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Autore: Ortensia_    30/11/2016    1 recensioni
[ IN SOSPESO ]
Kageyama Tobio, vent'anni appena compiuti, una retta universitaria da pagare e una madre isterica di cui prendersi cura. La sua monotona esistenza subisce uno scossone dal momento in cui incontra un ragazzino dai capelli arancioni che sostiene di essere uno shinigami.
Inizialmente rifiuta di credergli, ma essendo lui stesso un essere soprannaturale comincia a pensare che possa esserci un fondo di verità nella sua confessione.
Quel che Kageyama non sa è che gli esseri come lui sono molti altri e che anche loro riceveranno presto visite dal regno dei morti.
[ Superheroes!AU; coppie e accenni all'interno; fonti di ispirazione: Marvel!Universe; Death Note; Psycho-Pass (non è necessario essere fan della Marvel o consocere gli anime citati per seguire la fanfiction) ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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III


Vento di guerra sulle teste dei reietti




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S h i b a t a   p r e f e t t u r a   d i   M i y a g i



    Per la prima volta in tutta la sua vita, Kageyama si ritrovò a considerare la possibilità di avere doti telepatiche. Nemmeno era capace di dare una definizione di “telepatia”, sapeva di cosa si trattava solo a grandi linee e pertanto non sarebbe mai riuscito a spiegare a parole un fenomeno simile, tuttavia avvertiva una strana sensazione, come se – volente o nolente – fosse entrato in simbiosi con il ragazzino pazzo del vicolo.

    Nonostante non conoscesse quel ragazzino e lo avesse visto per un brevissimo lasso di tempo, Tobio si sentiva sempre più legato a lui. Era convinto fosse ancora dietro la porta di casa sua, ad aspettarlo; era quasi certo di poterne rilevare la presenza in ogni momento, come se riuscisse a sentirlo pur senza l'ausilio di suoni o di particolari odori.

    In cuor suo, Kageyama sperava si trattasse soltanto di un presentimento dettato da una suscettibilità recondita, ma forse l'istinto aveva ragione. Ciò di cui era certo, comunque, era che non aveva alcuna intenzione di alzarsi dal letto e uscire dalla propria camera.

    Immerso nella penombra, osservava la plafoniera spenta nel silenzio più assoluto, la testa sul cuscino, le mani congiunte sul petto e la gamba sinistra leggermente piegata. Si potevano cogliere soltanto il movimento lento e regolare del suo petto e il sibilo sottile del suo respiro.

    Kageyama chiuse gli occhi per qualche secondo, poi increspò le labbra e le protese in una piccola smorfia, sospirando rumorosamente. Pensò al ragazzino pazzo davanti alla sua porta, poi a sua madre che strofinava un canovaccio umido e profumato sul tavolo di cucina, già pulito e lucido da ore.

    Dovevano essere le sedici e trenta – lo sapeva perché non molto tempo addietro aveva sbirciato la sveglia digitale –, quindi mancava ancora qualche ora prima che fosse costretto a uscire per andare a lavorare, ma questo pensiero non fu sufficiente a distogliere la sua attenzione dall'immagine fissa del ragazzino con i capelli arancioni. Forse era meglio andare a controllare, altrimenti avrebbe trascorso l'intera giornata in preda ai tormenti.

    Scoprire che oltre la porta che lo proteggeva dal mondo esterno non c'era nessuno lo avrebbe aiutato sicuramente ad affrontare con più facilità la monotonia e l'apatia.

    Kageyama sospirò ancora, poi lasciò scivolare entrambe le gambe lateralmente e si mise seduto. Rivolse una rapida occhiata alle forme spigolose della finestra chiusa, fumosa oltre le sottili tende arancione chiaro: non c'era il sole, ma la luce sprigionata dal cielo bianco era davvero molto forte.

    In quel momento rimpianse moltissimo la decisione di fumare la Winston Blue di ritorno dall'università. Ne aveva molto più bisogno in quel momento, e se lo avesse saputo l'avrebbe conservata più che volentieri.

    Tobio uscì da camera sua qualche minuto più tardi. Attraversò in fretta il corridoio centrale, una smorfia fissa in viso a causa del frastuono dell'aspirapolvere proveniente dal salotto, poi, arrivato all'ingresso, aprì la porta senza indugi, sicuro che non avrebbe trovato nessuno – d'altronde il ragazzino pazzo poteva essere solo frutto della sua immaginazione.

    «Kageyama! Finalmente!»

    Le dita di Tobio furono attraversate da uno spasmo, una scossa leggera che le distese e poi le costrinse a impugnare con più forza la maniglia.

    «Devi ascoltarmi, Kageyama! È pericoloso!» era ancora il ragazzino pazzo, che adesso gesticolava e strepitava di fronte a lui come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Probabilmente non riusciva a mettersi nei suoi panni, mancava di empatia, difetto che poteva confermare realmente il suo essere pazzo.

    «Vattene,» Kageyama sibilò, già pronto a chiudere la porta «non ho tempo da perdere dietro alle tue fesserie.»

    «Kageyama!»

