Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |       
Autore: Happy_Pumpkin    16/05/2009    3 recensioni
Un pittore inesperto si trova improvvisamente a dover valicare il proprio piccolo mondo, delimitato dalle mura di un giardino, ed affrontare la vita da lui solo immaginata nei libri. Incontrerà due persone che, in modo diverso, gli cambieranno per sempre l'esistenza fino ad accompagnarlo nella scoperta di ciò che vogliono realmente significare le parole vita, morte, amore.
Prima classificata al contest "Sai in pairing" indetto dal SaiFC
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Deidara, Sai, Sakura Haruno
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo:
Oltre il giardino

Autore: Happy_Pumpkin
Rating: Arancione
Genere: Malinconico, introspettivo, sentimentale, accenni nonsense
Personaggi: Sai, Sakura, Deidara, Tsunade
Trama: Un pittore inesperto si trova improvvisamente a dover valicare il proprio piccolo mondo, delimitato dalle mura di un giardino, e affrontare la vita da lui solo immaginata nei libri. Incontrerà due persone che, in modo diverso, gli cambieranno per sempre l'esistenza fino ad accompagnarlo nella scoperta di ciò che vogliono realmente significare le parole vita, morte, amore.
Note dell’autore: Il titolo è tratto dall'omonimo film con protagonista Peter Sellers – “Oltre il Giardino” appunto – che mi ha ispirato la condizione di isolamento rispetto al resto del mondo nella quale si trova Sai. Ma, eccetto questo particolare, tutta la trama è mia completa invenzione e si sviluppa secondo la scansione delle stagioni dell'Antico Egitto, le quali si distinguevano in base alle piene del Nilo.
Il motivo di questa scelta è dato dal fatto che secondo me la storia ha quasi un andamento ciclico, forse per via di alcuni dialoghi leggermente nonsense e certe scene quasi oniriche... la trama stessa a dire il vero è molto nonsense.
L'ambientazione è nella Parigi di metà Ottocento, periodo nel quale sono molto in voga i café, visti come luoghi di incontro e di cultura. Comparirà anche il caffé che, secondo le mie varie ricerche, all'epoca era ancora visto come una bevanda piuttosto d'alto rango ma – a differenza di quanto accadeva nel Settecento – iniziava già ad essere usata dalla media dei frequentatori di locali; per evitare qualsiasi tipo d'anacronismo oltretutto mi sono rifatta anche ai numerosi quadri ritraenti tazzine per assicurarmi di non descrivere qualcosa di improbabile.
Le frasi in corsivo ad ogni inizio capitolo sono state scritte unicamente da me e rappresentano il fulcro della narrazione.







OLTRE IL GIARDINO




I
Siccità

Le sponde secche
sono in attesa di risorgere,
simili all'assetato nel deserto.
Aspettano l'acqua
affinché le faccia vivere.




Il foglio aveva uno strano colore tendente al giallo, quasi fosse stato usurato dal tempo; Sai lo accarezzò con la punta del carboncino, truccandolo di morbide linee nere che ondeggiarono placide su quella piccola pozza di cellulosa.
Sospirò.
Il suono fastidioso di una campanella lo stava distogliendo dal suo lavoro. Allora, con calma, radunò le proprie cose disposte sulla scrivania in legno e si alzò in piedi, dirigendosi verso la camera da dove ultimamente il suo mecenate lo chiamava, sperando di farsi udire al di là delle coperte calde e della malattia che lo consumava lentamente.
Da diversi giorni però l'ammalato non parlava più: si limitava infatti a dormire in una successione di respiri talmente regolari da sembrare meccanici.

Sai si diresse nel corridoio, i piedi scricchiolavano sotto le assi in legno cerate e la luce filtrava a malapena dalle tendine scure; infine entrò nella grande stanza da letto nella quale vide, sdraiato e immobile, il suo anziano padrone. Quest'ultimo non aveva più l'irritante respiro rumoroso e regolare tipico degli ammalati, così come non sembrava doversi affannare ancora per tirare dentro la successiva boccata d'aria.
Senza dire una parola guardò la cameriera con al suo fianco il dottore – le uniche due persone, eccetto lui, che da tempo vivevano sotto quel tetto incrinato dal peso del tempo e dell'usura.
Senza mostrarsi sconvolto il ragazzo chiese: “E' morto?”

