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Autore: _Noodle    15/12/2016    4 recensioni
 
“Quando la danza diventa un’esigenza, un bisogno primario e necessario, la musica fuoriesce dalla sua tana avvolgendo i corpi degli amanti, sgorgando dagli strumenti e dai grammofoni, dalle casse e dalle console. Quando si balla è notte. Quando si ascolta, il sole è lontano”.
Raccolta di One-Shot: ad ogni decennio del Novecento corrisponde un genere musicale, ad ogni sonorità un diverso e particolare modo di danzare.
~ The Romantic Naughties: 1911 [KuroTsuki].
~ The Roaring Twenties: 1925 [DaiSuga].
~ The Dirty Thirties: 1936 [AsaNoya].
~ The Flying Forties: 1946 [YamaYachi].
~ The Stylish Fifties: 1957 [KuroKen].
~ The Revolutionary Sixties: 1964 [KageHina].
~ The Eccentric Seventies: 1973 [IwaOi].
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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1925, Rapsodia.
Daichi Sawamura, dopo aver ascoltato la “Rapsodia in Blu” di George Gershwin, entra a far parte di un circo.
 
 
 
 
 
 
 
14 Maggio, 1925
 
Mio figlio mi trascina per la manica sgualcita della camicia dentro ad un enorme ed imponente tendone da circo giallo e rosso. Oggi è il 14 maggio ed è il suo compleanno. Gli ho promesso un regalo degno della giornata e da come saltella e ridacchia  gioiosamente direi che ha gradito la sorpresa. Per fortuna, ho fatto centro.
Il circo è in città.
Lo spettacolo deve ancora iniziare, ma una musica pomposa ed accattivante attira la sua attenzione, e quella degli altri bambini impazienti di godersi lo spettacolo, più di quanto lo farebbe una miriade di stelle scintillanti. Conosco il perché di tanta euforia da parte di mio figlio: ogni volta che della musica giunge alle sue orecchie si ricorda della sua mamma, la bella Yui. È più forte di lui: inizia a battere le mani a tempo, a saltellare sul posto, a dimenare le gambe e a canticchiare, pur non conoscendo nemmeno una parola del motivetto in questione. Risplende nei suoi otto anni di età come un germoglio appena fiorito e con quei sorrisi euforici e strabordanti di vita colma un’assenza che dura ormai da due anni. La malattia ha portato via Yui in una tiepida notte di agosto e da quanto se n’è andata, da quando la soave voce di Michimiya è salita al cielo, il mio umile lavoro di operaio non è più sufficiente. Fabbricare coltelli non è esattamente ciò che desideravo. Detto ciò, non rinuncio alla felicità di mio figlio e, quando ne ho l’occasione, faccio in modo che la sua allegria prenda il sopravvento sulle mie tristi  ed assillanti preoccupazioni.
 
Entriamo nel tendone e prendiamo posto in prima fila, al centro. Lo spazio scenico è immenso, ovoidale. Una tenda rossa divisa a metà separa il pubblico dal retroscena, il pavimento è sabbioso ed una consistente barriera dipinta di giallo si erge tra i palchi rialzati e la scena per far sì che nessuno si possa far male. Mio figlio, occhi frizzanti e spensierati, ha voluto a tutti i costi che gli comprassi un sacchetto di pop corn e, data la situazione poco formale, ho ceduto anche io. Il nostro masticare rumoroso e godereccio, tuttavia, finisce ben presto, ancor prima che lo spettacolo inizi. Si sa, davanti a leccornie del genere è impossibile aspettare!
 
Le luci che illuminano il pubblico si abbassano, i riflettori si accendono.
 
Signore e Signori, che lo spettacolo abbia inizio!
 