    Tobio sentì i nervi della fronte pulsare a fiori di pelle: non riusciva a sopportare la voce acuta e leggermente stridula dell'altro, lo faceva sentire quasi soffocato, oppresso, come se una forza invisibile gli stesse impedendo ripetutamente di fare qualcosa di assolutamente legittimo e innocuo.

    Kageyama spinse la porta in avanti, ma trovò immediatamente una forza opposta di una potenza tanto inaspettata che, almeno in un primo momento, gli fece perdere il contatto dei piedi sul pavimento.

    «Se ti trovo ancora qui» sbottò, i denti stretti, i muscoli delle braccia tesi e duri «giuro che ti ammazzo. E adesso» Tobio inspirò con forza, inarcò ulteriormente la schiena e fece leva sui piedi, riuscendo finalmente a chiudere la porta «vattene!»

    Restò fermo per qualche secondo, gli occhi chiusi, i piedi puntati saldamente a terra, le spalle leggermente sollevate e le braccia distese lungo i fianchi, le dita delle mani raccolte in due pugni tremanti.

    Quel ragazzino, Hinata, aveva nelle proprie braccia molto più forza del previsto. Che provenisse davvero da un altro mondo? Tobio aprì gli occhi e guardò il pavimento: magari gli aveva detto così perché era un po' stupido, ma ciò non escludeva che potesse essere in possesso del cromosoma Z proprio come lui.

    Avrebbe fatto bene a cacciarlo via, se lo avesse trovato nuovamente di fronte a casa sua? Questo si chiedeva Tobio, le labbra increspate verso il basso, contratte in una smorfia di tristezza, le palpebre leggermente abbassate, gli occhi vuoti ancora rivolti al pavimento lucido.

    Si voltò lentamente, pochi istanti dopo, e si sorprese nel trovare sua madre che, in fondo al lungo corridoio, lo fissava con le mani bianche strette attorno a un canovaccio bagnato. A quanto pareva il suo breve diverbio con Hinata era servito a distoglierla dalla pulizia per qualche minuto, ma la tristezza nello sguardo di Kageyama non scomparve, anzi si intensificò non appena la donna rientrò in salotto senza dire una parola. Il rumore dell'aspirapolvere tornò a martellargli le orecchie pochi istanti più tardi.


❋ ❋ ❋


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S h i n j u k u   p r e f e t t u r a   d i   T o k y o



Sugawara non avrebbe dovuto farlo, ma in quel frangente sentì che abbassare le serrande per qualche minuto lo avrebbe aiutato a restare tranquillo e a capire con più facilità ciò che stava accadendo.

    Shimizu era rimasta seduta al bancone e lo aveva osservato per tutto il tempo, il quaderno nero poggiato sulla superficie di marmo scuro.

    «Beh...» Koushi esitò, sedendosi accanto a lei con cautela «mi sarei aspettato qualunque tipo di cliente, ma tu... sei davvero uno shinigami

    «Per rispondere a questa domanda ho bisogno di sapere che cosa intendi tu per shinigami, Sugawara-san.»

    Sugawara scrutò Shimizu e restò in silenzio per qualche istante, pervaso dalla speranza che per shinigami intendesse qualcosa di diverso da quello che aveva immaginato lui.

    «Gli shinigami sono una divinità della nostra mitologia e personificano la morte» mormorò senza smettere di guardarla: come poteva una ragazza così graziosa personificare qualcosa di tanto orribile?

    «Non c'è un solo shinigami,» la vide annuire appena «e tutti sono in qualche modo collegati alla morte. Ad esempio, se non ricordo male, ce ne sono alcuni che ti fanno desiderare il suicidio.»

    «Questa è la concezione mitologica. La morte avviene per cause naturali, per mano altrui, propria o per tanti altri motivi, ma posso assicurarti che non è legata in alcun modo all'esistenza degli shinigami, quindi puoi stare tranquillo.»

    «Menomale» Koushi tirò un sospirò di sollievo, per poi forzare le labbra in un sorriso: era liberatorio sapere che quella visita non aveva nulla a che fare con la morte, ma le informazioni ricevute non erano sufficienti perché potesse tranquillizzarsi del tutto.

    «Sugawara-san?» la vide chinare leggermente il viso, gli occhi bassi e le guance leggermente arrossate mentre sistemava una ciocca corvina dietro l'orecchio destro. «Potrei avere un altro tè alla rosa? Era...» borbottò imbarazzata «era davvero molto buono.»

    Koushi sbatté le palpebre un paio di volte, sorpreso da quella richiesta, poi si rialzò e tornò dietro al bancone.

    «Non c'è problema, Shimizu-san, ma mentre lo preparo potresti spiegarti meglio su quello che intendi per shinigami

    Shimizu annuì, riprendendo a parlare non appena l'altro mise l'acqua in ebollizione.

    «Non viviamo qui.»

    «Per “qui” cosa intendi?»

    «Sulla terra. Viviamo altrove, ma possiamo vedervi e conosciamo molte cose riguardo la vostra cultura, in effetti credo sia per questo che ci definiamo shinigami e pensiamo al posto dove viviamo come una dimensione in cui confluiscono le anime dei morti.

