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Autore: Peppe_97_Rinaldi    20/11/2016    3 recensioni
L’organizzazione paramilitare del Red Ribbon… e la sua distruzione ad opera di un misero ragazzino.
Quello fu l’inizio di tutto… Quello portò alla nascita di due efferati cyborg…
"Idiota": questo è quello che C-18 pensa di Crilin, inizialmente. Eppure arriveranno a sposarsi, e ad avere anche una famiglia. Come? Perchè? E C-17... cos'è lui per la bella C-18?
Il dottor Gelo li trasformò in cyborg, privandoli della loro umanità: perchè? Su 19 androidi, gli unici due ad avere base umana: qual è la ragione di ciò? In questo stato di robot, ha ancora senso la vita?
E cos'è la vita, l'amore? Dove sono nati? Avevano una famiglia come tutti?
“Dunque quella missiva è stata inviata dal Red Ribbon, o meglio… da uno dei sopravvissuti…”
Il ki… E’ un bene saper controllare questo potere?
Ma il dottor Gelo… fece tutto ciò solo per pura vendetta? Qual era il suo scopo?
“Se lo conoscevo, dici? Ovvio. Era il mio androide numero 13!”
“Mamma… papà… Mi mancate…”
Segreti da svelare, occultate verità, riscoperta dei valori, nuovi personaggi... e soprattutto uno strano ragazzo porteranno questi giovani a scoprire il loro presente, passato e futuro... quali misteri si celano nelle loro figure?
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Dr. Gelo, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: 18/Crilin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qui. Siamo pronti ormai a leggere la conclusione di questa storia.
     La storia di tre ragazzi sfortunati e dell’amore fraterno che li legò, oppure detto in toni escatologici quella di un Fato particolarmente avverso.
     La storia della follia di un uomo e delle sue ineludibili conseguenze: un’ulteriore chiave interpretativa che merita di non essere esclusa.
E la devastazione della follia fu infatti l’ultimo ricordo legato al padre che Kim poté avere, e che ancora dopo vari anni rappresentava uno degli innumerevoli incubi che la notte lo svegliavano di soprassalto.
 
 
     Gelo era deciso ad annientarlo.
Dopo avergli raccontato l’intera verità, tangibilmente costituita da ramificazioni dell’assurdo e insopportabili spiegazioni, aveva prosciugato Kim da qualunque rimasuglio di energie rendendolo completamente inerme. Il ragazzo si reggeva ancora in piedi, ma immobile, e statici erano i suoi occhi. Fu allora che il dottor Gelo ordinò ai cyborg C – 17 e C – 18 di ucciderlo.
     << Vuoi uccidermi… >> disse Kim con un filo di voce.
Padre e figlio si scrutarono vicendevolmente: era l’ultima volta che i loro occhi si osservavano così a lungo.
<< E’ l’idea migliore che mi è venuta per risolvere la faccenda. Addio, Kimley >> . L’uomo portò il braccio in avanti, scandendo con enfasi il nome delle sue creazioni : << C – 17, C – 18… Uccidetelo, fate in modo che io non lo veda mai più >> .
Gli istanti che seguirono furono la personificazione del panico, della speranza soffocata e infine del terrore.
     Il ragazzo riuscì ad agitare gli arti in maniera confusa – forse per afferrare i suoi fratelli, forse per difendersi da loro – ma i due, prima ancora che potessero raggiungerlo, vennero scossi da fugaci tremori. Poi i tremori divennero brividi, frequenti scosse, e infine lasciarono i cyborg totalmente paralizzati.
C – 17 ghignò come se niente fosse e nel palmo della sua mano esplose una fittissima luce. << Addio, moccioso >> disse con voce strascicata e sottile, ma la luce scomparve dalla mano e i brividi ritornarono di colpo.
<< Che significa…? >> osò domandarsi Kim, ma ecco che il suo nome venne gridato da Jodie in un tono che rasentava più lo spavento che la minaccia. Quando si voltò verso di lei la vide con le mani fra i capelli e dolente per le scosse che le attanagliavano il corpo.
<< I circuiti si stanno abituando ai loro corpi >> intervenne Gelo. << Successe anche a C – 16 quando cinque anni fa uccise Edward e Hilary, anche se essendo cyborg la procedura richiederà più tempo con loro. Stanno ancora metabolizzando tutte le informazioni che io ho scritto, armonizzando i loro movimenti con il nuovo potere e i circuiti, e ovviamente avranno già assorbito il comando principale: obbedirmi ciecamente >> .
Le parole di Gelo che fungevano da sottofondo a quella visione surreale suonavano come un tetro preannuncio di morte. Kim tentò di afferrare il braccio di Jodie ma questa lo cacciò violentemente: entrambi i cyborg erano vittime di spasmi, e ora iniziavano perfino a urlare.
Pensò a come fino a quel momento fossero stati muti e impassibili: forse non era ancora iniziata la tanto dolorosa penetrazione di impulsi elettrici per i loro corpi?
     Fu allora che accadde.
     Con un ultimo e doloroso barlume di lucidità, Jason e Jodie riuscirono a salvare il fratello prima che i cyborg 17 e 18 potessero ucciderlo.
 
     Il corvino avanzò a passi convulsi e debolmente afferrò Kim per le spalle. Aveva il corpo contratto dal dolore e le smorfie dipinte sul suo viso esprimevano chiaramente lo sforzo suscitato dalla resistenza all’inevitabile. Non doveva farsi capire da Gelo, per cui poggiò la fronte su quella del fratello. << Devi scappare, subito… >>
Kim aveva appena schiuso le labbra quando un lancinante dolore allo stomaco lo fece sbalzare indietro: Jason l’aveva appena colpito con una corposa sfera di ki. Si fece forza nelle gambe per non crollare a terra ma questa volta intervenne Jodie, con la disperazione impressa sul volto: corse verso di lui, lo strattonò indietro e gli poggiò la mano sul petto. Quella che per un istante parve una carezza si rivelò presto per ciò che era.
<< Vivi… anche per noi, Kim >> gli disse in un tragico sussurro, e con tali parole il ki sfrecciò potente dalla mano e trascinò il ragazzo in una corsa sfrenata verso il vuoto.
     Kim si ritrovò a sfrecciare inesorabilmente verso il dirupo alle sue spalle, dal quale si dipanava una serie scoscesa di arbusti, rocce e terra fangosa, e fu in quel frangente che gli occhi dei suoi fratelli si illuminarono ferocemente di cremisi, per poi ritornare all’usuale colore del ghiaccio più freddo e spietato.
Il giovane comprese tutto: lo avevano colpito di proposito per gettarlo via da quella collina e da un’orribile quanto sadica morte, e mentre annaspava nell’aria nell’estremo tentativo di aggrapparsi a qualcosa riuscì a cogliere con la coda dell’occhio quell’abominevole colore rosso che aveva inondato i loro occhi, arrendendosi alla consapevolezza che avergli salvato la vita era stata l’ultima azione da esseri umani di Jason e Jodie.
Vanamente gridò i loro nomi, ma ecco che la guancia divenne il bersaglio di un destro da parte di un vecchio ramo… No, stava precipitando verso il basso, senza nemmeno provare più a frenare la caduta. Di colpo l’intera impotenza del suo corpo e della sua breve vita incombette su di lui e quasi non sentì un ramo che violentemente lo schiaffeggiò sulla fronte.
Si dice che annegare nell’acqua gelida dia la sensazione di essere trafitto da un numero infinito di aghi, i quali penetrano nel corpo come se la carne fosse liquida esattamente quanto il sangue che schizzerebbe se l’immagine fosse concreta. Non è poi tanto diverso il dolore – che piccola parola per descrivere realmente il suo stato! – che stava provando Kim in un’irrefrenabile caduta in direzione del vuoto.
Roteò, sputava sangue, lo ingoiava e ruzzolò; sentì i piedi nudi scivolosi per il sangue misto a fango e mentre voce e lacrime gradualmente scomparivano perfino la pioggia diventava pesante. Piombava in una pozzanghera ma era sempre troppo presto affinché la corsa potesse già terminare, e con furiose dosi di lacerazioni e piccoli svenimenti ecco che scivolava sempre più giù.
Quando atterrò al suolo Kim aveva già perso completamente i sensi.
 
 
 
Laboratorio del dottor Gelo, 17 dicembre

 

 
 
 
 
