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Autore: MaDeSt    29/11/2016    5 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

GOODBYE

Le ore che seguirono quella discussione furono difficili per i ragazzi; la compagnia dei piccoli draghi dopo un poco cominciò a essere d’intralcio più che d’aiuto, perché le creature erano alla fine la causa di quello sconvolgimento nelle loro vite. Quindi tornarono presto tutti a casa.
Sapendo di non avere più molto tempo, Gerida era taciturna, come tutti gli altri, e cercava di non dare a vedere quanto soffrisse alla sola idea di lasciar andare la propria figlia all’avventura; avrebbe tanto desiderato poter andare con lei, ma sapeva che il villaggio avrebbe risentito della sua mancanza in quanto guaritrice. Le uniche che avrebbero potuto partire insieme ai giovani erano Moriel e Alena, le quali non avevano un preciso lavoro da portare avanti, mentre Jelena spesso aiutava il marito in negozio, o gli portava la farina dal granaio.
Ma entrambe le donne convennero infine che la loro presenza non sarebbe servita a molto ai ragazzi, al di fuori di poter essere due figure di riferimento: non sapevano dove sarebbero andati di preciso, gli Elfi avrebbero potuto non volerle - al contrario dei giovani che erano accompagnati da sei draghi - e a Eunev non era detto che avrebbero trovato un posto dove abitare, dal momento che la scuola, se ospitava, di certo non prendeva gente a caso dalla strada.

La notte stessa Cedric stava ancora cercando di prendere sonno rigirandosi il bracciale di sua madre tra le mani. Pensava tristemente a quanto in fretta immaginava che la sua famiglia si sarebbe abituata alla sua mancanza quando sentì un rumore al piano inferiore.
Non si era nemmeno cambiato, perché ancora non gli era venuto sonno, perciò dovette solo uscire da camera propria. Scese furtivamente le scale in ascolto, sentiva il rumore di un paio di stivali muoversi circospetto e immediatamente pensò ai soldati; gli parve strano che fossero tornati così in fretta, ma magari avevano un distaccamento non lontano dal villaggio. Oppure potevano essere dei ladri, dal momento che la casa era isolata, quindi era facile non essere scoperti; era un pericolo cui era stato abituato a prendere in considerazione anche da bambino.
Girata la curva delle scale poté guardare uno scorcio della sala nella penombra notturna, quindi si accorse presto che parte della sua visuale era oscurata dalla sagoma scura di un uomo. Non fece in tempo a reagire o a tornare indietro, quello lo prese e lo spinse giù dalle scale per poi dirigersi verso il camino mentre il ragazzo tentava di rialzarsi.
Qualcosa lo colpì con tanta violenza da spezzargli il respiro facendolo ricadere a terra, di nuovo, e ancora una volta, finché fu abbastanza stordito da perdere il conto. Ma era ancora cosciente e girandosi su un fianco per prepararsi meglio a subire i colpi riconobbe che si trattava di Jorel e a quel punto si spaventò, certo che avrebbe nuovamente cercato di ucciderlo. Ebbe giusto il tempo di capire che doveva impugnare uno degli strumenti del camino prima che la punta ferrata lo colpisse di nuovo, facendolo gridare per la prima volta.
Si costrinse a reagire prima che fosse troppo tardi, se avesse perso i sensi sarebbe certamente morto. Gli tirò un calcio all’altezza del ginocchio che lo fece indietreggiare prima che potesse colpirlo di nuovo, lo sentì imprecare e insultarlo, ma ebbe il tempo sufficiente di rialzarsi e sfuggire alla sua presa.
Non gli veniva in mente altro da fare se non uscire di casa e correre più veloce che poteva, ma non sapeva se andare dai draghi o da Susan. Non aveva tempo per pensarci, né di preparare il cavallo, e il villaggio era più vicino del bosco, l’avrebbe raggiunto e avrebbe potuto nascondersi prima.
Si schiantò di peso contro la porta trovandola chiusa esattamente come lui l’aveva lasciata, con la serratura bloccata e l’asse di legno abbassato, quindi con un po’ di ritardo capì che suo padre aveva trovato un modo alternativo per entrare in casa, con tutta probabilità la finestra in sala da pranzo che era la più ampia del piano terra. Si sentì prendere dal panico, perché aveva dato per scontato che Jorel avesse lasciato la porta aperta e invece ora si trovava con le spalle al muro e le chiavi fuori portata.
