorio, perché immaginava che comunque la ragazzina lo sospettasse.
E alla fine del racconto, Susan non era riuscita a tenere le lacrime e li aveva abbracciati entrambi molto stretti, chiedendosi dove avrebbe trovato il coraggio di dire loro che a breve sarebbero davvero partiti per chissà dove.

Al terminare di una delle innumerevoli notti insonni, Cedric decise di andare a far visita a suo padre in casa di Mos, il medico di Darvil, a dispetto di quanto gli fosse stato consigliato - o meglio ordinato, dal momento che erano in pessimi rapporti per via dell’incidente cui Emily era stata vittima sette anni prima e l’uomo non gliel’aveva mai perdonato.
Sarebbe entrato dalla porta secondaria di casa loro, che era sempre aperta perché conduceva direttamente alla parte dell’abitazione che fungeva da dormitorio, in modo che i familiari o gli amici dei malati potessero fare loro visita a ogni ora del giorno. Diede prima una rapida sbirciata a porta socchiusa, poi, non vedendo né sentendo Mos o Emily, si decise a entrare. Appese la giacca a una colonnina del letto, prese uno sgabello e si sedette accanto a dove riposava Jorel. Perlomeno si costrinse a pensare che riposasse, nonostante le sue condizioni non promettessero bene anche dopo una settimana di cure. Era quasi l’alba, e per un solo attimo fu colto dal pensiero di Lily rimasta da sola in casa senza spiegazioni o istruzioni. Scosse la testa; sarebbe tornato ancora prima che si destasse, si disse.
Da quando aveva saputo che grazie ai draghi avrebbero potuto usare la magia non era riuscito a scacciare la convinzione di poter fare qualcosa, o almeno provarci. Sapeva bene che nessuno a Darvil poteva insegnargli a controllarla, e sapeva che usarla senza essere preparato poteva costargli la vita, ma anche sapeva perfettamente che non avrebbe avuto pace finché non avesse almeno provato.
Sapeva perfettamente che curarlo avrebbe potuto portare a conseguenze disastrose sia per lui che per gli altri ragazzini, e forse anche per i draghi; da una parte non voleva assolutamente aiutarlo a riprendersi, mentre dall’altra sapeva di avere il potere di fare la differenza, non poteva rimanervi indifferente. E si trovava lì in quel momento perché l’ultima sensazione aveva prevalso sulla prima, non gli importava di quali conseguenze avrebbe dovuto affrontare, tanto prima o poi lui e gli altri sarebbero partiti comunque. Tanto valeva fare una prova.
Perciò prese un lungo sospiro, tese le mani sopra il corpo di Jorel e, senza ben sapere cosa fare, cominciò a vagare con la mente: prima all’aggressione di Smeryld, si concentrò sulle sensazioni che aveva provato; poi pensò a come Layla avesse inconsapevolmente usato la magia per proteggere Susan; infine pensò ai Gatti Ferali, ripassando a mente ogni loro parola che riguardasse o meno la magia.
Quando riaprì gli occhi si accorse che non doveva essere passato molto tempo, ma non si sorprese; gli era capitato più volte di constatare che la percezione del tempo nella propria mente era differente da quella che avevano nel mondo reale, succedeva lo stesso nei sogni, dove un solo minuto poteva durare ore o attimi.
Rimase invece piuttosto deluso dal fatto che non sembrava essere successo nulla, e decise di riprovare rivivendo quegli stessi avvenimenti al contrario: prima i Gatti Ferali e ogni loro parola; poi Layla e la sua magia, cercò di comprendere il meccanismo che le aveva permesso di usarla e farlo suo; infine pensò all’aggressione, più intensamente, risentì quelle emozioni tra le quali il desiderio che non fosse mai successo, e la voglia e la determinazione che lo avevano spinto a rischiare pur di rimediare a quell’errore.
Questa volta rimase immobile a lungo, cominciò a piangere silenziosamente, sopraffatto dalle emozioni e dai ricordi, e intanto sussurrava una specie di litania, come se la magia fosse stata una persona in grado di capirlo; la pregò di aiutarlo come aveva aiutato Layla, e solo allora ricordò che la ragazza, prima di usare la magia, aveva dato un ordine. Immaginò dunque che parlando alla magia fosse sulla strada giusta, per quanto sciocco si sentisse.
