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Autore: HeyAM    10/12/2016    2 recensioni
Quando lo vide la prima volta, nella sua uniforme, il sangue le si gelò nelle vene. Non era il primo tedesco che vedeva, ma lui era tutta un'altra cosa, quel teschio sul copricapo urlava morte.
Ha dato lui l'ordine lui di uccidere la moglie, vive per l'ideologia di Adolf Hitler, l'uniforme lo ha divorato.
Per lei il rosso è il colore dell'amore, per lui quello del sangue, ma cosa succede se si incontrano?
Dal prologo:
E lui era lì, guardava con sguardo freddo ciò che accadeva attorno a lui, dava l'impressione di essere alto anche se era seduto, le mani erano coperte dai guanti di pelle nera. Gli occhi azzurri dell'uomo la congelarono, sentì una strana sensazione dentro di sé, le cose sarebbero cambiate.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Erano arrivati davanti a casa sua ormai, Elisabetta si voltò verso di lui.
"Grazie per la compagnia." Ironica? No, sembrava più una cosa che si sentiva in dovere di dire, l'altro ghignò, evidentemente si era reso conto che la giovane non aveva poi così tanto gradito la sua presenza.
Per cortesia fece per prenderle la mano ma Elisabetta la ritrasse istintivamente muovendo qualche passo indietro così da aumentare la distanza dal tedesco.
Schwartz la guardò scuotendo il capo.
"Hai paura di me cara Elizabeth?" Quell'uomo era in grado di leggerla dentro e questa cosa la terrorizzava più di tutte le voci che si sentivano su di lui.
Non disse niente, preferì optare per il silenzio.
"Fai bene." Gelido l'ufficiale in quelle parole per poi girarsi e prendere la via del ritorno. 
Elisabetta rimase qualche istante a guardare il tedesco che si allontanava per poi sospirare e entrare in casa.
Cosa voleva dire il tedesco con quella frase? Doveva temerlo per un motivo preciso o per la sua posizione?
Cercava di non pensarci ma il profumo dell'ufficiale era ancora sulle sue lenzuola, aveva quasi pensato di prendere il letto di sua sorella per liberarsi da quella bruttissima sensazione. 
 

Per fortuna Schwartz l'aveva aiutata a dimenticarsi di lui e i suoi modi dal momento che da quel pomeriggio non lo aveva più visto per tre settimane buone, aveva anche pensato che fosse stato trasferito.
La vita, e la guerra con essa, avevano ripreso il loro normale corso.

Aveva ripreso ad andare al paese con più scioltezza e aveva anche ripreso il suo lavoro nei campi e con le bestie insieme alla sua famiglia, non avevano più avuto notizie da suo fratello, ma dopo quella lettera erano tutti più fiduciosi.

Se c'era una cosa che aveva capito dalla guerra era che la tranquillità e la quiete non durava mai per troppo tempo e infatti, una sera di maggio fecero la comparsa a casa loro Tobia e le sue stampelle, ormai erano praticamente parte di lui.

Si perse la loro conversazione Elisabetta, ma quando rientrò in cucina la madre aveva una faccia cupa e il padre guardava fuori dalla finestra con fare perso.
"Cos'è successo?" Chiese agitata lei, vedere i genitori preoccupati portava la giovane ad esserlo a sua volta.
"Hanno ucciso Giovanni Canali e hanno arrestato sua moglie, poi hanno bruciato la loro casa." Elisabetta sbiancò, non si sarebbe mai abituata agli orrori della guerra.
"Oh mio Dio!" Portandosi le mani alla bocca. "Perché?" Non sempre c'era una motivazione, anche questo lo aveva capito.
"Avevano nascosto la macchina nel fienile, i tedeschi lo hanno scoperto e hanno detto che se la sarebbero presa, Gianni" così suo padre chiamava l'ormai defunto compaesano. "lui si è opposto e ha piantato il coltello nella schiena del loro ufficiale." Disse poi.
"Lo ha ucciso?" Si preoccupò Elisabetta, le venne istintivamente quella domanda. Non era sicura che si trattasse di Schwartz, sapeva che c'erano altri ufficiali, ma, senza un motivo ben preciso, la cosa la rendeva irrequieta.
"Purtroppo no, anche se sembra stia per tirare le cuoia." Rispose suo padre irritato, questa volta fu sua madre a portarsi le mani alla bocca.
"Non dire così Mauro..." lo intimò la moglie. Non è che questa avesse a cuore la vita del tedesco, ma era una fervente cattolica e temeva che qualche maledizione o castigo divino si abbattesse su di loro per colpa delle parole del marito.
Questo non replicò ma era chiaro che era contrariato.
Nessuno aprì più bocca quella sera.

