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Autore: Adeia Di Elferas    19/11/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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“Chi diamine...?!” la voce di Giacomo, strascicata e infastidita, arrivò dal letto su cui era steso con il viso rivolto al soffitto.

Tuttavia, non appena i suoi occhi castani corsero alla porta e riconobbero la moglie, il suo tono cambiò radicalmente, facendosi squillante e carico di sollievo: “Caterina! Sei qui!”

L'uomo corse incontro alla moglie e la Contessa non ebbe la prontezza di scansarlo prima che lui potesse abbracciarla. Il calore del suo corpo e del suo respiro le fecero dimenticare per qualche istante tutta la rabbia che l'aveva accompagnata fino a lì.

Solo quando Giacomo premette le labbra sulle sue alla ricerca di un bacio atteso da giorni, Caterina si riprese. Ricambiò in un primo momento lo slancio del marito, ma appena ritornò padrona di sé lo spinse via con forza.

Il Governatore non comprese subito il motivo di quel gesto, così provò a baciarla di nuovo e così venne respinto una seconda volta. Nonostante ciò, provò di nuovo.

Caterina stava trovando più complicato del previsto rimanere salda nella sua posizione, perché ogni volta che Giacomo la baciava, diventava sempre più difficile rifiutarlo.

Però, proprio quando il marito sembrava essere riuscito ad aver ragione della moglie, nella mente della Contessa ritornarono prepotenti e violente le immagini che aveva visto nella chiesa di Santa Maria a Mordano.

Afferrando l'uomo per le braccia, Caterina riuscì ad allontanarlo da sé una volta per tutte. Un po' ansimante, Giacomo si mise a guardarla accigliato, visibilmente confuso da quella reazione.

Era in camicione e brache da camera. Probabilmente era sfuggito ai suoi impegni, come faceva spesso, per andarsene a riposare, lasciando i problemi da risolvere a Luffo Numai e al castellano.

“Vuoi degli abiti asciutti?” chiese Giacomo, accorgendosi solo in quell'istante che i vestiti della moglie erano fradici.

Caterina scosse piano la testa e domandò: “Sai cosa è successo a Mordano?”

Il Governatore fece un passo indietro, deglutendo rumorosamente, e ammise in un sussurro: “Sì.”

Subito dopo, però, egli avvertì il bisogno di sottolineare: “Quei francesi sono proprio delle bestie.”

“Hanno solo attaccato una città a loro nemica. In modo brutale, forse, eccessivo, di certo, ma non hanno fatto nulla di diverso da quello che ci si poteva aspettare da loro come nemici.” ribatté Caterina.

Giacomo non osava incrociare gli occhi verdi della moglie e così si ostinava a guardare in terra, sentendosi – a ragione – sotto accusa.

“Le bestie, in questo caso, sono i napoletani.” continuò Caterina, inflessibile: “Avevamo un accordo e non l'hanno rispettato. Non ci hanno neanche provato. Se tutte quelle persone sono morte è colpa loro. E colpa mia, che ho accettato di allearmi al Duca di Calabria a quelle condizioni.”

Giacomo aggrottò un momento la fronte e schiuse le labbra, sorpreso da quella presa di posizione, ma appena sua moglie parlò di nuovo, il Governatore sentì la voce morirgli in gola.

“Ed è anche colpa tua. Soprattutto colpa tua. Se tu non mi avessi convinta ad accettare, io non l'avrei mai fatto.” disse la donna, incombendo su di lui: “Tu che mi hai chiamata con tanta disinvoltura 'assassina', ecco, sappi che ora anche tu sei un assassino. Le tue mani sono sporche di sangue quanto lo sono le mie.”

Giacomo stava indietreggiando sempre di più, senza rendersene conto, ristabilendo a ogni passo della moglie la distanza di partenza. La sua ritirata si arrestò solo quando le sue gambe incontrarono il bordo del letto.

Quella presenza alle sue spalle gli fece riacquistare un minimo di coraggio. Si ricordò dell'ascendente che aveva saputo avere sulla moglie, di come l'avesse piegata al suo volere in un modo in cui nessun altro uomo sarebbe riuscito a fare e seppe che poteva ancora averla vinta, anche se Caterina sembrava crederlo responsabile di tutti i suoi guai. Così nascose la propria debolezza con l'aggressività.