La donna – cicciottella, il volto reso quasi tumefatto dalle lacrime – si portò una mano alla bocca e trattenne un singhiozzo, parendo che la stessero per soffocare, ma non ebbe la forza di parlare.
Il dottore annuì con aria grave.
L'unica risposta dell'artista fu un'alzata di spalle ed un sorriso: “Immagino sia un sollievo.”
Non ci fu replica. I due astanti si guardarono un attimo, sorpresi, ma fu strano per loro, schiavi delle usanze, non trovare la forza di ribattere ad un'evidente mancanza di tatto.

Forse è meglio così.

Ancora tra le lacrime la cameriera si avvicinò al giovane, appoggiando le mani grassocce sulle spalle, e lo guardò dritto negli occhi. Infine gli chiese, animata da una strana aspettativa:
“E ora... cosa farai, Sai?”
Era il suo nome; lo aveva deciso per lui il Vecchio, anche se il Vecchio era morto.
Si limitò ad un sorriso di circostanza: “Resterò qui, come ho sempre fatto.”
La sua vita era quella casa, quella casa a sua volta era lui, una parte prolungata della propria esistenza.
La donna scosse la testa dispiaciuta: “Ma non puoi. Questa villa verrà rivenduta e sicuramente abbattuta per far spazio ad altri edifici: devi andartene e cercare il posto che fa per te.”

Andarsene. Se era l'obbligo a cui attenersi lo avrebbe rispettato, un'ultima volta.
Egli rappresentava il frutto della compassione umana: probabilmente non sarebbe esistito se anni fa, quando era solo un ragazzino di strada che tracciava linee armoniose sul terreno battuto, il Vecchio non lo avesse preso con sé, facendo evolvere quelle forme prive di tecnica.
Sarebbe infatti rimasto una delle tante vite incompiute che, tempo addietro, avevano popolato le sudice strade di Parigi.

Il suo salvatore amava l'arte del dipingere: si circondava di quadri appartenenti ad artisti così diversi da permettergli di radunare sotto lo stesso tetto tante maniere per concepire la vita; in ugual modo apprezzava la scultura e da un po' di tempo aveva scoperto un certo Deidara, il quale creava con l'argilla bizzarre forme di animali o presunti tali. Il Vecchio allora aveva iniziato a raccogliere simili creature dell'immaginario, arricchendo gli scaffali ancora vuoti per gioire, appena poteva, di vederli popolati di fantasia sotto i suoi occhi esperti.

Devi essergli riconoscente. Una delle prime cose che, messo piede in quella casa che profumava d'antico, di legno e tappeti polverosi, gli erano state dette. Si trattava infatti di un monito per quanto in futuro avrebbe fatto e, forse, un non proprio simpatico modo di salutare un ragazzino senza passato che poteva essere nuovamente sbattuto in strada.
Così, senza dire altro, si avvicinò all'anziano dagli occhi chiusi e gli portò una mano sulla fronte come aveva visto fare altre volte:
“Addio, Vecchio.”

Sotto gli occhi sorpresi della donna e del dottore Sai uscì dalla camera, che sapeva troppo di farmaci e spezie, per prendere le sue poche cose, ammucchiando i disegni, le tavole e gli strumenti che il suo padrone tempo addietro gli aveva comprato per premiarlo dei sui progressi.

“Ora sei un artista, Sai.”

Gli risultava difficile capire tutto ciò che non concernesse le poche cose in cui era bravo, ovvero dipingere. Negli anni si era isolato in quella soffocante stanza nella soffitta, vivendo di ciò che osservava dalla sua finestra incastrata nell'unica parete verticale esistente; il piccolo miracolo architettonico che gli permetteva di sentirsi meno estraneo al mondo, un mondo che non conosceva e che mai aveva avuto desiderio di scoprire.
Si limitava infatti ad apprendere grazie ai libri: leggeva di tutto – dagli scrittori più famosi e apprezzati a quelli attivi da pochi anni, come un certo Sasuke Uchiha per esempio.

Un sacco di tela quindi era il suo bagaglio per iniziare a camminare fuori dalle alte mura di Casa.
Presso il portone d'entrata vide, ammucchiati in un angolo, i borsoni rigidi e rettangolari della cameriera, una massa confusa e spaventata che andava dal porta cappelli ad alcuni utensili di cucina.
Accennò ad un sorriso: a quanto pareva tutti erano ansiosi da tempo di andarsene, la morte doveva essere proprio terribile.

Inaspettatamente, sotto gli occhi stupefatti della donna, Sai oltrepassò la soglia della porta con in mano solo il suo sacco, per poi attraversare il piccolo cortile e aprire il cancello che collegava una fila di alte mura dai mattoni rossicci, in grado di abbracciare quel piccolo angolo di mondo pacifico che era il giardino.
Appoggiò la mano sulle inferriate di metallo e, con un cigolio particolarmente musicale, lo aprì, ritrovandosi travolto dal caos delle carrozze che graffiavano le strade acciottolate di Parigi.