Fece fatica ad addormentarsi, non provava nessuna simpatia per il tedesco, anzi, ma l'idea che fosse su un letto a lottare tra la vita e la morte la rendeva particolarmente preoccupata.

La mattina dopo fece una scelta azzardata e probabilmente, se ci avesse pensato un po' di più, non sarebbe arrivata alla medesima conclusione. 
Alle dieci di mattina era davanti al comando e, con un po' di coraggio, decise di entrarci.
"Vorrei parlare con il Signor Schwartz." Disse in italiano al piantone. Questo la guardò spiazzato e poi si voltò dirigendosi al primo piano dell'edificio. 
Quello che scese le scale era, capì dalla divisa simile a quella di Schwartz, un ufficiale, ma non era quello che aveva richiesto.
Aveva almeno trentacinque anni, i capelli castani chiari corti, seppur alto e ben impostato non incuteva il terrore che riusciva a farle provare Schwartz.

"Lei è la signorina?" Domandò questo una volta raggiunta la giovane italiana.
"Colli, Elisabetta Colli." Rispose lei con un attimo di esitazione, perché c'era lui e non Schwartz.
L'altro le porse la mano destra per stringergliela.
"Sono Ralf Baumann, sono il vice comandante qui." Spiegò lui, aveva un accento tedesco meno marcato rispetto a quello di Schwartz. Lei strinse la mano del soldato senza dire nulla.
"So che ha fatto richiesta di parlare con Herr Kommandant, posso chiederle per quale motivo?" Domandò a questo punto, il tono di voce non era scontroso ma cordiale.
Elisabetta esitò, cosa doveva rispondergli?
"È una questione personale, signore." Incerta. L'altro interpretò male la cosa.
"Non pensavo fosse il tipo da queste cose..." mormorò Baumann. La giovane sembrò non capire, visto che lo guardò con fare interrogativo.
L'ufficiale però non si preoccupò di dare ulteriori spiegazioni.
"Signorina Colli, lo Sturmbannführer Schwartz è stato vittima nella giornata di ieri di un attacco ad opera di un suo compaesano." Seppur cordiale si era dimostrato ostile nel pronunciare quell'ultima parola.
Elisabetta si bloccò, aveva avuto la sua conferma, era lui quello che era stato ferito.
Non disse nulla, rimase impietrita davanti all'uomo che la studiava concentrato.
"Vuole vederlo?" La richiamò lui ad un certo punto. La ragazza esitò poi scosse i capo.
"Io... Non penso sia il caso..." Rispose, Baumann però, che aveva colto l'esitazione si girò.
"Mi segua." Disse solamente salendo le scale.

"È ancora incosciente." Spiegò l'uomo mentre la conduceva verso il luogo dove si trovava l'ufficiale. La cosa da una parte la tranquillizzò, la metteva meno a disagio il pensiero che lui non la avrebbe riconosciuta e non si sarebbe ricordato di qualcosa. 
Giunti davanti ad una porta Baumann si scostò lasciando che fosse la donna ad avere l'accesso a questa.
"Eccoci, ora signorina io torno alle mie mansioni." Disse lui girando i tacchi e lasciandola lì imbambolata.
Editando aprì la porta che dava su quella che doveva essere un'infermeria molto spartana.
Quattro letti erano predisposti lungo la stanza e su uno di questi lo vide.
Era sdraiato di pancia, il volto piegato sul cuscino, gli occhi chiusi e impegnato in un sonno agitato. Un panno bagnato sulla fronte e la faccia sudata.
Come un automa si avvicinò a lui a passi incerti. Si sedette sul letto vuoto affianco e lo guardò.
Non aveva nulla a che fare con l'uomo in divisa che seminava terrore e morte nei territori locali, aveva la febbre pensò lei visto quanto sudava e quando avvicinò, in un assoluto atto di coraggio, la mano alla fronte la sentì ardere benché avesse il panno bagnato sopra.
Immediatamente ritrasse la mano come temendo che lui potesse svegliarsi di colpo e trovarla in quella situazione.
Lo vide agitarsi e gemere per il dolore che molto probabilmente la ferita alla schiena gli provocava, la preoccupava, per un qualche sconosciuto motivo, vederlo in quelle condizioni e, per quello che poi definì un atto di misericordia cristiana, strinse la sua mano tra le sue. 
Era molto più grande delle sue notò. 
Rimase in quella situazione per un po' di tempo finché, resasi conto di cosa stava facendo, scappò letteralmente dal comando vergognandosi per quello che aveva fatto e chiedendo perdono a tutte quelle persone la cui vita era stata strappata da quella stessa mano che lei aveva stretto.

  
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