Dopo quasi un’ora cominciò seriamente a dubitare della sua idea, era frustrato e si diede dell’idiota per averci provato, ma anche dell’incapace per non esserci riuscito. S’insultò a voce piuttosto alta e insultò anche la magia, con le mani ancora aperte sollevate sopra il petto di suo padre.
Fu allora, quasi per punirlo per ciò che aveva detto, che la magia intervenne: prese con prepotenza le sue energie, privandolo rapidamente delle sue forze e lasciandolo senza fiato, trasformandole in qualcosa di diverso, un’energia in grado di risanare le ferite e di restituire la forza di vivere. Ma nel frattempo Cedric ne stava perdendo e ne era cosciente, solo che non sapeva come fermarla, né l’avrebbe fatto finché Jorel avesse riaperto gli occhi.
Cominciò a tremare ma rimase immobile, non perché si sforzasse; c’era qualcosa che lo teneva fermo, seduto sullo sgabello con la schiena rigida e le braccia tese. Chiuse gli occhi cominciando a provare una paura sempre più opprimente mentre gli ammonimenti dei Gatti si rincorrevano nella sua mente, sentiva chiaramente le loro voci stridule metterlo in guardia di fronte a quel potere che lui aveva provocato e che ora si stava prendendo la sua vita per salvarne un’altra. Non aveva il coraggio di riaprire gli occhi: intuiva che doveva esserci una luce e che non si trattava del sole, ma nemmeno di una candela retta da qualcuno, altrimenti avrebbe già sentito urlare.
Più il tempo passava più si sentiva debole, tanto che credette si trattasse di un’allucinazione quando udì una voce dirgli di smettere: Basta. Ti ucciderai. Ciò che hai fatto sarà sufficiente, Jorel vivrà. Ma se continui guarirà del tutto e tu pagherai con la vita. Solleverà domande e sospetti, è questo che vuoi?
In un primo momento la ignorò, pensando non fosse importante. Si sentiva confuso e solo dopo alcuni pericolosi secondi si rese conto di essere stato lui stesso a pensare quelle cose come parlando a qualcun altro. Aprì gli occhi e guardò Jorel, che ancora dormiva ma questa volta era davvero fuori pericolo. Vide la luce provocata dalla magia che fluiva dalle sue mani verso l’uomo per poi passare oltre le coperte e illuminarle da sotto. Si guardò le braccia e vide che anch’esse brillavano, strani veli di luce bianca verde e rosa danzavano come seguendo le vene sottopelle fin quasi alle spalle. Proprio come se da esse stessero drenando il suo sangue, che era anche parte di ciò che lo teneva in vita, trasformandolo in un fascio di luce.
Basta. Ti ucciderai ripeté la sua voce, sembrava estranea e distante come quella di un drago, come se la sua stessa mente non gli appartenesse più.
Annuì con convinzione, ma gli sembrò di faticare a mettere in ordine i pensieri per chiedere alla magia di smettere, di lasciarli; ora era tutto sistemato, non aveva più bisogno del suo aiuto. Gli parve trascorrere un’eternità prima di riuscire a chiudere le mani, interrompendo così l’incantesimo d’un tratto, ed ebbe la sensazione di aver trattenuto il fiato tutto il tempo.
Cadde dallo sgabello non più trattenuto da quella forza invisibile, ansimò tenendosi la gola, tremava e sentiva il battito del cuore lento ma prepotente, quasi doloroso. Si rilassò con un sospiro, lentamente tornò a respirare bene e il battito cardiaco si fece meno fastidioso, però ancora tremava e aveva una sgradevole sensazione di nausea piuttosto insistente.
Si rialzò cautamente perché la testa gli girava, si aggrappò allo sgabello e guardò Jorel sorridendo vittorioso perché non vedeva più alcun segno tra i numerosi rimasti anche dopo le attente cure di Mos; forse non l’aveva guarito del tutto, ma se non altro ora aveva una possibilità di sopravvivere.
