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Autore: ImARavenclaw    17/11/2016    6 recensioni
- Andiamo, John. Ho sempre voluto lasciare questa città, lo sai – Provò a far ragionare il compagno, poggiandogli una mano sulla spalla. – E questo è solo un input per trovare il coraggio di andar via e vivere la vita che sogno. –Provò a spiegare con il tono più pacato che riuscì a trovare.
- Il patto era che ce ne andassimo insieme, Stu. Ricordi? – John cercò di reprimere ogni traccia di tristezza dalla sua voce, ma evidentemente il risultato fu pessimo, poiché Stuart nascose il viso tra le mani. – Ma chi sono io per capire, infondo – Pronunciò lentamente.
- Ti prego, John non farmi partire sapendo di lasciarti così. – si ritrovò quasi a supplicarlo.
John osservò ancora una volta il paesaggio che lo circondava, ed una sensazione di gelo si insinuò sotto la sua t-shirt bianca, facendolo rabbrividire.
La partenza di Stuart avrebbe significato tante cose per il ragazzo: non era semplicemente un amico che andava alla ricerca del suo legame.
Era il suo migliore amico, anzi, il suo unico vero amico che andava via e lo lasciava senza il suo punto di riferimento, l’unico al cui fianco, quel letamaio di città in cui vivevano sembrava quasi piacevole.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Have you ever wished to live on the Moon?
 
 

La Marlboro pendeva dalle labbra screpolate del giovane intento a camminare a grandi passi verso la fermata del bus che lo avrebbe portato al negozio di marmitte dove lavorava da qualche anno.  
Lavorava in quel posto scuro e decisamente sporco poiché questo era il tipo di lavoro a cui un broken poteva aspirare, non che John si fosse impegnato almeno a scuola per dimostrare di poter fare altro.
Molti dei tanti divieti a causa di pregiudizi imposti ai broken facevano ribollire di rabbia John, ma il suo lavoro da meccanico, se poi doveva essere sincero, non gli dispiaceva affatto. In fin dei conti sporcandosi le mani nel grasso delle auto egli dimenticava, almeno per un attimo, che sotto quello sporco ci fosse una qualche ferita sanguinante; motivo della sua diversità, della sua vergogna.
 
 
Il sole era sorto da meno di un'ora e John sollevò il volto per accogliere i raggi pigri sul suo viso ancora insonnolito. Aspirò una boccata di fumo e cercò di rilassarsi contro il palo della pensilina, restando assorto in quella posizione per una manciata di minuti con gli occhi chiusi.
Il sole filtrava attraverso le palpebre producendo macchie dai colori sgargianti e dalle forme psichedeliche e John sorrise distrattamente alla vista di quelle figure, la mano sinistra abbandonata lungo il fianco stringeva ancora la sigaretta che bruciava pigramente.
 
- Tienimi stretta la mano, Rosie, stai attenta a quello lì – sussurrò, sicura di farsi sentire una donna.
John spalancò gli occhi e ci mise un po’ per mettere a fuoco quella figura. Alta, i capelli stretti in un’elaborata pettinatura, un’espressione disgustata dipinta in volto, la mano stretta in quella di una bambina (a John ricordava proprio tanto un maiale con i boccoli), la quale fissava la mano sinistra di John storcendo il naso.
 
Lo sguardo di John cadde sulla propria mancina la quale era macchiata da un rivolo di sangue che fuoriusciva dal proprio anello di metallo.
 
- Cosa hai da guardare, delinquente? – ringhiò la donna; le parole le uscirono con la stessa violenza di uno schiocco di frusta.
 

Il ragazzo abbassò la visiera del berretto in pelle sul viso, compiendo uno sforzo quasi fisico per non reagire.
E’ una donna, non puoi inveire contro, è una donna, John calmati” si ripeteva come una nenia, osservando il palazzo dai mattoni rossi di fronte a sé.
 Un broken doveva aspettarsi questo tipo di commenti, dopotutto, in quella tanto piccola quanto bigotta cittadina essi erano all'ordine del giorno. Eppure John Lennon bruciava di rabbia ogni volta. 
Cosa spingeva una persona a credersi migliore di lui, migliore di quelli come lui?
John lanciò uno sguardo furtivo verso gli altri presenti sotto quella dannata pensilina. Nessuno sembrava essersi accorto di niente, e se pure lo avevano notato, se ne stavano sulle loro, attenti a non far trapelare nulla.
Una crescente sensazione di disgusto gli ribollì nello stomaco e, con uno strattone, si sollevò dalla pensilina, pronto ad andarsene.


