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Autore: Red_Coat    20/11/2016    3 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Mia dolce Hikari,

Spero tu stia bene.
È da tanto ormai che non ti scrivo più. Perdonami sai, ma ... non è stato esattamente un anno felice quello appena trascorso, e neanche i precedenti, pieni di ... morte, disperazione, e ... dolore.
Tanto ... tanto dolore.
Così atroce da riuscire perfino a farmi dimenticare chi sono.
Ora comunque sto bene, sono a casa, e
... sono vivo. Si, vivo. Anche se prima mi definivo un sopravvissuto. Ora invece posso finalmente dire di essere vivo, anzi rinato.
È stato ... tutto merito di Sephiroth.
Lui ... lui mi ha salvato. Gli sono così grato che ancora stento a crederci.
Ero morto, davvero morto. E Sephiroth mi restituito la vita. Con ... un po' della sua.
È un po' complicato da spiegare adesso, amore mio, ma lo farò quando saremo di nuovo insieme, sta tranquilla.
Per il momento sappi soltanto che ora sono libero, e posso amarti come avrei voluto fare da tempo.
Mi sono sempre chiesto, durante tutta la durata del mio esilio da te, se tu fossi stata in grado di obbedire alla mia richiesta di dimenticarmi e amare di nuovo.
Ho paura ... per questo. Una paura folle, che aumenta minuto dopo minuto, giorno dopo giorno.
Non riesco a liberarmene!
Tremo, e brucio di gelosia all'idea che un altro possa davvero toccarti, parlarti, stringerti, amarti! Anche se ... il pensiero di te che sorridi allevia un poco anche questa piccola sofferenza.
Ma non è abbastanza ... non più.
Io ti voglio, piccola. Qui, con me. Come la prima volta che ti ho vista al lago.
E domani ho deciso, verrò a prenderti, preparandomi al peggio.
Spero soltanto di riuscire ... a dimenticarti, se mai ciò che vedrò mi confermerà che non faccio più parte della tua vita ormai.
Prego ... affinché anche questo dolore non sia forte quanto quelli che lo hanno preceduto.
E nel frattempo spero che il dottor Fujita abbia ragione.
Non so se avrò mai il coraggio di spedirti tutte le lettere che ti ho scritto, né se riuscirò a dartele di persona.
Molto probabilmente anche questa finirà come le altre, dimenticate dentro un cassetto che non avrò mai più il coraggio di aprire.
Ma di una cosa sono certo: io voglio te nella mia vita, adesso.
E non come un ricordo, no. Ti voglio davvero, come quando decisi di dedicare la mia vita a SOLDIER e a Sephiroth, e domani verrò a dirtelo, qualsiasi sia la tua reazione, qualsiasi sia l'esito di questa missione.
Perché ora la mia vita ha bisogno di una svolta, di un nuovo cambiamento che possa davvero renderla degna di essere vissuta, e la mia occasione sei tu, tu sola. Lo sei sempre stata.
Con i tuoi sorrisi, i tuoi baci, le tue mani. Tu, con la tua anima innocente e dolce.
Ho bisogno di questo adesso, solo di questo, per guarire.
Amore.
Ne abbiamo bisogno entrambi.
Perché fino ad oggi non lo abbiamo mai neanche assaggiato.
Perciò aspettami Hikari, perché tra qualche ora mi rivedrai, e poi spero davvero di non doverti mai più dire addio.
Ti amo, da impazzire ...
A presto piccola. Molto presto.