Quello che accadde dopo però non avrebbe potuto prevederlo.
Con sua sorpresa Jorel diede segni di vita con un rabbioso brontolio accompagnato da una smorfia, poi aprì gli occhi e si guardò intorno.
Cedric lo guardò incredulo mentre tornava a sedersi e dopo alcuni secondi sorrise sollevato, lo chiamò un po’ incerto e l’uomo lo guardò, allora il ragazzo rise e batté le mani entusiasta, complimentandosi in segreto con se stesso per essere riuscito a curarlo.
Jorel si mise a sedere massaggiandosi entrambe le tempie con una sola mano, un dolore atroce lo colse al ventre, e mentre Cedric rideva sommessamente cercò di ricordare cosa fosse successo; non ricordava come fosse finito lì, né riusciva a immaginare perché il ragazzo gli fosse accanto e stesse ridendo tutto contento. Ma ricordava un bosco, qualcosa di verde, mal di testa, dolore e grida. Fece per chiedergli spiegazioni, ma qualcos’altro gli sovvenne. Un nome: Sulphane. Draghi. E Cedric aveva fatto un secondo nome: Smeryld. Verde. Un piccolo drago verde che quasi l’aveva ucciso.
Guardò Cedric che lo stava fissando sorridendo, dondolandosi avanti e indietro sullo sgabello. Il suo sguardo era così cupo e truce che lo indusse a fermarsi e a smettere di sorridere.
«Qualcosa non va? Ti senti ancora male?» gli domandò preoccupato, temendo per un attimo di aver alterato anche i suoi ricordi o la sua personalità, non sapendo usare la magia.
«Smeryld.» ringhiò Jorel ignorando le sue domande.
Il ragazzo capì di non aver sbagliato nulla al di fuori di averlo curato addirittura troppo, abbastanza da permettergli già di ricordare. Impallidì e cercò di sembrare tranquillo mentre diceva: «Mos non sa che sono qui, altrimenti andrei a dirgli che stai dando di matto. Hai avuto un incidente e ti ha somministrato diverse cure, sarai ancora confuso...»
«Non prenderti gioco di me, ragazzo!» lo interruppe a denti stretti, tremando di rabbia «Smeryld... il tuo drago voleva uccidermi!»
«Ciò che dici non ha senso...» sussurrò con voce flebile, si allontanò lentamente temendo che sarebbe esploso.
«Non prenderti gioco di me!» ripeté minaccioso «Gliel’hai detto tu?»
«No! Io... non so di che parli.»
«Volevi che morissi, così il tuo segreto sarebbe venuto con me... nella tomba?»
«Assolutamente no! Rilassati, ti sei rimesso davvero da poco! Ti davano per spacciato fino a ieri...»
«Era quello che volevi, in fondo!»
«Ma... No! Perché mai?» esclamò cercando sia di mantenere la calma che un tono di voce basso.
«Avresti mille motivi... primo tra tutti quel maledetto drago!»
«Abbassa la voce, o sveglierai tutti! Mos non mi vuole tra i piedi, lo sai!»
«Troverò il modo di uccidere il tuo drago...» disse guardandolo cupo.
Scosse la testa e sospirò: «Quante volte dovrò ripetertelo? Non esiste nessun...»
«Ma prima ucciderò te.»
Cedric ebbe solo il tempo di dire: «Aspetta... Cosa?!» che se lo ritrovò addosso, di nuovo cadde a terra, ma questa volta schiacciato dall’uomo che gli premeva con forza le mani alla gola, impedendogli sia di gridare di dolore che di chiamare aiuto.
«Così non gli darai quell’ordine una seconda volta.»
«Sei fuori di testa... lasciami!» tentò di dire.
Ma appena Jorel capì quelle parole si mise a ridere: «Tu sei fuori di testa. Lo sei sempre stato. Adottare un drago! Come se i draghi potessero essere addomesticati! Alla fine sei molto più stupido di quanto pensassi. Quando mai ho promesso a Laurel che mi sarei preso cura di te! Non hai fatto altro che portarmi guai da quando sei stato concepito, e mi hai portato via la donna che amavo...» concluse in un sussurro, la voce rotta dagli improvvisi singhiozzi.
