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Autore: azkaban    22/11/2016    4 recensioni
Gira la sedia verso la finestra per ammirare al meglio quella vista e memorizzarla nella mente. Oltre il buio della sua cella e qualche sprizzo di luce di qualche incantesimo non gli è permesso vedere nulla. Aspetta silenzioso che la Granger gli desse qualche spiegazione, invece rimane a guardarlo senza proferir parola. Aguzza la vista per riuscire a trovare la posizione del sole oltre le nuvole.
«Granger» la chiama, incrociando le gambe e continuando a fissare il cielo «In che mese siamo?»
Passa qualche secondo.
«Quasi metà Gennaio.»
Di sottecchi vede che si posiziona meglio sulla sedia e meccanicamente congiungere le mani. Un sgradevole pensiero passa nella mente di Draco.
«Di che anno?» sussurra, non volendo sentire la risposta.
Silenzio.
Sospira e si passa una mano sulla lunga barba.
«Chi ti ha mandato?» domanda distaccato, guardandola in viso.
Come intimorita, ritira le mani dal tavolo, le strige a pugno e si volta verso la finestra, interrompendo lo scambio di sguardi.
«Harry...»
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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La Granger in quei giorni continuava a fargli visita. Si chiudevano nella solita stanza spoglia che si affacciava al lago congelato circondato dai Dissennatori e lo tempestava di domande cercando qualcosa su cui appigliarsi per svincolarsi dalle accuse che il Ministero gli lanciò per rinchiuderlo ad Azkaban. Non sapeva da quanto tempo era rinchiuso, non sapeva se tutte quelle richieste, come conferme di uccisioni del Signore Oscuro e dei suoi tirapiedi, potessero realmente servire a qualcosa. Non sapeva se era conveniente sperare nel suo rilascio. In fin dei conti perché avrebbero dovuto farlo? Faceva parte di una delle famiglie più vicine al Signore Oscuro, era un Mangiamorte, era un assassino.
«Malfoy. Ascoltami.»
Sbatte le palpebre più volte per allontanarsi dai suoi pensieri, si volta verso di lei con sguardo spaesato.  Del sudore freddo gli scende lungo la nuca.
«Che hai detto?» domanda confuso.
«Ti ho chiesto: hai ucciso qualcuno nel periodo in cui eri sotto il comando di Voldemort?»
Si passa una mano sulla fronte togliendosi i capelli che gli ricadevano sugli occhi. Stringe le palpebre per togliere quella strana luce verde che sovrastava il suo sguardo. Li riapre notando che il suo avvocato non gli toglieva gli occhi di dosso.  Scuote la testa per riprendere lucidità.
«No?» sente chiedere.
Ma non risponde. Non vuole negare. Non vuole assentire. Non vuole rispondere. Così la fissa elevando un muro intorno al suo corpo. Esiste solo lui in quel suo piccolo spazio che si è creato. Nessuno può entrare, nessuno può uscire. Nessuna informazione del mondo esterno entra, nessuna informazione che possiede esce.
«Rispondimi, Malfoy.» dice autoritaria.
Rimane fermo, non si muove, non respira.
«Malfoy se vuoi uscire di qui devi rispondere alle domande che ti faccio! Devo sapere tutto per poi trovare una via d’uscita!»
Nessuna via d’uscita in quel posto che si è creato. Nessuno può entrare, nessuno può uscire. Nessuna informazione del mondo esterno entra, nessuna informazione che possiede esce. Continua a guardarla fissa, senza distogliere lo sguardo.
 
«Apri e fai subito irruzione, intesi?»
Annuì alle istruzioni del Mangiamorte per poi stringere maggiormente la presa nella sua bacchetta, mentre osservava gli altri quattro compagni.  Prese un grosso respiro e diede una forte spallata alla porta d’ingresso. Corse dentro, verso quella che sembrava la cucina, con il cuore a mille. Puntò la bacchetta ma non incontrò nessuno. Sentì dei passi veloci nelle altre stanze e nel piano di sopra. Forse nessuno era in casa. Forse hanno sbagliato giorno. Forse sarebbero tornati presto alla villa. Forse qualcuno si sarebbe salvato. Ma qualcuno doveva essere in casa: loro non sbagliavamo mai. 
«Ne ho trovato uno! Ne ho trovato uno!» urlò qualcuno in una stanza nello stesso piano della cucina.
Draco corse fuori in cerca di quel richiamo insieme agli altri Mangiamorte. Vide uno di loro trascinare dai capelli una signora sulla trentina.
«Io ne ho trovato un altro» disse infatti trionfante.
Si riunirono tutti in quello che era il bagno principale. Il Mangiamorte che urlò per primo aveva trovato l’uomo mentre si faceva un bagno. 
«Perfetto, eliminiamoli. Una famiglia di in meno.» disse quest’ultimo.
«Aspetta un attimo. Manca il figlio. Avevano detto che erano in tre.» notò un altro.
Si girarono tutti verso i coniugi, guardando prima l’uno e poi l’altro. 