Per sempre tuo,
Victor

***

Fa caldissimo oggi, sembra che Ifrit abbia appena lasciato la città dimenticandosi di spegnere le sue fiamme infernali.
Se chiudo gli occhi posso quasi sentire la sua asfissiante puzza di zolfo.
Non che sia una sensazione molto piacevole in effetti, ma mi basta aprire gli occhi e l'incubo svanisce, sostituito dalla realtà. Sorrido, mentre con le mani sprofondate nelle tasche dei miei come sempre strettissimi jeans bianchi mi ritrovo a camminare in mezzo alla folla, in una delle tante vie principali di Midgar, la mia città, diretto finalmente alla stazione.
Mi sono svegliato presto stamattina, dopo aver trascorso una notte intera a dormire.
Sono soddisfatto di me stesso, direi.
Per la prima volta in vita mia, stanotte ho fatto un bel sogno. Anzi, stupendo, in ogni più piccolo dettaglio.
Ho sognato di essere ancora con Sephiroth, ma non in SOLDIER. A dire la verità, non credevo neppure fosse lui all'inizio.
È stato così ... diverso. Strano, devo ammetterlo.
Molto ... molto strano.
Lui era un bambino, aveva forse otto o nove anni, se non addirittura dieci.
Eravamo soli nel buio, l'uno di fronte all'altro, e a braccia incrociate sul petto lui mi guardava, vestito con un semplice completo di pantaloncino e maglietta bianchi.
Era così piccolo, così ... gracile quasi. Ma nel suo sguardo ... esisteva già tutta quella forza di cui si è reso capace durante tutto il periodo di appartenenza a SOLDIER.
I suoi occhi gelidi ... mi scrutavano con la stessa forza e intensità che gli ho conosciuto in SOLDIER, e non c'era traccia di un anche minimo sorriso sulle sue labbra sottili.
Quel viso da bambino ... era così severo. È stato proprio questo a farmelo riconoscere.
Siamo rimasti così, a fissarci senza parlare per un bel po' di tempo. Credo anche ... di aver trattenuto il respiro. E di aver mantenuto un'espressione a dir poco ... beh ... da ebete, si. Penso sia la parola più adatta da usare, in questo caso.
Arrossisco. Me ne vergogno un  po', se devo essere proprio totalmente sincero.
Comunque alla fine sono ripiombato nel buio e nel silenzio di un confortevole sonno, fino a che, qualche minuto prima di svegliarmi non ho sognato Hikari.
Le sue labbra morbide, le sue mani dolci, i suoi occhi meravigliosamente verdi e il suo corpo stupendo, la sua pelle liscia e fresca. Ho sognato di abbracciarla, baciarla e amarla ... come la nostra prima volta, solo molto, molto più intensamente, e a lungo.
E una volta sveglio non ho potuto fare a meno di sorridere.
L'ho fatto mentre facevo la doccia, mentre mi vestivo scegliendo i miei migliori abiti casual e anche sorseggiando il mio caffè, seduto accanto a mia madre.
Penso abbia capito il motivo del mio buon umore, al contrario di mio padre che invece ha continuato a guardarmi interrogativo fino a quando non era sceso per andare a lavoro.
Erano le 9.15 del mattino.
Mezz'ora dopo sono uscito anche io, dopo aver fatto un po' di compagnia a mia madre e averla aiutata con qualche faccenda domestica.
Ho dovuto sbrigare qualche commissione prima di recarmi alla stazione.
Avrei voluto indossare il mio soprabito, mi sento spoglio senza di lui, come se mi mancasse qualcosa. Ma fa troppo caldo per la pelle, in questa stagione e qui in città, perciò ho dovuto rinunciarci. Anche se di notte la temperatura è un po' meno asfissiante, ma questo a me non interessa più ormai, no?
Un ghigno mi si dipinge sulle labbra, estraggo dalla tasca di dietro del pantalone il fedele pacchetto di sigarette e me ne accendo una stringendola tra le labbra e poi tra le dita, con l'accendino che ho nascosto al suo intento.
Non ho dimenticato la mia promessa.
Ma ora, nel frattempo, ho un'altra cosa da fare.
Scendo gli ultimi scalini e attraverso l'arco dell'ingresso alla stazione dei treni, proprio nel momento in cui uno di essi sta ultimando fischiando la sua rumorosa corsa sul primo binario.
Guardo l'orologio. Mancano dieci minuti alle 11:30, quindi questo dovrebbe essere il treno del dottor Fujita, ma lui non si vede. Attendo ancora qualche minuto scrutando la gente che scende e sale dai vagoni piuttosto pieni oggi, quindi concludo che non abbia fatto in tempo a prendere quello delle 10:30 e mi rassegno ad aspettare andando a sedermi su un tratto del basso muro che percorre tutto il restante cavalcavia del binario uno, sostenendo la ringhiera che si ricollega al sottopassaggio.
Sospiro, continuando a fumare, e nel frattempo mi guardo intorno assorto.
Sono tranquillo, ma ... impaziente. Non vedo l'ora di partire. Non starò via molto stavolta, solo il tempo di rivederla e dirle ciò che penso.
Però dovrò aspettare almeno un'altra ora, visto che a quanto pare il dottore è in ritardo, o magari sono stato io ad esserlo.
Non sto nella pelle al pensiero di stare per tornare al lago, a riprendermi quel Victor Osaka che ho lasciato alla stazione tempo addietro, quando Zack era ancora qui tra i vivi.
Certo, sono cambiate parecchie cose da allora. Ma è proprio per questo che sto andando a riprendermelo, perché è tempo che anche lui viva un po'.
Se lo merita, per la miseria! Ah, se se lo merita!