Cedric cercò di liberarsi, ma ogni suo tentativo fu inutile; già in condizioni normali gli era impossibile uscire illeso da uno scontro con Jorel, che era molto più forte di lui. In questa situazione, col suo peso addosso e incapace di respirare, nonché indebolito dallo stesso incantesimo che aveva dato al fabbro la forza di saltargli addosso, ebbe paura. L’aria cominciava già a mancargli, i polmoni bruciavano, la testa gli girava di nuovo, e non seppe dire se fosse solo una sua impressione che la trachea stesse per spezzarsi.
Scalciò senza esito - ottenne solo un ringhio di disapprovazione da parte dell’uomo - e si convinse che senza l’intervento di qualcuno per lui sarebbe stata davvero la fine. E poi sarebbe toccato a Jorel, perché non aveva speranze di uccidere Smeryld. O forse sì, perché il draghetto non avrebbe più osato toccarlo per paura delle conseguenze?
Per un folle attimo pensò di ricorrere nuovamente alla magia, per liberarsi, ma appena se ne rese conto scacciò il pensiero prima che fosse troppo tardi, conscio di essere troppo debole. Che avesse usato la magia o no, sarebbe morto comunque, per mano di essa oppure di suo padre, a causa di un drago che era nato e diventato suo amico solo perché lui, Cedric, era stato così stupido da non restituire l’uovo verde e tutti gli altri a Nerkoull o alla Foresta.
Alla fine, si disse, stava solo finalmente pagando per il suo errore, l’ultimo di una lunga serie.

Emily entrò nella stanza con la delicatezza di un tornado avendo sentito grida e rumori insospettabili da un uomo in punto di morte. Ancora in veste da notte e assonnata, spalancò gli occhi incredula davanti alla scena che le si presentò: il ragazzo non si muoveva - o almeno così le parve - ma l’uomo continuava a premergli la gola, e questo le diede un po’ di speranza.
Presa dal panico si guardò intorno in cerca di qualcosa che avrebbe potuto aiutarla e appoggiata su una mensola vide una boccetta di sonnifero piena per metà. Aveva effetto per inalazione, era proprio ciò di cui aveva bisogno. Prese uno straccio, lo bagnò col sonnifero e si portò silenziosamente alle spalle di Jorel senza che lui si accorgesse della sua comparsa perché troppo occupato a inveire sul ragazzo.
Sospirò, si fece coraggio e disse: «Perdonami.»
L’uomo la sentì e fece per girarsi, ma lei fu rapida a poggiargli il fazzoletto su naso e bocca, e altrettanto rapido fu il sonnifero a fare effetto; in una manciata di secondi Jorel cadde addormentato addosso a Cedric e per metà sul pavimento.
La giovane donna ansimava come se avesse appena terminato una corsa, al contrario del ragazzo che a malapena respirava. Con fatica spostò il corpo privo di sensi di Jorel, si assicurò che Cedric non rischiasse di soffocare, magari per lesioni interne, poi pensò a come portarlo a casa sua - facendo credere al medico che non fosse mai stato lì e che Jorel fosse caduto dal letto da solo.
Quindi rimise a posto il sonnifero e corse silenziosamente a vestirsi per poi tornare in fretta da Cedric, prenderlo in braccio e lasciarlo appena fuori dalla porta insieme alla sua giacca. Sbuffò mettendosi le mani sui fianchi, preparandosi a dover fare tutta la strada fino a casa sua con lui sulle spalle. Per fortuna non si vedeva nessuno in giro, ancora, e per fortuna era una donna dalla corporatura robusta; non avrebbe avuto troppe difficoltà, anche se la meta era piuttosto distante.
