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Autore: Red Owl    06/12/2016    1 recensioni
Una freccia; e Marai, principessa di Rocca del Vento, si trova a lottare tra la vita e la morte. Anche se lei ancora non lo sa, sarà quella stessa freccia a esaudire il suo sogno più segreto e a concretizzare il suo incubo più oscuro.
Una freccia; e Zeru, capitano della Guardia Reale, si vede costretto a fare un giuramento che non avrebbe mai voluto pronunciare e che lo lega alla principessa morente.
Insieme, i due dovranno affrontare i loro pregiudizi e le loro paure, perché solo uniti potranno vincere i fantasmi del passato e sconfiggere i nemici del presente.
***
NB. Più avanti il rating potrebbe cambiare, tenete d'occhio il colore del quadratino.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fermo ai piedi della scalinata che conduceva al santuario, Zeru si rigirò tra le mani la boccetta contenente il vischioso liquido scuro. Alzandola contro il tiepido sole primaverile e inclinandola un poco, l’uomo osservò l’alone rosso rubino che il sangue lasciava contro il vetro: colore e consistenza erano identici a quelli che aveva sempre conosciuto. Avrebbe potuto essere il suo sangue, quello. E invece apparteneva alla bestia rinchiusa nelle segrete sotto al castello. Era curioso pensare che il sangue era sempre sangue; e che nelle vene del mostro non scorreva alcun liquido nero e velenoso.

Due giorni dopo al suo colloquio con il principe Spiro, Arina era morta. Erano state le Campane della Notte, ancor prima di Padre Tyban, a darne la notizia al capitano della Guardia Reale. Il lugubre rintocco delle enormi campane nere, tanto penetrante da far tremare i vetri alle finestre e forse anche le ossa di chi le udiva, l’aveva svegliato poco prima dell’alba. Zeru s’era destato di soprassalto, le orecchie tese e un nodo all’altezza dello stomaco: da quasi tre secoli quel suono annunciava al popolo la morte di un componente della famiglia reale e, in quelle circostanze, c’erano solo due persone che potevano aver scomodato il campanaro a quell’ora del mattino.

Senza che potesse far nulla per evitarlo, il pensiero dell’uomo era subito corso a Marai: l’ultima volta che l’aveva vista le sue condizioni erano stabili, ma non si era ancora svegliata e, come Wenza si era premurata di dirgli, non poteva ancora essere considerata fuori pericolo. Che vi fosse stato un peggioramento nel corso della notte?

Quando era giunto nell’ala del palazzo nella quale dimoravano le principesse, Padre Tyban gli si era fatto incontro e gli aveva posato una mano sulla spalla: «Arina non ce l’ha fatta» gli aveva detto. «Il suo cuore non ha sopportato il peso della febbre.»

Sapere che la sua principessa era ancora in vita l’aveva rincuorato per un istante soltanto: le conseguenze della morte di Arina non avrebbero tardato a farsi sentire, dentro e fuori Adaval.

«I genitori della ragazza ne sono stati informati?» aveva chiesto, in un sussurro, cercando la risposta negli occhi del confessore.

«Un messaggero è stato inviato giorni fa, informando re Lashkar e sua moglie dell’attacco che abbiamo subito e delle condizioni in cui versava la principessa. Tuttavia, da Piana del Gigante non è giunta alcuna risposta.»

«E…?»

«Non appena è stato evidente che non c’era più nulla da fare, abbiamo fatto partire una seconda staffetta» aveva continuato il sacerdote. «Non ci resta che aspettare la reazione del sovrano.»

Zeru aveva annuito, serrando la mascella per tenere a bada la preoccupazione. Lashkar, signore del regno di Tawas-Silai, non era un uomo facile. Salito al potere con un colpo di stato delle milizie che lui stesso comandava, aveva preso a guidare la sua terra con mano ferma e decisa, dimostrandosi un sovrano giusto, sì, ma poco incline ai compromessi. E, del resto, l’immenso regno desertico che sorgeva a occidente di Adaval non avrebbe potuto sopravvivere con un signore meno determinato: Tawas-Silai aveva una lunga e gloriosa tradizione militare, ma le risorse naturali scarseggiavano e i pochi fiumi che lo attraversavano erano soggetti a lunghi periodi di secca. In passato i suoi abitanti erano stati predoni temuti e odiati al pari dei Nati dalla Nebbia, ma, in epoche più recenti, il regno aveva adottato un approccio più diplomatico e aveva iniziato a tessere rapporti di buon vicinato con gli stati confinanti.