<< Quel giorno cercai in tutti i modi di salvarvi, eppure alla fine siete stati voi che mi avete protetto. A distanza di anni ora posso finalmente ringraziarvi >> disse in tono laconico il giovane Kim. Sentiva la gola secca, aveva parlato molto più di quanto fosse abituato del resto.
Osservò Jason rizzarsi lentamente in piedi e dirigersi verso il laghetto al loro fianco: questi si sfilò delicatamente il foulard, si chinò e raccogliendo un po’ di acqua fra le mani se la gettò in volto. Ripeté l’operazione più volte, poi afferrò il foulard, attese un poco prima di annodarlo attorno al collo e si riavvicinò a Kim.
<< Devi aver sofferto tanto in questi anni >> disse infine.
<< Bè, non a voi sia andata tanto bene >> commentò, e iniziò così a elencare tutta una serie di fobie che aveva contratto da quel giorno: attualmente aveva paura del sangue, del fuoco, del chiasso, degli spazi troppo piccoli, di quelli chiusi ma anche delle grandi ampiezze, delle caverne, delle crepe, delle armi da fuoco – anche se, per qualsiasi evenienza, aveva deciso di tenere in casa – e infine del ki. Si era informato molto circa questo strano potere, e quando con i suoi studi venne a scoprire che qualsiasi essere umano in determinate circostanze può risvegliare tale potere fu terrorizzato al solo pensiero di usarlo.
<< La mia casa venne completamente distrutta dalle fiamme >> disse. << Un’idea saggia sarebbe stata andare ad abitare in tutt’altra zona o in un’altra città. Forse sì. Oppure questo avrebbe solo peggiorato le cose. In ogni caso decisi che avrei continuare ad abitare lì dove avevo sempre vissuto, così da poter sorvegliare la vostra casa, quello che rimaneva dei ricordi miei… e dei miei fratelli… >>
A quel punto intervenne Jodie dichiarandosi molto rammaricata per la fine di Susan, e non seppe cosa rispondere quando Kim rivelò che dei pompieri avevano salvato il maggiordomo e la madre prima che fosse troppo tardi, ma la gravità delle sue condizioni non le permisero di arrivare in ospedale.
<< Vi voleva molto bene >> disse infine il ragazzo in un piccolo sussurro. Attese prima di riprendere. << Fu una squadra cinofila della polizia cittadina a trovarmi. Stava diluviando e così fu piuttosto difficile. Insomma, dopo tutto quello che era successo il mio corpo era talmente lacero e sporco che si mimetizzava bene con il fango. Per un bel po’ di tempo non fui in grado di usare il braccio sinistro >> .
Il lungo silenzio che seguì fu insolitamente assordante e talmente carico di emozioni che pareva stesse per implodere. Nonostante il tentativo di trattenere le lacrime Kim non riuscì più a evitare di piangere, e quasi aveva paura di svegliarsi di soprassalto e scoprire che era tutto un meraviglioso sogno. Non sapeva bene come esprimere i suoi sentimenti, quindi prese spesso delle piccole pause fra una parola e l’altra. << Vedete… Io ero figlio unico, ed ero anche un totale imbranato. Mamma ha sempre detto che ero intelligente come mio padre o anche di più, però oltre questo non ho mai avuto nessuna capacità in particolare. Se non avessi conosciuto voi due, Jason… Jodie… io sarei rimasto un bambino inutile e inconcludente! >> Ora riuscì perfino a ridacchiare, gustando l’amarezza del destino. << Anche se… è vero, ho fatto tante cose per provare a salvarvi, ma alla fine non sono servite a niente >> .
<< Come puoi… >> iniziò a replicare in tono già acceso Jason, ma Kim era deciso a concludere il suo discorso.
<< Voi due mi avete insegnato cosa significa amare un fratello, e soprattutto essere amato come tale. Mi avete reso il bambino più felice del mondo, senza pretendere nulla in cambio; ci siete sempre stati per me, per cui non pensate nemmeno per un istante che in questi anni io vi abbia anche leggermente dimenticato.
<< Tre ragazzini, tre fratelli… Dovevamo assolutamente restare insieme, ma purtroppo non è andata come volevamo. In tutti questi anni l’unica cosa che mi ha tenuto in vita è stata la consapevolezza che voi eravate ancora vivi, da qualche parte >> . Qui la pausa fu ancora più lunga. << Capite? Potevo incontrarvi nuovamente, avevo ancora la possibilità di stringere fra le mie braccia il mio fratellone e la mia sorellona. Gelo non vi aveva uccisi, vi aveva soltanto reso cyborg… Che contava? Eravate sempre voi due… E io dovevo trovarvi… Ecco perché adesso sono qui, e non mi sono mai arreso >> .
La dolcezza di quelle parole dapprima risvegliò in Jason un insolito tepore, ma bruscamente esso venne sostituito dal ricordo di tutte le scorribande che assieme alla sorella aveva portato avanti, da efferato cyborg, proprio mentre Kim li stava cercando. Si morse il labbro e la voce tremò quando dichiarava che in seguito avrebbe raccontato delle cose di cui non andava molto fiero… Poi poggiò la mano sulla spalla del fratello, si rizzò in piedi e chiudendola a pugno gli colpì la guancia. << Ehi, che ne dite se ci sgranchiamo un po’ le gambe? >>
Jodie si alzò in fretta. << Buona idea >> .
Kim sorrise, e aggrappandosi alla mano di Jason li imitò.
     Era l’ora del crepuscolo ormai e la volta del cielo si dichiarava solertemente pronta ad arricchirsi di varie piccole stoffe sanguigne. Il Sole iniziava a salutare le sue genti, mentre l’agitarsi di flora e fauna, lì nel vasto parco dell’ospedale, comunicava il bisogno della vita di accendersi in un nuovo avvio.
I tre fratelli seguiti a ruota da Alphonse, Crilin e C – 16 cominciarono ad avanzare a timidi passi, e mentre l’androide chiedeva perdono per ciò che aveva fatto ai coniugi Logan, e Jason gli replicava che non c’era nulla di cui preoccuparsi, Jodie si preoccupò di asciugare le ultime lacrime di Kim.
Non era un sogno. Era la loro bellissima realtà.
 
 
 
 
Orange Town Hospital, 17 Dicembre
 
 
 
 
 
 

Essere cyborg

Ultimo capitolo



 
<< Quindi tu ci hai cercato… per tutto questo tempo? >> chiese Jason incredulo.
<< Non ho mai smesso >> rispose Kim. Appena fuori dal recinto dell’ospedale parcheggiò la sua moto rossa fiammeggiante, a bordo della quale si era precedentemente catapultato insieme al fratello nell’immenso parco. Spiegò che subito dopo aver operato i ragazzi Gelo pensò bene di sparire dalla circolazione. Inutile era stata la determinazione che spinse il ragazzo, con l’aiuto della polizia, a sfondare il portone del laboratorio e a ritornare in quel luogo così ricco di ricordi; ricordava lucidamente la rabbia che provò quando si dedusse che Gelo fosse fuggito senza lasciare tracce, l’avvilimento che lo avvolgeva impotente ogni volta che riusciva a scovare una nuova possibile ubicazione dello scienziato, ma arrivava sempre troppo tardi… Con il passare del tempo si ampliava incessantemente il divario che lo teneva lontano dai suoi fratelli, e tutte le volte che si precipitava nei luoghi indicati dalla polizia come probabili nascondigli di Gelo ecco che quello era già sparito. In conclusione si ipotizzò che egli fosse consapevole delle costanti ricerche del ragazzo e che periodicamente trasferisse il suo laboratorio in nuove località.
Per quello che Kim riteneva essere il medesimo motivo passò poco tempo prima che in tutto il mondo circolasse la notizia della morte del dottor Gelo. Non ci credette nemmeno per un istante, a suo parere era ovvio che fosse una voce messa in circolo dallo scienziato stesso al fine di non essere più ricercato e avere campo libero per le sue attività. Tuttavia la polizia non poteva continuare delle indagini basandosi sulle illazioni di un orfano disperato, e questo lasciò soli Kim e Alphonse nelle loro ricerche. Il ragazzo non si diede mai per vinto, anche se ciò non impedì allo sconforto di fare breccia nel suo cuore…
     Il giovane Kim, ormai adolescente, decise di indagare su tutti coloro che avevano avuto rapporti direttamente o meno con il Red Ribbon e arrivò così a scoprire l’identità di un certo Tao Pai Pai. Questo racconto destò un acceso interesse in Jason: lui e C – 16 avevano trovato una lettera inviata da quest’uomo proprio al dottor Gelo, nel laboratorio sotterraneo. Era stata una vera fortuna, perché fu grazie a questa missiva che vennero a conoscenza dell’indirizzo dello scienziato.
     Kim spiegò che si trattava di un serial killer che il Red Ribbon aveva ingaggiato per rubare le Sfere del Drago a un dodicenne di nome Goku, lo stesso che la madre aveva protetto con la vita. Tao Pai Pai intendeva concludere la sua carriera da sicario e entrare ufficialmente in questo esercito, tuttavia rimanendo coinvolto in una grave esplosione non riuscì a completare la sua missione. Non senza difficoltà Kim scoprì che l’uomo si era salvato grazie al tempestivo soccorso di Gelo e che, come unica possibilità di salvezza, accettò di essere trasformato in cyborg: sapeva di C – 17 e C – 18 e, pur non avendoli mai visti, li considerava dei robot prodigiosi.
     << Gelo era l’unico sopravvissuto del Red Ribbon, ecco perché il suo obiettivo non era soltanto la vendetta ma anche la rinascita del suo esercito >> spiegò Kim. << Per portare avanti un progetto così ambizioso aveva bisogno di auto, e decise di sfruttare l’antico sogno di Tao Pai Pai per trascinarlo dalla sua parte >> .
Jason scrollò le spalle. << Nella lettera che ho trovato con C – 16 si parlava di un loro progetto… Tu stai dicendo che intendevano riportare in vita il Red Ribbon? >>
Kim annuì. << Un uomo esperto nell’uccidere e nel ricercare informazioni poteva tornare comodo, ecco perché Gelo lo volle come alleato. Questo però non bastava: gli servivano ancora tempo, ricchezze e soprattutto soldati, così mentre si faceva credere morto dal mondo intero per poter continuare ad agire indisturbato rivelò la verità a Tao Pai Pai. La lettera che hai trovato tu, Jason, era l’ultima indirizzata al suo vecchio indirizzo e immagino che Gelo l’abbia intercettata prima che arrivasse a casa mia >> .
     Il ragazzo si strinse le mani nelle tasche, mentre il fruscio delle foglie con generosa dolcezza accompagnava i loro passi. Jodie prese un profondo respiro prima di parlare. << Sapete, prima c’erano anche i miei amici in ospedale, credo se ne siano andati senza dire niente. Bè, in realtà non ho il diritto di chiamarli amici >> ammise. << Kim, tua madre ha dato la vita per proteggere un bambino di nome Goku… Noi lo abbiamo conosciuto >> iniziò, ma il fiato le si seccò in gola prima che potesse terminare. Decise che avrebbe raccontato in un secondo momento la vicenda di Cell, l’androide costruito per assorbire lei e suo fratello, e di come Goku fosse morto serenamente per la salvezza del pianeta. Per adesso si limitò d aggiungere: << Grazie al sacrificio di tua madre questo pianeta ha visto un salvatore, e io ho constatato in prima persona che splendide persone siano la moglie e il figlio >> .
Gli occhi di Kim parvero splendere all’affettuosa luce del tramonto. << Un salvatore…? Che tipo di persona è? Ha davvero una famiglia? >>
La ragazza annuì, sorridendo a quell’improvviso entusiasmo. << E fra poco avrà anche un secondo figlio. Se vuoi potrai conoscere tutti i suoi amici e la sua famiglia… Crilin è il suo migliore amico >> precisò, e soltanto allora se ne rese conto.
     I tre fratelli stavano camminando lentamente, assaporando e temendo ogni piccolo nostalgico passo. Invece i restanti membri del gruppetto erano volutamente rimasti indietro, non troppo distanti per abbandonarli ma sufficientemente per evitare atteggiamenti indiscreti.
Il complesso si stava muovendo con una spedita lentezza e senza una meta designata. Era una passeggiata anelante solo al piacere di se stessa e di quella ritrovata compagnia, che ora appariva inequivocabilmente preziosa ma ancora fragile.
 