<< Signore! >>

Una voce mi riscuote dai miei pensieri. Anzi, una vocina.
È  dolce, tenera e vivace. Mi ridesto, e quando guardo davanti a me vedo un bambino, paffuto e mingherlino, che con una mano mi riscuote battendo qualche pacca sulla mia spalla.
Lo osservo per qualche attimo confuso. Ha ... qualcosa di famigliare.
Forse ... il sorriso, o ... non so.
Capelli neri, occhi neri e tratti vagamente orientali. È... davvero ... un bel bambino. Mi fa tenerezza. Non sembra uno di quegli orfani dei bassifondi, è troppo pulito e ingenuo per esserlo, ma neanche un Midgariano. Credo sia giunto con l'ultimo treno

<< Signore, mi ccusi. >> ripete, con quel leggero difetto di pronuncia che ora mi aiuta a immaginare anche la sua età

Non deve avere più di tre anni, o giù di lì. Sorrido, e spengo la sigaretta mezza consumata gettandola a terra e calpestandola con la suola dei miei vecchi anfibi. Quindi rispondo, più amichevolmente possibile

<< Hey, piccolo. Cerchi qualcuno? >>

Il suo visino pasciuto s'illumina ancora di più

<< Si. >> risponde << Sei tu Vittor Osaka? >>

Spiazzandomi.
Spengo il sorriso, lo guardo impensierendomi ma lui sembra non farsi spaventare, continuando a sorridere eccitato.
Annuisco

<< Si. >> dico titubante, mentre cerco di passare in rassegna tutte le più plausibili spiegazioni a questa situazione.

Che sia il figlio di una delle mie reclute? O un altro nipote del vecchio Eric? Mi guardo intorno, ma non vedo nessun volto conosciuto

<< E tu chi sei? >> gli chiedo quindi, facendomi coraggio e tornando a sorridere e a guardarlo
<< Keizii. >> è la sua risposta << Io e la mamma siamo venuti apposta dal lago per tovatti. >> aggiunge poi, voltandosi in direzione dell'ultimo vagone e indicando con il ditino della mano destra un punto lontano.