“Mi sembra che anche tu fossi dell'idea di schierarti per Napoli!” esclamò Giacomo, azzardando un mezzo passo avanti, trovandosi in tal modo col viso a pochi centimetri da quello della Contessa, incorniciato dai capelli ancora gocciolanti di pioggia: “Ora, solo perché le cose stanno andando male, vuoi darmi la colpa, ma io non ne ho!”

“Se non fosse stato per te – attaccò subito Caterina, puntandogli contro l'indice – mi sarei lavorata Ferrandino d'Aragona a modo mio e non mi sarei piegata alle sue condizioni! Lo avrei convinto ad accettare le mie!”

Giacomo sentì un brivido sinistro corrergli lungo il collo fino al fondo della schiena: “Ti saresti concessa a lui?” chiese, oltraggiato davanti a quella possibilità.

Caterina pensò che non avrebbe mai fatto una cosa del genere. La sua famiglia l'aveva venduta già una volta, quando aveva nove anni. Non si sarebbe mai fatta da sola il medesimo torto.

Tuttavia, quando parlò, lo fece solo per ferire il marito: “Sì.”

Le narici di Giacomo si aprirono e chiusero come froge di un cavallo, mentre le sue mani si stringevano a pugno e le sue tempie pulsavano all'impazzata: “Ti saresti concessa a uno che ha detto che ti farà uccidere se non...”

Così come l'urlo gli era salito alle labbra all'improvviso, altrettanto repentinamente si spense. Non aveva ragionato e così aveva iniziato a rivelare un segreto che teneva celato da molto tempo.

Caterina sentì le gambe tremare a quelle parole. Una delle sue spie, settimane addietro, aveva accennato a un fantomatico patto tra Giacomo e un ambasciatore di Napoli che la voleva come oggetto della disputa. Secondo il delatore, suo marito avrebbe accettato di provare a convincerla a diventare un fantoccio di Napoli in cambio di favori personali, accondiscendendo anche all'ipotesi di ucciderla, nel caso in cui non fosse riuscito a piegarla al suo volere. Ovviamente, quando la spia le aveva detto una cosa del genere, Caterina non ci aveva creduto.

Ora, però, che Giacomo parlava a quel modo, la Contessa non era più certa dell'infondatezza di quell'informazione.

Dissimulando il suo dolore per quella scoperta, Caterina riprese a parlare senza fare una piega: “Se i napoletani avessero voluto uccidermi, lo avrebbero già fatto. Ti hanno fregato, Giacomo. Ti hanno fatto credere di essere interessati solo per avere una strada più facile per accedere ai miei favori.”

Il Governatore aveva la gola secca e sentiva nella gola e nelle testa il sangue pulsare con la forza di una bombarda che spara colpi contro una roccaforte.

“Che altro ti hanno promesso?” proseguì Caterina, con voce dimessa: “Immagino che se ti hanno promesso di uccidere me, ti avranno anche assicurato che avrebbero ammazzato mio figlio.”

“Io sono stato messo in mezzo...” provò a difendersi Giacomo: “Non sapevo come uscirne... Mi hanno costretto ad accettare la loro proposta... Io non volevo che ti facessero nulla, ma...”

“Se è vero che ti hanno messo alle strette, perché non me ne hai parlato subito? Avremmo trovato una soluzione.” fece la Contessa.

Giacomo provò a rispondere, ma quando tentò di parlare, non ci riuscì. La piattezza del tono della moglie lo terrorizzava più di ogni altra cosa. Quando faceva così, il marito sapeva che era il momento di avere paura. Perciò tentò di riportare il discorso su un piano diverso: se avesse dato modo a Caterina di sfogarsi alzando la voce, magari non sarebbe incorso in una vendetta per quel suo peccato mai confessato prima.

“Va bene, sono stato sciocco – iniziò a dire Giacomo – ma adesso dobbiamo trovare il modo di continuare la nostra guerra...”