     Per tutti questi anni avevano completamente dimenticato Kim… Come era potuto accadere? E ciò che dichiarò il giovane sembrò essere una pronta risposta alla domanda, sebbene spiazzante.
<< Siccome vi ho raccontato tutta la vostra storia credo che potrete cominciare a ricordare ogni cosa. Forse non tutto, e in ogni caso ci vorrà molto tempo, sempre che questa ipotesi sia giusta >> rivelò.
Svoltarono l’angolo e l’ospedale scomparve alle loro spalle. Dinanzi a loro si apriva una lunga strada gremita di gente e colorata a festa: quella sera ci sarebbe stata l’incoronazione di Mr. Satan a difensore del genere umano e come ringraziamento la città avrebbe mutato nome in Satan City, dalla Orange Town che era sempre stata.
<< Che intendi? >> chiese Jason.
<< Dopo che siete diventati cyborg decisi che sari diventato uno scienziato >> spiegò Kim. << Quindi fidatevi, non sono parole a vanvera, ma ho buoni motivi per credere in quello che ho appena detto. Secondo me ci sono delle possibilità che voi ricordiate tutto in futuro, e sto basando questa intuizione soltanto sull’ipotesi che la memoria non vi è stata cancellata del tutto >> .
Il corvino alzò le spalle. << Un po’ poco, non trovi? >>
Per tutta risposta Kim si sfilò una mano dalla tasca, afferrò il laccio destro della sua felpa blu notte e lo portò alla bocca. Ogni tanto lo succhiava, oppure ci giocava con le dita arrotolandolo anche con l’altro laccio. La felpa, adesso insolitamente con il cappuccio abbassato, era aperta in modo da rendere visibile il grosso teschio nero raffigurato sulla maglietta rossa; il ragazzo indossava inoltre dei jeans ricchi di imprecisi strappi e alle mani dei guanti senza dita. Camminava al centro, e ogni tanto lanciava piccole occhiate ai fratelli che gli erano di fianco. Dopo un po’ finalmente rispose: << Avete detto di voler capire cosa significa essere un umano, e soprattutto se esiste un significato al vostro essere cyborg >> .
Jason sembrò stupito. << S-sì, ma non cambiare argomento… >>
Seguì una nuova e lunga pausa. Fecero capolino diverse fragranze provenienti dalle più disparate bancarelle e fu allora che tutti i lampioni si illuminarono, istantaneamente al passaggio dei ragazzi. Osservarono dei bambini divincolarsi festosamente fra gli stand dello zucchero filato e degli hot dog, e Jodie, in altre città abituata ad essere evitata e disprezzata come bieca assassina, provò una strana sensazione quando una bambina intenta ad inseguire le sue amichette le chiese scusa per esserle finita contro.
<< Non sto affatto cambiando argomento >> rispose infine Kim. << Ascoltatemi bene, e rispondete alle mie domande. Per caso voi avete mai avuto atteggiamenti di ribellione nei confronti di Gelo? Anche se… Jason, tu hai detto che l’hai ucciso, pertanto direi che la risposta è scontata >> .
Il cyborg fece scivolare entrambe le mani nelle tasche dei suoi jeans. << Sì, ma possiamo dire che ho semplicemente colto l’occasione. Aveva in mano un telecomando con cui avrebbe potuto distruggerci, e così ho voluto annientare sia il telecomando che tuo padre >> .
<< Ah, non ve l’ho ancora detto! >> esclamò all’improvviso Jodie. Erano successe così tante cose in soli due giorni che non ci aveva più pensato. << E’ stato ieri, dopo la sconfitta di Cell… Era un luogo strano, un palazzo a mezz’aria >> scoprì con stizza di non sapersi spiegare meglio << Crilin e i suoi amici hanno evocato un drago enorme, credo con il potere di realizzare dei desideri. Lui gli ha chiesto di eliminare i dispositivi di autodistruzione dai nostri corpi >> .
Il volto di Jason assunse un’espressione inebetita, a metà fra il basito e l’entusiasta, ma tutto ciò che gli uscì di bocca fu: << Quindi Cell è stato sconfitto per davvero! >>
<< Oh bè, di questo ne dobbiamo ancora parlare >> replicò la sorella.
Kim, il quale aveva assunto un’espressione ancor più stralunata, riuscì a soltanto a bofonchiare qualcosa: << Cell? Quel tipo che Mr. Satan afferma di aver ucciso? >>
Stavolta fu Jodie quella più scossa. << Chi lo avrebbe... Un attimo, tu conosci Cell? >>
Il giovane scienziato annuì. << Tutti lo conoscono, del resto è apparso perfino in tv ad annunciare il suo torneo. Ho seguito in diretta soltanto l’inizio dello scontro, e mi ricordo di alcuni tizi biondi che avevano intenzione di sfidarlo; tra loro c’era anche un ragazzino. Povero, spero non gli sia successo niente >> . Sospirò. << Non so cosa sia accaduto lì, ma ovviamente non credo che sia stato Mr. Satan a salvare il pianeta, quello è soltanto un megalomane. In ogni caso questa sera si terrà una festa in suo onore, e siccome questa è la città dove vive da oggi diventerà Satan City >> .
Sentendo tutte quelle notizie il corvino si portò le mani dietro la nuca. << Questo sì che è sorprendente, una città che festeggia uno scemo! Certo che voi umani siete davvero stupidi >>  esclamò in tono scherzoso e portando il busto in avanti per meglio osservare la reazione di Kim.
Questi dal canto suo rispose a quell’occhiata altezzosa inclinando gli angoli della bocca in maniera assai indignata. << Ah, e tu cosa credi di essere, un alieno? Anche voi due siete stupidi! >>
<< Ehi, io non ho detto niente >> replicò Jodie tradendo un tono enfaticamente offeso.
Fra i tre ne seguì una divertita risata, che adombrò tutte le preoccupazioni raccolte fino a quel momento e li fece sentire vivi in mezzo a tutto quel brusio di gente e festeggiamenti.
La ragazza prese un piccolo respiro, con ancora uno speranzoso sorriso sulle labbra. << Quindi ci consideri degli esseri umani, eh? >>
<< Sta a voi decidere come vedervi, però vi dirò una cosa >> rispose Kim. << Non pensate mai di essere qualcosa che non siete >> .
 
