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Autore: Losiliel    05/12/2016    6 recensioni
Il salvataggio di Maedhros da parte di Fingon in chiave moderna.
Una Russingon modern-AU.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Celegorm, Curufin, Figli di Fëanor, Fingon, Maedhros
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'First Age Daydream'
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CAPITOLO 2

dove Maedhros ricorda come tutto è iniziato

 

 

 

Maedhros riemerse dall'incoscienza.

Una nebbia densa permeava i suoi sensi. Sbatté più volte le palpebre, ma non fu in grado di distinguere nulla che riuscisse a riconoscere. Una superficie dura e fredda sotto di lui gli diceva che era sdraiato su un pavimento di mattonelle.

La testa gli pulsava furiosamente in un punto dietro l'orecchio, evocando il ricordo di una forte botta ricevuta subito prima di perdere i sensi.

Quando tentò di massaggiarsela, scoprì che aveva il braccio destro imprigionato. Una manetta, stretta al suo polso al punto da ostacolare il flusso del sangue, lo vincolava a quello che poteva essere un vecchio termosifone o una tubatura dell'acqua. Non riusciva a vedere bene da quell'angolazione.

D'istinto, tirò per liberarsi.

Ottenne soltanto il debole tintinnio del metallo e una voce maschile, priva di accento, che lo sovrastò.

– Bentornato tra noi.

Maedhros voltò la testa alla ricerca di chi aveva parlato e una fitta di dolore gli attraversò il capo.

Una persona stava avanzando verso di lui. Man mano che si avvicinava, la sua silhouette sfocata si fece più nitida, rivelando una corporatura snella, altezza media, un abito grigio, formale, in netto contrasto con i capelli dal taglio asimmetrico e di un rosso acceso, artificiale.

L'uomo gli si accucciò di fianco, gli afferrò il mento con dita fredde e lo forzò a guardarlo in faccia. Maedhros si stupì di vedere un viso giovane, forse persino più giovane del suo, con la pelle liscia e glabra, privo di rughe. Nel suo sguardo, però, si annidava qualcosa di incongruo, come se quegli occhi color del bronzo avessero visto più cose di quante fossero concesse a una persona di quell'età. Ora lo stavano scrutando con molta attenzione.

– Davvero notevole – sussurrò.

Maedhros cercò di afferrargli il polso con la mano sinistra per toglierselo di dosso, ma il suo braccio si mosse con una lentezza innaturale e a costo di grande fatica, e non arrivò mai a destinazione. Lui ne seguì la traiettoria come uno spettatore esterno e capì che dovevano avergli somministrato qualche tipo di farmaco. Un sedativo, forse.

Una nuova voce ruppe il silenzio. Profonda e perentoria.

– Lascialo stare.

Il giovane sospese la sua valutazione e si scostò di lato, tanto da permettere a Maedhros uno scorcio sulla stanza in cui si trovavano. Fece appena in tempo a distinguere una scrivania e una porta sulla parete dietro di essa, che il suo campo visivo fu oscurato da una figura imponente, massiccia, vestita di nero. Il nuovo arrivato indossava occhiali da sole e lui per un attimo lo invidiò, perché dal soffitto lunghe file di neon gettavano una luce bianca, intensa, che non faceva che peggiorare il suo mal di testa.

– Ragazzo – disse l'uomo, mentre il giovane si faceva da parte, obbediente, – abbiamo bisogno di alcune informazioni.

Le parole arrivarono al cervello di Maedhros deboli e lente, come se ci mettessero diversi secondi per percorrere la distanza tra le labbra che le pronunciavano e le sue orecchie. Dovette fare un grande sforzo per capirle.

L'uomo si chinò su di lui e con una mano enorme lo afferrò per il bavero e lo trascinò seduto. La manetta slittò verso l'altro, lungo la tubatura. Maedhros sentì che gli veniva portato un bicchiere alle labbra e non poté impedirsi di bere avidamente.

Gli venne sottratto molto prima che riuscisse a dissetarsi, ma bastò a farlo sentire un po' meglio.

– Dunque – riprese l'uomo, dopo aver affidato il bicchiere al suo compagno. Parlò con un tono neutro, casuale. – Cosa stavi facendo, nel cuore della notte, negli uffici della Gothmog?

Lui cercò di far emergere, dalla nebbia che avvolgeva la sua testa, il ricordo del momento in cui era stato catturato. Era quasi sicuro di essere stato in strada.

– Non so di cosa stai… – cominciò, con voce roca.