“La tua guerra!” si infiammò subito Caterina, che non riusciva più a sopportare il modo subdolo con cui il marito cercava di trascinarla dalla sua parte: “Tua! Io non l'ho mai voluta! Sono sempre stata molto chiara su questo punto!”

“Sia come sia! Ormai ci siamo dentro e dobbiamo andare avanti!” contrattaccò Giacomo, facendo valere la sua altezza nel tentativo di mettere in soggezione la moglie: “Adesso devi assolutamente ricucire con il Duca di Calabria, che...”

“Non devo ricucire nulla, io!” fece la Contessa, vanificando il gesto del marito dandogli uno spintone tanto forte da farlo finire pancia all'aria sul letto: “Ho deciso di schierarmi con Milano e tu non me lo potrai impedire! Avrei dovuto farlo fin dall'inizio!”

Giacomo si rimise in piedi nell'arco di un secondo e tornò a fronteggiare la donna con la stessa irruenza che avrebbe potuto avere con un vero nemico: “Io sono tuo marito e tu sei mia moglie e come tale mi devi obbedienza!”

La collera rese cieca Caterina, che sbraitò: “Io sono la signora di queste terre e tu sei un mio suddito: sei tu a dovermi obbedienza!”

Senza che nessuno dei due sapesse chi aveva cominciato, entrambi iniziarono a mettersi le mani addosso, cercando di fare all'altro più male possibile. Non c'era nulla, nel modo in cui si strattonavano, si stringevano e si avvinghiavano l'uno all'altra, se non rabbia. Era come se entrambi cercassero di prevalere sull'altro all'unico scopo di affermare la propria superiorità in termini di forza e potere.

“Guarda che ormai ti ho capita – riuscì a dire Giacomo, coi denti digrignati, mentre si divincolava e tornava all'attacco – ormai so chi sei! Dici di amarmi, ma tu non distingui l'amore dal desiderio!”

Caterina sentiva con sempre maggior coscienza la lama del suo pugnale contro la gamba, a portata di mano e solo un barlume di lucidità le stava impedendo di mettere mano a quell'arma, mentre le parole erano più difficili da tenere a freno: “La verità è che io ho preteso troppo da te!” ringhiò: “Per te era già abbastanza essere un misero garzone di stalla!”

“Ecco brava! Ammettilo!” sul viso di Giacomo, contorto dallo sforzo di tenere a freno gli assalti della moglie, si era dipinto un ghigno beffardo: “Per te io sono ancora il garzone di stalla che si è infatuato della sua padrona! Per te io sono ancora solo un ragazzino senza né arte né parte, senza passato e senza futuro!”

Con un colpo secco, il Governatore riuscì a scrollarsi di dosso Caterina e con un paio di passi rapidi si mise fuori dalla sua portata: “Sposarci e avere un figlio non è servito a niente! La distanza tra noi sarà sempre incolmabile e tu lo sapevi, ma hai sempre fatto finta di non accorgertene!”

“Io ti ho dato tutto quello che potevo, Giacomo.” disse Caterina, il fiato un po' corto per lo scontro che si era placato da poco: “Se ti fanno inchini e salamelecchi è solo perché ti credono il mio amante. È me che temono, non te. Senza di me, tu non saresti mai diventato nessuno.”

“Io non volevo diventare qualcuno, lo capisci?” per quanto cercasse di non apparire in difficoltà, Giacomo non riuscì a impedire alla sua voce di tremare: “Non avevo aspirazioni di alcun tipo. A me stava bene restare dov'ero, a pulire sotto ai cavalli e vivere alla giornata! Mai poi sei arrivata tu e mi hai dato potere e ancora potere e ora che ce l'ho io non posso accettare di tornare indietro!”

Per qualche minuto l'unico suono nella stanza fu il crepitare del camino acceso, coperto solo di quando in quando dal respiro pesante della Contessa e di suo marito.

Giacomo guardava Caterina come non faceva da tempo. La trovava bellissima, ma anche terribile. I suoi capelli e i suoi abiti erano zuppi di pioggia e sul suo volto campeggiava un'espressione ferina che lasciava poco a sperare. Anche se il suo corpo statuario era valorizzato dalle vesti bianche e rosse, tanto bagnate da aderire a lei alla perfezione, l'attenzione dell'uomo era calamitata solo ed esclusivamente dai suoi occhi feroci.