Ed è solo allora, alzando lo sguardo da quella parte, che la vedo.
Una ragazza, minuta ed elegante, avvolta in un prezioso e variopinto kimono azzurro, bianco e verde.
Ha i capelli di un castano chiaro raccolti in tre piccoli chignon sulla testa, legati per mezzo di alcuni nastri cremisi. Le labbra rosse leggermente curvate all'insù, e gli occhi, due piccole gemme verdi come l'erba fresca di un prato appena germogliato, radianti di felicità.
Una macchia di vita e colore, in mezzo al grigio e smorto squallore di Midgar.
All'istante il mio cuore smette di battere, e il tempo si ferma assieme al movimento rotatorio dell'intero universo.
Non ... non ci credo ... non ci posso credere!
Non può ... non può essere ... lei.
Mi alzo, lentamente, e a bocca spalancata continuò a guardarla mentre mi rivolge un sorriso arrossendo e continua scrutarmi, felice e quasi commossa.
Non ho idea di quanto tempo trascorro così, fermo a guardarla senza muovermi né provare neanche a respirare.
Non riesco a farlo, ho ... troppa paura.
Di svegliarmi, paura che sia solo tutto un altro sogno che presto svanirà come hanno fatto i due precedenti.
Poi però, all'improvviso qualcosa dentro di me scatta, e tutto ritorna a muoversi ad un'impressionante velocità però, stavolta.
Il cuore mi balza con una capriola in gola, il respiro ritorna con un singhiozzo e il treno riparte con un fischio mentre le mie gambe si muovono in avanti, verso di lei, senza che io possa più in qualche modo fermarle.
Hikari! La mia ... la mia Hikari!
Per la dea, non è possibile! Non ci credo!
Sto piangendo, le lacrime inondano il mio viso totalmente quando alla fine riesco a stringerla di nuovo tra le mia braccia, sollevandola in aria e ridendo, mentre le faccio compiere un giro per poi posarla di nuovo a terra e baciarla, con tutta la foga che ho nelle labbra, assaporando le sue e stringendola quasi temessi di vederla scomparire da un momento all'altro.
Ma non succede, per fortuna. Non svanisce.
Lei ... lei è qui, con me. È vera stavolta, e dio mio è così bello che non riesco a smettere di singhiozzare mentre continuo a baciarla, a toccare il suo viso, i suoi capelli e la stoffa che ricopre il suo corpo, adesso non più così minuto. È cresciuta, dio santo! E ... non mi ha dimenticato. Neanche per un secondo!
Lo sento da come anche lei mi stringe, mi sfiora il viso, mi bacia e affonda le mani nei miei capelli.
Stiamo piangendo entrambi quando finalmente ci decidiamo a staccarci, o almeno ci proviamo.
Smettiamo di baciarci, ma per qualche istante ancora rimaniamo stretti l'uno all'altra, e le nostre labbra si sfiorano di nuovo quando io, ormai senza più fiato e fuori di me dalla felicità, provo a rompere il silenzio con una domanda adesso fin troppo scontata:"Perché sei qui?".
Ma ... non riesco neppure a finire la frase

<< Piccola ... >> sussurro soltanto

Lei sorride e arrossisce, accarezzandomi le guancie umide con la vellutata e fresca pelle di entrambe le sue mani.
Non resisto. Dio, quando mi è mancato quel tocco! Quanto ... quanto mi è mancato, per la miseria!
Stringendola di più le sfioro le dita con le labbra, per poi passare alla pelle calda e morbida del suo collo. La sento rabbrividire mentre mi nutro del suo profumo inspirandolo a grandi sorsi, ma non protesta.

<< Hikari ... >> ripeto stringendola

Infine piangendo smetto di baciarla e la abbraccio, affondando il naso tra le pieghe delle sue vesti.
Lei mi accoglie, e con la testa sul mio petto lascia che i miei singhiozzi si sfoghino, accarezzandomi piano la schiena.
Hikari! La mia piccola Hikari! Dio mio, grazie!
Grazie, grazie, grazie! GRAZIE!
Vorrei cadere in ginocchio per quanto sono felice, invece continuo a sentirla sotto le mie braccia senza neanche volerne sapere di lasciarla.
Per diversi minuti stiamo così, a cullarci e coccolarci in silenzio nella stazione ormai nuovamente deserta, senza riuscire a smettere di lacrimare.
Poi ad un tratto la vocina del bambino torna a farsi sentire alle mie spalle, e finalmente riesco a riavermi, staccandomi di malavoglia da lei e tornando a guardarlo mentre esclama allegro

<< Hai visto mamma! Lo abbiamo tovato, evviva! >>

Mamma ...?
M'incupisco di nuovo, guardo il piccolo e poi di nuovo Hikari, che mi sorride, emozionata e serena.