Senza alcun preavviso, l'uomo gli sferrò un manrovescio che gli fece sbattere la testa contro il muro e gli procurò un dolore ancora più atroce sulla guancia. Maedhros si accorse solo in quel momento che l'interlocutore indossava un anello di metallo scuro, con tre brillanti incastonati che ne emergevano affilati come lame.

Contro la sua volontà, affiorarono lacrime che gli offuscarono la vista.

– Mettiamo le cose in chiaro, rosso – riprese l'uomo come se nulla fosse successo. – Sappiamo chi sei… 

– Maedhros N. Fëanorion – intervenne il giovane dalla scrivania alla quale era andato a sedersi.

– … e sappiamo che ti sei introdotto nella sede della Gothmog Inc. – proseguì l'uomo, mentre l'altro gettava sul tavolo un mazzo di chiavi e una carta magnetica su cui spiccava il logo della multinazionale.

Maedhros represse l'impulso di tastarsi la tasca posteriore dei jeans. Evidentemente l'avevano perquisito mentre era privo di conoscenza.

L'uomo stirò le labbra, come se gli avesse letto nel pensiero. – Non ci resta che sapere il perché, poi il nostro compito sarà finito, e potremo tornarcene tutti a casa.

Maedhros non era malridotto al punto da non capire che, se c'era un modo per non ritornare più a casa, era proprio rivelare ciò che volevano sapere. Ma visto che negare l'evidenza aveva condotto a risultati dolorosi (sentiva il flusso caldo del sangue scendergli lungo il collo e la ferita sul viso bruciare come fuoco) decise di rimanere zitto.

Il silenzio si prolungò per interminabili secondi.

Alla fine il giovane si alzò, con una smorfia impaziente sul viso, e fece qualche passo verso di lui. Ma quando fu alla portata dell'uomo, quest'ultimo gli mise una mano sulla spalla e disse, col suo tono pacato: – Non c'è fretta.

Poi precisò: – È disidratato e non mangia da due giorni, domani a quest'ora un bicchiere d'acqua farà più dei tuoi metodi... elaborati.

L'altro esitò, e per un istante a Maedhros sembrò di vederlo indugiare di proposito sotto il tocco del suo complice. Poi tornò sui suoi passi, prese dal tavolo le chiavi, il badge e il bicchiere d’acqua mezzo vuoto e uscì. L'uomo lo seguì, ma prima di lasciare la stanza disse: – Stanotte andremo sotto lo zero… chiama se cambi idea.

E con un cenno del capo indicò un punto sopra la porta, dove la parete incontrava il soffitto, in cui era appesa una telecamera di sorveglianza.

 

Non appena Maedhros rimase solo, il flusso di adrenalina che gli aveva permesso di restare presente a sé stesso lo abbandonò, lasciandolo esausto e di nuovo prossimo all'incoscienza.

Si sforzò di resistere e di concentrarsi sulla sua situazione per cercare il modo di venirne fuori. Ma i suoi pensieri cominciarono a scivolargli via, a prendere direzioni non volute, imboccando i sentieri del passato e avvicinandosi in modo pericoloso a ricordi che aveva deciso di dimenticare.

Sentì la testa che gli pesava e lasciò che crollasse in avanti. Con un certo distacco, vide la camicia che cominciava a impregnarsi del sangue che gli colava dalla guancia. Avrebbe dovuto tamponare la ferita con qualcosa.

Invece lasciò il sangue libero di scorrere e lasciò i suoi pensieri liberi di andare là dove tornavano tutte le volte che lui non era abbastanza forte da opporsi.

A un incontro inaspettato, che aveva cambiato ogni cosa.
 

 

*******
 

 

L'aprile del 2010 stava volgendo al termine, quando Maedhros rientrò dal suo lungo soggiorno all'estero. Era stato via per cinque anni. Prima la laurea, poi un master, che si era appena concluso. 

All'inizio aveva pensato di prendersi una meritata vacanza, forse la prima da quando aveva lasciato le scuole superiori, ma poi aveva deciso di tornare in città, a casa dei genitori, per avere un po' di tempo per riambientarsi prima di cominciare a lavorare con suo padre alla Tirion, cosa che doveva avvenire quel settembre.

Ma i suoi progetti si scontrarono presto con un'inaspettata richiesta della madre che, a pochi giorni dal suo rientro, gli propose di fare da tutor a un cugino che aveva difficoltà a prendere il diploma.