La cameriera lo osservò guardarsi attorno un attimo per poi, senza voltarsi indietro, girare a sinistra e scomparire, quasi fosse stato inghiottito da quelle murature che per anni lo avevano protetto.
“Ce la farà?” si chiese mossa da angoscia.
Il dottore si mise una mano sopra il panciotto bianco e rispose:
“Non lo so. Ha già vent'anni eppure non ha mai visto il mondo esterno. Sa solo disegnare e null'altro, quante possibilità ci sono che sopravviva?”
“Praticamente nessuna. Anche perché nessuno lo capirebbe.” rispose alzando gli occhi al cielo sconfortata.
L'uomo, dai disordinati capelli brizzolati, sospirò commentando:
“Eh già... è un ragazzo strano – dopo un attimo di silenzio tirò fuori un orologio da taschino aggiungendo – Madame Seieur dovrebbe affrettarsi a prendere le sue cose, chiameremo una carrozza che la porti in stazione. Deve far presto o rischia di perdere il treno... mi occuperò io di sbrigare le pratiche.”
“Già. Ha ragione. La ringrazio Monsieur... la sua assistenza è stata davvero provvidenziale per il povero....”

Tante parole, gesti di commiato, di commiserazione, di condoglianze. La realtà era che tutti e due non vedevano l'ora di andarsene e tornare a vivere... curioso che avessero aspettato la morte di qualcuno per farlo.

*°*°*°*

Sai camminò a passo spedito per le strade, ignorando i pedoni che volteggiavano caotici attorno a lui e il borbottare dei cavalli o il loro armonico trottare sulle pietre: non sapeva minimamente dove dirigersi eppure non provava paura, né ansia, né felicità.
Tutto gli si rovesciava addosso come acqua, senza che però nemmeno riuscisse ad esserne bagnato; lui infatti era impassibile, l'elemento immobile attorno a cui il mondo ruotava cercando un'incrinatura che potesse trascinarlo a girare con sé.

Ad un certo punto avvertì un fastidio alla gola e le labbra iniziarono ad essere secche.
“Ho sete.” concluse.
Il Vecchio glielo aveva detto: a volte capitava che si sentisse il bisogno di bere.
Privo di indecisione entrò in un grande locale dalle vetrine inondate di luce dove la gente sostava, usciva, si riversava all'interno con l'aria felice. In quel momento egli era come sperduto, ondeggiante in un mare di mondana allegria e circondato dallo sferzante scintillare dei lampadari di cristallo, del freddo bancone in marmo e degli ornamenti pretenziosi appigliati ai bustini di pizzo delle signore.

Si avvicinò al bancone senza notare il fervente movimento attorno a lui, accompagnato dal tintinnare del pianoforte e dal chiacchiericcio allegro, condito con un retrogusto di deliziosa introspezione borghese, della sala affollata.
Schivando la gamba tozza di un uomo a fatica seduto presso uno dei numerosi tavolini giunse di fronte ad una ragazza che era rimasta un istante incantata, lo sguardo perso altrove come se tutto il mondo attorno a lei non esistesse e fosse nient'altro che una semplice carta da parati da poter cambiare quando si volesse. Rimase ad osservarla, silenzioso, a pochi centimetri di distanza dal bancone che rappresentava il loro insignificante ma invalicabile ostacolo.

Sai notò che i capelli di uno strano color rosa erano raccolti, eppure una ciocca si era seriamente impegnata per scappare da una compostezza evidentemente ritenuta quantomai inadeguata, almeno a giudicare dalla sua fuga. Gli occhi, di un verde brillante, non erano rivolti verso un punto preciso, sembravano infatti intenzionati a prendersi una pausa dal loro esimio lavoro.
Quella ragazza aveva l'aria triste e stanca, nonostante il portamento fiero e le braccia rigidamente appoggiate al marmo striato colmo di bicchieri, bottiglie e fruttiere dall'aria colorata.