    La cosa più importante è che siamo connessi a voi e che anche noi abbiamo dei poteri.»

    «Poteri?» Sugawara volse le spalle alla teiera metallica e tornò a fissarla. «Tu cosa... cosa sai fare?»

    Shimizu aggrottò leggermente la fronte, per poi voltare il viso verso l'uscita del locale, come se avesse temuto che le serrande fossero state nuovamente sollevate.

    «Shimizu-san, se non vuoi non sei obbligata a‒» appena la vide indicare qualcosa, Sugawara ammutolì.

    «Sugawara-san, quello ti serve?»

    «Mhn?» Koushi voltò leggermente il viso, soffermandosi per qualche istante su un boccale di vetro che non usava mai perché venato. «No» mormorò appena, senza riuscire a staccare gli occhi dal boccale.

    Pochi istanti dopo, la crepa sul vetro si ingrandì. Con uno scricchiolio fastidioso, il boccale perse la sua forma e divenne un cumulo di frammenti luminosi in bilico sul bordo della mensola.

    Sugawara restò immobile, le labbra appena schiuse, contratte in un'espressione incredula.

    «Hai... hai detto che siamo connessi,» Koushi non attese una risposta, gli occhi ancora fissi sui resti del boccale «ma in che modo?»


❋ ❋ ❋


    «Succede periodicamente!»

    «Già! All'incirca ogni cinquant'anni, a volte anche cento.»

    «Dal momento in cui ciascuno dei prescelti ha compiuto vent'anni, noi vi veniamo assegnati!»

    Akaashi non ne poteva più di quello schiamazzo continuo. Si stava pentendo amaramente di aver fatto entrare in casa sua quei due sconosciuti, ma aveva sentito di non poter fare altrimenti e anche in quel momento, nonostante tutto, non avrebbe permesso a nessuno di andarsene.

    I due sconosciuti sembravano entusiasti: entrambi sventolavano un piccolo taccuino nero con le labbra increspate in un sorriso sottile, ma in un primo momento Keiji riuscì a soffermarsi soltanto sul rapido e disordinato accavallamento delle loro parole.

    «Kuroo-san, Bokuto-san, vi prego di smetterla» Akaashi si pronunciò con decisione, mentre Kenma, fermo dietro di lui, restò a osservarli in silenzio. «Ci state dicendo che siete creature con poteri soprannaturali?»

    «Shinigami!» puntualizzò fieramente Bokuto, il dito indice sollevato verso il soffitto.

    «E periodicamente venite assegnati a persone come me e Kenma?»

    Il ragazzo con i capelli neri, Kuroo, annuì appena, per poi indicare Bokuto. «Non sempre, in realtà, ma questa volta è successo. Se non credi alla storia dei poteri soprannaturali, guarda cosa sa fare lui.»

    «Ci crediamo» Kenma parlò, con grande sorpresa di tutti. Si era fatto avanti solo di qualche passo, incerto e timido, e adesso scrutava Kuroo di sottecchi. «Akaashi, stanno dicendo la verità.»

    Keiji guardò l'amico senza fiatare, le labbra leggermente increspate verso il basso: Kenma aveva colto la diffidenza e la paura nei suoi pensieri, ma doveva essere entrato con altrettanta facilità nella mente dei due shinigami e adesso lo stava rassicurando sulla loro identità.

    Akaashi inspirò appena, per poi rivolgere un'occhiata a Bokuto e Kuroo: se Kozume gli diceva così, non poteva che fidarsi.

    Con sguardo inespressivo e voce atona, Keiji chiese quale dei due fosse il suo shinigami.

    «Avresti dovuto riconoscermi fin dall'inizio, Akaashi!» Bokuto mostrò i denti in un sorriso solare, al quale Akaashi rispose con un sospiro rassegnato.

    «Avevo immaginato fossi tu, volevo solo esserne sicu‒» Keiji ammutolì non appena l'altro gli passò accanto, il viso leggermente sollevato, le braccia spalancate e gli occhi vaganti.

    «Che bella casa!» Bokuto si voltò verso Kuroo, le labbra piegate in un sogghigno. «Chissà se avrai la stessa fortuna» poi rivolse una rapida occhiata a Kenma, facendolo sussultare.

    «Cosa intendi?» Akaashi lo seguì con lo sguardo, l'espressione seria, rigida, le braccia conserte.

    «Mi sembra ovvio!» Bokuto gli diede le spalle, il viso ancora sollevato, rivolto all'alto soffitto.

    «Abiteremo con voi» fu Kuroo a dare una risposta concreta ad Akaashi, che serrò con forza le labbra.

    «Con... noi?» con timidezza, Kenma si rivolse a Kuroo, che sorrise nella speranza di rassicurarlo – di fatto, però, la sua espressione risultò forzata e vagamente inquietante, così da spaventarlo.

    Kozume lo guardò e attese che i battiti del suo cuore diminuissero di velocità, poi schiuse appena le labbra, ma le serrò subito dopo, senza dire niente e sforzandosi di sostenere lo sguardo del suo shinigami.

    «Se vuoi leggermi ancora nella mente, fa' pure.»

