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Autore: Red Owl    25/11/2016    1 recensioni
Una freccia; e Marai, principessa di Rocca del Vento, si trova a lottare tra la vita e la morte. Anche se lei ancora non lo sa, sarà quella stessa freccia a esaudire il suo sogno più segreto e a concretizzare il suo incubo più oscuro.
Una freccia; e Zeru, capitano della Guardia Reale, si vede costretto a fare un giuramento che non avrebbe mai voluto pronunciare e che lo lega alla principessa morente.
Insieme, i due dovranno affrontare i loro pregiudizi e le loro paure, perché solo uniti potranno vincere i fantasmi del passato e sconfiggere i nemici del presente.
***
NB. Più avanti il rating potrebbe cambiare, tenete d'occhio il colore del quadratino.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Abituato alla piccola cella dal rigore monastico nella quale era solito dormire, Zeru rimase quasi abbagliato dalla ricchezza della camera nella quale riposava Marai. Le pareti di pietra erano tappezzate di arazzi che, oltre a dare un tocco di colore all’ambiente severo, isolavano un poco il locale dalle intemperie. Il pavimento di legno scuro, rovinato dai molti passi che l’avevano percorso, era per gran parte ricoperto da tappeti di lana, spessi e caldi.

La principessa amava il rosso. Non l’avrebbe mai detto, prima di mettere piede in quella stanza. Se avesse dovuto scommettere, avrebbe pensato che le preferenze della fanciulla andassero ai colori tenui, al rosa, al bianco, al turchese: quell’esplosione di toni scarlatti e accoglienti era una sorpresa.

«Vuoi entrare o preferisci rimanere sulla porta?» le parole della robusta guaritrice che si affaccendava attorno a Marai lo riscossero bruscamente. Il capitano rivolse un’occhiata severa alla donna che, apostrofandolo in quel modo, dimostrava di avere ben poco rispetto per la sua posizione.

«Entro, naturalmente» replicò, sdegnoso. «Mi stavo solo chiedendo se l’aria non sia troppo secca, qui dentro: è marzo, è davvero necessario che il fuoco nel camino arda in quel modo?»

«Chiudi la porta» ribatté la donna, per tutta risposta. «La principessa deve rimanere al caldo, non può permettersi di prendere colpi d’aria o un raffreddore. E non preoccuparti per l’aria secca: la vedi, quella pentola? Serve appunto per mantenerla umida.»

Strega, pensò Zeru, eseguendo, non senza un certo fastidio, l’ordine impartitogli dall’arcigna guaritrice. Se non fosse stato per la sua straordinaria abilità nel curare anche le ferite più difficili, il soldato dubitava che Wenza sarebbe mai stata ammessa al castello: con la sua lingua tagliente e i suoi modi sgarbati aveva attirato su di sé più di un’antipatia. Arricciando le labbra in una smorfia disgustata, Zeru ricordò la sgradita occasione in cui una brutta frattura a una gamba l’aveva costretto ad affidarsi alle sue amorevoli cure: non era un’esperienza che aveva fretta di ripetere, quella.

«Come sta la ragazza?» chiese, allora, tanto per distogliere l’attenzione da sé.

«È viva e non è peggiorata: date le premesse, questo è già un ottimo risultato.»

Già, pensò il capitano, avvicinandosi al letto in cui giaceva la giovane. Wenza, che fino a quel momento era rimasta al fianco della principessa, si allontanò di qualche passo e prese ad armeggiare con una sorta di unguento giallognolo. Dopo un attimo di esitazione, Zeru si lasciò scivolare sulla sedia posta accanto al capezzale della fanciulla.

È ancora più pallida di come me la ricordavo, pensò, con una smorfia, esaminando il viso sottile di Marai. Malgrado quello che aveva detto la guaritrice, la principessa non sembrava passarsela troppo bene: i suoi occhi erano cerchiati da profonde occhiaie violacee, le labbra avevano perso ogni colore, le guance parevano scavate e i capelli erano sporchi e disordinati.