Alla fine il giovane si limitò a chiedere, muovendo un passo e sorridendo: “Vorrei dell'acqua.”
La giovane si riscosse un istante per poi domandare: “Come scusi?”
“Liscia.” rispose, ricordandosi delle lezioni sugli alcolici impartite dal suo mecenate.
“Credo di non capirla.” fu la laconica e perplessa conclusione.
“Nemmeno io. Non mi sono mai soffermato a parlarci assieme a dire il vero ma vorrei provarla lo stesso.” ribadì Sai non smettendo di sorridere.
“Di cosa sta parlando?”
“Non ne ho la più pallida idea... non credevo che l'acqua sapesse parlare. Lei è strana, forse addirittura visionaria.” replicò con diretta onestà, appoggiando il mento sulla mano mentre teneva il gomito puntellato sul bancone.
La cameriera fece una leggera smorfia per poi tendersi avanti col busto e fissare lo sconosciuto, indagando con voce decisa:
“Scusi, lei chi è per permettersi simili affermazioni?”
“Sai. Pittore.” rispose ostentando un'indifferente tranquillità.
“Molto bene monsieur Sai Pittore – lo riprese ironica – credo che qualcuno debba insegnarle un minimo di cortesia e di tatto.”

Sai la fissò un istante per poi limitarsi a concordare con il volto apparentemente gentile:
“Molto bene. Ora mi darebbe dell'acqua?”
La rosa incrociò le braccia, sbuffò incredula ma finalmente prese un calice di cristallo da una lunga serie di altrettanti calici ordinatamente disposti; dopo averlo riempito lo porse sotto un centrino a Sai.
Lo osservò prendere il contenitore, infine improvvisamente gli chiese:
“Non vuole sapere il mio nome?”
Sai smise di bere; appoggiò delicatamente il fragile bicchiere e con una cortesia quasi leziosa rispose:
“No, a dire il vero. Lei però sembra tanto ansiosa di presentarsi, dunque credo sia appropriato starla a sentire.” ancora quel sorriso che sapeva di falso, proprio come tutti quegli artificiosi ornamenti che rendevano il locale una massa confusa di volti e luci.
La ragazza aprì leggermente la bocca e rispose seccata, più per una questione di principio che perché ci tenesse veramente: “Sakura Haruno. Non si preoccupi, faccio volentieri a meno di lei.”
“Oh, anch'io. Ma è normale, no?”

Inaspettatamente la ragazza, nonostante si sentisse irritata da quel tizio spuntato dal nulla che parlava commentando a sproposito, scoppiò a ridere; una risata cristallina con un'ombra di isteria.
Sai non capì una delle tante reazioni umane impossibili da prevedere.

Reclinando il capo domandò pacato:
“La fa ridere questo?”
Sakura appoggiò i gomiti sul bancone, tenendo le braccia incrociate, infine rispose dopo aver lanciato un'occhiata pensosa al soffitto decorato dai lampadari:
“A dire il vero sì. E' raro che la gente parli così direttamente e in modo tanto spontaneo... anche se ammetto che per certi versi è davvero irritante.”
“Lei ama contraddirsi?” si informò il ragazzo.
La rosa non rispose subito: gli lanciò un'occhiata poco amichevole ma infine si limitò a sospirare, seppur non rinunciando ad una smorfia di disappunto; per interminabili secondi i due astanti si fissarono, attorniati dalle musiche del locale e dei vetri scintillanti.
Finché Sakura non chiese sforzando di mostrarsi allegra:
“Tornerà ancora, monsieur Sai?”

Strano, aveva quasi l'impressione che quella creatura particolare, dal sorriso leggero come vapore, si sarebbe potuta eclissare da un momento all'altro in un mondo lontano dal suo.
“Credo di sì. Voi continuerete ad esserci?” aggiunse riferendosi alla ragazza.
“Certo – rispose Sakura con un sorriso luminoso – siamo in piedi da diversi anni ormai.”
Le Café Imaginaire era il locale che l'aveva accolta e le permetteva di continuare a restare lontana dalla sua casa natale; a dire il vero forse aveva accolto un po' tutti nel corso degli anni, come una madre amorevole che dava affetto anche a figli non suoi.
“Ora ogni cosa è più chiara: la doppia personalità può rappresentare una questione mentale grave... il Vecchio me ne aveva parlato. Mi dispiace per le sue condizioni... - rifletté un attimo e chiese senza espressività – ho detto bene?”