    Kenma spalancò appena gli occhi; Akaashi, invece, distolse la propria attenzione da Bokuto – intento a sbirciare una delle stanze adiacenti all'ingresso – e rivolse un'occhiata silenziosa a Kuroo.

    «Però, Kenma, questa è mancanza di fiducia, e sappi che la mancanza di fiducia è una premessa nociva per l'unione fra uno shinigami e il suo protetto.»

    Kozume restò in silenzio e abbandonò l'idea di sbirciare nuovamente nella mente dell'altro, dunque si rivolse nuovamente ad Akaashi, che annuì appena, come a volerlo rassicurare.

    Dopo qualche istante di esitazione, Akaashi indicò il taccuino nero che Kuroo stringeva ancora fra le mani.

    «Quello che cos'è?»


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S e n d a i   p r e f e t t u r a   d i   M i y a g i



    «Questo è di vitale importanza per te» il ragazzo posò il quaderno nero sul tavolo e lo mosse verso Oikawa, che ancora lo fissava con gli occhi sbarrati e le labbra schiuse in un'espressione incredula.

    Tooru non riusciva ancora a credere che uno sconosciuto fosse entrato in casa sua senza preoccuparsi di chiedergli il permesso, per non parlare del fatto che si era presentato come “suo shinigami”.

    Si chiamava Iwaizumi Hajime, e l'unico motivo per cui Oikawa aveva deciso di starlo a sentire era perché gli aveva detto che era a conoscenza del suo potere e che poteva aiutarlo a diventare più forte.

    Non riusciva proprio a immaginare cosa stesse per dirgli, ma non poteva fare a meno di prestargli la sua attenzione, soprattutto a causa del quaderno dalla copertina nera, con al centro una goccia azzurra ripiegata su se stessa come un'onda.

    «Immagino tu sappia che al mondo esistono altre persone come te» Iwaizumi spostò la sedia senza fare rumore e si sistemò con estrema calma, tuttavia, quando sollevò il proprio sguardo e incontrò gli occhi di Oikawa, ancora puntati su di lui, non poté fare a meno di inarcare le sopracciglia per la sorpresa: l'altro lo guardava con una luce totalmente diversa in volto, le palpebre quasi chiuse, le labbra increspate in un sorriso compito ma decisamente inquietante.

    Se guardava solo la bocca, Hajime vedeva l'innocuo sorriso di circostanza di un ragazzo educato; soffermandosi sugli occhi, invece, si poteva avvertire immediatamente una schiacciante carica di cattiveria. Guardare il viso di Tooru nel suo insieme, immobile e inquietante come una maschera a due facce, gli provocò una fitta allo stomaco.

    «Proprio in questo momento alcuni di loro, otto, per la precisione, stanno ricevendo un quaderno simile al tuo.»

    «E anche loro lo stanno ricevendo da uno shinigami

    «Sì,» Iwaizumi annuì appena, spostando ancora di qualche centimetro il quaderno e riprendendo a parlare solo quando Oikawa lo ebbe afferrato «e riceveranno anche le stesse istruzioni che sto per darti io, perciò fa' molta attenzione a quello che ti dico.»


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Le dita di Yahaba artigliarono il pavimento freddo, le labbra serrate nascosero i denti bianchi, ora digrignati. Umiliato, era seduto a terra, caduto rovinosamente a causa della spinta violenta da parte dell'altro ragazzo.

    In normali circostanze, Shigeru si sarebbe rialzato immediatamente, avrebbe reagito, prevalso, non sarebbe certo rimasto a fissarlo con le labbra contratte in una smorfia, intento a sorreggere con dignità il peso dell'orgoglio spezzato, ma quel ragazzo – che si era presentato come Kyoutani Kentarou – gli aveva appena confessato di essere uno shinigami e che il quaderno che stringeva fra le mani gli sarebbe potuto tornare molto utile.

    «Ti ascolto» nonostante tutto, fu proprio Yahaba a rompere il silenzio, impaziente di ricevere una spiegazione che avrebbe potuto perfino fargli cambiare idea sul bastardo che lo aveva buttato a terra con la stessa facilità con cui un gatto avrebbe potuto uccidere un topo.

    Kyoutani arricciò leggermente il naso, infastidito dall'intonazione secca e aspra dell'altro, sulla quale, però, decise di non soffermarsi più di tanto.

    «Prima di tutto dovrai scoprire i nomi degli altri otto» Kyoutani borbottò, ammutolendo non appena si accorse del cambiamento nell'espressione dell'altro.

    «Un nome potrei già conoscerlo» Shigeru, il volto più rilassato, non poté fare a meno di trattenere un sorrisetto compiaciuto, ma pochi secondi dopo esortò nuovamente l'altro a procedere con la spiegazione.

    «Scrivendo il nome di un dotato di cromosoma Z su questo quaderno e uccidendolo, potrai acquisirne il potere» Kyoutani continuò, ma senza risparmiarsi un'occhiataccia verso il proprio protetto, che a quanto pareva non aveva intenzione di smetterla con i capricci.