L’uomo comparve con passo pesante all’imboccatura del corridoio e lì rimase fermo per alcuni attimi, con una mano appoggiata alla parete e in attesa che gli occhi si abituassero all’ambiente più buio del precedente. Anche Cedric rimase fermo immobile a guardare la sua sagoma lievemente controluce, attendendo con terrore la sua prossima mossa. Sperò solo che la paura non prendesse il sopravvento lasciando la magia libera d’intervenire e potenzialmente peggiorare la situazione.
«Allora...» cominciò Jorel muovendo qualche passo «Hai intenzione di darmi una spiegazione o devo di nuovo minacciarti di morte? Quel drago verde, è tuo?»
Ora si era avvicinato tanto da portarsi a un passo dal ragazzo, il quale non rispose pensando solo a un modo per uscire da quella situazione; forse se avesse gridato svegliando Lily Jorel si sarebbe dato una calmata?
Dopo un poco l’uomo vibrò altri colpi, se possibile più forti dei precedenti, e alzò la voce: «E quello piumato? Sulphane? Cosa mi dici di quello, ce ne sono altri? Quanti sono?»
Cedric riuscì in parte a moderare i danni raccogliendosi contro la parete e tenendo le braccia sopra la testa, tremando ogni volta che il ferro incontrava le sue ossa, e sebbene Jorel continuasse a inveire e urlare non rispose. Non c’era motivo di dirgli più di quanto già sapesse, considerando come aveva reagito finora. Cercò anche di non gridare e riuscì a non piangere convincendosi di avere bisogno del massimo della lucidità, e una vista appannata dalle lacrime poteva fare la differenza. Non alzò mai la testa, nemmeno quando ebbe l’impressione che le sue ossa stessero alla fine per cedere e spezzarsi tanto gli facevano male.
Quando senza preavviso Jorel si fermò e smise di urlare per riprendere fiato.
«Cedric...» disse ora con voce bassa e roca, e il ragazzo si azzardò a guardarlo intimidito «Non te lo chiederò un’altra volta.»
Lui si guardò rapidamente intorno e si disse che una possibilità c’era quando l’occhio gli cadde sulla porta; non poteva uscire ma quell’asse pesava parecchio, se fosse riuscito a sollevarla e usarla a proprio vantaggio... Tornò a guardare Jorel per tenerlo d’occhio e lentamente si spostò verso la porta.
«Te l’ho già detto, non so di che cosa parli.» sussurrò con voce flebile cercando di prendere tempo, e intanto cercò di usare le pareti dell’angolo per riuscire a rialzarsi. Poi lentamente portò la mano sinistra alla porta e raggiunse l’asse. Vi si aggrappò con tutte le forze sperando che il suo piano funzionasse.
Jorel scosse la testa in una smorfia che l’altro non poté vedere nel buio e ribatté: «Sì, l’hai già detto. E non ti credo. Quindi...»
Aveva alzato il braccio e non c’erano dubbi, stava per aggredirlo di nuovo. Perciò Cedric si sbrigò ad afferrare l’asse con entrambe le mani e non seppe dire dove trovò la forza di sollevarla e tirarla addosso all’uomo; deviò in parte il suo colpo e lo fece barcollare all’indietro perché l’aveva colto di sorpresa. Non perse tempo e scattò superandolo e lasciando il corridoio per poi salire le scale incespicando, ma costringendosi a rimanere concentrato sulla fuga. Non aveva tempo da perdere per cercare la finestra aperta dalla quale Jorel era entrato, ma era certo invece di poter trovare aperta la propria.
Sentì Jorel gridare di nuovo ed ebbe un tuffo al cuore, ma se non altro se l’era cavata senza l’aiuto della magia. Per ora. Entrò di corsa in camera e sentì Lily, ormai sveglia, uscire da camera sua avendo realizzato che suo padre apparentemente era tornato e quindi voleva dire che stesse bene. La bambina corse incontro all’uomo per abbracciarlo e questo lo rallentò, dando invece a Cedric il tempo di chiudere la porta della propria camera a chiave, mettersi gli stivali e usare la finestra per uscire, come qualche notte prima.
Non si curò nemmeno di calarsi con calma, sentiva suo padre gridare fuori di sé e insultarlo senza sosta, in quelle condizioni era quasi certo che avrebbe potuto correre più veloce di lui e raggiungerlo. Non volle pensare alle conseguenze se ciò fosse avvenuto, balzò giù dal piano rialzato e rotolò in mezzo alla neve lamentandosi del dolore, ma si costrinse a rialzarsi e cominciare a correre, non si guardò indietro perché sapeva che Jorel avrebbe presto cominciato a seguirlo. Pensò che cercare riparo al villaggio alla fine sarebbe stata la scelta migliore in ogni caso, altrimenti probabilmente i draghi - soprattutto Smeryld - avrebbero ucciso Jorel per proteggerlo e risolvere il problema alla radice.