Dopo la presentazione ridondante del direttore del circo, i primi a fare irruzione sono i domatori e le loro bestie feroci. Tigri, leoni, orsi ed elefanti, chi mai avrebbe potuto immaginare che fossero così grandi? Cavalli che galoppano e trottano eseguendo sequenze di passi complicatissimi, tuffi nei cerchi di fuoco, giraffe dai colli fragili e lunghissimi, amazzoni impavide che si servono degli animali per dimostrare le proprie abilità. Poi, giunge il momento delle equilibriste, del prestigiatore, delle ballerine e dei pagliacci. Senza rendercene conto, due ore sono già passate.
I riflettori, andati a buio per separare tra loro le esibizioni dei circensi, feriscono nuovamente la scena con tagli di luce bianchi e blu e due attrezzi acrobatici vengono calati dalla sommità del tendone: deduco che è giunto il momento dell’esibizione dei trapezisti. Mi volto verso la mia destra. Gli occhi di mio figlio sono sempre più grandi. Hanno raggiunto la massima profondità ed estensione e risplendono come meglio possono, come meglio hanno imparato dagli anni travagliati e burrascosi appena trascorsi. La magia del circo permette alle navi in balia della tempesta che fluttuano nella sua mente di tornare in porto, la strana e dissonante atmosfera è in grado di addormentare ogni strisciante e schifosa paura che attanaglia la sua serenità. Attraverso gli occhi di un bambino tutto è più semplice, regolare, scontato. Ciò che è magico, è magico, ciò che è divertente è divertente e se in un determinato momento si è contenti, tutti i sentimenti di tristezza devono essere ricacciati nello sgabuzzino dei brutti ricordi. Gli occhi di un bambino vedono la naturale bellezza di un istante ed in questo si perdono, senza domandarsi mai il perché.
Ma che cosa vedono i miei, di occhi? Preferirei dire che tutto ciò che vedono è un gruppo di meravigliosi e talentuosi artisti, uno spettacolo eccentrico e frivolo immerso in una moltitudine di colori scintillanti, un rincorrersi di risate e di sussulti, di respiri commossi e sorpresi; ma questa non è la verità.
Respiro, respiro sconnessamente. La mente che divaga, che momentaneamente si disperde tra i lineamenti di una figura sconosciuta. Che io sia riuscito a diventare bambino, a cogliere ed assaporare l’attimo?
In questo momento vedo soltanto il volto di un giovane uomo, probabilmente della mia stessa età. Ventisette anni sono sufficienti per sposarsi, per avere un figlio ed accudirlo con amore e premura, ma non lo sono mai abbastanza al cospetto della bellezza, per i pugni dell’ammaliamento che lo stomaco incassa. Perché la bellezza spezza le ossa, scioglie i nervi, abbatte il contegno. Ricordo ancora che cosa provai la prima volta che il mio sguardo incrociò quello di Yui: dapprima un imbarazzo incontenibile, poi un calore inaspettato che si estendeva infiammando il petto. Era strano e piacevole, faceva il solletico.
Il fatto che io, in questo esatto momento, alla vista del giovane uomo stia provando la stessa sensazione che provai nei confronti di mia moglie mi rende confuso, decisamente spaesato.
Mio figlio è accanto a me e, senza che nemmeno sappia spiegarmelo, la mia mente si è persa e sta ripercorrendo le tenere e impagabili sensazioni che attanagliarono il mio cuore otto anni fa.
Il giovane uomo in questione è un trapezista. Indossa una rigorosa canottiera bianca infilata in dei calzoni neri che si arricciano sotto il ginocchio, trattenuti da un paio di bretelle blu. Ha i capelli d’argento, la pelle bianchissima, il naso cosparso di cipria e un velo di rossetto rosa sulle labbra sorridenti. La sua carnagione diafana è luminosa e sembra ricoperta da un intero barattolo di brillantini. Prima di avvicinarsi al trapezio sorride, s’inchina e saluta il pubblico, sfrega le mani coperte di magnesia l’una contro l’altra e si appresta a volteggiare nel cielo. Non appena lo vedo lanciarsi sull’attrezzo, le mani nervose e venose che si aggrappano con passione alla sbarra di legno, percepisco la sua energia, il suo essere intrepido e sprezzante del pericolo, il suo essere folle, ma consapevole di ciò che affronta. La brillante musica dell’orchestra, che tenta di suonare come meglio può la Rapsodia in Blu di George Gershwin, avvolge il corpo del trapezista in una morsa tenace, lo culla, lo sbatte, lo raccoglie, lo accarezza. Il giovane dai capelli argentati compie miracolosi avvitamenti ed incredibili salti mortali, si diverte nello sperimentare vigorosi slanci di gambe e colpi di reni, piroette aeree e figure inimmaginabili. Non riesco a deviare lo sguardo, a perdermi nei particolari e nell’allestimento dell’immenso tendone da circo, non riesco, come per le altre performance, a distrarmi. Le mie pupille saettano e volteggiano con l’esuberante trapezista, il mio respiro si spezza ad ogni evoluzione spericolata, la saliva smette di scorrere copiosa nella mia bocca. Ed è quando mio figlio sussulta di fianco a me che ricordo dove mi trovo, che mi accorgo che il cuore in gola, a quanto pare, non ce l’ha solamente lui.
Maledetto George Gershwin.
 