“A volte penso alla mia pochezza, alla mia povertà, ai miei difetti e alla mia ignoranza.” disse piano Giacomo: “E in quei momenti mi sento certo che vivresti benissimo anche senza di me. Anzi, vivresti meglio, senza di me.”

“Non sono d'accordo.” fece subito Caterina, con un velo della sua classica ostinazione ben udibile tra le sue parole.

“Noi due non siamo mai stati d'accordo su niente.” constatò Giacomo, con tristezza: “Io ci avevo creduto tanto, ma... Che senso ha?”

A quella domanda, Caterina cominciò a sudare freddo. Cosa stava suggerendo? Voleva forse dire che era meglio per loro prendere due strade diverse? Con la mente presa da quei dubbi, la Contessa perse di vista per un po' il motivo scatenante di quel terribile litigio.

“Tu sei mio marito, io ti ho sposato e ho giurato a me stessa che ti avrei amato.” disse Caterina, per la prima volta con incertezza.

“Dai tanto peso ai tuoi giuramenti, ma in realtà tu cominci a odiarmi.” il Governatore ormai non aveva più freni: “La verità è che tu hai odiato il tuo primo marito e che adesso odi anche me perché io sono esattamente come lui.”

“Tu non sei come lui.” boccheggiò la Contessa, rimembrando con orrore i paragoni che lei stessa aveva fatto più volte.

“Non sono nato da una famiglia nobile, non ho un passato importante, né un nome altisonante. Ti sei vergognata di volere uno come me fin dal primo minuto.” Giacomo incurvò le labbra verso il basso e concluse: “E per quello che ne so pensando a come ragioni, probabilmente è lo stesso motivo per cui hai sempre odiato anche il tuo primo marito.”

Quell'insinuazione, messa lì solo per provocarla, fece scattare Caterina. Prima che riuscisse a trattenersi, la Contessa sferrò un poderoso schiaffo al marito, che rimase immobile, incredulo.

Se prima si erano azzuffati come due rissosi avventori di una locanda, adesso la questione era ben diversa. In quello schiaffo c'era una minaccia molto più profonda. Quello schiaffo stava a indicare che Caterina avrebbe fatto molto di peggio, ma che non aveva avuto il coraggio di farlo, almeno per il momento.

“Come puoi dire una cosa simile, proprio tu che oltre a mia madre sei l'unico che sa davvero perché odiavo Girolamo...” sussurrò la Tigre, con disdegno: “Come sei ingiusto...”

“Ti ho deluso.” disse a quel punto Giacomo, un'espressione scura e le labbra contratte.

“No, non mi hai delusa – negò Caterina, allargando le braccia – per esserla avrei dovuto aspettarmi qualcosa, mentre ormai da te non mi aspetto più nulla.”

Il Governatore sentì un crampo allo stomaco. Quella era la conferma a tutte le sue più grandi paure e arrivava proprio quando lo scontro lo aveva privato di quasi tutte le forze.

Nella speranza di poter risolvere tutto come aveva sempre fatto fino a quel giorno, Giacomo allungò una mano e prese quella della moglie, la stessa che lo aveva colpito in viso poco prima. Intrecciò le sue dita con quelle di lei e, con lentezza, come si fa quando si avvicina un animale selvatico, si avvicinò un po'.

Caterina avrebbe voluto fermarlo subito, ma anche le sue difese si erano indebolite per colpa della stanchezza accumulata e del peso che aveva sul cuore.

Come a chiedere il permesso, Giacomo la guardò un istante negli occhi e poi la baciò, prima con timore, poi con più convinzione e infine con un'urgenza che Caterina riconobbe all'istante.

Trascinati da un vortice invisibile, i due iniziarono un tipo di battaglia molto diverso, la stessa che si ripeteva ogni volta in cui la vita e le sue complicazioni sembravano volerli dividere. Tuttavia, quando Giacomo cominciò a cercare di sciogliere – con gran difficoltà per via della stoffa bagnata – i nodi dell'abito della moglie, Caterina si scostò improvvisamente da lui e lo tenne a distanza.