Cercò di sviarlo continuando a infilarsi in vie a caso, per non fargli capire subito dove fosse diretto. Quando lo sentì troppo vicino decise d’inoltrarsi in uno di quegli spazi tra le case dove lui stesso faticava a passare: Jorel non sarebbe mai riuscito a seguirlo lì, avrebbe dovuto fare un altro giro. E Cedric ne approfittò per riprendere un attimo fiato, col cuore in gola per il terrore e il corpo che a modo suo protestava per lo sforzo. Poi si decise a riprendere la corsa e questa volta dirigersi direttamente verso casa di Susan su una delle isole a ovest, sperando che suo padre ne ignorasse l’ubicazione.
Bussò repentinamente alla porta sussurrando il nome della ragazza con ansia e guardandosi spesso intorno per paura di veder comparire l’uomo da un momento all’altro. Lo sentiva talvolta fare il suo nome seguito da un’imprecazione o da un insulto. I colpi che dava alla porta, sebbene relativamente lievi, riverberavano per tutta la lunghezza del braccio facendogli male.
Questo non lo fermò e continuò a battere ripetutamente la porta col palmo aperto sussurrando tra sé in continuazione: «Vi prego aprite.» sapendo di non poter fare troppo rumore; il villaggio a quell’ora di notte era silenzioso, se lui poteva sentire Jorel fare il suo nome, l’uomo poteva quasi certamente sentirlo bussare alla porta se insisteva con troppa forza.
Ma alla fine sentì dei lievi passi nel corridoio e Jelena aprì, con aria assonnata e frastornata e una coperta di lana che l’avvolgeva. Cedric la guardò incredulo e si lasciò sfuggire una debole e acuta risata isterica, mentre alle spalle della donna comparve anche Deren spalancando meglio l’ingresso.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese l’uomo con fare burbero ma decisamente stanco.
«Vi prego fatemi entrare.» disse Cedric in un sussurro appena udibile.
I due si guardarono perplessi negli occhi indecisi sul da farsi, quando sentirono la voce di Jorel non molto distante e vedendo il terrore negli occhi del ragazzo capirono che qualcosa non andava. Perciò Jelena si fece lentamente da parte e il marito afferrò Cedric per trascinarlo dentro, richiudendo poi la porta senza fare rumore.
Il giovane tremava senza controllo, probabilmente anche per il freddo dal momento che era uscito senza giacca né mantello durante una nevicata e a quanto pareva era pure caduto in più di una spanna di neve fresca. Non la smetteva di ringraziarli con voce flebile stringendosi le braccia attorno al corpo. Nel buio il sangue non si vedeva, ma Cedric era certo di esserne ricoperto, ricordava vagamente di aver visto la neve più scura dopo essersi praticamente lanciato dalla finestra.
Susan scese le scale stropicciandosi gli occhi, avendo sentito poco prima i genitori uscire sbuffando dalla loro stanza, ma appena realizzò di avere davanti Cedric esclamò il suo nome sorpresa.
Lui si volse di scatto a guardarla e ribatté con fare implorante, sempre a bassa voce: «Piano! Non deve sentirti!»
La ragazzina annuì confusa e lo assecondò abbassando la voce: «Chi? Cosa ci fai qui? Stai bene?»
«I-io... no non... non credo. È che...» tentennò coprendosi gli occhi con una mano, come cercando di cacciare dalla propria mente ciò che era successo.
Jelena sospirò paziente e sussurrò: «Cerca di calmarti, sei al sicuro qui. Rilassati e dicci cosa sta succedendo.»
«Vieni.» disse Susan prendendogli una mano per condurlo al tavolo a sedersi.
Lui si ritrasse con uno scatto e disse: «Non toccarmi.»
«Va bene! Va bene.» disse subito lei alzando entrambe le mani in modo che fossero bene in mostra.
«Mi... mi dispiace di aver disturbato, solo che... non sapevo dove altro andare, se non da loro... dai draghi.» continuò lui.
«È tutto a posto, cosa succede?» gli domandò preoccupata, perché aveva l’aria di aver visto un fantasma.
Deren controllò dalla finestra che nessuno avesse visto o sentito nulla, ma Darvil pareva avvolto in un manto di silenzio, dunque richiuse le persiane.
«Jorel... Credevo di nuovo che mi avrebbe ucciso.» rispose incerto.
Susan sussultò: «Ma lui è da Mos!»