<< Mi scusi! >>
Due iridi castane s’incastrano nelle mie. Il trapezista ha un neo perfettamente circolare di fianco all’occhio sinistro.
<< Scusi se la disturbo >> incomincio << immagino che sia stanco dopo l’esibizione di questa sera, ma mio figlio ha insistito perché lo portassi qui, voleva farle i complimenti. >>
Sto mentendo, spudoratamente. Il piccolo mi guarda indispettito, sentendosi raggirato. Un padre esemplare non avrebbe mai coinvolto il figlio innocente in una situazione del genere, ma io non sono un padre esemplare. Solitamente sono i bambini a trascinare i genitori in circostanze imbarazzanti, non il contrario; tuttavia, il desiderio che provo nell’incontrare e stringere la mano al formidabile trapezista offusca la mia mente. Non ragiono, non osservo lucidamente ciò che mi circonda, straparlo e balbetto, quasi non mi riconosco.
<< Ma papà, io… >>
<< Come sei gentile piccolino! >>
Il ragazzo si abbassa, caviglie a sostenere il leggero peso del suo corpo. Mio figlio lo guarda per qualche istante, poi si perde ad ammirare la miriade di carrozze, gabbie e carri che racchiudono l’attitudine vagabonda ed errabonda dei circensi.
<< Noto che sei affascinato dal luogo. Che ne diresti di farti un giretto con me? >>
Il trapezista lo prende per mano, io li seguo a ruota. Ha un incedere preciso ed interessante, dannatamente sensuale.
<< Come puoi vedere qui ci sono le gabbie dei leoni, e laggiù ci sono gli elefanti. E queste sono le nostre umili case, se così si possono chiamare. >>
Sorridiamo tutti e tre, divertiti da quella battuta. Nel frattempo, un fastidioso rincorrersi di urla e di insulti giunge alle nostre orecchie: provengono da qualche carrozza più in là rispetto a dove ci troviamo.
<< Ne ho abbastanza di te! I tuoi giochi di prestigio sono vecchi, non fanno ridere, non stupiscono, non affascinano, sono mortalmente noiosi! Il coniglio che esce dal cappello, la colomba, le carte, tutte cose già viste! Non ti rendi conto che il pubblico durante il tuo numero sbadiglia e si gratta la testa? Il mio circo è il migliore dell’intera regione, e c’è posto solo per chi ha talento. Ti ho dato sufficienti possibilità, questo è il momento che tu te ne vada! >>
<< Ehm, magari ci spostiamo più in là, che dite? >> commenta l’artista dai capelli argentati.
<< Papà! Perché non ti proponi tu come prestigiatore? Come quando tu e la mamma facevate finta di scomparire, o ti trasformavi in un pirata, oppure quando… >> esclama mio figlio, ascoltate attentamente le parole del proprietario del circo.
<< Ehm, figliolo, non credo sia una buona idea! >> lo interrompo, sorridendo paonazzo, rendendomi conto, dopotutto, di meritarmi questa descrizione poco simpatica dal momento che l’ho usato per i miei intenti infantili.
<< Tuo papà sa fare le magie? >>
Il trapezista rivolge lo sguardo verso di me, sorridendo compiaciuto e meravigliato. Le sfumature contenute in quegli specchi castani circondano i miei sensi e mi destabilizzano. Sono così leggero che potrei pensare di sollevarmi in volo.
<< Urca! Mio papà farebbe mangiare la polvere a quel tizio! >>
<< Attento alle parole! >> lo rimbecco << e comunque mi spiace, non credo di essere adatto a questa vita. >>
<< Che cosa fa di solito? >>
<< Io sono un operaio. Costruisco coltelli. Ma non… diciamo che quando Yui era con noi tutto era più semplice. Il suo talento ci ha salvato la pelle. Sa, era una cantante. >>
Abbasso lo sguardo. Mi sento stupido, ridicolo, incapace di esercitare qualsiasi tipo di dominio su me stesso. Mi tremano le mani, mi pulsano i muscoli delle gambe e sembra che lo strambo fascino della novità stia invalidando ogni mia capacità di controllo. Qualcosa mi àncora ai sentimenti del passato, le radici dell’abitudine vincolano le mie caviglie, le unghie affilate dei ricordi lacerano la mia pelle e i miei sorrisi, l’alito nauseabondo della malattia di mia moglie dilania il mio stomaco. Qualcos’altro spazza via ogni amore, ogni felicità nel ricordare le tenere labbra di Yui, nel rimembrare la volta in cui facemmo l’amore nascosti nella macchina del suo agente, di quando le chiesi di sposarmi. Qualcosa sta cambiando i miei piani. Colpo di fulmine, caso, destino o sciagura, chiamatelo come volete. Una pallottola nuova di zecca che si conficca in un vecchio ed affezionato cuscino di piume. Questo qualcosa mi ammazza e mi purifica, conduce una catarsi profonda e rigenerante. Questo qualcosa sosta davanti a me e mi osserva. È un uomo. Questo qualcosa che mi sta facendo perdere la testa, che sta cancellando il passato ed illuminando il presente, è proprio ciò che non avrei mai voluto che accadesse, soprattutto essendo io padre, essendo io un altro uomo. Ciò che successe con Michimiya non è stato una sbaglio, no. È stata un’esperienza bellissima, ma ai propri sentimenti non si comanda e questo, sebbene io l’abbia sempre saputo, l’ho sempre tenuto nascosto. Se la brezza soffia vesto ovest non c’è modo di deviare il suo percorso. Almeno, non in questo caso. Dovevo aspettarmi che prima o poi la mia vera natura avrebbe preso il sopravvento: mai sottovalutare la potenza di quella dolceamara ed invincibile belva.
<< Oh, ho capito. Mi spiace davvero tantissimo, sono sincero. Ma, sono curioso allo stesso modo di vedere che cosa lei è in grado di fare con la magia. >>
<< Erano soltanto giochi, mio figlio ricorda male >> biascico, tentando di non farmi udire. In risposta, ricevo un pugno su una gamba.
<< Beh, non credo che suo figlio la pensi allo stesso modo. Torni domani e rubi qualche coltello dalla fabbrica in cui lavora. Il circo resta in città per altri due mesi! >>
 