     Per tutta la città risuonò un boato selvaggio. Era un’usanza di Orange Town: per ricordare alla cittadinanza gli imminenti festeggiamenti venivano fatti scoppiare in cielo diversi esplosivi. Ci fu dapprima un fruscio, seguito poi da un’inequivocabile esplosione.
Tutto intorno tacque, e perfino i bambini interruppero i loro giochi per ammirare in silenzio quella fugace e attesissima esplosione. Probabilmente Jason fu l’unica persona presente in città che parlò in quel frangente.
<< Che significa, prima ci consideri degli umani e poi ci dici che siamo solo cyborg?! >> urlò.
Per un istante parte dell’attenzione di chi li circondava cadde su di loro, poi il brusio tornò e tutti tornarono a occuparsi delle proprie faccende o a scambiarsi pettegolezzi sui più recenti divorzi nel mondo dello spettacolo.
<< Calmati, io non ho mai detto niente del genere >> esclamò Kim con tranquillità lasciando per la prima volta il laccio della sua felpa, mentre teneva l’altra mano calda all’interno di una tasca. << Vi voglio far capire una cosa >> .
Per silenzioso accordo ripresero a camminare. Kim si portò una mano fra i capelli, spettinando i suoi ciuffi confusi se possibile ancor più di quanto già non fossero. << Voi vi siete sempre ribellati a Gelo, nonostante fosse il vostro “creatore”. Come mai? >>
<< Semplicemente lo odiavamo >> rispose secco il corvino. << Una volta ci rivelò che in passato eravamo stati esseri umani e da allora non abbiamo più avuto nessuna rimostranza nel manifestare il nostro disprezzo nei suoi confronti… Ma lo odiavamo già da prima. Non so perché, ma non riuscivamo a farcelo piacere >> .
Sul volto di Kim comparve un amaro sorriso: le sue ipotesi erano vicine a una conferma, bisognava soltanto ragionarci su. << Io penso… credo che in voi fosse ancora acceso un disperato bisogno di vendetta, che derivava dal vostro passato. Gelo riteneva di trasformarvi in macchine qualsiasi – bè, gli servivate soltanto per uccidere Goku, non per altro – e di soffocare così qualsiasi vostro sentimento, o ricordo >> . Qui sospirò. << E’ una triste constatazione, ma l’amore si è dimostrato più debole dell’odio: vi siete dimenticati di me e di tutto ciò che vi riguardava, ma non avete smesso di odiare Gelo. Ormai sapevate troppo su di lui, eravate entrati in circolo vizioso dal quale è impossibile uscirne e che nemmeno un’operazione del genere ha potuto tranciare >> .
<< Stai parlando dell’odio? >> domandò perplesso Jason.
Il ragazzo alzò le spalle. << E del desiderio di vendetta, esatto. Sono sentimenti troppo forti affinché una semplice operazione possa reciderli del tutto >> .
<< Un attimo, qui non stiamo parlando di una “semplice” operazione >> replicò Jodie. << E poi non ti seguo, che cosa intendi? >>
<< Ho bisogno di un’altra conferma >> dichiarò Kim ignorando totalmente lo stupore della ragazza. << Voi avete ancora il vostro cervello, vero? Se vi sono stati soltanto integrati dei circuiti più o meno tutto torna… Ma anche in questo caso, la risposta è palese >> . E lo era talmente tanto che decise di rispondersi da solo. << Certo, è così! Ho capito… è una cosa strabiliante, questo rivoluzionerà il concetto di cyborg! >>
Il corvino attese un poco prima di replicare, tanto per essere sicuro di non dover essere ignorato come la sorella. << Dottor Jefferson, sarebbe così gentile da spiegarci le sue mirabolanti teorie? >>
Il fratello annuì e la sua voce risultò improvvisamente eccitata. << In realtà non è molto difficile. Dunque, partiamo dalla vostra operazione: se Gelo vi avesse totalmente rimosso il cervello e se ora voi aveste… non so, un cervello artificiale, sareste soltanto delle macchine, grezzi burattini nelle sue mani. Ovviamente non avreste nessuna possibilità di recuperare la memoria e non sareste in grado di provare emozioni: né odio, né amore. Niente. Sareste vuoti e spenti, in altre parole morti… >> Qui la voce divenne un filo quasi impercettibile, e ripensando a come aveva vissuto in quegli anni si ritrovò a fissare nel vuoto gli occhi ora non più colmi di entusiasmo, ma piuttosto distanti e tenebrosi…
     Fu tutto un istante. Deglutì, e la verità gli apparve finalmente limpida. Aveva trascorso degli anni tremendi, sin da quando era soltanto quattordicenne; ripensandoci si meravigliava egli stesso di come fosse stato in grado di affrontare l’adolescenza e l’inizio della vita adulta in quelle condizioni: un deperimento fisico e morale così gravi che molti, al posto suo, sarebbero ricorsi a decisioni drammatiche.
Invece Kim riuscì a sopravvivere e nonostante tutto si era sempre preparato a questo giorno. Testardamente aveva continuato a sognare un giorno in cui poter ricongiungersi con suo fratello e sua sorella, e certamente questa era stata la sua unica ragione di vita fino a quel momento.
     La verità appena dimostrata da Jason e Jodie era come una rosa in procinto di sbocciare, complessa e sgargiante nel suo splendore ma proprio per tale motivo, secondo le sue parole, bisognosa di meticolose spiegazioni.

 
 
     Il folle dottor Gelo non aveva sostituito il cervello dei ragazzi, spiegò Kim, bensì aveva provveduto a integrare ad esso vari e microscopici circuiti elettrici i quali, per mezzo di sottilissime scariche, erano capaci di direzionare determinati impulsi e dunque modificare i principali comandi nervosi.
Tuttavia egli aveva commesso un errore di valutazione: non aveva minimamente calcolato che la dirompente umanità dei ragazzi potesse risultare più forte della robotica.
     La morte dei genitori, l’ingresso in una baby gang come riscatto nei confronti della società, e infine la tragedia di quel 17 dicembre. Un’inesauribile successione di eventi traumatici aveva indotto a sorgere negli animi dei due ragazzini un dolore smisuratamente forte, arroccato dietro gusci di silenzio ma sempre pronto a implodere rendendo Jason e Jodie simili a delle bombe a orologeria. Essi erano diventati tragiche vittime del male, disperati e ululanti nel tetro orizzonte che si presentava ai loro occhi, e ad esso non seppero combattere se non con altro male.
     Ecco come l’odio fu il duro e sanguinolento filo che condusse la loro vita sin dalla morte dei genitori, un’oscurità radicata e ormai intrinseca alla loro stessa esistenza. Curiosa ed amara constatazione, ma fu proprio questo indissolubile legame che permise loro di continuare a vivere come Jason e Jodie.
     L’unico errore del dottor Gelo, infatti, non fu a livello anatomico o scientifico, un esperto come lui non sarebbe mai caduto in un bivio presentato dalla scienza. No, si trattava di un ambito nel quale neppure uno scienziato di tale ingegno sapeva destreggiarsi: l’inconscio.
I circuiti immessi nel cervello dei ragazzi riuscì a deviare vari sentimenti e gradualmente a modificare la loro psiche, ma questo avvenne soltanto al livello del conscio. L’operazione non riuscì infatti ad annientare completamente i più forti sentimenti che provavano, i quali protessero se stessi rifugiandosi nell’inconscio assopiti, offuscati, ma pur sempre pronti a esplodere. Jason e Jodie non avevano mai smesso di essere due bombe a orologeria, neppure quando il drago Shenron aveva rimosso dai loro corpi il dispositivo di autodistruzione.
     Adesso però erano necessari alcuni accorgimenti per non potersi più definire mine vaganti: accettare se stessi, il proprio passato e il proprio presente in vista di un futuro finalmente diverso.
 
     << Fu grazie alla forza dei vostri sentimenti inconsci se non vi siete mai arresi a Gelo e avete continuato a odiarlo >> dichiarò Kim. << Purtroppo esso vi deve aver corroso dentro… ma da adesso potrete sperare in una vita migliore >> .
Sui volti dei cyborg però era ancorata una dura espressione di titubanza. Fu Jodie a parlare per prima: << Hai detto che la nostra umanità ha vinto sulla robotica, ma anche che a vincere fu il nostro odio in quanto smisuratamente forte. E’ a questo che si riduce il concetto di “umanità”… all’odio?! >>
<< Ho detto che voi due, seppur cyborg, siete sopravvissuti a quel 17 dicembre come Jason e Jodie, due personalità in costante conflitto con il mondo e che alla fine si sono conformate a quelle di C – 17 e C – 18; questo è stato possibile per la tenacia del vostro sentimento di vendetta, tuttavia non fu soltanto questo >> rispose Kim. Seguendo il suo discorso basato su coraggiose illazioni ma rettificato dalla necessità dell’ovvio, un punto chiave nella vicenda era infatti la forza di volontà.
<< Se Gelo avesse operato anche me probabilmente ora sarei un semplice robot >> spiegò. << Eppure anch’io avevo i miei sogni, le mie ambizioni, e desideravo ardentemente proteggervi… Amavo quest’idea >> .
<< Significa che non possiamo parlare di forza di volontà >> commentò Jason << ma piuttosto di qualcosa che viene prima… >>
<< …per esempio le motivazioni che ne stanno alla base >> osò Jodie.
Il giovane scienziato annuì, e pur convenendo con quanto detto dalla ragazza volle chiederle: << Che cosa intendi? >>
<< Bè, è innegabile che tu abbia dimostrato una forza di volontà straordinaria >> rispose << ma eri sospinto dal legame che ci unisce, credo da quello che viene chiamato amore >> . Ponderò a lungo sul significato di questo termine, ma ripensando a Crilin comprese di avere per lo meno un’idea di che cosa volesse dire questo meraviglioso concetto. << Ciò che guidava la nostra determinazione invece era ben diverso >> .
<< E mentre l’odio vi ha consentito di rimanere umani, l’amore non ve l’avrebbe mai permesso >> concluse Kim. Ovviamente si trattava soltanto di ipotesi, tuttavia considerando che furono dei sentimenti negativi a svolgere in maniera impeccabile un ruolo di salvaguardia della loro umanità risultava difficile immaginare che anche il loro opposto – cioè dei sentimenti positivi – avrebbero potuto ripetere una simile impresa.
 
     In sostanza, possiamo affermare che il disumano è stato più forte dell’umano: ecco come Kim decise di sintetizzare il suo discorso. Fu infatti una forza negativa incresciosamente vigorosa l’unica capace di debellare, almeno in parte, una forza estranea e dunque negativa quale la robotica.
Bè, è tradizione popolare ritenere che per sconfiggere il male sia necessario il bene, nonostante siano in molti a pensarla come una concezione tristemente astratta e diversamente da come, fino ad ora, la storia dei cyborg potrebbe farci capire. Allora cosa è davvero funzionale per ripararsi dalle tentazioni fornite dall’oscurità, domandò Jason, un male ancora più gagliardo? Per poi incanalarsi in un cruento circolo vizioso, dove nuovi e sempre più potenti mali continueranno a sorgere in eterno?
     << E’ inammissibile che l’umanità si riduca a tanto >> bofonchiò Jodie con voce strascicata.
<< E allora che cosa serve? >> esclamò il corvino rivelando ad alta voce i pensieri congiunti di tutti e tre, dopo si rivolse al fratello con sguardo accigliato. << Tu hai una risposta? >>
     Accadde tutto nel medesimo istante. Jason sobbalzò, e Jodie trattenne il respiro: non potevano crederci, quasi si rifiutavano, la risposta era palese. Tutta la loro vita pareva essere stata indirizzata a questo momento, quello in cui i loro cuori fossero stati disposti a spalancarsi agli altri e sulle loro labbra si fosse posata con innaturale dolcezza la risposta che da tempo cercavano.
Jason. Jodie. Due bambini, due vittime, persecutori e perseguiti. Tutte le domande che affliggevano i loro giovani animi oramai da tantissimo tempo confluirono d’improvviso in un’unica risposta, e sbocciarono all’unisono in un energico aroma primaverile con armonica danza di petali e soddisfazioni, consapevolezza e speranza. La loro primavera, una fresca giovinezza poteva finalmente iniziare anche per loro.
La voce dei due fanciulli scivolò dalle loro labbra timidamente, ma portando con sé la verità tanto ambita. << L’amore >> sussurrano a un semplice soffio di alito. La melodia di quella parola li ridestò dal guscio di coraggio cui avevano appena attinto e suscitò in loro diverse impressioni.
 