Cedric scosse la testa con scetticismo e ribatté freddo: «A meno che non mi sia preso a sprangate da solo, credo che ti stia sbagliando!»
«D’accordo, adesso cerca di stare tranquillo.» gli disse sperando di riuscire a sembrare rassicurante «Probabilmente verrà a cercarti qui, ma non gli diremo nulla. Non preoccuparti.»
Non l’aveva mai visto così spaventato, non era nemmeno in sé. Continuava a lanciare delle mezze occhiate alla porta come temendo che suo padre potesse sfondarla da un momento all’altro, tremava, e il fatto che rifiutasse qualsiasi tipo di contatto le rendeva difficile pensare a come tranquillizzarlo.
«Portalo di sopra.» disse Jelena alla figlia, ed entrambi la guardarono sorpresi, quindi proseguì: «Se Jorel è per strada adesso, probabilmente hai ragione e verrà qui. Sarà meglio fargli credere che lui non ci sia e che stiamo tutti dormendo.»
Cedric scosse la testa e protestò a disagio; non aveva pensato al dopo, si era semplicemente diretto nell’unico posto in cui aveva sperato di trovarsi al sicuro. Si era aspettato che non l’avrebbero cacciato di casa, ma non si era preparato per passare il resto della notte sotto lo stesso tetto.
Susan fece schioccare la lingua sul palato un paio di volte e scosse la testa sorridendogli: «Credi davvero che sarà un problema? Mi hai tenuta in casa tua per settimane! Questo è il minimo che possa fare per ricambiare, hai capito? E ora sali.» con un cenno della testa lo invitò a salire al piano superiore per primo, e lui obbedì titubante. Deren fu l’ultimo a percorrere le scale buie.
Al secondo piano c’erano solo due stanze e un ripostiglio. Jelena diede loro stancamente la buonanotte ed entrò nella propria stanza seguita dal marito, mentre Susan guidò Cedric nella sua e richiuse la porta. Lo invitò a occupare il letto ma lui scosse energicamente la testa, giustificandosi col fatto che probabilmente non avrebbe dormito comunque. E ad ogni modo, si disse, avrebbe rifiutato di occupare il letto di qualcun altro a priori.
Quindi Susan prese dall’armadio tre coperte e gliele mise tra le braccia dicendo: «Almeno vorrai evitare di sederti sul pavimento di legno, sì? Mettiti dove ti pare, sotto al mio letto o nell’angolino laggiù, scegli tu. Va bene?»
Annuì piano: «Va bene.»
Gli sorrise e fu tentata di abbracciarlo, ma si ricordò appena in tempo che non voleva essere toccato. E poteva capirlo, se per davvero fosse appena stato preso a randellate. Non riusciva a immaginare cosa volesse dire, né come un genitore potesse essere tanto crudele. Scosse la testa e preferì non pensarci; Cedric era probabilmente solo spaventato e malridotto, ma stava bene, e presto non avrebbe più dovuto nemmeno pensarci perché sarebbero partiti e sarebbero rimasti lontani dal villaggio probabilmente per mesi.
Si sdraiò a letto dandogli le spalle, immaginando che così facendo l’avrebbe fatto sentire più a suo agio, senza sentirsi addosso il suo sguardo, e cercò d’imporsi il sonno profondo e spensierato di diversi minuti prima.
Proprio quando credette di essere sul punto di addormentarsi lo sentì domandarle in un sussurro: «Perché sei tanto gentile con me?»
Credette di esserselo immaginato, le suonava piuttosto sciocca come domanda, ma voltandosi nel letto per guardarlo scoprì che non si era mosso da come l’aveva lasciato in mezzo alla stanza.
«Non capisco cosa intendi dire.» gli rispose, e davvero non capiva «Non ti riservo un trattamento speciale, se è questo che temi.»
Eppure riflettendo su quelle ultime parole dovette segretamente ricredersi; era abituata a essere gentile con chiunque lo meritasse, ma qualcosa in lui la spingeva a esserlo ancora più del solito. Forse le brutte situazioni in cui si era ritrovato già più di una volta da quando si erano conosciuti.
Rimembrò le parole che le aveva detto Ilion una volta che avevano parlato da sole, secondo cui doveva andare piano con lui, doveva riabituarlo gradualmente a sentirsi amato da qualcuno perché aveva passato l’ultima metà della sua vita ricevendo solo odio e rancore.
Notando che lui non sembrava trovare il coraggio di ribattere e teneva lo sguardo basso gli chiese: «Ti dà fastidio?»