    «Qual è il tuo ruolo in tutto questo?» Shigeru si augurò non dovessero collaborare, che quel ragazzo fosse solo una sorta di messaggero, un messo venuto da lui solo per consegnargli il quaderno e istruirlo sul da farsi.

    «Alzati.»

    Yahaba assottigliò il proprio sguardo e, in uno spasmo nevrotico, rafforzò la presa delle dita fra le piastrelle fredde, come se improvvisamente, dopo aver pensato per tutto il tempo di rialzarsi, avesse deciso di restare seduto sul pavimento.

    Kyoutani, dal canto suo, sollevò leggermente il mento, offeso e infastidito dall'opposizione dell'altro.

    «Mi rispondi o no?»

    «Ti ho detto di alzarti.»

    Shigeru avrebbe voluto alzarsi non tanto per compiacere l'altro, quanto più per tentare di attaccarlo di nuovo e metterlo a tacere per un po', fargli capire chi comandava, tuttavia intese che se voleva sentire un seguito avrebbe fatto meglio a seguire le sue direttive senza stravolgere la situazione, quindi, sbuffando leggermente e senza scostare il proprio sguardo da Kyoutani, si rialzò.

    Kyoutani attese prima di ricominciare a parlare, infastidito dallo sguardo insistente dell'altro, che almeno in un primo istante pensò di non riuscire a sostenere.

    «Noi shinigami abbiamo più che altro il compito di difendervi,» Kentarou indugiò solo per qualche istante, procedendo a voce più bassa «ovviamente non l'ho deciso io, farei volentieri a meno di difendere uno come te.»

    «Ah?» Yahaba sollevò appena le sopracciglia e il mento, in un'espressione di mera superbia. «Hai bisogno di essere addomesticato, ragazzino?»

    Kyoutani sferrò un pugno in direzione del volto di Yahaba, ma si ritrovò con la mano sospesa a mezz'aria, immobile, le dita serrate e rigide, avvolte da uno strato di ghiaccio sottile ma incredibilmente resistente.

    «Stavi dicendo?» Yahaba sibilò, un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.

    Kyoutani digrignò i denti, ma abbassò il pugno. Lo sentì pesante contro il fianco, ancora rigido, le dita intirizzite e doloranti.

    «Non possiamo uccidere in alcun modo un dotato di cromosoma Z. Possiamo uccidere un altro shinigami, però.»

    «E io posso uccidere uno di voi?«»

    «No» Kentarou rispose con una certa soddisfazione, anche se la sua espressione incarnava tutto fuorché un sentimento positivo.

    «Quindi voi shinigami vi ammazzate fra di voi e noi umani ci ammazziamo fra di noi. Ho capito bene?»

    «Sì.»

    «Mi stai dicendo che potrei uccidere una persona come me e impossessarmi del suo potere?»

    «Sì.»

    «Allora so chi potrebbe essere il primo.»

    Kyoutani non disse nulla, piuttosto aprì e richiuse un paio di volte le dita, finalmente libere dal ghiaccio.

    Guardò la porta chiusa alle proprie spalle, le labbra arricciate in una smorfia di disappunto, poi tornò a rivolgersi verso Yahaba.

    «Fa troppo freddo qui dentro.»


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E d o g a w a   p r e f e t t u r a   d i   T o k y o



    Eita lo aveva guardato in cagnesco per tutto il tempo, confuso ma comunque molto concentrato.

    Che Tendou fosse strano lo aveva capito ad una prima, veloce occhiata, ma questo pensiero non era sufficiente a farlo desistere riguardo la convinzione che le sue parole, per quanto bizzarre, avessero un senso e, soprattutto, un fondo di verità.

    «Il quaderno non può essere distrutto in alcun modo.»

    Eita passò il polpastrello su un foglio di carta, per poi tornare a guardare l'altro.

    «È solo un foglio» forse non tutto aveva un fondo di verità, ad esempio come si poteva mettere in discussione la resistenza di un materiale fragile come la carta? «Basterebbero delle forbici per distruggerlo.»

    «Jan-ken-pon

    Non appena vide il pugno chiuso di Tendou arrestarsi a pochi centimetri dal quaderno, Eita sollevò leggermente le sopracciglia, come a volerlo interrogare sul suo gesto inaspettato e alquanto fuori luogo.

    «Il sasso batte le forbici! Non stiamo giocando a morra cinese?» Tendou, gli occhi spalancati e le labbra socchiuse, inclinò leggermente il viso verso sinistra, in un movimento ingessato e inquietante.

    «Direi proprio di no.»

    «Mhh,» Tendou ritirò la mano, per poi inarcare la schiena all'indietro «dovresti sorridere un po' di più, sai?»

    Eita si trattenne dal fargli notare la sua condizione, ma comunque si dimenticò quasi subito di quella breve conversazione, visto che Tendou, strappatogli il quaderno di mano e afferrato l'accendigas posto sul piano cottura, appiccò fuoco alla carta.

    «Ma cosa fai?! Guarda che‒ mh?»

    «Hai visto, Semi?» l'angolo della carta, ancora bianco e perfettamente intatto, era visibile oltre la fiammella bluastra, che lo aveva avvolto in un istante nella sua trasparenza opaca e calda. «Non brucia! Sorprendente, vero?»