Ed era proprio nell’ottica di rinforzare quei rapporti che Arina era stata data in sposa a Spiro: Adaval aveva guadagnato dei guerrieri valorosi, Tawas-Silai grano, olio e frumento. Tuttavia molti nobili di Rocca del Vento non avevano visto di buon occhio quel matrimonio, propendendo invece per un’unione che potesse avvantaggiare questa o quella famiglia: ora che Arina era morta, non vi era alcun dubbio che sarebbero tornati a proporre una nuova moglie per il principe, facendo sì che, questa volta, soddisfacesse le loro esigenze. E Lashkar, dal canto suo, sarebbe stato tutt’altro che entusiasta di quella novità. Probabilmente a turbarlo non sarebbe stato tanto il dolore per la perdita della figlia – del resto ne aveva dieci, di figlie, e Zeru dubitava che una in più o una in meno avrebbe fatto una gran differenza, per lui – quanto piuttosto il timore che i privilegi acquisiti potessero venir meno, ora che il matrimonio non esisteva più.

Erano ancora troppo lontani dall’identificare i colpevoli dell’imboscata, non potevano permettersi di guadagnare altri nemici. Quasi gli avesse letto nel pensiero, Padre Tyban si era avvicinato ulteriormente a lui. «Dobbiamo assolutamente trovare dei nomi da offrire a re Lashkar, quando verrà  a chiederci conto di quello che è successo» aveva mormorato. «Dobbiamo identificare gli assassini di Arina… a ogni costo.»

E così eccolo lì, con una fiala di sangue in mano, in attesa di venire ammesso al santuario della Fonte d’Argento. Padre Tyban avrebbe voluto trovare una soluzione alternativa, ma, davanti alle richieste di Re Yasu e del principe, aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco, ingoiare le proprie riserve e chiedere ad alcuni sacerdoti di rango più basso di estrarre un po’ di sangue dalla creatura. Sulle prime Zeru aveva creduto che Spiro li avrebbe accompagnati, ma il giovane, che aveva amato veramente sua moglie, aveva preferito restare accanto a lei fino al giorno seguente, quando si sarebbero tenuti i funerali e il corpo della principessa sarebbe stato bruciato. Questo non significava però che non volesse giustizia, pensò Zeru, con una smorfia, preoccupato per quella che sarebbe stata la reazione del principe.

Improvvisamente la porta del santuario si aprì e una sacerdotessa si affacciò all’estremità superiore della scalinata. «Finalmente» sbottò il conte Jarad, seduto su un gradino a pochi passi da Zeru, senza avere cura di non farsi sentire dalla donna.

«La Vergine è pronta a ricevervi» comunicò loro la religiosa. «Il vostro compagno, Padre Tyban, le sta già illustrando la vostra situazione.»

«Come se la ragazzina non la conoscesse già, la nostra situazione» ringhiò ancora il conte, ma, mentre saliva la gradinata che conduceva all’interno del santuario, Zeru non gli prestò ascolto. Sebbene fosse nato e cresciuto nella capitale, non aveva mai messo piede all’interno dell’edificio sacro, limitandosi a osservarlo dall’esterno: si trattava di un’imponente costruzione a pianta esagonale, sormontata da una cupola color ardesia e alleggerita da vetrate azzurre, alte e sottili. La piazza nella quale sorgeva era la più bella di Rocca del Vento, ma si diceva che, all’interno, il santuario fosse ancora più impressionante, soprattutto se visitato in un giorno di sole.