Cedric tornò a guardarla scuotendo piano la testa e infatti disse: «Non è fastidio.»
«E allora cos’è? Per me è normale.»
«Per me no. Tu non hai idea di chi io sia, vero?»
Susan girò gli occhi: «Se ti riferisci a quelle brutte voci sì, lo so. Non sto dicendo che tu non sia strano, credimi sei strano forte. Ma non mi hai ancora dato occasioni per ritenerti così mostruoso, sei solo... molto strano, appunto.» non se la sarebbe mai sentita nemmeno in condizioni normali di usare la parola ‘Pazzo’ davanti a lui, e più che mai l’avrebbe usata in quel momento. Inoltre, al contrario di molte altre persone al villaggio, lei credeva più nelle sue stesse parole di poco prima che a quell’unica parola a dir poco indelicata.
Il ragazzo le sorrise solo per un attimo, poi tornò alla sua aria pensierosa e ribatté: «Devi scusarmi se ti sono sembrato così... fuori di me, ecco.»
«Non c’è nulla da scusare, avrai avuto paura immagino.»
«Sì, ma... non è quello. Insomma, è da un po’ che non...» girò gli occhi e sospirò spazientito perché non sapeva come esprimersi «Ho la testa tra le nuvole ultimamente, non ho pensato a... il mio tè, ecco.»
«Se vuoi lo abbiamo anche qui.» disse, sorpresa che il problema fosse tutto lì.
Ma lui scosse la testa: «Non sarebbe lo stesso, scommetto che le erbe di cui ho bisogno non le hai mai nemmeno viste. In realtà non ne ho bisogno, è solo che...» s’interruppe, cambiando idea all’ultimo; Susan si era dimostrata gentile e paziente, ma non era ancora certo di volerglielo dire davvero. Perciò sospirò e disse: «Credo di averti tenuta sveglia abbastanza, scusami.»
«Non è un problema...» cominciò.
Ma lui fermò la discussione interrompendola e dicendo con fermezza: «Grazie ancora.» per poi voltarsi e andare a stendere le coperte sul lato della stanza opposto al letto della ragazza.
Lo guardò interdetta, con occhi sgranati, ma non disse una parola di più. Invece quando lui si fu sdraiato dandole le spalle anche lei si volse guardando nuovamente la parete e cercò di prendere sonno, ma dopo quella breve chiacchierata le fu molto più difficile.
Sentirono Jorel passare molto vicino alla casa tuttavia senza bussare alla porta, perché non voleva disturbare nessuno degli abitanti, eppure in quel breve frangente di tempo Susan si volse a guardare Cedric che ancora le dava le spalle, mentre il ragazzo quasi smise di respirare per rimanere in ascolto.
A loro insaputa, entrambi rimasero svegli in silenzio a fissare la parete davanti ai loro occhi per più di un’ora, prima che Susan cedesse finalmente il passo al rinnovato sonno. Al contrario lui rimase sveglio molto più a lungo senza riuscire a chiudere occhio per paura di risvegliarsi e scoprire di non aver mai lasciato casa sua, o peggio ancora di non risvegliarsi affatto.

La mattina dopo Susan lo trovò fermo nella stessa posizione che ricordava avesse preso prima di addormentarsi, tremava ancora e sembrava abbracciarsi da solo, ma soprattutto a quanto pareva alla fine aveva anche lui ceduto alla stanchezza. Lo sfiorò per destarlo cercando d’ignorare i brutti lividi, le lesioni e il sangue che aveva sulle braccia - probabilmente perché si era difeso - e a quel tocco il ragazzo si svegliò di soprassalto, facendole fare un balzo indietro per lo spavento. Si guardarono negli occhi a lungo, poi Cedric si riebbe e le chiese scusa. Susan annuì e gli propose di scendere a fare colazione, ma lui disse di non avere fame.
Non volle insistere e se ne andò per mangiare, decisa ad andare a portare la pessima notizia anche agli altri col permesso di Jelena; avrebbe anche controllato dove fosse Jorel, e in caso fosse stato a lavoro l’avrebbe detto a Cedric cosicché lui avrebbe potuto prendere alcune cose da casa sua per il viaggio.
Appena finito di mangiare risalì in camera per vestirsi - mentre Cedric guardava appositamente la parete davanti a sé per non farla sentire in imbarazzo - e poi uscì di casa diretta a nord per avvertire prima Layla.
Quando la ragazza aprì la porta di casa Susan dovette raccontarle in breve cosa fosse successo e Layla trasalì inorridita. Ma appena il racconto fu terminato disse di voler andare ad avvertire Emily, e Susan annuì dicendo che avrebbe parlato con Mike e Jennifer. Se ne andò suggerendole di stare all’erta e, in caso vedesse Jorel, di farglielo sapere.