    «Non brucia...» Eita ripeté a fior di labbra, osservando la fiamma che si allontanava dalla carta.

    Tendou gli restituì il quaderno, e quando Eita toccò l'angolo della pagina appena entrata in contatto con la fiamma dell'accendigas lo scoprì freddo.

    Un po' gli dispiaceva che fosse indistruttibile: avrebbe preferito di gran lungo vederlo bruciare, piuttosto che riempirlo di nomi di persone da uccidere come gli aveva detto il suo shinigami.

    «Se dovessimo incontrare qualcuno che è già riuscito a raccogliere uno o più poteri e tu riuscissi ad ucciderlo, questi passerebbero tutti a te.»

    «Non ucciderò nessuno» Eita tagliò corto, le braccia conserte.

    «Ahh?! Vuoi farmi morire di noia?! Ho fatto un lungo viaggio per arrivare fin qui!»

    «Sì, immagino» Semi sbuffò appena, per poi coprirsi la bocca a causa di un colpo di tosse. «Ho salvato un sacco di persone grazie alla mia abilità, non potrei mai...» dovette fermarsi per riprendere fiato, la mano che prima era sulla bocca adesso era ferma sullo sterno, lo premeva con forza, nella speranza di alleviare il dolore.

    «Se riuscirai a riunire tutti i poteri potrai chiedere che un tuo desiderio venga esaudito» Tendou fece solo una breve pausa. «Magari potresti chiedere di guarire.»

    Eita negò con un rapido cenno del capo, la mano ancora ferma sul petto.

    «Sto morendo. Vivo conoscendo la mia fine, ed è passato così tanto tempo, ormai, che mi sono abituato all'idea. Non cercherò di cambiare il mio destino: morirò presto, ma mi renderò utile fino alla fine, come ho sempre fatto.»

    «Le persone che hai salvato non sanno nemmeno che esisti.»

    «Questo non cambia il mio pensiero. Perché io che sto morendo dovrei uccidere delle persone? Persone simili a me, per di più.»

    «Perché loro tenteranno di uccidere te.»

    Eita assottigliò appena lo sguardo, pizzicato dal tono tagliente di Tendou. Restò in silenzio per qualche istante, le labbra increspate in una smorfia amareggiata, poi, non appena il dolore al petto scomparve, lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi.

    «Sai che c'è? Se mi uccidessero mi farebbero soltanto un favore.»


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B u n k y o u   p r e f e t t u r a   d i   T o k y o



    Moniwa era sollevato. Se inizialmente i gesti di Aone gli erano parsi quasi incomprensibili, adesso riusciva a capire senza troppi sforzi ciò che l'altro gli stava dicendo.

    Non era facile comprendere la vera natura degli shinigami, distaccarsi dalla mitologia e dalle leggende metropolitane, da tutte le storie che, fin da bambino, lo avevano tanto affascinato quanto terrorizzato.

    Aone gli aveva raccontato che ogni shinigami aveva il suo territorio e che, di norma, conducevano un'esistenza piuttosto solitaria. Pochi si conoscevano di persona, e solitamente la misera manciata di rapporti che riuscivano a intrecciare si basavano su un sentimento di reciproca ostilità.

    Kaname li pensò come cani addormentati: non si doveva assolutamente disturbare la loro quiete, né invadere il loro territorio, altrimenti si mostravano riottosi o diffidenti – a seconda dei casi. Il suo shinigami, comunque, gli diede l'impressione di essere molto più pacifico di quanto suggerisse l'aspetto, anche se quello che gli aveva raccontato riguardo al quaderno gli aveva fatto venire i brividi.

    «Aone-san?» quando inalò l'aria tiepida del salotto, Moniwa si rese conto di avere la gola completamente secca e strizzò gli occhi per il dolore, ma solo per pochi istanti. «Aone-san,» si schiarì la voce «se io... se io non fossi disposto a uccidere? Voglio dire, non li conosco, e anche se li conoscessi e non mi piacessero...»

    Aone sollevò la mano per attirare la sua attenzione.

    «Non sei obbligato, ma» Moniwa lo guardò chiudere il quaderno, come a volergli far capire che non avrebbe dovuto scrivere nulla su quelle pagine «se non uccidiamo, ci difendiamo.»

    Moniwa restò immobile per qualche istante, poi, increspando le labbra in un sorriso cordiale, annuì con un rapido cenno del capo.

    «Resta con noi?»

    Sia Aone che Moniwa, sorpresi, rivolsero un'occhiata all'uscita del salotto: lì, ferma sulla porta, Tetsuko attendeva una risposta con sguardo attento e curioso.

    «Direi di sì» Kaname ampliò il sorriso, ma in un'espressione forzata, come se avesse già inteso quello che la sorellina stava per dire.

    «Ma, onii-chan, cosa diciamo a mamma e papà?»

    «Gh!» Moniwa strinse i denti, per poi rivolgere nuovamente la propria attenzione ad Aone. «Già... non è certo il tipo che passa inosservato o che si può nascondere sotto il letto.»