«Benvenuti» mormorò la sacerdotessa, facendo loro cenno di entrare. Varcando la soglia, Zeru dovette ammettere che le voci che aveva sentito a proposito di quel luogo erano tutt’altro che infondate. All’interno, il santuario era composto da un unico, immenso locale. Sebbene si trattasse di un ambiente chiuso, tutto dava la curiosa impressione di trovarsi all’aria aperta: tra le pietre piatte che ricoprivano il pavimento cresceva l’erba e il soffitto altissimo non opprimeva il visitatore, ma, al contrario, suscitava in lui una sensazione di grandezza e libertà. Le finestre affusolate lasciavano filtrare la luce e i disegni che le decoravano davano ai raggi del sole una sfumatura azzurrognola e purissima, simile a quella che si poteva trovare in alcune grotte che si affacciavano sul mare. Ed era proprio l’acqua, lì, a farla da padrona: il santuario era stato costruito su una sorgente e le acque cristalline sgorgavano da un masso situato nelle prossimità della parete nord dell’edificio. Dopo poche decine di metri il corso d’acqua tornava a scomparire delle profondità della terra, ma, prima di farlo, riempiva il santuario del riflesso cangiante dei suoi flutti e del canto irregolare delle sue onde.

Nell’epicentro del santuario, sopra al fiume neonato, si ergeva una sorta di baldacchino d’argento: era quello, il luogo in cui la Vergine accoglieva coloro che venivano a cercare il suo consiglio.

«Prego, la Vergine vi sta aspettando.»

La voce delicata dell’anziana sacerdotessa che li aveva accolti costrinse Zeru a interrompere la sua contemplazione. Stringendo inconsciamente la boccetta nel pugno, l’uomo rivolse un’occhiata al conte Jarad e poi si diresse verso la struttura metallica, salendone i gradini quasi in punta di piedi, come se temesse che i suoi passi pesanti potessero rovinare l’atmosfera quasi ultraterrena di quel luogo.

Giunse in cima rapidamente, ignorando i tonfi prodotti dal conte che arrancava alle sue spalle e, quando i suoi occhi si posarono sulla Vergine, si fermò un istante, prendendo un respiro profondo. Eccola lì. Era una bambina, sei mesi prima aveva preso il posto della decrepita vegliarda che l’aveva preceduta e si diceva che avesse un pessimo carattere.

Il piccolo oracolo, il cui vero nome era destinato a perdersi nelle nebbie della storia, era nata schiava e con una vista che era sempre stata molto debole. Era stato solo verso i quattro o i cinque anni, però, che una patina argentea aveva ricoperto i suoi occhi, rendendola completamente cieca. Il suo padrone, un orafo piuttosto rinomato, l’avrebbe forse uccisa o venduta, se solo il velo che l’aveva condannata a vivere nelle tenebre non fosse stato di quel colore, del colore degli Dei. L’uomo, che aveva la vista lunga, l’aveva tenuta nascosta sino al giorno in cui l’anziana Vergine della Fonte d’Argento non era morta e le sue sacerdotesse non avevano iniziato a percorrere le vie del regno alla ricerca di una bambina che potesse sostituirla. Allora l’orafo era uscito allo scoperto, sostenendo che gli occhi argentei della sua piccola schiava fossero un segno: e aveva ragione, perché le sacerdotesse avevano riconosciuto alla bambina delle doti profetiche.

Ciò che l’orafo non aveva previsto, però, erano l’odio e il rancore che la ragazzina aveva covato per tutta la sua breve vita. Quando, a nove anni, si era ritrovata fra le mani tanto potere, la Vergine aveva preteso – e avuto – la testa del suo vecchio padrone, la confisca dei suoi beni e l’esilio della sua famiglia. Il suo comportamento era blasfemo, aveva detto, aveva insultato più volte e in innumerevoli modi lei, la prescelta degli Dei.

La piccola era vendicativa: chi aveva avuto a che fare con lei riferiva che i suoi poteri erano notevoli, ma che c’era un’amarezza di fondo in lei, dei piccoli sprazzi di crudeltà compiaciuta che apparivano anomali, in una fanciulla tanto giovane.

Zeru irrigidì la mascella ed espirò. Non dire niente che possa offenderla, si ricordò. Non farle pensare che stai mettendo in dubbio le sue abilità. Meglio ancora, lascia che sia il sacerdote a parlare.

«Ecco, sono arrivati i miei compagni» annunciò Padre Tyban, voltandosi verso di loro.

«Lo so» replicò la ragazzina, con voce annoiata. «Sono cieca, non sorda.»