Layla, dopo aver riferito la notizia della loro imminente partenza a Emily, la guardò a lungo negli occhi e lei ricambiò, sapendo che quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero viste da lì a qualche mese. Alla fine si abbracciarono forte trattenendo le lacrime, Layla si scusò per ciò che stava accadendo, ben sapendo di non poter fare nulla per impedirlo. Poi si staccò da lei con decisione, sicura che se fossero rimaste abbracciate un attimo di più non sarebbe riuscita ad andarsene.
«Vado a dirlo agli altri. Partiremo questa notte.» disse con voce flebile e lo sguardo a terra, tirando su col naso un paio di volte.
«Certamente. Fate buon viaggio e augura a tutti buona fortuna da parte mia. Chissà, magari quando tornerete mi farete vedere qualche trucchetto di magia!» esclamò l’altra ostentando una finta allegria, ma le sorrise dolcemente e le diede un buffetto sulla guancia «Non fare così, ci rivedremo presto.»
Layla annuì e sorrise a sua volta guardandola negli occhi, poi si decise a voltarle le spalle e corse via. Emily rimase a guardarla allontanarsi per un po’, ma quando Layla si girò per vedere se fosse ancora in mezzo alla strada non la vide, e sentì un peso al petto conscia che da quel preciso istante i loro mesi di lontananza sarebbero cominciati.
Susan si fermò a casa di tutti per annunciare che sarebbero partiti entro sera o al massimo all’alba del giorno successivo, gli ultimi a cui lo disse furono Andrew e sua madre. Quando la donna chiese il perché di quel momento preciso la ragazza si limitò a dire che Jorel non doveva incontrare Cedric nemmeno per sbaglio.
I genitori dei ragazzi quindi presero zaini e bisacce già preparati il giorno prima per controllare che non mancasse nulla, mentre Cedric - dal momento che suo padre era apparentemente tornato dal medico - non si fece alcun problema a prendersi l’arco e le cose che si era guadagnato nel periodo in cui aveva sostituito l’uomo a lavoro; non dovette nemmeno preoccuparsi di essere visto, perché Lily era a casa da Ilion e lì sarebbe rimasta finché lui o Jorel fossero tornati a casa.
Nel pomeriggio andarono a cercare i draghetti per dirgli di trovare i Gatti Ferali e far sapere a loro che erano pronti per partire, così mentre i piccoli draghetti correvano nella Foresta - o planavano nel caso di Zaffir e Ametyst - i sei ragazzi tornarono indietro per assicurarsi che le ultime cose fossero a posto.
Cenarono, poi Cedric andò a preparare i cavalli portandosi dietro le sue cose da legare alla sella, gli altri si vestirono e si assicurarono per l’ultima volta che non mancasse nulla. I padri di Layla e Jennifer, come anche il padre di Susan, dovettero salutare le figlie in casa, perché la mattina dopo si sarebbero alzati presto e quindi dovevano andare a letto. Le madri invece dissero di voler accompagnare i figli fino alla fine. Si vestirono e uscirono.
Andrew e Moriel rimasero sorpresi e atterriti nel trovare Umbreon seduto davanti alla porta; la donna trattenne un grido acuto che avrebbe potuto allertare il vicinato, il ragazzino invece scosse la testa e gli si avvicinò rapidamente in punta di piedi.
«Cosa fai qui?!» sussurrò angosciato «Come sei arrivato? Sei stato visto? Perché non mi hai detto nulla?!»
Non mi ha visto nessuno Andrew, la notte mi copre ribatté il draghetto impassibile I Gatti sono pronti e vi aspettano alla nostra tana, ero venuto per avvertirti ma ho sentito che stavate uscendo.
«Ma cosa ti è saltato in mente? È pericoloso per te girare per il villaggio!» sospirò «E se dovessero vederci insieme?»
Non succederà lo rassicurò Io sentirò il pericolo ancor prima che possa avvicinarsi, e mi nasconderò.
Annuì poco convinto e gli disse di camminare il più possibile all’ombra delle case, perché sebbene fosse notte la terra era innevata e illuminata da due enormi lune. E i suoi occhi brillavano di un rosso sangue piuttosto vivace, che da lontano poteva essere scambiato per un insolito scintillio di un rubino. Poi fece cenno a sua madre d’incamminarsi e il terzetto si mosse rapido e silenzioso tra le vie deserte di Darvil.