     Jason era sconvolto. Era stato in grado di capire un concetto così prezioso autonomamente, prima che Kim potesse anticiparlo, ma soprattutto lo inquietavano i suoi incomprensibili sentimenti. Lui, l’invincibile e tanto temuto C – 17, sadico assassino di uomini senza nome né valore, di donne e perfino di bambini… adesso stava lì, in mezzo a una folla di persone letteralmente impazzite per via dei festeggiamenti e delle cibarie, insieme a sua sorella e a un ragazzo che poteva considerare suo fratello.
La consapevolezza dei suoi errori lo assaliva lentamente, come per dargli il tempo di assaporare il pentimento di ogni singolo sbaglio commesso, e inavvertitamente gli occhi si fecero pesanti. Sentiva immobili le sue gambe, memori di aver colpito, un tempo, una bambina  implorante pietà e di averla gettata sui cadaveri dei genitori; si tastò le braccia, le ricordò trarsi in avanti; aprì e chiuse le mani, ancora focose per quel getto di ki che avevano raccolto. Rivide la bambina colpita al petto dal suo stesso attacco e infine crollare a terra inerme, e qui si accorse che lacrime di delusione e rabbia avevano già cominciato a rigargli le gote.
 
     In Jodie fu piuttosto un’informe amarezza a prevalere. Tutta la sua vita le appariva chiara perfino nei risvolti più drammatici, come se avesse appena privato una fotografia del suo negativo e ora potesse ammirarla nei suoi più lucenti colori.
Come aveva fatto a non arrivarci prima? Eppure credeva di aver capito cosa provano gli esseri umani quando amano… Amare qualcuno significa desiderare ardentemente il suo bene, gioire per le sue gioie e piangere per i suoi sconforti: ecco come i suoi fratelli si erano comportati con lei in passato. Così Susan, Hilary, Edward, e Alphonse. E adesso Crilin… Aveva ricevuto la fortuna di essere amata da diverse persone ma li aveva perduti quasi tutti, serrandosi in una corazza di bieco sadismo. Decise che da quel momento in poi non avrebbe mai più perso tempo.
 
     Il Sole fuggiva nell’orizzonte, e lievi spifferi di brezza invernale stavano dipingendo nell’aria piccole orbite ululanti. I tre ragazzi rimasero in silenzio per interminabili minuti, ognuno assorto nei suoi pensieri più reconditi. Un’ulteriore consapevolezza si accingeva a colorare i loro cuori: amare significa premettere la felicità dell’altro alla tua, anche qualora ciò dovesse costare un’ingente sofferenza. Essa aveva i caratteri di una scoperta strabiliante, eppure un tempo ne erano consci al punto da chiamare “fratello” un loro coetaneo, ed ecco perché adesso furono in grado di comprendere la verità.
E’ vero, loro due… anzi no, loro tre odiavano profondamente Gelo, tuttavia non dovevano dimenticarsi la ragione di quell’imponderabile odio.
<< Se noi lo odiamo è solo perché prima c’era amore >> annunciò Jodie non senza un’incrinatura nella voce, nonostante un tono energico. << Amavamo i nostri genitori, ed ecco perché odiamo il loro assassino. Amavamo Susan, Alphonse, e te fratello >> disse rivolgendosi a Kim << e capendo chi fosse l’origine delle vostre sofferenze non potemmo fare a meno di provare astio nei suoi confronti >> .
Il corvino scrollò le spalle. << Cedere all’oscurità… proprio per combatterla. Sono cose già sentite, tu non credi? >>
<< E’ lo stesso motivo per cui siamo entrati in quella baby gang, da ragazzi >> dovette ammettere la sorella.
Quelle parole risuonarono nella mente di Kim come uno spaventoso colpo di cannone. << Senza genitori vi sentivate deboli, compatiti e inutili >> ricordò. << Avete pensato di essere traditi da quella vita che tanto amavate, che ci stava dando tutto quello che volevamo viziandoci a dismisura. Ecco perché siete entrati quasi naturalmente in quel gruppo, avevate bisogno di dimostrare agli altri e soprattutto a voi stessi che eravate ancora liberi di fare tutto quello che più vi aggradava >> . E dal tono laconico e conclusivo mal celato nella sua voce, i cyborg compresero che Kim avrebbe continuato a sentirsi in colpa per tutto il resto della sua vita.
Jason gli mollò prontamente un pugno sulla testa. << Piantala, non ti voglio più vedere con quello sguardo depresso >> sentenziò. << Ora che ci penso, noi amavamo infinitamente la nostra libertà ma Gelo ce la strappò via con la forza. Ecco un altro motivo per cui il nostro odio nei suoi confronti non è mai diminuito >> .
Il ragazzo rimase un paio di secondi a gemere, quando scattò il braccio e stavolta fu lui ad assestare al fratello un pugno sulla guancia. << Non ti conviene, guarda che so benissimo come difendermi >> esclamò sorridendo malignante. Poi prese un lento respiro, come se cercasse accuratamente le giuste parole, e si risolvette. << A proposito della vostra libertà serve un discorso a parte. Voi due di cosa esattamente siete stati privati? E’ ovvio, della libertà di considerarvi degli esseri umani, però avete sempre fatto quello che volevate sia da ragazzi sia adesso. Uccidere Gelo non ne è stata la dimostrazione più eclatante? >>
Il freddo iniziava a rallentare i loro movimenti mentre si accostavano alla spaziosa entrata di un pub gremito di gente. Non vi erano più posti a sedere dentro il locale, ma sebbene il clima erano stati allestiti all’esterno diversi tavoli.
I tre ragazzi si sedettero attorno a un tavolino bordato da una lunga fioriera, e tramite questa separato dalla strada pullulante della felicità altrui. Presto si ritrovarono con tre invitanti bicchieri colmi di mojito che Kim volle far provare ai fratelli, ed ecco che con graduale inesorabilità il Sole si colorava di un intenso rosso scarlatto. Jodie si rese conto di stare assistendo al più bel tramonto mai visto in vita sua.
Jason e Jodie erano persone straordinarie, e come furono in grado di dimostrarlo da impauriti ragazzini rimasero tali anche da cyborg. Dalla tenacia evinta nel loro comportamento ribelle, che altro non è se l’antico specchio di un’immensa voglia di vivere, si può trarre facilmente una conclusione: le individualità di quei ragazzi non erano mai morte, bensì erano soltanto assopite e desiderose di essere recuperate.
Kim si scostò dei ciuffi dagli occhi e iniziò a sorseggiare il suo alcolico. << Vi state chiedendo che cosa significhi essere dei cyborg… Oramai non dovreste essere molto lontani dalla risposta. Pensate a me: dopo quel 17 dicembre pensavo di non avere più diritto a una vita, di non poter mai più fare delle scelte. Credevo di essere diventato una macchina, ed ora che vi vedo posso asserire che lo sono stato più di quanto lo siate mai stati voi >> .
 
     Il corvino rimase in silenzio, mentre nella sua testa sentiva un gran fermento. La conversazione stava prendendo una piega strana, inaspettata… E fu allora che ne comprese il motivo. Tutti e tre cercavano una risposta, ma ogni volta che le loro mani erano sul punto di impugnarla ecco che accorrevano nuovi interrogativi e cupidamente la intingevano con sadica oscurità. Il punto su cui soffermarsi era: Kim conosceva la risposta? Forse la sua saggezza gli consentiva di conoscere una tale verità, ma in ogni caso era fondamentale che fossero loro due ad afferrarla.
Jodie arrivò presto a sorseggiare l’ultima metà della sua bevanda, mente sentiva l’animo dilaniato da una guerra che non trovava pace. Sintetizzando il discorso possiamo dire che la sua aspirazione principale fosse attribuire un convincente significato al concetto di umanità, e solo così forse avrebbe potuto trovare una risposta al quesito che da troppo tempo ormai l’affliggeva: che cosa significa essere cyborg?
Nel tentativo di approdare a una risposta si ritrovò a riflettere su alcune vite esemplari e a chiedersi con quale fine fossero state tali: in breve le gesta di Edward, Hilary e Susan si ripeterono nella sua mente. Un momento, qualcosa le stonava, forse c’era qualcosa che non quadrava… E fu allora che comprese.
Quasi come se fosse un movimento autonomo e naturale delle sue labbra, confermato da un tono distante e profondo, si ritrovò a esclamare: << Kim, la tua non è stata una vita vuota >> .
Il giovane ammiccò un sorriso. << Oh, ti ringrazio >> .
<< E’ vero, la tua storia è sconvolgente >> ammise la ragazza << ma adesso sei qui. Ci hai rincontrato, hai pianto e hai gioito. Non è questo che significa essere vivi? >>
Finalmente  anche sul volto di Jason gli angoli delle labbra si sollevarono in un affascinante sorriso. << Credo di aver capito che intendi, sorellina >> disse, e in un ultimo sorso terminò il suo alcolico.
 
     Jason. Jodie. Kim. Tre fratelli, una sola anima. Vittime del male, perseguiti e persecutori.
Negli anni successivi non dimenticarono mai tutto ciò che si dissero in quella meravigliosa serata e né tantomeno le conclusioni ove, dopo lunghissimi travagli, i loro animi riuscirono finalmente ad ormeggiare, in un’aberrante serenità.
 
 
     I tre giovani erano ancora seduti con i loro bicchieri vuoti fra le mani quando ricevettero una grande sorpresa. Improvvisamente la gente parve disperdersi in varie direzioni, e presto ne compresero il motivo: bè, diciamo che furono l’aspetto e l’abbigliamento piuttosto appariscente di Junior a spaventare la gente, ma in effetti anche l’atteggiamento minaccioso e burbero di Vegeta contribuì allo scopo.
Curioso come in un’unica e strana masnada di gente riconobbero tutti coloro che fino a poco prima erano loro nemici; Jason e Jodie riuscirono a vincere però l’imbarazzo quando notarono Alphonse, C – 16 e naturalmente Crilin.
     Oh Kim, quanto fosti grato a tua sorella per averti presentato Chichi e Gohan! Sei piaciuto al ragazzo sin dal primo momento, e ti ricordi la tua emozione quando nei mesi successivi Chichi ti permetteva di toccarle la pancia? E tu hai anche sentito il bambino! Alphonse avrebbe continuato anche a distanza di anni ad asserire che quell’incontro fu per te un vero miracolo.
 