«Draco e Tom setacciate la casa.» disse quello che doveva essere il capo del gruppo, mandando poi una Maledizione Cruciatus all’uomo all’interno della vasca da bagno.
«Eccolo qui il monello!» sentì dire dietro di lui. «Si era nascosto dentro la cassapanca del corridoio.»
Non poteva avere più di dodici anni e Draco si sentì gelare il sangue nelle vene. Gli venne sbattuto il ragazzino addosso e quasi non cadde per la paura. Quest’ultimo stava piangendo a dirotto, gli colava il naso e strizzava gli occhi per non guardarli. Lo trascinò con sé fino a che non si riunirono con gli altri. I genitori erano già stati uccisi. Il bambino urlò e cominciò a dimenarsi dalla sua presa quando vide i loro corpi privi di vita. 
«Draco falla finita tu. Mi danno fastidio le sue urla.»
Sgranò gli occhi e lasciò la presa del ragazzino. Approfittandone della situazione cercò di fuggire ma fu del tutto inutile, inciampò e cadde rovinosamente a terra vicino al corpo della madre. Un Mangiamorte mise le mani sulle spalle di Draco per farlo voltare verso quell’orfanello in preda ai tremori.  
«Prima poi dovevi farlo. Mica puoi stare al servizio del Signore Oscuro senza uccidere nessuno.»
Allo stesso tempo gli puntò la bacchetta dietro la schiena. Tutto era chiaro, qualcuno doveva morire: lui o quel bambino. Alzò tremante la bacchetta e guardò fisso quel corpicino accovacciato a terra che piangeva rumorosamente e non tratteneva i singhiozzi. 
Una luce verde illuminò la stanza.
 
 
«Devi fidarti di me!» gli dice risoluta.
Aggrotta le bionde sopracciglia, inclina leggermente la testa di lato. L’armatura ha una falla. Qualcosa può entrare e può uscire. Ma non una persona. Un’immagine sfuggente, troppo rapida gli passa davanti agli occhi e si posa sulla figura della Granger. Chiude gli occhi e scuote di nuovo la testa confuso, incredulo.
«Non capisco. Non me lo vuoi dire o non ti fidi di me?» domanda ancora.
Li riapre per guardarla.
«Fidati…» sussura la Granger, rivolgendogli uno sguardo dolce.
L’armatura crolla, cade pezzo dopo pezzo, si disintegra davanti ai suoi occhi. E in modo strano, quasi naturale, si lascia trasportare dalla sensazione di quello sguardo su di lui. Nessuno può mettersi in mezzo a loro due. Nessuno dei due può allontanarsi. Nessuno può toccarlo, nessuno può ferirlo.  Nessuno li può dividere. Che gli sta succedendo?
«Si. Più di una.»
Gli si irrigidisce la mascella a pronunciare quelle parole. Stringe i pugni sotto il tavolo. Ma non le toglie gli occhi di dosso. Si appiglia a lei, alla sua figura snella, al suo viso piccolo, ai suoi capelli raccolti in uno chignon, ai suoi occhi che non hanno cambiato espressione. Non è stupita, non è disgustata. Come se si fosse aspettata quella risposta. Non c’era niente da stupirsi in fin dei conti. E’ un Malfoy fino al midollo come gli hanno ripetuto sin da bambino.
«Dimmi di più. Chi erano, dove, come, perché, quando… tutto.» gli disse sempre impassibile, con la penna pronta a trascrivere ogni dettaglio.
Le racconta tutto con naturalezza. Come se l’avesse già fatto, come se avesse la sicurezza che non si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata. Le racconta che la prima persona che ha ucciso era un ragazzino di 11 anni appena ammesso a Hogwarts di nome Aaron Sullivan. Le racconta che insieme al Ministero avevano ordinato di dividersi a gruppi per uccidere tutti i maghi figli di babbani e famiglia. Le racconta che veniva chiamato più di due volte a settimana per fare irruzione nelle case e portare devastazione. Le racconta che era l’unico modo per sopravvivere, altrimenti l’avrebbero ucciso. Ed era tutto vero. Le elenca tutti i nomi che ricordava, tutti gli indirizzi, tutti i compagni di missione, tutte le procedure che aveva per torturarli. Tutto. Non trascura niente. Tutto all’improvviso è nitido.
 
Si smaterializzò alla Villa appena uscì da quella casa dei sangue sporco e l’unica cosa che voleva fare era togliersi quei vestiti di dosso. Si spogliò frenetico lasciando pezzi del completo per la sua camera, si precipitò in bagno aprendo l’acqua della doccia. Bollente, l’acqua doveva essere bollente. Si mise sotto il getto ustionante, poggiando le mani nelle mattonelle del bagno e abbassando la testa. Serrò gli occhi con forza cercando di focalizzarsi solo sullo scorrere dell’acqua. Caldo. Caldo. Caldo. Verde. Il ragazzino disteso a terra con gli occhi vitrei. La bocca schiusa. Le lacrime che continuavano a rigargli il viso.  Avada Kedavra. Caldo. Caldo. Caldo. 