Il volto della ragazza era rivolto verso di lui e una ciocca chiara le lambiva il naso, tremando a ogni respiro lieve. Automaticamente, Zeru allungò una mano e lo allontanò dal viso di Marai, sfiorandone inavvertitamente la pelle con le nocche. Nell’avvertirne il calore, l’uomo sospirò e, spinto da un impeto di tenerezza per quella ragazzina che continuava a sembrargli tanto giovane,  percorse l’arco delicato di un suo sopracciglio con la punta di un dito.

Così fragile.

«Pensi che ce la farà?»

Nell’udire quella domanda posta a mezza voce, la guaritrice si strinse nelle spalle.

«È ancora viva» ripeté, continuando a trafficare con i vasetti trasparenti posti su un tavolo poco distante.

«Lo vedo» ribatté il soldato, lasciando che la sua mano scivolasse via dal volto della fanciulla addormentata e ricadesse sulla stoffa liscia del cuscino. «Ma ti sarai fatta un’idea, in questi giorni: credi che sopravvivrà?»

Wenza inspirò profondamente e, quando si voltò verso di lui, il vasetto di unguento stretto in una mano, nei suoi occhi glaciali Zeru lesse una concentrazione quasi analitica.

«Quando l’ho vista per la prima volta, credevo che non avrebbe superato la notte. Pensavo che Padre Tyban stesse solo perdendo tempo, cercando di curarla. Ma la principessa non è morta e, anche se non ha ripreso coscienza, la sua ferita…»

«Cos’ha la sua ferita?»

«Da’ un’occhiata tu stesso» replicò la donna, avvicinandosi al letto e tirando indietro la coperta che proteggeva Marai. La principessa era vestita molto meno di quanto l’etichetta avrebbe previsto; nonostante ciò Zeru sospettava che le brache di lino e la camiciola smanicata che indossava fossero una concessione al suo status: se la poveretta fosse stata una serva e non una principessa, avrebbe con ogni probabilità dovuto sopportare l’umiliazione di farsi vedere nuda in un momento in cui era tanto indifesa.

Wenza pareva ben lungi dal porsi i dubbi etici che in quel momento attraversavano la mente del soldato e sembrava anzi determinata ad affrontare la situazione con la sua abituale freddezza e professionalità. Deciso a non essere da meno, Zeru si sporse un poco verso Marai, ma quando la guaritrice sollevò la camicia della fanciulla, esponendo due strisce di pelle candida, non poté fare a meno di deglutire, leggermente a disagio.

«Sciogli le bende» ordinò la donna, con piglio militaresco. «Io ho le mani sporche di unguento, non voglio rischiare di impiastricciare le coperte: sarebbe già la terza volta.»

«Io?» chiese Zeru, accorgendosi un istante troppo tardi della stupidità della domanda.

«Sì, tu, capitano. Sei pur sempre suo marito, no?»

Per modo di dire, pensò l’uomo, maledicendo per l’ennesima volta il giuramento strappatogli dal sovrano e da Padre Tyban.

«Certo, è solo che…» Zeru si interruppe, scuotendo il capo. «Niente, lascia perdere.»

Con un sospiro, l’uomo si alzò in piedi e cercò il punto in cui la fasciatura che circondava il torso della ragazza era stata fissata con alcuni ganci. Non era la prima volta che svolgeva un’operazione del genere, l’aveva già fatto innumerevoli volte, quando aveva voluto controllare le ferite dei suoi soldati, eppure in quell’occasione quel gesto gli parve sorprendentemente intimo, quasi sconveniente. L’uomo si accorse suo malgrado di avere le mani sudate e pregò che quel particolare sfuggisse all’occhio di falco della guaritrice. Quando, non senza una certa difficoltà, riuscì però a rimuovere completamente la bendatura, la sua attenzione si concentrò interamente sul taglio scarlatto che attraversava il lato sinistro dello stomaco della fanciulla.

«Non avremmo voluto tagliare così tanto», disse Wenza, anticipando la domanda del soldato, «ma la freccia era penetrata con un’angolatura che non ci consentiva di fare altrimenti… non senza causare dei grossi danni, perlomeno.»

«Certo» annuì Zeru, piegandosi per osservare più da vicino la ferita. Era ancora decisamente arrossata e i punti ordinati con cui la guaritrice l’aveva ricucita erano leggermente gonfi, tuttavia… «Non sembra infetta.»