     Jason. Jodie. Kim. Tre fratelli, una sola anima. Vittime del male, perseguiti e persecutori.
Possiamo porre ciò come una verità, siccome conosciamo tutto il loro passato.
     Tuttavia non dimentichiamoci della storia del dottor Gelo: non potrebbe anche lui essere considerato una vittima del male? Pensiamoci bene. Era incommensurabile l’amore che provava nei confronti della moglie e del figlio, ma anche al punto da approdare a livelli esasperati; d’altra parte come poteva dimenticare il senso di dovere nei confronti del Red Ribbon, che dal nulla aveva raccolto le sue misere ceneri e da esse aveva edificato un uomo brillante e straordinario? Poteva davvero operare una scelta fra due tali opzioni?
Avrebbe dovuto, disse Jason quando Kim gli pose questa domanda. Purtroppo Gelo non ne fu in grado, e quando si rese conto di quanto la sua famiglia fosse più importante del Red Ribbon era troppo tardi: lui aveva preferito proteggere Susan e rimanerle accanto nella morte. Questo, ricordiamoci, a fronte di un combattimento contro il nemico che avrebbe permesso al suo esercito di trionfare – vero – ma che non avrebbe evitato alla moglie una morte disonorevole. Gelo riuscì a prendere una decisione, ma oramai era troppo tardi.
     Probabilmente è inevitabile, ma disquisendo su Gelo risulta dovuta un’ultima osservazione. Nel loro ultimo incontro aveva ordinato ai cyborg di uccidere Kim, ma essi riuscirono a salvarlo. Possibile che lo scienziato non si fosse accorto di quel delicato frangente? E in seguito sicuramente era venuto a sapere che il figlio fosse ancora vivo: l’ultimo superstite di una ricca e celebre famiglia, come non leggere una tale notizia sui giornali? Oppure poteva averlo scoperto rendendosi conto di essere seguito… Insomma, le prove erano svariate.
Il dottor Gelo sapeva che il figlio fosse ancora vivo, e aveva spontaneamente deciso di non ucciderlo? Gli aveva risparmiato la vita?
“E’ l’idea migliore che mi è venuta per risolvere la faccenda. Addio, Kimley”: le ultime parole dello scienziato continuavano a echeggiargli nella mente… Forse voleva donargli la morte come unica via di fuga da una sofferenza atroce. O forse non riusciva a bramare per davvero la morte di suo figlio.
Questo è un dubbio che avrebbe continuato a cospirare in eterno contro la totale serenità del ragazzo.
     C’è da dire adesso che non stiamo giustificando il dottor Gelo, per cui può stare tranquilla Jodie la quale era terrorizzata all’idea. << Nessun crimine è giustificabile >> affermò Kim << qualunque ne sia la causa >> .
     Ed ecco che, volutamente o meno, stava richiamando i cyborg alle loro responsabilità.
<< Tuttavia capire i motivi che ne stanno alla base è fondamentale per aiutare chi li commette >> aggiunse. << Se degli uomini scelgono di operare il male non hanno giustificazioni, ok, ma delle ragioni sì. E ancor di più se si tratta soltanto di ragazzini… Dopotutto nessuno nasce malvagio, vero? >>
 
     Fu una serata fantastica. Il bizzarro gruppetto si ritrovò a consumare un’abbondante cena alla vista di spettacolari fuochi d’artificio, i quali riuscirono soltanto per la durata della loro esibizione a placare i vari schiamazzi sparsi per la città che subito dopo invece implosero in un’aberrante potenza.
Naturalmente non fu facile far desistere Vegeta e Junior dal desiderio di attaccare i cyborg o chiedere spiegazioni su un loro presunto e occulto obiettivo, ma quando Crilin pregò di lasciarli stare i due cominciarono a borbottare e dopo severi rimproveri all’amico decisero di rinunciare.
Chichi era ancora sconvolta per la morte del marito, ma l’inattesa consapevolezza di aspettare un bambino riuscì a distoglierla da quel pensiero e adesso riusciva perfino a sorridere.  << Una meravigliosa dimostrazione di forza d’animo >>, la definì Junior.
Bulma dal canto suo era al settimo cielo per aver conosciuto il figlio del dottor Gelo. Era un vero peccato che uno scienziato di tale ingegno avesse posto il suo sapere al servizio del male, disse a Kim, ma anch’ella era una scienziata e dal punto di vista professionale non poteva far altro che stimarlo. << Ho sempre sperato di incontrarti, dottor Jefferson! >> dichiarò la donna nel pieno dell’entusiasmo, ma il giovane dovette frenarla chiarendo che essere chiamato “Kimley” gli andava benissimo.
     Le ore trascorsero destando un piacevole tepore negli animi dei ragazzi, e pure a distanza di anni Jason avrebbe continuato a chiedersene il motivo. Lui e sua sorella non vennero trattati come i cyborg che fino a poco prima erano spietati nemici, ma piuttosto come… bè, ragazzi qualsiasi.
     Quella sera il tempo fu loro nemico, ed ecco che prima che potessero rendersene conto la luna era già raggiante e splendida sopra i loro occhi.
 
Jason e Jodie non poterono evitare di fare una constatazione: quel giorno avevano contemplato con occhi colmi di gratitudine un favoloso imbrunire, ed era il 17 dicembre. Il loro compleanno.
     Proprio in quella stessa data di tanti anni prima erano morti, e nei loro giovanissimi corpi si stabilizzavano i cyborg C – 17 e C – 18.
     Nessuno sarebbe stato in grado di auspicarlo all’epoca, ma a distanza di anni gli spiriti ribelli dei cyborg avrebbero iniziato ad assopirsi e i due gemelli sarebbero finalmente rinati.
     Il tramonto che ammirarono quel giorno fu caldo e particolarmente carico di sentimenti. Già… non era tramontato solo il Sole, ma anche la loro disperata vita da cyborg.
 
 
 
 
 
 
     17 dicembre: dall’unione dei coniugi Edward e Hilary nacquero due gemelli, intorno alla mezzanotte. Il giorno del loro quattordicesimo compleanno essi venivano catturati dal dottor Gelo e trasformati, contro la loro volontà, in cyborg.
Ed ora, a distanza di anni, i due gemelli rinascevano come esseri umani.
I loro nomi erano Jason Logan e Jodie Logan.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Epilogo