Sakura non parlò. Non sapeva cosa dire, si ritrovò spiazzata da quei commenti fatti in una sfera logica dalla quale si sentiva completamente tagliata fuori.
Quel ragazzo, probabilmente suo coetaneo, sembrava essere capitato non solo in quel locale – forse addirittura nella società – per caso, come se tutto ciò che implicasse l'essere umano fosse stato ignorato da tanto tempo, troppo affinché potesse essere ricordato.
La giovane però scoprì, guardando quegli occhi scuri privi di emozioni, che in fondo non le importava granché: Sai era uno spazio bianco interessante presentatosi nella sua vita costellata di rimpianti accompagnati da traguardi, un libro ancora caldo di stampa e dall'odore di inchiostro che sembrava avere in lei la prima lettrice.
Così sorrise e allungò una mano, prendendo tra le due dita una guancia pallida del ragazzo per stringere in una morsa implacabile quel morbido lembo di pelle:
“Non parli ancora così di me. Prima lezione: alle donne piace esser trattate bene e con rispetto.”
Sai rimase immobile, si lasciò torturare limitandosi a commentare:
“Questo fa male. Deduco che alle donne piaccia fare del male.”
Sakura lasciò la presa, rispondendo con un sorrisetto: “Solo quando serve.”
Involontariamente il pittore si portò una mano al punto preso d'attacco, decorato da una splendida chiazza rossa, e restò silenzioso a pensare.

Solo quando serve.

Anche la sua presenza era così? Un sintomo di violenza, un eccesso d'ira, oppure uno strano scherzo del destino.
Non c'era più il suo Vecchio a parlargli, a modo suo, del mondo.
Ma quella strana ragazza dalla doppia personalità, che discorreva con l'acqua e amava far male agli altri all'occorrenza, sembrava poter essere quel mondo che dalla sua finestra in soffitta aveva dipinto.

Infine, dopo qualche istante, insieme ad altri clienti entrò nel salone un ragazzo dai lunghi capelli biondi che camminò con passo deciso verso il bancone, senza preoccuparsi di aver lasciato sul vetro dell'ampia porta d'ingresso impronte e residui d'argilla; lui, pensava sprezzante, poteva permetterselo.
Sai non degnò di un'occhiata il nuovo arrivato intento a sedersi vicino a lui, su uno dei tanti innovativi sgabelli in legno simili a trampoli, appoggiando i gomiti sul bancone e scrutando con fare professionale la fila di bottiglie contenenti liquori ordinatamente disposti alle spalle di Sakura.
Quest'ultima guardò con un certo interesse le mani affusolate del ragazzo, i frammenti d'argilla che proprio non volevano saperne di togliersi dalle unghie tagliate corte, e infine dette un'occhiata a Sai, il quale sorseggiava beato l'ultimo goccio d'acqua.

“Un caffè.” chiese infine il tizio biondo, lasciando che il labbro si curvasse appena così da accennare ad una smorfia imbronciata.
Sakura annuì per poi chiedere: “Non gradisce sedersi?”
Di solito i clienti che facevano quel tipo d'ordinazione amavano stare presso gli eleganti tavolini a degustare il prezioso liquido nero, vanto di una borghesia attaccata ai piccoli privilegi quotidiani. L'artista, o comunque presunto tale, scosse la testa e rispose brevemente:
“Si siede ai tavoli chi ha tempo da perdere.”
La cameriera accennò ad un sorriso: quel giorno aveva rimediato due strani incontri – cosa che forse non le sarebbe più capitata per un bel po' di tempo – doveva quindi approfittarne per trovare un po' di sano svago; motivo per il quale già lanciava di tanto in tanto qualche occhiata curiosa ai due, sperando che uno di essi parlasse ancora.

Improvvisamente però il nuovo cliente prese un fazzoletto da una delle maniche strette che gli arrivavano ai polsi e con meticolosità se lo passò sulle mani, in modo da cercare di pulirle per quanto umanamente possibile. Sai, incuriosito, voltò la testa fissandolo senza farsi troppi problemi e, con altrettanta noncuranza, pochi istanti dopo osservò:
“Non ti piace, eppure stai comunque perdendo tempo.”
L'altro si bloccò, voltandosi con lentezza lanciò un'occhiata irritata al ragazzo per poi ribattere:
“Davvero? Perché allora non cominci a darmi il buon esempio facendoti gli affari tuoi?”
Sakura si sigillò le labbra per non scoppiare a ridere. In ogni caso, fingendosi seria, continuava molto professionalmente il suo lavoro.
Sai invece reclinò perplesso la testa, poi aggiunse: “Mi chiamo Sai.”