<< Lui ... >> le chiedo, guardando prima lui e poi lei << è... >>

Ha ... un figlio?
Quindi, questo significa che ... i miei sospetti erano fondati.
Mi sento morire all'improvviso, come se la terra mi si aprisse sotto i piedi pronta ad inghiottirmi. Vorrei solo sapere chi ha osato sfiorarla?
Vorrei vederlo in faccia, quel bastardo!
Ma, prima che la rabbia possa cambiare la mia espressione stupita, lei solleva una mano verso di me, toccandomi il petto dove brilla il suo ciondolo, e quindi la porta a sfiorare il suo.
Ci metto un po' stavolta, a capire cosa significhi questo ...
Ma quando lo faccio, ancora una volta sento di non riuscire a respirare.
Sgrano gli occhi, spalanco la bocca, e stupito piego le ginocchia fino ad abbassarmi al livello di "Keizii".
Lui mi sorride, e lascia che lo guardi bene per qualche secondo per poi concludere, contento

<< Ziao papà. Lo tai che non vedevo l'ora d'incontatti? >>

...
P...papà?
Questo vuol dire che ... che io ... io sarei ... suo padre?
Ma ... come ... com'è...??
Non è possibile! Voglio dire ... quando ...?
Guardo Hikari, lei sorride annuendo. E io continuo a guardarli  entrambi, col cuore che mi scoppia in petto e la testa che gira come se fossi sulle montagne russe.
Ma com'è possibile che sia bastata quella volta, la sua prima volta oltretutto, a ...
...
Non posso crederci!
E soprattutto ... da quanto tempo io non lo sapevo?
Si, perché più lo guardo e più non ho bisogno di un test del DNA per capire che dicono la verità. Mi ricordo le mie foto da bambino, e lui ... mi somiglia. Ha un po' di me, e un po' di Hikari.
E ... credo di stare improvvisamente impazzendo di gioia!
Un figlio. Io ho un figlio, e ho lei! Io, che fino a poco tempo fa credevo di non avere più neanche la mia vita, ora ... ho tutto questo!
E d'improvviso non m'importa più di nulla, solo di stare con loro. Dovrei essere arrabbiato, perché Hikari mi aveva promesso di non cercarmi per nessuno motivo e di aspettarmi al lago come anche lei mi ricorda adesso, scusandosi.
Ma d'improvviso non me ne frega più niente, anzi le sono grato che lo abbia fatto, e nel dirglielo avvicino ancora le mie labbra alle sue e le sfioro piano, con un sorriso, accarezzandole le gote con le mani

<< Non importa. >> ripeto << Non importa più. L'importante è che siate qui. >>

Poi mi volto verso il bambino e prendendolo in braccio propongo, allegro

<< Allora, che ne dite di un gelato per festeggiare? >>
<< Siiiiiiii!!! >> esclama lui con un urletto eccitato per poi aggrapparsi al mio collo, mentre Hikari sorridendo radiosa batte le mani e poi mi si lega al fianco con le braccia attorno al mio, appoggiando la testa sulla mia spalla

Mi volto a guardare la stazione ormai vuota, i miei occhi scorrono tutto il perimetro in lungo e in largo mentre penso che stavolta davvero giocherò duro.
Mi sembra ancora un sogno, ma uno che comincia sempre più a tingersi di splendida realtà.
Li difenderò, mi prenderò cura di loro, e li amerò con tutto me stesso. Ci vorremo bene.
Perché sono la mia nuova vita, e io combatterò fino all'ultimo come nel migliore dei miei duelli per fare in modo che nessuno me la porti via.
Nessuno. Non lo permetterò, mai e poi mai a nessuno e per nessun motivo, soprattutto a questo schifo di sudicia, decadente, pericolosa e affascinante città!
Infine, insieme riprendiamo a camminare voltandoci verso l'ingresso della stazione, mentre ascolto le chiacchiere vivaci del bambino che affascinato scruta Midgar per la prima volta e guardo gli occhi della donna che più di ogni altra amo e amerò.
Tutto scompare, perfino le preoccupazioni per il nostro futuro e il pensiero di come farò a dire di loro alla mia famiglia. Non ha importanza, adesso. Non più.
Perché è qui che Victor Osaka ricomincia a vivere da dove aveva lasciato, qui e adesso, con loro.
Tutto il resto verrà da sé.