Andrew sapeva che il villaggio gli sarebbe mancato anche per quei pochi mesi; le botteghe assalite da gente vociante, i bambini che giocavano allegri tra i vicoli, le risate delle ragazze più mature che parlavano dei loro primi amori, i sorrisi e i racconti dei vecchi che raccontavano le loro passate esperienze. Fu preso dalla nostalgia, soprattutto quando pensò a sua madre dicendosi che sicuramente gli sarebbero mancate persino le sue eccessive e maniacali attenzioni.
Umbreon lo guardò dal basso, percependo tutto ciò. Camminava al suo fianco e cercò d’indagare a fondo ciò che il ragazzino provava; non conosceva ancora quelle emozioni, ma riusciva a capire che per lui si trattava di un momento difficile.
Mordicchiò affettuosamente la sua mano destra, senza fargli male, solo per attirare la sua attenzione. E ci riuscì, Andrew lo accarezzò piano e gli sorrise pensando che fosse impaziente di scoprire nuovi luoghi, di conoscere il mondo. Era solo un cucciolo, nato da un paio di mesi, aveva ancora molto da vedere.
Anche io si disse Vedrò cose che nessuno a Darvil avrebbe mai creduto possibili.
Hai già visto non uno, ma ben sette draghi, di cui uno adulto. Ci hai visti nascere. Non sarà poi così comune immagino gli disse Umbreon.
Ha ragione. È triste che per vedere il mondo debba abbandonare tutte le mie certezze... e guardò sua madre che camminava alla sua sinistra con gli occhi bassi e un’aria affranta Prima o poi questo momento sarebbe arrivato comunque.
Cosa ti affligge tanto?
Andrew si portò l’indice alle labbra e sussurrò: «Non è il momento Umbreon.» sperando che sua madre non sentisse.
Non c’è bisogno che parli, puoi pensare. Tu pensi, io ascolto.
Posso già comunicare con la mente? si chiese sbalordito.
Le nostre menti sono unite ora, tu senti ciò che penso e provo io, e io sento ciò che pensi e provi tu. Ma non riesco a capire quello che provi, potresti spiegarmelo?
Andrew si prese solo un attimo per riflettere; il suo drago aveva diritto di sapere cosa provava, come aveva già pensato prima aveva ancora molte cose da imparare. E lui aveva il compito di insegnargli, se l’era preso nel momento in cui aveva deciso di farlo nascere e di crescerlo. Perciò durante il tragitto s’impegnò al meglio per spiegargli perché si sentisse così, e come si sentisse. Fu difficile anche per lui indagare le proprie emozioni; un’emozione non si poteva spiegare a parole. Ma il loro legame non era fatto solo di quelle, e Andrew bene o male ormai lo sapeva.
Impiegò così tanto che alla fine giunsero al punto in cui tutti gli altri si erano già riuniti, fuori Darvil, a metà strada tra il grande ponte e il bosco; i cavalli erano pronti e i draghi sedevano sulla neve poco distanti, le tre donne e i cinque ragazzi stavano chiacchierando tristemente.
Le madri di Jennifer, Layla, Susan e Andrew li avevano accompagnati fino a lì cercando di sollevare l’umore dei figli, anche se l’ultima delle quattro era incapace di trattenere le lacrime, mentre le altre facevano il possibile per mostrarsi forti anche davanti a una situazione tanto dolorosa.
La guaritrice si era portata dietro una borsa a tracolla che poi, sorprendentemente, passò a Jennifer; era la stessa borsa in cui lei aveva tenuto nascosto l’uovo rosso di Rubia quando pensava che fosse solo una strana pietra, e che successivamente si era portata sempre dietro.
Guardò la figlia con occhi lucidi e le sorrise dolcemente: «Questa è tua. Dentro ci sono alcune garze, delle fiale, piante essiccate, un paio d’aghi e del filo. Inoltre ti ho lasciato un piccolo quaderno in cui spero riuscirai a prendere nota delle stravaganti piante che probabilmente incontrerai dagli Elfi, in quella Foresta... chissà, potrebbe essere piena di piante magiche.» lanciò uno sguardo timoroso agli alberi che sembravano vicini tanto erano alti, poi tornò a posare gli occhi marroni in quelli della figlia: «Se vorrai farlo, mi piacerebbe davvero molto poterlo sfogliare quando tornerai a casa.»
La ragazzina si mise in spalla la borsa guardando la madre e trattenendo a stento le lacrime, un pesante nodo le serrava la gola impedendole di ringraziarla a parole, dunque la strinse forte a sé e cercò di frenare i singhiozzi che la scuotevano sempre più spesso.