Qualcuno bussò alla porta. Sbarrò gli occhi e si accorse che aveva il respiro affannoso. Le nocche delle mani coperte doloranti coperte di sangue. Aveva preso a pugni le piastrelle. Non seppe quando tempo era passato, ma si sentì debole, la pressione che si abbassava. I vetri della doccia erano appannati, il vapore dell’acqua bollente riempì l’intero bagno offuscandogli la visuale. Si poggiò con la schiena al muro della doccia, facendo cadere davanti agli occhi i capelli bagnati.   
«Draco?»
Non era suo padre e nemmeno sua madre. ‘No non entrare’, voleva dire. Ma non gli uscirono le parole di bocca. La maniglia si abbassò e la lunga figura scivolò dentro il bagno. Riuscì immediatamente a riconoscere la figura slanciata e la lunga coda di cavallo.
«Daphne esci. Non è il momento.» Le ante vennero aperte con forza. Si ritrovò a guardare dritto nei suoi occhi azzurri e lacrime cominciarono a scendergli lungo le guance senza controllo, sperando che la ragazza li confondesse con il getto d’acqua. 
«Ti hanno coinvolto in quelle nuove leggi del cazzo.» 
Non era una domanda. Lo sapeva cosa gli avevano costretto a fare. Daphne era stata chiamata settimane prima di lui.  L’acqua venne chiusa e una tovaglia gli circondò le spalle. Venne spinto fuori dal bagno e fatto sedere nel letto. Sentì la testa pesante ma non abbastanza da chiudere gli occhi per dormire. 
«Lasciami solo.»
«Io sono rimasta a mollo quasi una nottata intera nell’acqua ghiacciata la prima volta. Se non fosse stato per-»
«Zitta.» la interruppe irritato.
Si ricordava perfettamente quando aveva provato a togliersi la vita dopo aver ucciso un neonato di appena un anno.
Lui e Blaise l’avevano ritrovata a mollo in una vasca piena di ghiaccio, completamente nuda con il viso e le labbra bianche come ceramica, quasi morta. Rimase paralizzato sulla soglia, mentre Zabini ebbe il riflesso di prenderla in braccio per farla uscire dalla vasca per poi trascinarla verso il letto.  Tutto poi si accelerò di colpo: afferrò Blaise e si smaterializzarono nella sua camera; gli ordinò di prendere più coperte possibili, mentre prendeva di peso Daphne e la portava vicino al camino. Si sedette a terra con ancora la ragazza tra le braccia, con qualche colpo di bacchetta accese il fuoco, l’asciugò e con un incantesimo di appello prese una pozione che conservava nella stanza. Le scostò i capelli ancora umidi dal viso con mani tremanti, poggiò due dita sul collo sperando di non essere arrivati troppo tardi. Sentì un lieve battito e con il cuore a mille e le versò in bocca la pozione. Zabini riappare e la vestirono e coprirono più che poterono, mentre Daphne cominciò a riprendere colore. Un sospiro di sollievo sfuggì ad entrambi. Pronunciò qualche incantesimo puntando la bacchetta sul petto della ragazza che, dopo qualche secondo, spalancò gli occhi e prese grosse boccate d’aria. Li guardò, prima uno poi l’altro, per poi scoppiare a piangere divincolandosi dalla presa di Draco.
«Perché?! Perché mi avete salvato? Non capite, non capite che volevo morire… io voglio morire… ho… ho… oh mio dio… quel bambino… ho ucciso un bambino…» disse mentre cominciata a piangere rumorosamente e si torturava le mani. Draco e Blaise cercarono di calmarla cercando di cingerle un braccio intorno alle spalle o accarezzandole il viso, ma lei li allontanava prontamente continuando a gemere. Quella notte dormirono tutte e tre insieme nel letto di Draco.
Dei ricambi gli vennero messi tra le mani. Si guardarono a lungo negli occhi prima che lui cominciasse a vestirsi. Qualcuno gli curò le mani senza accorgersene.
«Finirà presto. Devi solo resistere e abituarti.» sentì dire.
Si voltò verso quella voce profonda e incontrò gli occhi neri di Blaise. Nelle mente gli passarono diverse immagini dell’amico seduto sul cornicione della terrazza; di diverse mani che cercarono di impedirgli di saltare, di veloci colpi di bacchetta e alla fine nuovamente la sua stanza, coricati nel letto, ma senza effettivamente dormire.
Non volle discutere. Si infilò sotto le coperte cercando di dormire. Cercando di non continuare a immaginarsi quel ragazzino gracile, i suoi occhi che si spegnevano, all’urlo soffocato dalla maledizione, a quella maledetta luce verde che usciva dalla sua maledettissima bacchetta. E sapeva benissimo che alla fine non rimase solo. Che quei testardi ragazzi continuarono a vegliarlo, che ogni tanto si scambiavano qualche parola. Che dopo ore, non seppe quante, si coricarono occupandogli entrambi i lati. E Draco in qualche modo si sentì protetto. 
   
 
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