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N e r i m a   p r e f e t t u r a   d i   T o k y o



    Goshiki si fermò proprio sulla porta di casa Shirabu, inebetito dal buio che lo aveva investito improvvisamente.

    «Chiudi.»

    Shirabu doveva essersi allontanato solo di pochi centimetri, eppure faceva già fatica a scorgerne la sagoma, tuttavia Tsutomu avanzò e chiuse la porta come richiesto.

    La luce si accese poco dopo, senza che nessuno di loro si fosse mosso.

    Goshiki si guardò intorno, osservò l'ingresso stretto e pallido, le due piccole lampade a muro sulle pareti, un attaccapanni alto e scheletrico accanto alla porta chiusa e un piccolo mobile vicino all'ingresso del salotto, dove, a causa delle imposte serrate, riuscì a vedere solo una sedia su cui era posato un cartone di pizza.

    «Non ho una camera degli ospiti. In effetti è già tanto se c'è spazio per me» Kenjirou avanzò verso la cucina, subito seguito da Goshiki, che non poté fare a meno di notare l'adombrarsi delle luci alle sue spalle.

    La luce di cucina – come quella dell'ingresso – sembrò accendersi in automatico, non appena entrarono nella piccola stanza. Anche lì, le imposte erano chiuse.

    «Se devi restare qui, ti dovrai accontentare del salotto. Devo avere un futon in più da qualche parte» Shirabu borbottò, l'attenzione rivolta verso le imposte chiuse.

    «Non è un problema, Shirabu-san, ma...» Tsutomu si soffermò per qualche istante sulle due bottiglie di acqua minerale poste sul piano cottura «fa un po' freddo qui dentro.»

    «Mhn» Shirabu lo guardò con espressione annoiata, per poi sospirare appena. «Porto pizze. Credi che questo mi basti per pagare luce, gas e acqua?»

    «Nh‒» Goshiki negò con un leggero cenno del capo: ecco il perché delle bottiglie d'acqua sul tavolo e dell'aria gelida all'interno della casa; in quanto alla luce, probabilmente Shirabu stava sfruttando la propria abilità a suo vantaggio, per alimentare le lampade da sé. Nei pensieri di Tsutomu, però, aleggiava un altro interrogativo a cui proprio non riusciva a trovare risposta.

    «Perché le imposte sono chiuse?» chiese poco dopo, il tono di voce alimentato da una sincera curiosità.

    Kenjirou restò in silenzio per qualche istante, poi emise uno sbuffo prolungato e cominciò a parlare.

    «È una storia lunga, forse te la racconterò quando saprò qualcosa di più sul tuo conto. Per quanto riguarda il riscaldamento, la notte è sempre in funzione, non preoccuparti.»

    Tsutomu si accorse di avere gli occhi dell'altro puntati addosso, dunque sussultò appena, per poi ricominciare a guardarsi intorno con movimenti frettolosi del capo, almeno fino a quando, tornando a osservare Shirabu, non lo vide indicargli una sedia.

    «Ah! Sì!» Goshiki si sistemò in fretta, tanto da rischiare di inciamparsi nell'istante in cui scontrò la gamba della sedia con il piede.

    «Poco fa stavi parlando di un quaderno, giusto?»

    Goshiki esitò per un attimo: voleva conoscere davvero la ragione delle imposte chiuse, ma dover essere oggetto di interrogatorio per poter ascoltare la storia del suo protetto lo innervosiva un po'.

    Chiuse gli occhi e inspirò appena. Risollevò le palpebre.

    «Sì, ma prima che ti spieghi tutto, Shirabu-san,» estrasse un quaderno nero dalla piccola tracolla posata sulle gambe, porgendolo all'altro «sappi che ci sarà bisogno di una maschera e di uno pseudonimo.»


❋ ❋ ❋


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S h i b a t a   p r e f e t t u r a   d i   M i y a g i



    Kageyama cominciava a sentirsi meglio. Non solo non aveva incontrato Hinata durante il suo breve viaggio in direzione del pub, ma il proprietario lo aveva congedato venti minuti prima della fine del suo turno.

    Era davvero stanco e non vedeva l'ora di infilarsi sotto le coperte e dormire. Forse aveva soltanto bisogno di riposare, forse per tutto quel tempo Hinata era stato soltanto un'allucinazione, il frutto malato di una mente sofferente e stressata.

    Imboccò con decisione il vicolo in cui si erano incontrati la mattina precedente, senza temere un altro confronto – dopotutto il buio della notte celava ogni singola ombra, dandogli l'impressione che non vi fosse nessuno ancor prima di aver superato la curva.

    Kageyama procedette nel silenzio della notte, l'asfalto umido sotto i piedi, la strada sgombra davanti ai suoi occhi.

    C'era un silenzio agghiacciante, una grande massa trasparente che aveva riempito ogni centimetro dello spazio circostante, così pesante che anche i suoi stessi passi gli risultarono impossibili da udire. Per un istante ebbe perfino l'impressione di star camminando a qualche metro da terra.

    Quando giunse al termine della curva, Tobio si fermò.