Anche la madre di Layla aveva qualcosa per lei, non utile quanto le erbe guaritrici di Jennifer, ma un oggetto a cui teneva molto. Mise una mano sulla spalla della figlia e con l’altra le passò una sottile catena cui era legato un pendente a forma di spicchio di luna adagiato su una croce, in argento e madreperla.
«Te ne faccio dono come mia madre ne fece dono a me. Spero possa proteggerti da ogni male e sventura in questo lungo viaggio, mia piccola stella.» le disse con voce flebile, sorridendole amabilmente.
«Tu sei la mia luna...?» domandò Layla con gli occhi annebbiati dalle lacrime.
La donna scosse lievemente la testa: «Io sarò tutto ciò di cui avrai bisogno, quando ne avrai bisogno. Se dovesse capitarti di sentirti sola non dimenticare mai che io e tuo padre ti ameremo sempre, qualunque cosa succederà, e che attenderemo il tuo ritorno.»
«Grazie mamma.» sussurrò la ragazza, poi aggiunse con voce lamentosa: «Mi dispiace tanto... non voglio andarmene!»
«Non lo vorrei nemmeno io tesoro mio, ma temo che gli ultimi eventi che ti hanno riguardata ultimamente ci avrebbero separate comunque, presto o tardi... creature magiche, magia, e il rischio che il nostro villaggio venga invaso... Se non per il nostro bene, ci stiamo separando per il bene del villaggio. Vieni qui.» disse infine, e la strinse in un forte abbraccio, sentendo che separarsi sarebbe stato ancora più doloroso dopo quel gesto.
Infine la ragazza si asciugò le lacrime e si allacciò la fragile catenella al collo, accogliendo con un brivido il fresco dell’argento sulla sua pelle.
La madre di Andrew si fece avanti e mise nelle mani del figlio un sacchettino di pelle sussurrando: «Questo è tutto ciò che posso permettermi di darti... spero possa aiutarvi a trovare una sistemazione a Eunev o ovunque andrete. Mi mancherai tantissimo...» la sua voce era piena di dolore.
«Anche tu mi mancherai molto mamma.» rispose lui abbracciandola di sua iniziativa, affondando il viso nella massa di capelli scuri in disordine e assaporandone il buon odore.
La donna ricambiò il gesto: «Vorrei che tutto questo non fosse capitato proprio a voi... tornate presto, sani e salvi. Tutti.» guardò Umbreon negli occhi e mentre si asciugava le lacrime gemette: «Prenditi cura di mio figlio, giovane drago. È tutto ciò che ti chiedo, una volta che tutto sarà finito riportamelo a casa.»
Umbreon annuì, ma non s’insinuò nella sua mente per risponderle, voleva che l’ultima persona a parlarle fosse suo figlio, che stava per abbandonare.
La madre di Susan stava abbracciando forte la figlia, profondamente addolorata di doverle dire addio dopo aver avuto tanta paura di perderla per sempre e averla invece ritrovata.
La baciò augurandole buon viaggio, poi rivolse a Cedric un’occhiata carica di sofferenza e gli disse con la voce rotta dal pianto: «Ti sei preso cura di lei quando siamo venuti a mancare, ti prego abbine cura anche ora.»
Il ragazzo annuì e mascherando il disagio rispose in un sussurro: «Lo farò.»
Quindi Jelena guardò la piccola Sulphane e le rivolse un sorriso triste: «E anche tu. Ti prego, fai tutto ciò che puoi per tenerla al sicuro. Tornate a Darvil sane e salve, insieme.»
La draghetta come Umbreon annuì, le ali piumate che toccavano terra perché colta dallo sconforto sia della donna che di Susan, e alla fine si lasciò sfuggire un mugolio di dolore.
Gerida abbracciò Mike e gli disse che avrebbe portato la notizia a entrambi i suoi genitori appena fossero tornati, per non farli stare troppo in pensiero. Dopodiché s’inginocchiò e accarezzò prima Rubia e poi Zaffir strofinandogli una mano sui corti colli.
Passarono diversi minuti prima che le famiglie si decidessero a separarsi a malincuore, ma alla fine le quattro donne volsero loro le spalle - solo per spingerli ad andarsene senza guardarle in viso - e quando tutti e sei i ragazzi e i draghi si furono allontanati si volsero di nuovo, guardandoli partire verso la scura Foresta in cui mai avrebbero voluto che entrassero. Ma non potevano fare nulla per cambiare le cose, e con questa consapevolezza si rassegnarono al fato.

  
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