“No.” disse la donna, con un tono che non ammetteva repliche.

Giacomo fece mezzo passo indietro, con le mani della moglie ancora sulle spalle, a tenerlo lontano.

“Ho scritto ai fratelli Sanseverino. Tratteranno il nostro ingresso nella Lega. Ho rescisso ogni impegno con gli Aragona, che da oggi sono nostri nemici.” elencò Caterina, rapida e atona, come quando riassumeva i punti di un Consiglio cittadino: “Domani torneranno i veterani e parte dell'artiglieria che avevo dislocato a Imola. Con loro ci sarà tuo fratello, che sarà il nuovo Governatore di Forlì.”

“Mio fratello...?” boccheggiò Giacomo, incredulo: “Perché...?”

“Perché ho bisogno di qualcuno che sa fare il suo lavoro.” ribatté Caterina: “Forlì sarà esposta alle rappresaglie di Napoli, ho bisogno di qualcuno che sappia davvero aiutarmi.”

Giacomo deglutì un paio di volte, cercando di digerire quella notizia. Già non aveva preso bene l'idea che suo fratello fosse tornato a Imola, ma adesso, sapere che sarebbe stato il Governatore di Forlì era davvero un colpo basso.

Cercando di non pensarci troppo, Giacomo tornò alla carica. Tentò di spostare le mani della moglie dalle sue spalle e di ritornare a baciarla, ma la donna si mosse veloce ed evitò ogni nuovo contatto.

“Stanotte dormo da sola.” disse la Contessa, andando verso la porta: “Se non sai che fare fino a domattina, prega, visto che sei tanto bravo a farlo. Chiedi perdono per tutti i morti che hai sulla coscienza e invoca pietà per la tua anima.”

“Dovresti farlo anche tu.” commentò Giacomo, mentre il focolai della rabbia si riattizzava.

'Per me è troppo tardi' pensò Caterina, ma disse solo: “Se la mia serva mi cercasse, dille che sono nelle mie stanze alla rocca.” e detto ciò, uscì dal Paradiso.

 

Battista Sfrondati aveva ricevuto da poco una breve all'accampamento francese con cui gli veniva assicurato che la Sforza aveva mandato degli uomini a parlamentare coi Sanseverino affinché intercedessero per lei permettendole di entrare nella Lega con accordi vantaggiosi.

L'ambasciatore milanese si sentiva gongolare. Se fino al giorno prima aveva temuto di doversene tornare al nord, sorbendosi anche le lamentele di Ludovico, diventato finalmente Duca, dopo quella notizia era certo di poter riacquistare in fretta tutta la sua importanza.

Aveva incrociato la Contessa appena prima del tramonto e la donna lo aveva salutato con freddezza, come sempre, ma almeno non aveva fatto finta di non vederlo come faceva il più delle volte. Non si era aspettato di sentirsi ragguagliare in prima persona sui fatti di Mordano e sul cambio d'alleanza della Tigre, quindi si accontentava anche solo di quelle briciole.

Dopo essersi messa vestiti asciutti, Caterina aveva il resto della giornata coi suoi figli più piccoli.

Ottaviano le si era sottratto subito e altrettanto aveva fatto Cesare, il primo dicendo di aver ancora molto da fare coi suoi precettori, il secondo asserendo di essere intento a pregare per le anime dei mordanesi.

Sforzino sfruttò l'attenzione della madre per raccontarle i giochi che aveva fatto in quei giorni con Livio, mentre Galeazzo le dimostrò i suoi miglioramenti con la spada. Bianca e Livio si accontentarono di starle vicino e nessuno di loro osò fare domande su cosa fosse successo tra lei e Giacomo Feo, anche se tutti avevano capito che qualcosa era accaduto, soprattutto perché il Governatore Generale non era più uscito dal Paradiso dall'arrivo della Contessa.

Quando la cameriera personale di Caterina la raggiunse nella sua stanza nella rocca, però, le domande non furono più evitabili.