– Ti prego, Maitimo – lo implorò, – i genitori sono disperati. Fingon ha già perso un anno, sembra essere entrato in una fase di ribellione, o qualcosa del genere…

Il fatto che la madre lo chiamasse col soprannome di quando era piccolo, o il fatto che avesse già fissato una data per la prima lezione, gli fecero capire che non aveva molte possibilità di sottrarsi all'incarico, e così il pomeriggio concordato si preparò ad accogliere quel cugino di cui non aveva che un vago ricordo.

Ma l'ora dell'appuntamento arrivò e passò, e nessuno si fece vivo.

Maedhros aspettò a lungo, poi, sopprimendo la tentazione di mandare tutto al diavolo, cedette al suo senso del dovere, si fece dare l'indirizzo da Celegorm e andò a bussare alla porta della villetta poco fuori città dove abitava la famiglia di suo zio.

Gli aprì una ragazzina sorridente, dai vivaci occhi scuri e dai capelli castani, ricci, che sfuggivano in ogni direzione da una pinza colorata. Indaffarata in chissà quale faccenda, lo salutò distratta dicendogli che suo fratello era "di là".

Lui oltrepassò l'ingresso e si incamminò nella direzione indicatagli. Entrò in un'ampia cucina, luminosa e ordinata, al centro della quale, a un tavolo ricoperto da libri e quaderni, sedeva un ragazzo immerso nella lettura. Era talmente preso dal suo studio, che non alzò nemmeno la testa per rispondere al suo saluto.

Maedhros si schiarì la gola e ripeté: – Ciao – e poi aggiunse, – ehm... scusa, non dovevamo vederci a casa mia?

L'altro allora diede un segno di vita e, senza sollevare gli occhi dal libro, puntò l'indice verso l'alto e disse: – Io sono Turgon, Fingon è su di sopra.

Maedhros borbottò una scusa e, cercando di tenere a bada l'irritazione, salì le scale fino al primo piano. Si trovò davanti a tre porte chiuse, ma a quel punto si era fatto un'idea precisa di come funzionassero le cose in quella famiglia e puntò diretto su quella con l'adesivo "Vietato l'accesso" incollato sopra.

Bussò.

Dall'interno non venne altro che musica ad alto volume.

Non vedendo alternative, Maedhros afferrò la maniglia ed entrò.

Si trovò nella stanza più disordinata che avesse mai visto, riconoscere il colore del pavimento sarebbe stata un'ardua impresa. In terra c'era ogni genere cosa: scarpe e vestiti, un paio di zaini, alcuni pesi, un pallone, una tavola dello skateboard, una console di videogiochi, CD e DVD, molti fumetti, qualche libro e un numero esagerato di riviste di musica.

Facevano da cornice a quel caos imperante pareti ricoperte di poster di rock band e scaffali che contenevano coppe e medaglie. Il letto aveva le lenzuola stropicciate e le coperte appallottolate sul fondo, e sul materasso era appoggiata una chitarra.

Sulla scrivania c'era la fonte di quella musica assordante: un impianto stereo che sembrava essere stato assemblato a mano con pezzi che provenivano dal secolo prima; un vinile girava sul piatto e molti altri attendevano nelle loro custodie variopinte in una pila scomposta accanto al giradischi.

Maedhros registrò tutto questo con un'occhiata distratta, perché seduto sul davanzale dell'unica grande finestra aperta sul tiepido pomeriggio di aprile trovò finalmente colui che stava cercando.

Il cugino aveva la schiena appoggiata allo stipite e teneva le ginocchia ripiegate contro il petto. Indossava un paio di pantaloni della tuta e una canotta aderente. Le braccia allungate in avanti a circondare le ginocchia mettevano in evidenza muscoli ben delineati su un fisico asciutto. Lo sguardo sembrava assorto sul fumo della sigaretta che stringeva tra le dita. Capelli neri, spettinati, lunghi fino alle spalle, gli ricadevano sul viso in ciocche disordinate.

Quando si rese conto che era rimasto a contemplare quello strano spettacolo per un tempo più lungo del necessario, Maedhros avanzò nella stanza e spense lo stereo.

Subito Fingon (o quello che, a questo punto, sperava fosse Fingon) spostò lo sguardo su di lui, e per un attimo nei suoi occhi balenò un'espressione sorpresa, quasi imbarazzata. Poi alzò il mento di scatto, come volesse sfidarlo a rivelargli chi fosse, e cosa diavolo ci facesse in camera sua non invitato.

Maedhros non si lasciò intimidire, atteggiamenti del genere li aveva visti assumere, nel corso della sua vita, da tutti i fratelli minori, e fece per presentarsi: – Ciao, io sono… 

– Lo so chi sei, è difficile non riconoscerti – lo interruppe il cugino con un tono sostenuto, dietro al quale non riuscì nascondere del tutto l'insicurezza, – Maedhros Fëanorion, immagino.