 
Era una calda giornata primaverile, e in tutta la città gli alberi facevano a gara per sfoggiare la chioma più ilare. I suoni si sovrapponevano in maniera indistinta, e pareva di essere di fronte a un immenso prato fiorito adorno fra l’altro anche di palazzi spettacolari.
La donna camminava con fare sicuro, nonostante i tacchi. Oh, quelli sì che proprio non li sopportava. Indossava una camicia rosa sbottonata al seno e una gonna di un bianco immacolato. La collana d’oro che le circondava il grazioso collo pareva preannunciare quei meravigliosi e delicati filamenti i quali, incorniciando un viso forte e femminile, risplendevano al Sole come se fossero di oro finissimo.
Certo che era proprio bizzarra l’architettura di quella città. Alzando lo sguardo la donna scorgeva soltanto le vette dei palazzi più sontuosi; tutt’intorno serie ininterrotte di abitazioni ostentavano un gran lusso, un’inappagabile ricchezza oppure un buon senso critico. Fortunatamente vi era anche chi non pretendeva per sé – o semplicemente non poteva permetterselo – immensi quanti tristi fabbricati.
Per quanto riguarda gli alberi… bè, alcuni erano davvero esilaranti. Un modo come un altro per mostrare al mondo intero che l’architettura e la tecnologia di Satan City non potevano avere eguali.
Non vi erano nuvole in cielo, non un solo batuffolo. Il suo sguardo si perse in quell’azzurro candido e immenso, senza scheggiare la bellezza e la profondità che solevano accompagnarla… Quando improvvisamente venne richiamata alla realtà. Si sentì tirare la mano da una delicatezza sconcertante, e sorrise quando i suoi occhi incrociarono quelli della bambina che la stava chiamando.
La bambina risultò molto scocciata quando si volse supplicante all’uomo al suo fianco e questi non fece altro che sorriderle con dolcezza. Lei non vedeva l’ora di arrivare a destinazione, chi se ne importava dei sorrisi!
Per sua immensa gioia finalmente giunse il momento. Erano arrivati davanti la casa degli zii, in piazza, la stessa al cui centro si ergeva un’imponente statua di Mr. Satan e dove, dalla’altra parte della strada, la villa del salvatore del mondo se ne stava appollaiata da un lato all’altro di due ristoranti privati.
Attesero per secondi che parvero interminabili prima che la porta di casa si aprì.
Alphonse non fece in tempo a salutarli che la bambina gli si era già avvinghiata alla vita. Questi sorrise teneramente ed esclamò: << Buon compleanno, signorina Marron! >>
<< Al, Al, ci sono gli zii? >> domandò lei traboccante di una gioia che non aspettava altro se non di manifestarsi in tutta la sua dirompenza.
Il maggiordomo annuì e permise alla bambina di precipitarsi dentro. I genitori la seguirono, e rimasero a bocca aperta quando scoprirono tutti quegli striscioni e scritte colorate sparsi per la casa.
<< Dov’è la mia nipotina? >> chiamò una voce maschile a noi ben familiare. Era Kim.
Jodie non dovette nemmeno raccomandare alla piccola Marron di ringraziare gli zii perché questa si era già buttata al collo di Kim. La donna ridacchiò notando come il fratello fosse conciato. Sopra i jeans e una camicia rossa a quadri si allungava un grembiule da cucina pieno di macchie, e notò che punte di maionese e salsa al tonno si spargevano un po’ dappertutto, addirittura sulle confuse ciocche di capelli che urlavano al panico sopra la sua testa. Oh, i capelli di Kim non erano migliorati affatto e forse con il tempo avevano formato grovigli ancora più complessi.
<< Che state preparando? >> domandò Jodie in tono grato.
Per tutta risposta lui si rialzò e le fece un occhiolino. << Te l’ho già detto, è una sorpresa! >>
     Nei minuti che seguirono Jodie e Crilin salutarono tutti i presenti, mentre Alphonse dovette allontanare più volte la bambina dai tramezzini che stavano preparando.
Ecco Jason, il quale si precipitò a salutare la sorella e naturalmente la nipote. Indossava una felpa scura e semplici scarpe da ginnastica, e mentre gli strappi presenti qua e là sui jeans potevano far pensare a un tipo disordinato la perfezione di quei capelli corvini che così ordinatamente scivolavano sul foulard annodato al collo non consentiva equivoci. Era uno di quegli uomini che ci tengono molto al proprio abbigliamento.
Lì in cucina invece c’era Chichi, intenta a dare ordini a Kim e ad Alphonse sulla preparazione di chissà quali pietanze capaci di ingolosire anche i più restii al cibo; poi c’era Junior, e Crilin si chiese su che cosa stesse riflettendo così intensamente, mentre Muten e Oolong parlavano di… bè, non lo sapeva, ma poteva farsi un’idea notando che i due prima fissavano Chichi e poi scoppiavano a ridere con il volto in fiamme.
All’improvviso la piccola Marron sentì che qualcuno le stava tirando le ciocche di capelli che fuoriuscivano dai due nastri rossi preparati con tanta premura dalla madre. << Goten, lo so che sei tu! >> esclamò, e subito si trovò la faccia del ragazzino davanti alla sua.
<< Dì a tua madre che dobbiamo mangiare, io ho fame >> si lamentò questi, poi le fece gli auguri e corse via. << Dai, giochiamo un po’! >>
     Il ragazzino era Goten, il figlio di Goku e Chichi. Erano passati sei anni dalla morte del padre e, anche se non l’aveva mai conosciuto, provava uno strano piacere quando tutti gli dicevano di essere identico a lui. Aveva un rapporto molto forte con il fratello Gohan, con Trunks – non vedeva l’ora che arrivasse! – e infine con Marron.
Sua madre passava molto tempo con Jodie e con Kim, del resto. Bè, per una lunga storia che però era troppo complicata da ricordare… Sapeva che c’entrava qualcosa la madre di Kim, e che Chichi per qualche motivo le era grata… Infatti ripeteva sempre che se non fosse stato per il sacrificio di Susan – la madre di Kim, vero? – adesso loro tutti non sarebbero lì.
     Kim, da parte sua, provava un grande affetto per la famiglia di Goku. Portava spesso dei regali a Gohan e Goten, e inoltre da un po’ di tempo stava aiutando il ragazzo nei suoi studi. Gohan aveva sedici anni ormai, e il prossimo anno scolastico aveva intenzione di frequentare la Orange Star High School: avrebbe passato molto tempo lì a Satan City, così lontano dal Monte Paoz dove abitava, e così gli aveva proposto di rimanere a vivere a casa sua. Il ragazzo ci stava ancora riflettendo.
     Fu una mattina splendida. Come regalo per il suo terzo compleanno la piccola Marron aveva ottenuto dagli zii il permesso di festeggiare in casa loro: lei adorava quella casa, forse anche perché zio Jason e zio Kim la viziavano. A onor del vero da parte loro ricevette anche tantissimi peluche di animali diversi, e Crilin subito si chiese dove li avrebbe mai sistemati nella sua piccola casa.
Lui e Jodie si erano sposati quattro anni prima e dopo un solo anno di matrimonio era arrivata la piccola Marron a cambiare radicalmente le loro vite. Di comune accordo avevano deciso di vivere nella Kame House, il che rendeva Jodie particolarmente felice: dopo tutto quello che aveva passato nella vita necessitava unicamente di un po’ di tranquillità.
Invece Kim era rimasto a Satan City e viveva insieme a Jason e C – 16, oltre che con il fedele Alphonse. Seguendo il caloroso consiglio dei fratelli, sei anni prima e cioè immediatamente dopo il loro incontro aveva accettato di traslocare, accusato di essere troppo legato al passato. Ogni tanto ritornava nella sua vecchia casa, non riusciva a venderla, ma aveva capito che divincolarsi dai terrori del passato era fondamentale per la sua stessa esistenza.
     Passò poco tempo prima che arrivassero anche Vegeta, il piccolo Trunks e Bulma, la quale appena notò C – 16 immerso nel suo solito e pensieroso mutismo gli raccomandò di non strillare troppo.
Il ragazzino si gettò sulla schiena di Kim – ebbene sì, i bambini riuscivano a maltrattarlo come volevano – mentre Goten gli sussurrava di inginocchiarsi. << Ehi Kim, ti devo dire un segreto, però non lo sa nessuno >> gli confidò all’orecchio. << Trunks ed io sappiamo già trasformarci in Super Sayan! >>
Probabilmente si aspettava chissà quale reazione esagerata, perché fu immensa la delusione che gli si dipinse in volto quando l’uomo semplicemente gli scombinò i capelli e ridacchiò: << Lo sapevo che ce l’avreste fatta! >>
Goten sbuffò e incrociò lo sguardo dell’amico da sopra le spalle di Kim. << Te l’avevo detto io che non si sarebbe meravigliato >> lo apostrofò questi.
<< Mi dovete scusare >> disse Kim , e gli angoli della bocca si alzarono in un sorriso. << Ma dopo tutto quello che mi è capitato nella vita, non mi sorprendo più di niente >> .
     Sentire il citofono suonare significò per Marron una nuova gioia. Mancava ancora una persona alla sua festa; gli era molto affezionata e finalmente egli era arrivato.
Jason aprì la porta e non riuscì a trattenere un ghigno quando lo vide.
L’uomo che gli era davanti stava ancora ansimando per la gran corsa appena terminata. Aveva lunghi e spettinati capelli biondi, e brevi tratti di una barba mal curata gli incorniciavano le gote e il mento. Con una mano si poggiava ancora sulla porta, mentre con l’altra impugnava un pacchetto regalo.
Complessivamente nell’aspetto era molto simile a quando era adolescente: bello ma trasandato.
<< Sei in ritardo, John! >> lo sgridò il corvino.
<< Lo so… Non serva che tu me lo dica >> rispose questi, sorridendo a Marron appena la vide.
Ecco John: sei anni prima, essendo stato usato come pedina da un criminale più grande di lui, aveva deciso di abbandonare la strada della delinquenza e attualmente si stupiva egli stesso di come, nonostante le difficoltà che incontrava nei vari lavori part-time che provava, riuscisse ad avere una vita felice.
     << Bene, ci siamo tutti! >> esclamò Crilin non appena anche l’ultimo arrivato si fu sistemato. Ringraziò tutti i presenti per essersi riuniti in occasione del compleanno della sua bambina, e un ringraziamento speciale fu rivolto a chi aveva messo a disposizione la propria casa per permettere quella riunione così piacevole. << E ora buon appetito >> augurò felicemente, addentando un panino ripieno di prosciutto.
 
 
     Essere cyborg… Dopo tante vicissitudini  Jason e Jodie avevano finalmente svelato l’arcano mistero. Adesso avevano una risposta.
Cosa esattamente avevano cercato in quel lungo viaggio che seppe riportarli a Kim? Oppure il loro era stato un tortuoso vagabondare dentro la propria interiorità? Qualsiasi fosse la prospettiva però la destinazione risultava immutata, alla fine del percorso trovavano sempre Kim: fu solo comprendendo l’immensa preziosità e la stupefacente bellezza dei sentimenti del ragazzo che riuscirono a trovare delle vere risposte.
Lo so, questo concetto è stato troppe volte ripetuto nel corso della storia. Spero tuttavia che tu non ti stia annoiando, perché ti chiedo di capire pienamente i sentimenti dei tre fratelli.
Jason e Jodie non consideravano Kim un loro amico. No, la prospettiva era del tutto improponibile: egli era loro fratello.
     Il corvino fissava Kim mentre tutti gli antipasti gli venivano rubati con rapacità da un Goten duramente sgridato dalla madre. Non poté evitare un ghigno. Kim gli aveva insegnato ad amare, a fidarsi ciecamente e ad avere zelante cura degli altri: tutte cose reputate scontate tra fratelli.
Aveva però imparato una certa morale, e cioè che nulla al mondo è da considerarsi scontato. Quello che Kim provava per lui e il modo in cui lo rendeva felice era straordinario e talmente prezioso che non poteva permettersi di darlo per scontato: aveva paura che così facendo non avrebbe colto ciò che suo fratello significava per lui.
Non correva alcun legame di sangue fra di loro, ma questo è soltanto un dettaglio irrilevante in amore. Se ne rendeva perfettamente conto Jodie la quale adesso aveva una figlia.
     Chi poteva assicurare che un giorno lei non avrebbe tradito la fiducia di Marron? Che le avrebbe fatto del male? Che l’avrebbe fatta disperare? Lei era madre, ma doveva meritarsi questo appellativo. E’ assolutamente importante capire questo affinché l’amore possa essere sincero.
Jodie non poteva dare per scontato qualcosa di talmente importante come l’affetto della figlia o altrimenti come madre avrebbe fallito. Doveva prima rispettarla, crescerla ed amarla profondamente, essere sempre sincera con lei, sia nel bene che nel male, e infine avere fiducia in lei. Solo dopo avrebbe potuto considerarsi una vera mamma.
     Che non si veda un tale cardine dell’amore discostante dal concetto di fratellanza. Ecco perché ai due cyborg non importava nulla della presenza o meno di un qualche legame sanguigno con Kim. Che poteva significare mai un dettaglio così minuscolo se paragonato all’incommensurabilità dell’amore?
Niente, assolutamente niente.
L’uomo si fidava di loro, li rispettava e non permetteva mai alla sua sincerità di vacillare; desiderava la loro felicità, gioiva per i loro successi e provava un gran rammarico nei loro momenti di tristezza. Il suo era un sentimento genuino che non pretendeva nulla in cambio, ma era semplice estrinsecazione dell’ancestrale natura dell’uomo che porta ad amare incondizionatamente. E Kim amava, davvero tanto, e non c’era bisogno che lui lo dimostrasse – oh, non sarebbe un sentimento vero se dovesse costantemente ostentare rappresentazioni di sé – ma Jason e Jodie lo sapevano.
 