Il vicino di posto non sapeva se prendere il tutto sul ridere o se ringhiare qualche parola di cortese invito a tacere rivolta a quel tipo dal pallore cadaverico e i capelli scuri stranamente piatti; incrociando le dita invece replicò con la sua solita pungente ironia:
“Questo non vuol dire esattamente farsi gli affari propri.”
“Oh sì invece, il mio nome è qualcosa che mi riguarda strettamente – sorrise facendoglielo notare – e tu per educazione dovresti dirmi il tuo... si usa così, non è vero?”
Fingendo di prendere una brocca inesistente Sakura si abbassò giusto per non mostrare al pubblico di star ridendo senza riuscire a smettere, le altre attendenti – che non avevano seguito il discorso dal principio – la guardarono preoccupate per la sua sanità mentale ma si limitarono pazienti ad ignorarla.

Il ragazzo dai capelli lunghi si massaggiò gli occhi con pollice e indice, corrugando la bocca in una smorfia perché si trovava nell'irritante incertezza tra esplodere in un accesso di collera oppure alzare le spalle e ignorare quel ragazzo insistente oltre che fastidioso.
Eppure, con sua stessa sorpresa, si ritrovò a rispondere incurvato appena nelle spalle:
“Deidara.”
Sai rimase per qualche istante silenzioso a guardarlo, infine disse tranquillo:
“Crei animali d'argilla, il mio Vecchio ne aveva diversi esemplari in casa. Curioso, conoscevo le tue opere prima di conoscere te.”
Entrambi, silenziosi, si fissarono negli occhi. Il resto attorno a loro si era fatto inspiegabilmente muto, forse addirittura ogni cosa aveva cessato di muoversi per dare il tempo a quelle due persone – così complementari nelle loro stranezze – di poter entrare in sintonia.
“Sì – annuì l'artista – la mia arte è più famosa di me, anche se questo non vuol dire necessariamente che sia capita. Anzi, spesso sono circondato da una massa di ignoranti adulatori: per quanto mi piaccia essere apprezzato trovo tutto ciò incredibilmente insopportabile.”

Sakura sospirò e versò al proprio cliente il caffè in una tazzina di ceramica bianca, ancora incredula che quella strana persona non volesse sorseggiare una simile bevanda in un modo più consono; a ben guardarlo però, viste le considerazioni non proprio amichevoli che faceva degli altri, effettivamente non sembrava il tipo.
Sai chiese con apparente fare premuroso, quando invece era palesemente disinteressato:
“Ti piace mostrarti arrogante?”
“Io a differenza di molti me lo posso permettere – si concesse un accenno di sorriso provocatorio, infine notò la cartellina con gli abbozzi appartenenti all'interlocutore – e tu cosa fai nella vita?”
Sorseggiò il caffè fissando Sai. Quest'ultimo rispose guardandolo a sua volta:
“Dipingo. Potrei dipingere anche te, se solo volessi.”
Deidara lo scrutò infine chiese, ignorando il ciuffo di capelli che gli copriva un occhio:
“Perché dovresti volerlo?”
“Perché sei molto più interessante di questa massa di corpi noiosi che popola il café, tutto qui.”
Sorrise. Nel café da lui citato comunque calò il silenzio e tutti, dall'uomo malamente seduto in rigido doppiopetto alla signora composta vicino alla vetrata, smisero di chiacchierare così da fissare stupiti Sai; persino il pianista cessò di muovere le dita sui tasti bianco perlati, concedendo alla sala intera la possibilità di esprimere al meglio il suo musicale muto silenzio.

Deidara nemmeno si voltò a contemplare lo spettacolo di quei volti irritati ma al tempo stesso stupefatti, volti di gente che stentava a credere di essere realmente l'oggetto di quell'accusa fatta a voce troppo alta; con un sorriso però il maestro dell'argilla si accorse di riuscire a intravedere comunque un piacevole stupore generale attraverso il riflesso dello specchio collocato davanti a lui.
Sakura invece sospirò, stringendo i pugni, infine appoggiò le mani sulle teste di entrambi i ragazzi che fece avvicinare, in modo da tendersi in avanti col busto sussurrando:
“Vorreste cortesemente mettere a tacere quelle lingue lunghe?”

Sai si fece perplesso quando notò il sorriso della ragazza che stonava con la palese minaccia insita nelle parole, così commentò:
“Prima rideva, anche adesso lo sta facendo. È davvero falso il suo sorriso?”

Come il mio.

 La cameriera rimase un istante interdetta siccome non sapeva sinceramente in che maniera rispondere, persino le bugie sembravano superflue. Non era conoscenza del fatto che Sai sorridesse semplicemente perché non capiva cosa comportasse farlo, pensava infatti che muovendo le labbra e mostrando i denti ogni cosa risultasse più facile da digerire, anche quando era così amara da far vomitare; lei invece sorrideva solo in quanto amava mostrarsi disponibile, sebbene le fosse facile perdere il controllo appena qualcosa non le andava a genio.