<< Come si chiama? >>
<< Koushi Sugawara, ma tutti mi chiamano Suga. >>
<< Io sono Daichi, Daichi Sawamura. >>
 
22 giugno, 1925
 
Coltello dopo coltello, lama dopo lama, applauso dopo applauso, qualcosa è accaduto. Mi sembra pressoché incredibile che la mia povera e misera abilità nel costruire quei semplici utensili si possa essere trasformata nella mia più grande fortuna, mi sembra surreale che il compleanno di mio figlio si sia rivelato l’epifania che aspettavo da tanto tempo. Ogni sera da ormai più di un mese, dopo il suo numero al trapezio Koushi si presta come assistente per il mio numero di magia: io lo taglio in mille pezzi sezionando il suo corpo e anche lui, inconsapevolmente, frantuma il mio. Il direttore è contento, il numero è di successo e mio figlio, diventato ormai parte integrante del circo, si occupa di nutrire e preparare gli animali per i loro numeri. È diventato un piccolo uomo in poco più di trenta giorni. La mia vita è migliorata, la fabbrica ha preso fuoco, ed io devo ancora comprendere che cosa cerco nella mia vita.
Suga è bizzarro, dolcemente esuberante. Non è possibile descriverlo con un solo aggettivo, perché non è una di quelle persone di cui la gente sa fornire una descrizione impeccabile, tracciare un ritratto completo ed esauriente. Koushi non è una persona scontata.
In lui si districano mille strade che non portano da nessuna parte, mille vie dai muri sporchi ed imbrattati, mille colori, mille luci artificiali, mille note che colpiscono, lì, nel centro dello stomaco. È una rapsodia, apparentemente interminabile ed inesauribile di cui non puoi fare a meno. Ha le mani grandi, la pelle morbida, il fiato profumato di pasta dentifricio.
È spavaldo, maledettamente esibizionista ed esageratamente geniale in tutto ciò che fa. Ma è anche timido, maledettamente riservato ed esageratamente goffo in tutto ciò che vorrebbe fare in modo spavaldo.
Suga è una contraddizione, di quelle belle, però.
 