- Giovanotto - ruppe il silenzio una voce, ma John, assorto nei suoi pensieri, non la sentì.
La donna lo scosse e John ritirò immediatamente la mano, da quella della sconosciuta, guardandola con aria interrogativa.
 
La donna che lo aveva chiamato era molto anziana, i capelli color argento erano chiusi in un'elegante chiocciola sulla nuca, il viso era sereno e l'espressione molto materna. Era piccola di statura, tanto che il cappotto arrivava quasi a sfiorarle i piedi. Le mani erano ricoperte dai guanti di pelle nera, su una di queste risaltava un candido fazzoletto.
 
- Ho notato che... - indicò l'anulare di John, porgendogli il fazzoletto di stoffa. - Sono affari miei - Rispose scorbuticamente John, guardando di sottecchi la donna che, alla sua sinistra, stringeva ossessivamente la figlia a sé come se John fosse un topo radioattivo a tre teste.

La donna gli sorrise leggermente, e senza togliere gli occhi chiari da quelli color miele di John, sfilò il guanto sinistro e successivamente un anello in oro, rivelando una ferita arrossata e rimarginata male.
 
Un broken.
 
L'espressione di John restò severa, ma non si ritrasse quando l'anziana tamponò la mano con il fazzoletto di stoffa bianca.
 
- Sarà sicuramente rovinato adesso. – mormorò, scosso da un gesto così materno ricevuto da una sconosciuta.
- E a chi importa? Non è meglio che tu sia pulito? Un così bel ragazzo come te non dovrebbe trascurarsi - la donna sorrise ancora, accarezzandogli la guancia, poi ripiegò il fazzoletto e lo porse a John.
- Non posso, è suo.
- Insisto. Dicono tante cose cattive di noi, diamo la prova di essere anche altro - porse ancora il fazzoletto e John lo accettò interdetto, non sapendo come comportarsi di fronte a quella donna, la ringraziò educatamente, proprio come Mimi gli aveva insegnato da bambino.
- Ora, chiederei troppo se ti pregassi di aiutarmi con queste borse? I gradini di questo bus sono tremendamente alti per una donna della mia età - Sorrise ancora, indicando con un piccolo gesto della mano, due piccole borse colorate poggiate a terra. 
John tornò con entrambi i piedi all'interno della pensilina e sorrise in maniera complice. - Sono davvero molto lieto di aiutarla. 
 
 
 
 
 
 
 
Il cofano si chiuse provocando un rimbombo assordante, all'interno dell'officina vuota, e John si asciugò le mani soddisfatto del proprio lavoro.
Era bravo ad aggiustare macchine, gli piaceva sporcarsi le mani e cercare di capire cosa non andasse in qualche oggetto. Era affascinato dal fatto che in una qualsiasi macchina, ogni bullone, rotella, perfino un sottilissimo filo di rame, fosse indispensabile per il perfetto funzionamento dell'oggetto finale; nulla era in eccesso oppure meno importante. 
Quando si sentiva triste, John cercava di vedere le cose come se tutto il mondo fosse una grande, enorme, complessa macchina e, in questo modo, non si sentiva mai solo; aspettava di capire quale fosse la sua funzione, aspettava qualcuno che non si fermasse solo al suo involucro esterno e che si sforzasse un po’ di più per comprendere i suoi meccanismi.
 
Rivolgendo un mezzo sorriso alla Aston Martin girò sui talloni fino ad arrivare all’entrata dell’officina, pronto ad aspettare il tipo canuto e grassoccio che possedeva quel gioiellino su quattro ruote.
Il cielo plumbeo non presagiva nulla di buono e i passanti guardavano in maniera frettolosa il cielo, per poi successivamente sbuffare. 
A John non importava nulla della stramaledetta imminente pioggia; era troppo di buon umore sia per il lavoro concluso, che per l'incontro di quella mattina.
Quella vecchietta con poche battute ed una incredibile gentilezza, era riuscita a calmare un John sull'orlo di una crisi di nervi. Aveva capito quello che John provava ed era riuscita a vincere con la propria dolcezza, l'acidità di quella donna.



Il signor Carlton, la cui auto era stata appena riparata, entrò a passo pesante nell'officina per riprendere la propria vettura e dopo aver constatato la qualità del lavoro del giovane, lo ringraziò con un ampio sorriso ed una croccante banconota da venti sterline di mancia.