«No, sta guarendo bene» confermò la donna, approfittandone per ricoprire il tutto con uno spesso strato di unguento. «La principessa è stata sicuramente fortunata, considerato quanto tempo è passato dal momento in cui è stata colpita a quello in cui abbiamo rimosso la punta della freccia… se fosse sopraggiunta un’infezione non sarebbe più qui, probabilmente.»

«Mh. E non credi che la freccia abbia lesionato gli organi interni?»

Wenza scosse il capo: «Anche in questo caso, la ragazza non sarebbe vissuta tanto a lungo.»

La guaritrice richiuse il barattolo dell’unguento e con gesti precisi cambiò la garza e la benda che proteggevano la ferita, stringendo il busto di Marai in una nuova fasciatura. Poi sul volto della donna passò un’ombra strana e Zeru alzò lo sguardo su di lei, cercando di capire a cosa la turbasse: «Cosa c’è?»

«Prima ho detto che il fatto che le condizioni della principessa siano rimaste stabili è un buon segno: solitamente questo è certamente vero, ma in questo caso…»

«Avresti preferito che si fosse aggravata?» chiese Zeru, senza capire.

«Certo che no!» sbottò la donna, fulminandolo con i suoi occhi incredibilmente azzurri. «Ma se la ragazza non ha lesioni agli organi interni, se non ha la febbre, se non ha segni di infezione… perché non si sveglia? C’è qualcosa che le impedisce di riprendere conoscenza, qualcosa che non conosco: e quello che non conosco non mi piace, mi fa paura.»

«Forse è solo troppo debole» osservò Zeru, pacato, percorrendo ancora con gli occhi l’esile figura di Marai.

«Forse sì» mormorò la guaritrice, soppesando brevemente con lo sguardo la giovane che giaceva nel letto. Poi scosse il capo, come per allontanare un pensiero sgradito, e si riprese: «Bene, tu resta pure con lei, se lo desideri: io devo occuparmi della principessa Arina, adesso.»

«Come sta?» le chiese il capitano, tornando a sedersi.

Wenza scosse il capo: «È ancora priva di sensi, esattamente come lei. È stata colpita da due frecce, però; e le sue ferite non sono belle come quelle di Marai.»

«Capisco» sospirò Zeru, chinando la testa.

La guaritrice si congedò da lui con un cenno del capo e, quando fu rimasto solo, l’uomo prese le dita della fanciulla tra le sue. E così potresti farcela, ragazzina, pensò, giocherellando con le sue unghie arrotondate. Il pensiero suscitava in lui reazioni contrastanti: se, da un lato, la prospettiva che Marai potesse salvarsi e sopravvivere lo rallegrava, dall’altro temeva quello che il risveglio della principessa avrebbe comportato, per lui.

Non voglio certo che tu muoia, pensò ancora, percorrendo con il pollice il palmo della mano della ragazza, ma mi spieghi come farò a dirti cosa mi hanno costretto a fare? Avrai sognato un matrimonio felice e privo di ombre, tu, non di dover divorziare da un uomo troppo vecchio e troppo poco nobile. Non è una cosa da cui ti libererai facilmente, questa.

Mentre era immerso in quei pensieri, la porta si aprì e Zeru sobbalzò, lasciando ricadere la mano di Marai sul materasso. «Altezza» mormorò, alzandosi in piedi e poi chinando il busto in direzione del nuovo arrivato.

«Non scomodarti, capitano: sono solo venuto per ringraziarti… e per avere un po’ di compagnia.»

Il soldato sorrise e si spostò di lato, lasciando libera la sedia che aveva occupato fino a qualche istante prima, ma Spiro, fratello maggiore di Marai, si sedette sul letto, accanto ai piedi della sorella.

Se non fosse stato per i lineamenti delicati, sarebbe stato impossibile capire che i due erano imparentati: i capelli del principe erano scuri tanto quelli di Marai erano chiari, gli occhi di lui neri, quelli di lei azzurri come il cielo d’inverno – lui era il ritratto del padre, lei della madre.

«Come sta?» chiese il giovane, posando una mano sul piede della sorella.