\\\

In piedi sul ciglio del marciapiede deserto, nascosto nell'ombra per evitare di disturbare Yukio Fujita guardò con gli occhi lucidi pieni di gioia la scena che da tanto tempo aveva sognato di poter vedere, di un Victor Osaka completamente in lacrime dalla felicità e una famiglia finalmente ricongiunta e felice. E non poté fare a meno di pensare alla sua dolce Manimi, divenuta ormai solo un ricordo nel suo cuore.
Attese che i tre fossero spariti oltre l'arco d'ingresso della stazione, quindi proseguendo lentamente nella stessa direzione iniziò a camminare verso casa Osaka, mentre calde lacrime iniziarono a bagnare le sue guancie rugose e inumidire il suo sorriso commosso.
Alla fine, era andata esattamente come aveva sperato. Anche se ... rimaneva il vuoto, lasciato da un sorriso colmo di contettezza che non avrebbe mai potuto vedere.
Così, mentre iniziava a salire le scale, chiuse gli occhi e cercò di immaginarselo, sperando invano che questo potesse bastare ad arginare il dolore.
"Manimi ..." pregò " Ora tocca a te. Proteggili, come hai promesso.
Io farò del mio meglio per aiutarti anche da qui. "

***

Quando Victor Osaka uscì di casa presto, quella mattina, Reno e Rude erano già nascosto a qualche portone di distanza, nell'atrio sudicio di un vecchio palazzo ormai abbandonato.
Non che fosse proprio il massimo come nascondiglio, ma Tseng non aveva fatto altro che ripetere loro "prudenza e attenzione" per quasi tutti i 15 minuti del loro colloquio.
I risultati dei tabulati telefonici avevano confermato ciò che i turks già sospettavano da tempo, ovvero che fosse proprio lui il famigerato combattente, e avevano anche rinforzato l'ipotesi che almeno il primo dei due omicidi compiuti l'ultima notte della loro investigazione sul campo fosse stato compiuto da lui, anche se Tseng aveva forti sospetti anche sul secondo.
Perciò, ora non restava che stargli alle calcagna aspettando quel passo falso che prima o poi sarebbe arrivato. Purtroppo per loro però, da quell'ultimo omicidio Victor Osaka aveva completamente cambiato rotta, e più passavano i giorni, più l'impazienza di Reno aumentava.
Usciva di giorno e rientrava al calar del sole, a viso scoperto e senza la benché minima paura di essere visto, evidentemente sicuro di sé. Inoltre, non era più tornato nei bassifondi e se si concedeva qualche passeggiata notturna prima di mezzanotte era solo per fumare una sigaretta in santa pace seduto al bordo della fontana.
Insomma, nulla di tanto sospettabile. Ma era una situazione talmente ridicola per Reno da fargli girare le scatole molto, molto velocemente.
"Merda!" pensò ora, mentre guardava attraverso l'occhiello del portone in ferro semi aperto

<< Continuo a chiedermi che diavolo stiamo facendo ancora qui, invece di mettergli le mani addosso! >> si concesse di mormorare a mezza voce, lanciando una rapida occhiata a Rude che se ne stava impettito nell'ombra ad ascoltarlo << È chiaro come il sole che prima del nostro arrivo se l'è spassata e adesso si comporta da bravo ragazzo per farci credere il contrario. >>