Lo prese in braccio scacciando la sensazione di ribrezzo che provò stringendolo a sé, dicendosi che se non l’avesse fatto sarebbero finiti tutti nei guai - lei, gli altri ragazzini, lui, e soprattutto Layla, non poteva permetterselo. Lungo la strada fu tentata di fermarsi a riposare un paio di volte, ma alla fine la paura di incontrare qualcuno, che si faceva sempre più concreta con l’avanzare dell’alba, la convinse a non cedere.
Una volta arrivata davanti alla porta di casa di lui, per aprirla prese la chiave che il ragazzo aveva con sé, lo portò dentro e lo lasciò sui cuscini della panchetta in sala sbuffando di fatica. Decise che avrebbe aspettato lì finché si fosse ripreso, e nel mentre rifletté su cosa potesse essere successo: innanzitutto Jorel si era risvegliato contro ogni previsione, proprio nel giorno in cui Cedric aveva deciso di fargli visita intrufolandosi in casa loro, sapendo che se fosse stato scoperto le avrebbe prese di santa ragione. Ma ci aveva pensato Jorel, tanto da quasi ucciderlo. Non riusciva a capire il motivo di quel gesto estremo; anche se non sapeva cosa fosse successo nel bosco, era certa che Cedric avesse salvato Jorel da Smeryld, non il contrario. Oppure Jorel aveva saputo che Smeryld era il drago di Cedric?
Un bel casino, se Jorel ricorda... pensò scoraggiata; se era arrivato quasi a uccidere suo figlio, sebbene fosse noto a tutti che non avessero un buon rapporto, non voleva immaginare cos’avrebbe potuto fare agli altri, ai draghi, e a lei.
Il ragazzo sembrava non avere alcuna intenzione di riprendersi, quindi Emily dovette lasciare la casa prima ancora che si svegliasse, per tornare a casa propria prima che la sua famiglia notasse la sua mancanza. Sulla strada però decise di fare una rapida tappa a casa di Susan per spiegarle la situazione, dato che i suoi genitori sapevano tutto non avrebbe corso pericoli menzionando cose strane.
Bussò alla porta e fu Susan ad aprirle salutandola con un ampio sorriso che svanì appena Emily cominciò a raccontarle dell’accaduto.
«Non so perché lui si trovasse lì, né come Jorel si sia risvegliato. Ma... è successo.» concluse Emily.
«Ma sta... sta bene, vero?» balbettò l’altra, appoggiata allo stipite della porta.
«Sì, credo che starà bene. Se non altro non ha più molte difficoltà a respirare, ma penso se la sia vista brutta.»
«Meno male che eri sveglia!» sussurrò atterrita.
«Susan... qualunque sia stata la causa scatenante, comprenderai che Cedric non dovrà trovarsi lì quando mio padre permetterà a Jorel di tornare a casa. Se vuoi che resti vivo.»
«E Lily? Rimarrà da sola!»
«Avvertiremo Ilion, di sicuro quella povera donna si farà in quattro per aiutarvi.»
Susan pensò, con un po’ di ritardo, alla decisione che avevano preso tutti insieme la settimana prima riguardo la loro partenza: se Jorel avesse ricordato Smeryld e tutta la faccenda, sarebbero partiti. Ancora non avevano deciso se dirlo agli altri genitori, ma il momento della partenza doveva essere prossimo, ora per due ragioni; la magia e il padre di Cedric.
Annuì distrattamente per non far insospettire Emily, mentre pensava a come riunire gli altri per raccontare loro dell’accaduto. Certo lei avrebbe potuto ospitare Cedric in casa propria, ma non ci sarebbe voluto molto tempo prima che Jorel capisse dove si trovassero. Sarebbe entrato in casa sua e avrebbe comunque ucciso Cedric davanti ai suoi occhi? Voleva sperare di no, ma dopo ciò che Emily le aveva appena raccontato non poteva escluderlo.
Tornando alla realtà, con voce stridula si rivolse alla madre, insistendo perché la lasciasse andare da lui a controllare la situazione, specie con la bambina che gli gridava contro ogni volta che lo vedeva.