23 giugno, 1925
 
Koushi mi chiede come mi sento. Siamo soli, chiusi a chiave nella sua carrozza. Sul tavolo di legno adiacente alla parete più estesa ci sono trucchi, pennelli, cipria e rossetto. Ci sono calze a righe blu e rosse abbandonate al suolo, bottiglie di vino vuote utilizzate come vasi per raccogliere i fiori degli ammiratori. Il suo profumo dolciastro aleggia nell’aria impregnandosi nei miei vestiti e tra i miei capelli, la luce soffusa di una piccola lampada ad olio ribalta le nostre ombre sul pavimento, allungandole a dismisura.
Koushi mi chiede come mi sento, ma io non rispondo. Mi guarda insistentemente, ripetendo la domanda una, due, tre, quattro volte. Le parole faticano ad emergere dalla profondità della mia gola, le corde vocali non collaborano, troppo tese per essere sottoposte a maggiore sforzo.
<< Daichi, come ti senti? Te lo chiedo perché vorrei sapere se questa vita fa per te… dopotutto, è da un mese che ormai sei qui con noi e lavori per noi. Il periodo di prova si è concluso, devi scegliere. Il direttore ha già preso una decisione e devi essere tu a confermarla. >>
<< Koushi, te ne avrei parlato. >> 
Suga, seduto al tavolo del trucco, mi osserva dallo specchio, occhi curiosi e al contempo preoccupati. Mi avvicino a lui, afferrando una sedia e sedendomi alla sua sinistra. 
<< Io ho un figlio. Sto bene qui e voglio continuare ad essere travolto da questa frenetica vita, ma io ho un figlio. Un figlio che ha bisogno di andare a scuola, di lavorare per permettersi di vivere, che ha bisogno di una casa, di amici con cui giocare a palla o alla lotta. Ho un figlio che vorrebbe che colui che chiama "papà" fosse affettivamente suo papà, non un uomo dalla scarsa stabilità emotiva che si fa sorprendere a piangere dietro la gabbia degli elefanti. >> 
Koushi mi guarda perplesso, stupito per ciò che ho appena confessato. Dischiude le labbra per parlare, scuotendo la testa. 
<< Instabilità emotiva? Pianti? Ma che cosa stai dicendo, di che cosa stai parlando, Daichi? Tu sei uno degli uomini più coraggiosi e tosti che io abbia mai conosciuto. Sei organizzato, prudente, severo e premuroso quanto basta. Hai rinunciato ad un lavoro stabile per dedicarti ad un qualcosa che nemmeno avevi programmato, perché tanta severità nei confronti di te stesso? Perché ti sottovaluti in questo modo? Giuro che non ti seguo. >> 
E nemmeno io seguo me stesso al cospetto dell'uomo che da un mese a questa parte ha donato a tutta la mia vita la magia che le era sempre mancata. Unisco le mani, chiudendo gli occhi. 
<< Ho bisogno che tu mi faccia una promessa che sento che mio figlio non potrebbe mai mantenere: non giudicarmi, per favore. >> 
Suga alza gli occhi al cielo, aggrottando le sopracciglia argentate. 
<< Giudicarti? Perché mai dovrei farlo? Daichi, per piacere, spiegami che cosa ti sta capitando. Stare qui è così deleterio per te? Non pensavo che la vita del circo avrebbe potuto sconvolgerti in tal modo. >> 
La risposta dovrebbe essere un secco sì. Non sono in grado di comporre frasi e periodi e di misurare le parole, sono nudo davanti alla mente così fresca e comprensiva di Sugawara. 
<< Koushi, io credo di avere un problema con te. Ricordi la sera in cui ci siamo presentati? Ricordi di quando ti dissi che mio figlio voleva complimentarsi con te? Beh, ho mentito. Lui non voleva farti i complimenti, era mia intenzione incontrarti e scoprire il tuo nome. Ancora ricordo la tua prima Rapsodia in Blu, i riflettori e le luci, il particolare odore che accompagnò la tua entrata in scena. In questi mesi di lavoro insieme, ma ad essere sincero già da prima che tutto ciò cominciasse, ho capito che non posso nascondermi a me stesso e... Credo che tu abbia capito dove voglio arrivare. Mio figlio non può sapere che suo padre è innamorato di un altro uomo, perché potrebbe morirne, e anche io. >> 