Ma, come al solito, il suo collega non si espresse, limitandosi a sbruffare in segno di approvazione aggiustandosi gli occhiali da sole sul naso. A quel punto Reno rialzò ginocchia e schiena da quella scomoda posizione e lo guardò dritto in faccia, corrucciandosi

<< Mi spieghi che te ne fai degli occhiali da sole se qui dentro c'è il buio più totale? >> chiese, sarcastico

Rude si sistemò il cravattino alzando il mento quasi fosse rimasto offeso da quell'affermazione e rispose, severo e quasi ovvio

<< Mi tengo pronto per quando usciremo all'aperto. >>

Allora il rosso scosse la testa e con un ghigno tornò a guardare oltre la serratura, schioccano la lingua e concludendo

<< Si certo, come no. >>

Poi però, all'improvviso si rianimò imprecando e spalancando la porta agitato, affrettandosi ad uscire

<< Merda, Rude! È uscito! Tu e i tuoi occhialacci luridi, lo perdiamo adesso! >> esclamò affrettandosi a raggiungere l'obbiettivo.

L'altro lo seguì senza ribattere, accodandosi alla corsa. Strano che il ragazzo non si fosse già accorto di loro, visto il baccano che continuavano a fare.
Comunque, riuscirono a riagganciarlo mentre scendeva le scale della stazione, e allora nascosto dietro a un muro di un vicolo cieco Reno riattivò la ricetrasmittente che aveva nell'orecchio e parlò

<< Tseng, sta venendo da te, scende ora le scale della stazione. >> poi ghignò << Forse ci siamo, finalmente. >>

Anche se era ancora più strano che non avesse preso le dovute precauzioni per proteggere il suo aspetto. Forse, pensò, era così  sicuro di sé da pensare di essere riuscito a scamparla.

<< Ricevuto. >> rispose il wutaiano dall'altro capo << Restate  dove siete ed attendete ordini. >>

Infine chiuse la conversazione. Il rosso trasse un sospiro, e voltatosi vide ancora una volta il collega che sbruffando si aggiustava gli occhiali sul naso.
Ghignò

<< La prossima volta ci pensi tu a pedinarlo,  >> lo sfidò << Voglio proprio vedere se riesci a farcela con quelli davanti agli occhi. >>

Rude sorrise, e accogliendo la sfida rispose

<< Ricevuto. Ci sto. >>

\\\

Tseng, nascosto dietro ad una delle colonne che sorreggevano la cupola d'acciaio che faceva ombra al marciapiede del binario tre, osservò senza battere ciglio il ragazzo che sbucava da dietro l'arco dell'ingresso e si guardava intorno, forse alla ricerca di qualcuno, per poi avviarsi verso il sotto passaggio.
Proprio in quel momento però, il treno delle 11.30 arrivò con dieci minuti di anticipo e coprì la sua visuale.
Senza scomporsi, attivò la ricetrasmittente e ordinò ai due colleghi di scendere a controllare da dietro l'arco d'ingresso

<< Prudenza. >> ribadì
<< Non preoccuparti, sappiamo fin troppo bene come si fa. >> rispose Reno, per poi chiudere e farsi risentire qualche secondo dopo, con una risposta stupita che ebbe l'effetto di fermargli il cuore all'istante
<< Ha incontrato qualcuno, Tseng! Una ragazza. Si, sono una ragazza ed un bambino! Che siano ... >> lasciò la frase a metà, per poi riprenderla subito dopo, sbigottito << È lei, Tseng? La ragazza dal quale siamo andati tre anni fa? >>

Non riuscì a rispondere. Per la prima volta in vita sua, il turk wutaiano si ritrovò a trattenere il fiato mentre il treno fischiava la ripartenza, e quando finalmente la visuale sul binario uno di di nuovo libera, quello che vide si mescolò ai ricordi, e il volto di Cissnei, la sua voce, tornarono a rimbombarli nelle orecchie come se le avesse appena udite

" Loro non hanno colpe, Tseng. Promettimi che li proteggerai, qualsiasi cosa accada. Lo farai? "