La donna annuì dicendole che non avrebbe potuto accompagnarla, ma alla ragazzina non importava: l’unico pericolo ora era Jorel, che però sarebbe rimasto sotto il controllo di Mos ancora per qualche tempo. Si vestì in tutta fretta, salutò Emily che s’incamminò verso casa propria, poi corse via salutando Jelena e assicurandole che sarebbe tornata almeno per cena.
Trovò la porta aperta perché così Emily l’aveva lasciata, quindi entrò e la richiuse abbassando l’asse per essere sicura che nessuno potesse entrare senza che prima loro avessero controllato chi fosse a bussare. Andò silenziosamente a recuperare una coperta in quella che era stata camera sua al piano superiore, tornò giù e la adagiò sul corpo del ragazzo, poi s’inginocchiò accanto alla panchetta.
Rimase a fissare Cedric senza realmente vederlo, persa nei propri pensieri, poi decise di preparare la colazione per tutti e tre. Tornò davanti alla panchetta sentendosi quasi in dovere di vegliare e assicurarsi che stesse bene dopo quel trauma, che di sicuro avrebbe avuto una certa influenza su di lui; dopo aver avuto paura di perdere suo padre per sempre si era ritrovato a rischiare di essere lui tra i due quello morto. Sperò che Lily si alzasse abbastanza tardi da non vedere il fratello dormire e quindi trovandola lì davanti a lui a fissarlo intensamente.
Com’è carino quando dorme...
Si accorse in seguito di ciò che aveva pensato e si sentì avvampare quando credette di aver capito perché fosse così preoccupata e imbarazzata a un tempo, ma anche perché non riuscisse a staccargli gli occhi di dosso.
Beh è un bel ragazzo! si difese come se avesse dovuto giustificare a qualcuno la sua affermazione. Ma nessuno al momento sentiva i suoi pensieri, e lo sapeva bene.

Quando Cedric finalmente si riprese Susan fu costretta a spiegargli come fosse giunto lì grazie a Emily, ma raccontò anche tutto ciò che le aveva detto la ragazza, chiedendo spiegazioni. Il ragazzo tuttavia rimase in silenzio guardando altrove, e lei continuò il discorso riprendendo nuovamente ciò che aveva detto Emily: dovevano trovarsi fuori da quella casa prima che Mos avesse permesso a Jorel di tornarvi.
«Già, naturalmente non avevo pensato a un ipotetico futuro...» commentò lui cupamente stringendosi nella coperta; certo non faceva caldo in quei giorni di fine autunno, ma era quasi certo che quella sensazione di gelo nelle ossa fosse dovuta all’uso improprio della magia.
«Ma cosa diamine è saltato in mente a tuo padre, posso saperlo?» insistette poggiando le mani sui fianchi.
Cedric guardò verso le scale come per assicurarsi che Lily non potesse sentire, poi si decise a raccontarle a grandi linee e a bassa voce cosa fosse successo a partire dalla sua decisione di curarlo con la magia.
Susan rimase sbalordita, e quando lui finì di parlare dapprima lo rimproverò sussurrando con enfasi: «Non avresti mai dovuto provare a usare la magia! Avresti potuto ucciderti!» poi, più calma e riflettendo sulle parole da usare, continuò: «Eravamo d’accordo che se tuo padre avesse ricordato...»
«Saremmo partiti?» completò incerto vedendola giù di morale.
«Beh, almeno dovremmo consultare gli altri. Dirgli che ricorda e decidere definitivamente cosa fare...»
«Siamo d’accordo, andiamo a chiamarli.» disse pronto ad alzarsi.
Ma lei scosse vigorosamente la testa e ribatté con decisione: «Vado io da sola appena tu stai meglio. Non ci metterò molto comunque.»
«Allora vai subito, sarebbe meglio discutere di certe cose mentre Lily ancora dorme.»
Prima di decidersi a uscire Susan volle accertarsi che davvero fosse già pronto a rimanere in casa da solo ed eventualmente affrontare la sorellina, con cui non aveva fatto altro che litigare dalla mattina alla sera nell’ultima settimana, e solo dopo alcuni minuti si decise finalmente ad annuire e uscire di casa per andare a chiamare tutti gli altri, compresa Emily.

  
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