Anche se la serva non ardiva tanto, la Contessa avvertiva nell'aria una tensione che non sopportava più, così, senza aspettare una richiesta esplicita di spiegazioni, confessò: “Io e Giacomo abbiamo litigato, ecco perché sono qui. Non condividerò la stanza con lui fino a che non l'avrò perdonato.”

La moglie di Bernardino restò in silenzio, pettinando con metodo i capelli della sua signore che, causa l'umidità e la scarsa cura avuta in quei giorni, si erano fatti intrattabili.

Mentre scioglieva i nodi e s'industriava a lisciare la chioma della Contessa, la serva notò dei segni rossi sul collo della sua signora. Caterina si accorse, guardando nello specchio, che l'attenzione della cameriera era caduta proprio sugli unici segni visibili che lo scontro con Giacomo le aveva lasciato sulla pelle.

Istintivamente, vi passò sopra una mano e disse: “Va bene, finirai domani di pettinarmi, ora vai pure.”

La domestica ripose il pettinino e fece una mezza riverenza, poi raggiunse la porta e, augurando la buona notte alla Contessa, uscì.

Una volta sola, Caterina indossò la camicia da notte e si stese nel letto che non usava da mesi. Le sembrava così strano, essere in quella stanza senza Giacomo. Si rigirò tra le coperte, cercando di scaldarsi, ma il freddo che sentiva non aveva nulla a che fare con il clima di fine ottobre.

Vergognandosi per la propria debolezza, la Contessa, accarezzando con malinconia il cuscino accanto al suo, si rese conto che quella era una punizione più per se stessa, che non per Giacomo.

 

La moglie di Bernardino, tornando dal marito, ripensò ai segni sul collo della sua padrona. Era la prima volta, da quando serviva la Contessa, che la sua signora e il Governatore Generale non condividevano la camera. Era successo solo quando uno dei due non era a Forlì. Doveva esserci un motivo molto serio.

Quando arrivò da Bernardino Ghetti, l'uomo le chiese che avesse. La donna spiegò quello che era successo e così il marito si accigliò e rivalutò le parole che suo fratello gli aveva detto poco prima, quando si erano salutati al cambio della guardia.

“Mio fratello mi ha detto di aver visto il Governatore Generale in paese, stasera. Lo ha visto entrare al postribolo...” disse piano Bernardino.

Sua moglie si mise una mano sulle labbra e scuotendo il capo commentò: “Povera Contessa...”

 

Giacomo era seduto a uno dei tavoli del piano terra del lupanare più malfamato di Forlì. Teneva tra le mani un calice di vino amarognolo e non riusciva a decidersi. In molti sembravano averlo riconosciuto e, in rispetto alla sua carica, nessuno gli voleva mettere fretta. E poi, la notte era ancora giovane.

C'erano donne di ogni tipo ed età e Giacomo sapeva che avrebbe potuto sceglierne una qualunque.

Non aspettavano altro che un suo cenno. I suoi abiti di seta e il suo mantello bordato di pelo gridavano soldi e quindi era già di per sé un cliente ambito. Se fosse stato meno distratto dai suoi pensieri, si sarebbe accorto che in molte lo guardavano con interesse anche per altri motivi, molto meno venali.

Quando una delle più giovani, con indosso solo una leggerissima veste di telato che lasciava vedere tutto, gli si avvicinò e gli passò con malizia un braccio attorno al collo, Giacomo sentì il sangue gelarsi nelle vene.

“Non vi avevo mai visto da queste parti...” disse la donna, con voce bassa e suadente.

Il Governatore Generale non resistette più. Lasciando sul tavolo qualche moneta per il vino, si alzò di scatto, facendo barcollare la donna che si era appoggiata a lui, e corse fuori, diretto al Paradiso.

Se sua moglie si era detta disposta a tradirlo, seppur per mera ragion di Stato, lui non riusciva neppure a pensarci.

Quando si ritrovò solo nella camera che di norma condivideva con la moglie, Giacomo passò davvero la notte a piangere e pregare, ma non per la salvezza della sua anima, ma per avere il perdono della sua Caterina.

 

 
   
 
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