Iniziamo bene.

«Ehm…» Eccellenza? Mia Signora? Santità?

«… ciao» Zeru storse le labbra di fronte alla propria incapacità di trovare un saluto più adeguato, ma poi scosse il capo, inginocchiandosi su uno dei cuscini posti di fronte alla bambina.

«Santità illustrissima» mormorò il conte Jarad, imitandolo.

Ah, ecco.

«Il sangue della bestia, prego» tagliò corto la Vergine, allungando una mano fin sotto al naso di Zeru. A causa di quel movimento, la manica della veste che indossava le scivolò fino al gomito e sulla pelle d’ebano della piccola l’uomo vide chiaramente la traccia di vecchie ferite ormai rimarginate.

Il capitano storse la bocca, leggermente turbato da segni che deturpavano l’avambraccio della bambina. Sebbene non fosse incoraggiata, ad Adaval la schiavitù era in una certa misura tollerata: se uno straniero si trasferiva nel regno, aveva il diritto di conservare gli schiavi che erano già di sua proprietà prima del trasferimento; e i figli nati da essi.

Una delle tante porcherie che esistono al mondo, pensò Zeru, con una smorfia, prima di riscuotersi davanti al tossicchiare impaziente della ragazzina.

«Certo» mormorò, posando nel suo palmo la fialetta. Un istante più tardi si accorse che avrebbe forse dovuto aprirla, ma la Vergine non esitò nemmeno un secondo prima di stapparla personalmente e di portarsela al naso, annusandola con circospezione. Poi, prima che qualcuno dei presenti avesse il tempo di commentare, la bambina gettò all’indietro il capo e inghiottì l’intero contenuto della fialetta. Mentre la ragazzina si leccava le labbra per eliminare i residui di sangue, Zeru lanciò uno sguardo incredulo a Padre Tyban: aveva creduto che si sarebbe trattato di un assaggio più discreto; vedere la ragazzina trangugiare il contenuto della boccetta con tanta ingordigia l’aveva spiazzato.

Dallo sguardo contrariato – quasi scandalizzato – del sacerdote, il soldato intuì che, con ogni probabilità, quella non era affatto la prassi; e si chiese se il sant’uomo avrebbe in qualche modo commentato quel bizzarro spettacolo. Tuttavia, Padre Tyban rimase in silenzio, lasciando che fosse la giovane veggente a parlare per prima.

«Allora?» chiese infatti la bambina, dopo qualche istante di silenzio rotto soltanto dal canto del ruscello. «Cosa volete sapere, esattamente?»

«Il sangue che hai bevuto viene da una creatura della Brughiera» rispose prontamente il sacerdote. «I Nati dalla Nebbia vengono dal medesimo luogo: è corretto cercare tra di loro i responsabili dell’attacco ai danni del nostro re?»

La ragazzina schioccò rumorosamente le labbra, poi scosse la testa: «No.»

Zeru e il conte Jarad si scambiarono uno sguardo allarmato e Padre Tyban interrogò di nuovo la veggente.

«Il nemico si nasconde allora nella capitale?»

Di nuovo, la bimba fece un cenno di diniego: «Non ho detto questo.»

Un fantasma si affacciò nella mente del capitano: non poteva trattarsi del padre di Arina, certamente, non aveva alcun senso…

«Tawas-Silai?» chiese ancora il sacerdote, giungendo alle stesse conclusioni del soldato.

Davanti a quella domanda, la Vergine scoppiò a ridere, un suono stranamente gorgogliante.

«Siete proprio disperati» sghignazzò.

La compassione che Zeru aveva provato per lei qualche minuto prima iniziò a scemare rapidamente, ma l’uomo strinse i denti, cercando di tenere a bada la propria irritazione.

Forse offeso dalla risposta sprezzante della piccola, il sacerdote chinò il capo, ma il conte Jarad si sporse verso di lei.

«Non in seno agli Odeb à Fànur», disse, lentamente, «ma forse nella Brughiera?»

La bambina gli rivolse un sorriso smagliante: «Esattamente.»

«Hai dei nomi, mia signora?» insistette il conte, ma questa volta la risposta fu negativa.