- Te la sei meritata, giovanotto, hai fatto un ottimo lavoro. Senti qua che suono! - esclamò estasiata mettendo in marcia la sua macchina.
John era davvero contento dei complimenti ma si mostrò come sempre molto modesto - Lavoro, signore - rispose infatti, con un piccolo cenno del capo per salutare l'uomo panciuto che si allontanava contento.
 


Il ragazzo si passò le mani tra i capelli sporchi di fuliggine e sorrise. La sensazione di veder ripagato il proprio lavoro era così appagante, che si lasciò dondolare a braccia aperte verso il frigo, canticchiando un motivetto buffo a labbra strette.
 
- Alleni l’ugola d’oro, Lennon? – rise il ragazzo tanto biondo quanto smilzo. – Dovresti provare a far carriera.
 
- Pete! - John gli corse incontro con passo baldanzoso - Guarda quel figlio di puttana quanta mancia mi ha dato! Sono venti! - Sollevò le banconote per mostrarle al compagno che sgranò gli occhi incredulo.
- Brutto figlio di puttana, venti fottute sterline per un problema al radiatore?
- Non sa nemmeno cosa sia un radiatore quel tizio - commentò soffiandosi il viso con le banconote a mo' di ventaglio. - Stasera offro io. Tutti al Jacaranda, dillo ai ragazzi.
- Oh questa è musica per le mie orecchie! - Pete stava già pregustando la serata.
 
 



 
 
Il Jacaranda era molto simile ad un girone Dantesco.
Un enorme ammasso di persone sudaticce e ubriache stipate in un locale a pian terreno, la musica talmente alta che sembrava scuotere gli organi e un soffitto pieno di graffiti coloratissimi.
 
John sedeva su uno sgabello, dando la schiena al bancone e sorseggiava soddisfatto la birra ghiacciata.
Osservava quel miscuglio di persone intente a ridere, a divertirsi come mai in vita loro e si sentiva paradossalmente in pace.
Amava il Jacaranda nonostante la birra scadente, i pavimenti lerci e la costante puzza di segatura ammuffita, poiché quel posto era conosciuto come il locale di tutti.
Il locale in cui chi entrava non si sentiva giudicato per via di un marchio, uno stupido accumulo di melanina, sul dito.
Era frequentato perlopiù da Broken e Bondless, ma c’era anche una bella fetta di Bonded, di quelli con un pizzico di mentalità più aperta e meno stereotipi marchiati a fuoco nel cervello.
 
John sorrise alla vista di Pete Shotton, la cui chioma paglierina si agitava al ritmo frenetico della musica. Era tremendamente scoordinato, agitava braccia e gambe come se lo avesse punto una tarantola.
Pete era uno spasso e nonostante fosse un Bondless, aveva un gran cuore. Ben nascosto sotto uno spessissimo strato di stupidaggine, certo, ma c’era e John òne aveva la prova: una notte, di parecchi anni prima, un Pete alle prime armi con l’alcool, aveva confessato tra le lacrime di non riuscire ad addormentarsi senza pensare al Broken che portava il suo nome; di essere in pena per quella persona e di volersi scusare per lei, un giorno o l’altro.
John ne fu talmente toccato che, da quel giorno, si promise di essere un amico migliore di quanto lo fosse stato fino a quel momento. Pete, con quelle lacrime all’alcool, si era guadagnato il suo rispetto e la sua fiducia.
 
Il piccolo tarlo nella testa del giovane Lennon, formulò la domanda prima che John potesse zittirla: “Pensa mai a me? Si è mai chiesto chi potesse essere il suo Legame? Chi è? Chi è?!”
 
La testa di John girò in maniera allarmante e sembrò che improvvisamente tutta l’aria presente in quel locale fosse stata risucchiata dai presenti.
Spintonandosi con altre persone, riuscì a trovare l’uscita e si precipitò fuori con la stessa urgenza con cui un uomo in apnea cerca la superficie.
 
“Chi sei? Vivi nel mio paese? Nella mia città? Di che colore sono i tuoi occhi? Hai mai voluto vivere sulla Luna?”
 
La testa di John sembrava scoppiare, pensieri incoerenti ed immagini si susseguivano senza senso nella sua mente.
Riusciva a sentire dei profumi, delle voci mormoravano velocemente qualcosa ma John non riusciva ad afferrare nemmeno una sillaba. Un dolore devastante lo angosciò fino ad urlare.
Poi svenne.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Autrice:
Sono mortificata per il ritardo a dir poco indecente, spero di poter essere più costante con i prossimi aggiornamenti.
Vi prego di farmi sapere cosa ne pensate, anche con un breve messaggio privato. Sono disponibile a qualsiasi chiarimento o critica
Alla prossima
 
   
 
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