Non aveva ... saputo dirle di no. Anche perché non ce n'era stato il tempo. Subito dopo, lei si era fiondata all'inseguimento del nemico ed era stata uccisa, da quell'uomo che ora stava a pochi chilometri da lui e stringeva di nuovo la sua donna, piangendo di felicità.
Ebbe ... voglia di piangere, ma di rabbia. E ancora una volta ripensandoci si chiese perché. " Perché Cissnei? Perché mi hai fatto promettere questo? Lo sapevi che non potrò farlo per sempre. "

<< Tseng! >>

la voce di Reno tornò a scuoterlo nell'auricolare, mentre adesso di fronte a lui la scena di un padre che prendeva in braccio suo figlio cambiava totalmente tutte le carte in tavola.

<< Tseng, è lei? È quella ragazza? >>

Sollevò piano una mano verso la trasmittente, la attivò di nuovo e parlò, senza neanche rendersi conto di farlo

<< Si ... >> mormorò, sgomento << È lei. >>
<< Ma allora ... quel bambino è suo figlio! Non ci posso credere, quel bastardo ha un figlio! >>

Già...
Solo questo riuscì a pensare. E in un attimo i sogni di gloria, le speranze di riuscire a fermarlo svanirono vaporizzate da quella visione, dalla loro apparizione.
Da come si era comportato, capì che forse Victor Osaka non sapeva nulla del loro arrivo, che molto probabilmente era stata un'idea della ragazza e che ... adesso ... tutto si complicava.
Perché non poteva proprio fare finta che non esistessero, né ignorare la promessa fatta a Cissnei.
Inoltre ... lui non era meno vile di Victor, questo doveva ammetterlo. E dopo tutto ciò che era successo ... ad ogni azione seguiva una conseguenza, questo valeva per entrambi le parti.
Cosa sarebbe accaduto, se qualcuno avesse osato distruggere ciò che quell'uomo aveva ora miracolosamente ritrovato?

" Ricordati questa notte, turk. "

Forse ... qualcosa di ancora peggiore di quell'orrendo massacro a Nibelheim

" Ricordatela.
E ricordala anche al Professore,
se mai dovesse ancora avere voglia di cercarmi. "

Il fuoco sarebbe stato l'orrore meno cruento, se all'improvviso tutta quella gioia fosse stata rotta per causa loro.
E i colpevoli, chiunque essi sarebbero stati, avrebbero pagato caro e amaro quello sbaglio.
Quindi ... adesso ...

<< Tseng, che facciamo allora? >> la domanda di Reno venne a scuoterlo ancora una volta

E nell'alzare gli occhi verso il suo obbiettivo lo vide fermarsi per un attimo, con in braccio il suo bambino e stretta al fianco la sua donna, e voltarsi a guardarsi intorno, come se ancora una volta stesse cercando di trovare qualcuno. Solo, molto più cupa e determinata mentre scrutava prima verso la sua direzione, e poi verso l'ingresso della stazione, dove stavano dirigendosi insieme.
All'istante, il turk rabbrividì, e allora affrettandosi concluse, tornando a nascondersi dietro la colonna

<< Andatevene subito da lì, ci vediamo tra dieci minuti al quartier generale! >>

Ormai ... non ci sarebbe stato più nulla da fare, solo continuare a seguirlo e aspettare, sperando che non se ne accorgesse.
Anche se ... nessuno poteva garantirgli che non lo avesse già fatto.

 nessuno poteva garantirgli che non lo avesse già fatto

NDA: Sto piangendo. Vi avviso solo che sto piangendo come una bimba <3 <3 sono felice, li amo da morire.
*canta* più bella cosa non c'eeee!! Più bella cosa di teeee! Grazie di esistereee oh, yeah! ^O^ *w*

E si, Vic. Hai un figlio. Se fai certe cose così, senza protezione, sono cose che succedono u.u
Ah, questi uomini! XD
Well, aspetto commenti, e ora non vedo l'ora di sbizzarrirmi con le scene romantiche *_*

 

   
 
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