Spense la sigaretta in un coperchio di latta, saltò giù dal davanzale, fece qualche passo verso di lui e gli tese la mano.

– Fingon, piacere di conoscerti… o di ri-conoscerti, ci siamo già incontrati diversi anni fa… – la sua voce si fece incerta, – ma probabilmente tu non ti ricordi… 

Maedhros si trovò la mano stritolata in una presa forte, da dita troppo callose per un ragazzo così giovane e per uno studente. Quando il cugino lo lasciò andare, ci mise qualche secondo per rispondere: – Sì, ricordo qualcosa, a una festa di compleanno mi pare…

E dalla sua memoria spuntò un ragazzino vivace, sereno, sorridente.

– Scusa il casino… – disse Fingon, sistemandosi la maglietta, come se si stesse scusando invece dello stato della sua persona. – Avevo appena finito di fare un po' di allenamento – accennò a una panca inclinata, vicino alla scrivania, che lui, con la sua prima occhiata, non aveva notato.

Maedhros non riuscì a trattenersi e, con una voce più petulante di quanto intendesse, si sentì dire: – Hai appena finito di allenarti e fumi?

– Sì, mammina – lo canzonò il cugino, – hai altro da rimproverarmi?

– A dire il vero, sì. Ti aspettavo a casa mia due ore fa.

Per tutta risposta, Fingon gli voltò le spalle e tornò alla finestra. – Mi dispiace averti fatto perdere tempo – disse al giardino che si estendeva sotto di lui, – ma la verità è che non ho alcuna intenzione di mettermi a studiare.

Preso alla sprovvista da quel brusco congedo, Maedhros fece per andarsene. Poi la curiosità ebbe il sopravvento.

– Ma così perderai un altro anno! – esclamò.

– Non potrebbe importarmi di meno – borbottò l'altro.

– E i tuoi genitori cosa diranno?

– Ecco, forse questo potrebbe importarmi di meno.

E prima che Maedhros potesse ribattere, Fingon si voltò e gli si avvicinò.

– Senti, mi scuso ancora – disse, e mettendosi tra lui e la porta lo invitò a uscire con un gesto della mano. – Ma le cose stanno in questo modo, e tu non puoi farci niente.

Maedhros non si mosse, incerto se accettare o meno l'invito. Tutto propendeva per abbandonare quella casa all'istante e tornare alla sua vita. Voleva passare del tempo con Maglor, andare alla ricerca di un appartamento dove sistemarsi per conto suo, contattare vecchi amici che non vedeva da anni. 

Ma c'era il fatto che, volente o nolente, quello era un incarico che si era assunto, e lui non lasciava mai le cose a metà.

In più, doveva ammettere che c'era qualcosa che lo incuriosiva in quel ragazzo che sfidava con tale noncuranza la volontà dei genitori. Per lui, che aveva sempre fatto tutto ciò che gli veniva richiesto senza pensarci due volte e, di solito, senza nemmeno percepirlo come un peso, un comportamento del genere era del tutto inconcepibile.

Decise che avrebbe fatto un tentativo, se fosse riuscito a trovare il modo per convincere il cugino.

Davanti al suo esitare, Fingon sembrò perdere un po' di determinazione.

– Senti, non è che voglia cacciarti… magari potremmo... ehm... lasciar perdere tutta la faccenda dello studio e divertirci un po' – esitò solo un attimo, prima di concludere: – non mi sembri il tipo che sia divertito molto nella sua vita.

A quella provocazione Maedhros vide l'opportunità di volgere le cose a suo favore e la colse al volo.

– Può essere che tu abbia ragione – concesse. – Mettiamola così: io ammetto di aver bisogno di un po' di svago, se tu ammetti di aver bisogno di un po' di studio.

– Cosa proponi? – domandò l'altro con una scintilla negli occhi. E lui notò solo allora che non erano neri, come aveva creduto, ma di un blu intenso, scuro come il mare all'orizzonte.

– Per ogni giorno che mi concederai per cercare di rimediare ai tuoi voti… – Maedhros pensò in fretta, – te ne concederò uno per porre rimedio alla mia mancanza di svago.

Fingon sfoderò un sorriso che gli fece immediatamente rimpiangere di aver proposto l'accordo: – Affare fatto.

I due si strinsero ancora la mano e, se questa volta il contatto durò qualche istante più della precedente, fu solo per la necessità di sancire il patto in modo adeguato.

 



 

______________

Note

Appuntamento a venerdì per il terzo capitolo!


 

  
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