Grazie al fratello avevano acquisito la consapevolezza di essere amati.
 
E come si può decidere arbitrariamente di non ricambiare un sentimento, quando esso è così dirompente?
 
Fu così che prima che potessero rendersene conto nei loro fragili animi si azionarono dei meccanismi inconsci e talvolta inaspettati, e con il tempo si ritrovarono anch’essi ad amare.
     Tuttavia questo cosa significa, che se prima non si viene amati non si può amare a propria volta?
Certo che si può invece, e fu una sconvolgente sorpresa per Jason e Jodie avvedersi che ne erano la prova.
Dopo tanti anni non covavano più odio nei confronti del genere umano. Lentamente la furiosa ondata di rabbia che a partire dai loro nove anni li aveva sommersi impotenti, e fatti naufragare pochi anni più tardi in una baby gang cittadina, adesso si stava ritirando lasciando ad ogni sciabordio una fragile schiuma fiduciosa nel futuro, che sarebbe diventata infine fiducia nel prossimo e disposizione ad amare.
     Comprendere tutto ciò aveva permesso a Jason e Jodie di non isolarsi più, di riscoprire emozioni dimenticate da tempo come il piacere della condivisione o semplicemente dello stare insieme. In poche parole, capirono di essere finalmente vivi.
Cosa significa essere vivi? Bé, questa è una domanda che loro due e Kim si ponevano ancora adesso. Quello di vita è un concetto talmente bello e complesso che probabilmente non l’avrebbero mai compreso pienamente, tuttavia erano stati in grado di giungere a una conclusione.
Essere svegli nella realtà, e accorgersi delle cose. Ecco come ci si poteva davvero affermare di vivere
 
     Come quando butti un sasso in un limpido specchio d’acqua e, pur piccolo che esso sia, verranno a formarsi onde concentriche gradualmente più ampie: le consapevolezze che tutti e tre acquisirono e le sicurezze di cui si impossessarono avevano seguito il medesimo movimento. Da una prima, piccolissima, verità a un nuovo e splendente modo di vivere.
     Essere umano e essere cyborg. Perché mai fare una distinzione fra i due termini, quando ambedue sono semplici termini dello stesso polinomio?!
     L’obiettivo di tutti gli esseri viventi, qualunque fosse la categoria di appartenenza cui venivano attribuiti dal senso comune, era ineludibilmente uno: essere felice, e chiunque finiva per perseguire tale scopo, come i tre fratelli notarono.
Essi scoprirono che essere un cyborg aveva lo stesso significato di essere un umano. Avrebbero tentato di migliorarsi e di raggiungere l’ambita tappa della felicità, in una ricerca infinita, e levando le proprie vite dal vuoto dell’indifferenza avrebbero dato un senso al loro essere.
     Un nobile scopo dell’umanità, o almeno di una parte di essa, è aiutare chi ne ha bisogno a dare un senso alla propria vita. Per compiere una tale missione è però necessario trovare e custodire con gelosia una propria pace interiore: perché mai? E’ questa una diabolica forma di egocentrismo?
     Nient’affatto. Si tratta di un puro e costante bisogno di altruismo.
E’ questo – i nostri ragazzi lo capirono bene – ciò che contraddistingue coloro che subiscono passivamente il presente dai veri esseri viventi.
 
 
     Kim sollevò la tenera Marron da dietro e se la strinse al petto. << Ora che abbiamo finito le lasagne che ne dici se apri i regali? >> esclamò avviandosi già verso il centro del salotto.
La bambina, biondissima come la madre, accolse con gran gioia la proposta e iniziò a schiamazzare. << Sì, sì, i regali! >>
     Jodie si alzò con elegante delicatezza e con lo sguardo seguì l’uomo. Quanto lo stimava per la lucidità con cui pensava al suo passato! Egli non aveva perdonato Gelo e non lo reputava più suo padre, tuttavia riusciva a comprenderlo. E in fin dei conti anche lei e Jason.
Il dottor Gelo. Una delle tante vittime del male.
     Tutte le pietanze mangiate sino ad allora lo avevano già riempito e così Jason fu lieto di avere una buona scusa per sgranchirsi le gambe. Non evitò di mollare un pugno a John al suo passaggio, cosa che l’amico ricambiò, e si avvicinò alla nipotina.
Pensò a quanto divertente fosse vivere insieme a Kim, un fratello strambo ma geniale al punto da essere riconosciuto come scienziato sin da quando era giovanissimo. Ah, che strano e ironico senso di colpa provava quando si rendeva conto che per colpa sua e della sorella Kim aveva dovuto abbandonare il progetto a cui si dedicava da anni…!
Egli aveva provato a studiare il modo per trasformare dei cyborg in esseri umani. Era un progetto complicato e forse assurdo, ma prima che potesse giungere a una soluzione Jason e Jodie avevano impugnato una ferrea decisione.
A loro due essere cyborg andava benissimo.
     Il terzo compleanno di Marron si risolse in una giornata grandiosa. Gli invitati rimasero entusiasti e la piccola seppe esibirsi molto bene in un continuo fragore di urla e ghigni. Una risata contagiosa la sua, come sempre nei bambini, perché fu in grado di disegnare dei magici sorrisi sulle labbra di chiunque in un’unica e generosa pennellata di vitalità, ma indubbiamente i sorrisi più lucenti furono quelli sfoggiati da Jason, Jodie e Kim.
Dopo tanti anni, finalmente erano vivi.

































* angolo dell'autore


E purtroppo, tutto ciò che esiste al mondo prima o poi troverà una fine. Anche questa mia storia alla quale rimarrò sempre attaccatissimo :’)
 
Ok, da dove cominciamo? Sì. Anzitutto chiedo perdono se il capitolo è stato un po’ pesante… Spero di no, ma sono consapevole che potrebbe non essere dei più scorrevoli, per via dei concetti che ho voluto esprimere. E qui devo dire una cosa – della serie, cose che devo dire ora o mai più xD
Perché mi piace scrivere? I motivi sono molti, troppi, complessi. Uno dei tanti è che con la scrittura io posso essere completamente sincero con me stesso, e esprimere qualunque mio pensiero. Ecco perché ho voluto assolutamente ribadire determinati concetti nel corso di questa storia…
Che ne dite ora che tutto è finito, vi è piaciuto il mio Essere cyborg?? Ovviamente siete liberissimi di dirmi qualsiasi cosa, se cioè vi ha scocciato qualcosa della trama o simili non fatevi problemi a dirmelo :)
 
I temi che ho voluto affrontare? Bè, il primo che mi viene in mente è quello della baby gang: nessuno nasce cattivo. Poi l’amore fraterno, quello vero, la solitudine, la complessità di una famiglia dove si dicono troppe bugie ecc.. Mi è piaciuto tanto analizzare varie tematiche e vari personaggi… Il mio preferito, lo sapete, è Kim, e infatti è quello che ha sofferto di più, sia interiormente che fisicamente.
 
Dovrei stare qui in eterno a ringraziarvi, pensandoci bene. Devo ringraziare di cuore chi ha letto questa storia, chi ha sprecato il proprio tempo per incoraggiare me, un autore come altri di questo sito, perché se ho realizzato questa prima parte del mio sogno è anche merito vostro. Grazie a chiunque mi abbia recensito, infinitamente. Le vostre recensioni mi hanno fatto sentire importante, e fatto capire che stavo riuscendo nel mio tanto ambito desiderio. Sono stato incoraggiato con affetto e stima da individui che nemmeno conosco personalmente: per tutti questi motivi, grazie.
 
Ok, mi sto prolungando xD Un mio difetto forse è la prolissità :’) Vi chiedo scusa se non pubblicavo da cinque mesi, spero che il capitolo finale vi sia piaciuto!!
 
Prima di lasciarvi… Un ragazzo di cui mi è piaciuto molto il ruolo avuto è stato John, perché è apparso come un personaggio secondario ma si è rivelato fondamentale. Voi che ne pensate??
Un’altra parola secondo me la merita Alphonse: sapete, il legame tra un maggiordomo particolarmente fedele e il suo “signore” mi è piace molto da analizzare. Vabbè, forse da autore non ha molto senso che faccia certi commenti xD
 
Il titolo del capitolo "Essere cyborg" era in contrapposizione al secondo  "essere umano": era da allora che aspettavo di pubblicare l'ultimo capitolo con questo titolo :)
E così, sono tre anni e mezzo che sto scrivendo questa storia... l'ho cominciata che era giugno, e avevo appena finito il secondo superiore. Bè, ora sto al primo anno di università, e sto studiando ctf a Urbino. Città stupenda :) Davvero, non è passato giorno in questi tre anni che non pensassi ai miei personaggi, così cari e che tanto mi stavano cambiando.

Ok, ora vi lascio per davvero. Spero vivamente che la mia opera vi sia piaciuta.
Vi sarò grato per sempre per averla recensita e letta :)
Grazie a tutti voi di cuore!!!!


 
 
 
   
 
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