    C'era qualcuno pochi metri più avanti, era poggiato al muro e la luce tenue della luna ne mostrava a fatica i lineamenti, sottolineandone soprattutto la scarsa altezza. Sì, era basso, e quando Kageyama se ne rese conto arricciò il naso.

    Restarono immobili per circa un minuto, senza emettere neppure un fiato.

    Forse Hinata era davvero uno psicopatico, ma non aveva assolutamente l'aria di essere interessato al suo portafoglio o alla sua vita.

    «Maledizione...» Kageyama borbottò a denti stretti, ancora una volta domandandosi quale fosse la scelta migliore, poi chiuse gli occhi ed emise un sospiro profondo.


❋ ❋ ❋


    «Kageyama! Abbiamo perso un sacco di tempo, lo sai?!»
    Tobio digrignò i denti e gli afferrò il collo con la mano, facendolo rantolare.
    «Ohi, scemo, non urlare e non cominciare a ripetere il mio nome!» continuò a tenerlo per il collo, gli occhi assottigliati e le labbra serrate con forza. Tutta quella confidenza gli dava sui nervi.
    Hinata, dal canto suo, cercò di allontanare leggermente il viso, tossicchiando sommessamente.
    «Non parlare finché non te lo dico io» Tobio lasciò la presa e riprese a camminare, dirigendosi in fretta verso la camera degli ospiti. Shouyou, invece, avanzò piuttosto lentamente, esitando proprio a causa dell'altro – da arrabbiato faceva davvero paura!
    Appena Kageyama chiuse la porta della camera degli ospiti, Hinata riprese a parlare, la voce poco più bassa che in precedenza.
    «Kageyama‒»
    «Ohi, basta ripe‒»
    «Kageyama!» Hinata lo interruppe, urlando nuovamente il suo nome. «Gli altri shinigami saranno già arrivati!»
    «Mhn?» Kageyama abbandonò immediatamente l'idea di portargli ancora una volta le mani al collo per zittirlo, la fronte aggrottata per la confusione. «Gli altri?»
    «Cerco di dirtelo da ieri» Shouyou si sedette sul letto, le gambe tese, entrambe le mani affondate nel materasso. «Non sei l'unico ad aver ricevuto le visite di uno shinigami
    Kageyama restò in piedi, immobile e in silenzio per un po'.
    «Che cosa sta succedendo?»
    «È appena iniziata una guerra, Kageyama, e tu potresti morire. Se un altro dotato di cromosoma Z ti conosce potrebbe venire a cercarti molto presto, e quasi sicuramente sarà intenzionato a ucciderti.»
    Tobio sollevò le sopracciglia, incredulo e leggermente inorridito.
    Un brivido gli attraversò la schiena, una scossa fredda dalla nuca ai reni: aveva appena pensato all'unico dotato di cromosoma Z che aveva avuto la sfortuna di conoscere, realizzando con orrore che non sarebbe stato poi tanto strano ricevere sue visite da un momento all'altro.




L'angolino della piantina autoritaria
(You should read this):

Ed eccoci con il nostro appuntamento mensile! xD
Fortunatamente sono riuscita a finire la stesura del capitolo per tempo e ho avuto anche qualche giorno d'avanzo per revisionarlo~
Come avevo detto nel precedente, questo si è concentrato soprattutto sulle dinamiche del “gioco” in cui i nostri nove protagonisti sono appena stati coinvolti, quindi sul fatto che il quaderno serva, attenzione, non per uccidere (come nel caso del Death Note), ma per rubare il potere della persona che viene uccisa. Detto questo facciamo un esempio: Z uccide Y ma non ha scritto il suo nome sul quaderno, perciò dopo averlo ucciso non riceverà il suo potere; Z uccide Y e ha scritto il suo nome sul quaderno, perciò dopo averlo ucciso riceverà il suo potere. Questa è l'unica funzione del quaderno, che, ripeto, è solo un mezzo per rubare un potere altrui, non un mezzo per uccidere.
Come dice Yahaba, i dotati di cromosoma Z non possono uccidere o essere uccisi dagli shinigami, che sono autorizzati a eliminare soltanto i loro simili.
Se ci fosse qualcosa che non vi è chiaro o aveste delle domande su un particolare aspetto potete contattarmi ovunque (ergo: qui su EFP o su Facebook). Vi risponderò molto volentieri~
Per il resto vorrei assicurarvi che dal prossimo capitolo in poi, che sarà pubblicato a fine dicembre (più probabilmente il 29 o il 30, visto che il 31 saremo quasi sicuramente tutti impegnati – e ubriachi, almeno io /??/), le cose diventeranno molto più movimentate e vedremo i primi scontri. Tanto per rassicurarvi (?), è probabile che il quarto capitolo si intitolerà “Uccidere o morire” – e già da questo si capisce tutto 8D
Inoltre i personaggi non appariranno più in questo ordine (e probabilmente nemmeno tutti in ogni singolo capitolo).
Prossimamente verrete anche a conoscenza degli alias scelti dai bimbi.
Credo di aver detto tutto. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento~
Alla prossima!
   
 
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