Fece per aprire bocca e formulare qualche parola razionale ma prima che potesse farlo Tsunade, la direttrice del locale, sovrastò i due clienti infilando quasi la testa tra i due così da sibilare velenosa:
“Non voglio guai nel mio café e tantomeno gente che i guai li crea.”
Entrambi i ragazzi presi in causa si voltarono verso di lei ma prontamente alzarono gli occhi al soffitto, facendo finta di nulla. Nel frattempo poco a poco le chiacchiere ripresero normalmente, simili ad un treno a vapore che impiegava parecchio prima di prendere velocità e decidersi a proseguire per la sua strada; il salone tornò quindi ad essere quel delizioso ambiente ricco di interessanti argomentazioni culturali e frivolezze mondane.
“Che donna noiosa e poco artistica...” sbuffò Deidara.
Tsunade assottigliò gli occhi, corrucciando le labbra di un seducente rosso carminio, infine si eresse in tutto il suo seno reso ancora più prorompente dal bustino soffocante e commentò:
“Vediamo se saranno così poco artistici anche i pugni che posso rifilarti.”

La combattiva donna non aveva mai avuto grande fortuna con i soldi a dire il vero, la gestione del locale forse era stato l'unico folgorante successo della sua carriera imprenditoriale; con Deidara infatti aveva un contenzioso che a nessuno dei due sarebbe riuscito di sanare: lei tempo fa era stata folgorata dalla malaugurata idea di finanziare un'esposizione delle opere appartenenti all'artista, pagandogli almeno metà dei costi, peccato però che il suddetto artista – in un momento di follia non previsto – avesse distrutto la maggior parte delle creazioni, mandando in fumo ogni speranza di vedere un minimo di ricavo dalla loro vendita.
Tsunade aveva perso talmente tanti contanti in quella faccenda da aver seriamente pensato di strozzare Deidara con le sue mani, soprattutto perché l'egocentrico ragazzo prendeva ogni cosa troppo alla leggera, quasi come se lui potesse realmente permettersi di fare ciò che volesse.

Deidara ostentò uno sguardo indifferente e gesticolò con una mano, invitando ironicamente la donna a parlare ancora... tanto, per quello che gli interessava, sarebbe stato solo fiato sprecato. Infine si voltò verso di lei e annunciò, grattandosi distrattamente il collo così da alzare con un certo fare importante il mento:
“Ho dato alla tua attendente la somma che ti dovevo. Ora sei soddisfatta?”
Volontariamente la domanda risultò neanche troppo velatamente condita di un tono provocante e sfumature sensuali.
Tsunade sgranò gli occhi, aprendo di qualche millimetro la bocca come per cercare di catturare le parole, infine chiese un po' sospettosa: “Stai dicendo sul serio? Guarda che non sono così babbiona da credere che tu...”
Si arrestò, decisa a fronteggiare con ostinato orgoglio lo sguardo di Deidara. Sakura da dietro il bancone, intenta a continuare ad asciugare più e più volte lo stesso bicchiere, assisteva alla scena molto presa mentre Sai fissava inespressivo la fruttiera poco distante da sé.

“Chiedilo a Shizune, sempre che ti fidi di lei.”
“Ho più fiducia in lei che in me stessa.” rispose la proprietaria, memore dei saggi consigli dell'assistente che – purtroppo – non aveva mai ascoltato, ostinandosi quindi a sbagliare ancora... almeno fino a che non si fosse ridotta completamente sul lastrico.
A quel punto sospirò e appoggiò un gomito sul bancone, chiedendo con fare spossato:
“Sakura dammi qualcosa di forte, credo di averne proprio bisogno.”
Socchiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie, mentre la ragazza dai capelli rosa annuì sorridente:
“Faccio in un attimo.”

Deidara si alzò in piedi e lasciò sul bancone una delle sue opere d'argilla, talmente piccola da essere stata comodamente in una delle tasche dell'ampio giaccone dotato di alto bavero. Si trattava di uno strano animale, forse un insetto, dalle molteplici zampe ritorte e gli occhi spalancati come se fosse perennemente alla ricerca di qualcosa difficile da intravedere.
Tsunade capì al volo che l'eccentrico artista aveva intenzione di pagare il costoso caffè con una delle proprie creazioni; non fece obiezioni più per una semplice questione di rispetto nei suoi confronti – sì, ne aveva ancora conservato parecchio – che perché le convenisse realmente.
Chissà, forse Shizune avrebbe scosso il capo rassegnata, ma per una volta sentiva di aver fatto la cosa giusta a lasciare andare il suo debitore come se nulla fosse; oltretutto Deidara aveva appena garantito di averle ripagato la somma che le doveva, unico caso in cui non fosse lei a dover restituire qualcosa agli altri, quindi poteva anche lasciare correre.