«La sua ferita sta guarendo bene e non c’è alcun segno di infezione» spiegò Zeru. «La guaritrice dice che, se non ci saranno imprevisti, è possibile che si riprenda.»

Wenza non aveva detto proprio così, ma il volto del principe era talmente stanco e provato che l’uomo pensò che un poco di speranza non avrebbe che potuto fargli bene.

«Bene» sorrise infatti il ragazzo. «Questa è una buona notizia.»

Zeru esitò, incerto se chiedergli notizie della moglie o meno, quando Spiro lo precedette: «Come dicevo, volevo ringraziarti per quello che stai facendo per mia sorella.»

Il soldato non riuscì a trattenere un sibilo sarcastico: «Non potevo fare altrimenti, dal momento che, se sono riusciti ad arrivare a lei, è stato per colpa mia. Non avrei dovuto sottovalutare i Nati dalla Nebbia.» Rendendosi conto che le sue parole avrebbero potuto sembrare un po’ troppo brusche, l’uomo sospirò: «Non fraintendermi, mio signore, sposare tua sorella è certamente un onore, ma… ma è anche, perdonami il termine, una grandissima rogna.»

Spiro si lasciò sfuggire un’esalazione che assomigliava quasi a una risata: «Lo so, lo so: non ti conosco molto, capitano, ma immagino che la vita di corte si addica poco a un uomo come te.»

Come sono gli uomini come me? Fu tentato di chiedergli Zeru, incuriosito, ma si astenne dal farlo, temendo di risultare troppo invadente.

«Non sarà felice di scoprirlo, quando si sveglierà» disse allora, indicando la principessa. «Certamente aveva ben altri progetti per se stessa.»

«Marai?» chiese Spiro, sorpreso. «Oh, dubito seriamente che mia sorella avesse alcun progetto, in questo senso.»

Notando lo sguardo interrogativo del soldato, il principe si spiegò meglio: «Marai è sempre stata una ragazza un po’… particolare. È cresciuta, è vero, ma in un certo senso è un po’ come se fosse rimasta ancora una bambina: lo sai che il massimo della felicità, per lei, è passare ore e ore a dare la caccia ai goblin in giardino?»

Zeru non trattenne un sorriso: «Eh?»

«Sì» confermò Spiro, rivolgendo alla sorella un’occhiata carica di affetto. «Un paio di volte è anche riuscita a farsi mordere… Wenda ha cercato di spaventarla con la prospettiva di denti avvelenati e dita amputate, ma lei non si è mai lasciata impressionare. Forse è anche per questo che i miei genitori non si sono mai sforzati più di tanto per trovarle un marito: stanno aspettando che la testa si metta al passo con il corpo e diventi quella di una persona adulta.»

Inconsciamente, la mano di Zeru corse di nuovo a sfiorare il polso di Marai.

«Beh, ma in ogni caso…»

«La situazione è già abbastanza complicata così com’è, capitano: non preoccuparti anche della reazione di Marai. Sono sicuro che, al di là di tutto, quando si risveglierà capirà benissimo che non si poteva fare altrimenti. E, in ogni caso, credo che lei ti ammiri, sai? E la stessa cosa vale per me: se Gano non fosse morto, avrei voluto entrare nell’esercito.»

«E saresti stato un ottimo guerriero, ragazzo: da bambino eri estremamente promettente» sorrise Zeru, ricordando quando il suo Capitano gli aveva presentato il giovane principe, un ragazzino intelligente e agile come un gatto. Sarebbe stato un ottimo guerriero, sì, se la febbre non si fosse presa suo fratello, facendo ricadere su di lui il peso della corona.

«Ti ringrazio» mormorò Spiro, il volto pieno di nostalgia. «Sai, stavo pensando che, adesso che siamo parenti, potresti insegnarmi qualcosa. Quando avrai tempo, naturalmente, e quando Arina e Marai si saranno riprese: mia moglie ne sarebbe deliziata, dice sempre di trovare irresistibile un uomo che sa combattere.»

«Perché no» acconsentì il soldato, lasciandosi ricadere contro lo schienale della sedia, con un sospiro. Forse, pensò, i mesi a venire non sarebbero stati così terribili, se avesse avuto l’amicizia di Spiro e di Arina.

   
 
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