«Nessun nome, no. E nessun volto. Dovete cercare nella Brughiera, ma non so cosa dovete cercare. Il che è davvero un bel problema, eh?»

Chissà perché non mi sembri particolarmente afflitta, pensò Zeru, provando un moto di antipatia per la piccola impertinente.

«Comunque i Nati della Nebbia non hanno niente a che fare con questa storia, giusto?» le chiese, tanto per essere sicuro di aver capito bene.

Zeru ebbe quasi l’impressione di vederla alzare al cielo i suoi spettrali occhi argentati. «I guerrieri che vi hanno attaccato erano Odeb à Fànur, quindi loro c’entrano, ovviamente» cantilenò la ragazzina, facendo ondeggiare i ricci neri come il carbone. «Tuttavia loro sono solo la mano: se volete punire la mente, dovrete spingervi più in là.»

I tre uomini si scambiarono uno sguardo pensieroso, poi Padre Tyban annuì, risoluto.

«Ti ringrazio, mia signora: ci sei stata molto utile.»

«La cosa mi fa piacere» ribatté la bambina. «Toh, capitano: riprenditi la fialetta, che io non me ne faccio niente.»

Automaticamente, Zeru allungò la mano per afferrare la boccetta, ma la ragazzina fu più rapida e gli ghermì il polso con entrambe le mani, tirandoselo poi all’altezza del viso e leccandogli le dita, fulminea. Nell’avvertire quel contato umidiccio, l’uomo trasalì.

«Ma, insomma…!» gli scappò detto, prima di riuscire a trattenersi.

Tuttavia, la Vergine non parve prendersela e si strinse nelle spalle: «Ti troverai presto nei guai, capitano: guai belli grossi. Ti conviene venirmi a trovare, una volta ogni tanto: scommetto che il mio aiuto ti farà comodo.»

Impietrito – non era forse quella una conferma di tutti i suoi timori? – Zeru deglutì, prima di provare a indagare oltre: «Che tipo di guai?»

La bimba si mordicchiò un labbro, pensierosa.

«Eeeh… non te lo dico!» trillò poi, rivolgendogli un altro sorriso.

«Cosa?»

Incurante dell’espressione di Padre Tyban, l’uomo si accucciò davanti alla bambina. «Perché non me lo dici?» le chiese, cercando di mantenere un minimo di cortesia nella sua voce.

«Oh, non arrabbiarti, capitano» sospirò la piccola, posandogli una mano su una guancia e picchiettandola come se fosse stata quella di un cucciolo. «In un modo o nell’altro, sempre di guai si tratta: se non ti dico niente, però, c’è la possibilità di cavarcene qualcosa di buono. Se ti dico di cosa si tratta, invece, non ne verrà niente di buono, ma solo miseria. Per te; e per tutti.»

Davanti a quella spiegazione fornita con tono quasi accorato, così diverso da quello che la bambina aveva utilizzato fino a quel momento, Zeru sentì la propria rabbia dissolversi come neve al sole. Al suo posto, montò la preoccupazione. Il capitano cercò gli occhi dei suoi accompagnatori, ma, quando li trovò, in essi non lesse altro che la sua stessa confusione.

«Andate, adesso» ordinò loro la Vergine, tornando a parlare con voce imperiosa. «Siete qui da un sacco di tempo e di sicuro c’è gente che sta aspettando di parlare con me.»

Una volta che si furono accomiatati dalla veggente, i tre uomini fecero ritorno al palazzo, ognuno immerso negli stessi identici pensieri. Un nemico senza volto, nascosto nelle profondità segrete della Brughiera, e un pericolo imminente le cui conseguenze, forse, sarebbero ricadute su tutti.

Su me di sicuro, si disse Zeru, con un tremito di apprensione. E forse anche sulla mia famiglia. Su mia madre e sulle mie sorelle e…

Non appena giunsero nel cortile del castello, notarono una certa concitazione tra le guardie che presidiavano l’ingresso.

Ancora turbato dal colloquio avuto con la Vergine, a Zeru parve di venir colto da un brutto presentimento e dunque interrogò l’uomo alla sua destra: «Cos’è successo?»

Contrariamente a quanto si era aspettato, la guardia sorrise: «La principessa Marai si è svegliata, capitano.»

   
 
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