Prima di andarsene l'artista improvvisamente chiese, rivolgendosi a Sai:
“Hai una casa nella quale stare? Sinceramente sembri uno piombato nel mondo per puro caso.”
Sai scosse la testa: “Fino a questa mattina ne avevo una, ora però verrà demolita.”
“Allora vieni da me. C'è spazio e magari potrai tornarmi utile.” rispose il biondo preparandosi già ad uscire, come se la questione fosse risolta.
Sai si alzò, affiancandoglisi, e osservò:
“Quindi non lo fai per altruismo ma perché ti conviene, giusto?”
Deidara lo osservò un istante, divertito da quell'indisponente senso di osservazione, e alzando le spalle confermò: “Sì, diciamo che è così. Dunque non farti strane idee su amorevole generosità e storie simili, d'accordo? Ah – aggiunse altezzoso – io ho i miei spazi e le mie esigenze, dovrai abituartici. Se non ti sta bene puoi anche...”
“Mi sta bene.” lo anticipò Sai, uscendo in strada dopo aver rivolto un cenno di saluto a Sakura.
“Perfetto – commentò soddisfatto Deidara – allora preparati a lavorare per dividere a metà con me l'affitto; eccetto questo sei libero di fare quello che vuoi.”
“Perfetto.” ripeté.

Deidara non disse nulla, né tantomeno rivelò a quel ragazzo sconosciuto di aver avuto uno strano presentimento in quei giorni: sentiva che la sua esistenza era destinata ad essere più breve di quanto avrebbe voluto, lo percepiva a pelle. Eppure gli andava bene così: marcire nella vecchiaia non era la morte che si adattava a lui e i suoi ideali .
Chiudere i conti in sospeso, secondo l'indole puntigliosa e allo stesso tempo sbrigativa che possedeva, rappresentava il suo personale pretesto per non dover gravare su nessuno fino alla fine. Incontrare quello strano personaggio in un café però era stato un richiamo inaspettato, al quale capiva di dover rispondere.
Sì, se ne sentiva attratto: non a causa del carattere, forse nemmeno dipendeva dall'aspetto fisico, bensì perché era fastidiosamente simile a lui, sia in quell'inevitabile bisogno di far notare le cose, sia nell'abilità di limare i discorsi con le proprie parole di cartavetro.

Sai invece vedeva in Deidara una luce, un qualcosa di vicino a quel fato tante volte citato nei libri letti. Era stato talmente semplice, talmente immediato trovare la Casa dopo averla persa da sembrargli di non essere mai andato via veramente dal proprio giardino, il piccolo mondo protetto grazie a mura invalicabili.
Deidara era Arte: le sue stesse mani erano fatte d'arte, i capelli sapevano di creazione così come gli occhi brillanti, simili al velo lucente che si stendeva sulle pitture ad olio. Per questo non aveva potuto fare a meno di dirigersi verso di lui, sentendosi il cardine di una porta in grado di ruotare su se stesso solo per dare la possibilità a quell'artista trionfante di entrare.



Sproloqui di una zucca

Lo so, lo so. Il primo capitolo è un papiro chilometrico che farà sanguinare i vostri occhi alla stregua di Itachi quando usa lo sharingan, senza nemmeno esserne dotati *O*
Ok, la pianto con le stupidate e vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a qui!
Adesso esulto per il risultato ottenuto, mi ricompongo e, sì, ringrazio il magnifico film "Oltre il Giardino" perché è splendido, un vero capolavoro che consiglio a tutti di vedere.
Ammetto infine che era la prima volta che mi dilettavo nel trattare Sai come personaggio principale e non sempre è stato facile seguire la linea caratteriale ^^
Concludo i consigli per gli acquisti invitando tutti coloro che si avventurano a leggere questa fiction a seguire anche le altre storie partecipanti *____*
Al prossimo capitolo, il penultimo.

Grazie speciale a Princess21ssj, giudice e Gran Sacerdotessa: il tuo giudizio mi ha lasciato così *O* Non so come altro descrivere la cosa ^^

Vi lascio con il bando del concorso su EFP qui
Qui c'è il collegamento con il bando inserito sul Forum Il Tempio di Sai.
 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Happy_Pumpkin