Mi afferra le mani senza preavviso, facendo scivolare i suoi caldi polpastrelli sulle mie nocche screpolate. Quel contatto inaspettato, maldestro ed agognato, talmente doloroso e desiderato da risultare fastidioso, apre i miei condotti lacrimali come se fossero dei rubinetti rotti, ricordandomi del perché piangessi accovacciato dietro la gabbia degli elefanti. 
<< Il fatto che tu non possa nasconderti a te stesso è diverso dal fatto che tu non possa nasconderti agli altri. Daichi, qui siamo al circo. Al circo si fanno magie e le magie hanno dei trucchi che non possono essere svelati e raccontati a nessuno. Al circo ci sono dei segreti. E questo sarà il nostro. Che tu ci creda o no, ogni volta che quella melodia accompagna le mie esibizioni io penso a te, al blu del cielo notturno della notte del 14 maggio, perché è quello il blu di cui parla la rapsodia, la mia rapsodia. Al decimo minuto della composizione mi viene voglia di crollare e di cadere dal trapezio, di correre verso di te e di ballare con te. 
Se tu sei d'accordo, da assistente a mago, vorrei stipulare un contratto a vita, con obbligo di silenzio fino a quanto basta. Tuo figlio lo scoprirà quando entrambi vi riterrete pronti, non è necessario affrettare i tempi. >> 
Ma tutto ciò che voglio, in questo istante, è acquisire velocità. 
Mi fiondo sulle sue labbra come attratto da una forza magnetica, l'argento dei capelli di Koushi che si fonde col metallo grezzo dei miei coltelli. Lui non si tira indietro, ma approfondisce il bacio reagendo impulsivamente, mostrandomi come anche gli uomini possano essere delicati ed estrosi nel baciare. Le mie labbra si sporcano di rossetto, le mie mani e le mie guance di cipria. Senza nemmeno volerlo, sento la nostra canzone fluire dagli strumenti dell'orchestra e accompagnati da quelle note pungenti cadiamo a terra, sul pavimento fresco della carrozza, l'uno di fianco all'altro. Esploriamo i nostri corpi senza ritegno, avidi di conoscere a fondo i trucchi di questo splendido incantesimo, di scoprire che cosa si nasconde sotto la pelle, tra le ossa e il cuore. Si nasconde amore? Si nasconde felicità? Da dove arrivano tutti questi meravigliosi sentimenti? La pelle di Suga è liscia come la seta, preziosa come un capo di velluto, come un’introvabile capo d’alta sartoria. Sento il suo cuore rullare nel mio petto. Incredibilmente, sto bene.
Ho ventisette anni e ho un figlio ed un amante meravigliosi. Sono vivo. Ho cominciato a vivere nuovamente. 
Koushi, alzatosi in piedi con uno scatto colmo di adrenalina, mi porge una mano e io l'afferro. In un attimo ci troviamo l’uno davanti all’altro, io che gli afferro i fianchi e lui che appoggia le sue mani sulle mie spalle. 
<< Vorrei essere in grado di ballare su questa melodia con te, ma sono scoordinato >> balbetto imbarazzato.
<< Chi ti dice che le nostre anime non stiano già danzando? >> 
 
Nel blu della notte, nascosti dalla musica e da un velo di cipria, i nostri corpi si uniscono e tutto acquista un senso. 
Se mai qualcuno, tra cento anni, dovesse chiedermi se credo ancora nella magia, risponderei con il mio fatidico e secco sì. Perché il contratto magico firmato silenziosamente da me e Sugawara è a tempo indeterminato ed io non intenzione di stracciarlo. 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: dopo due settimane, finalmente, ho aggiornato con una DaiSuga! <3 Gli anni Venti mi piacciono tantissimo a livello musicale e, come avrete potuto capire dal titolo, ho scelto un genere piuttosto particolare per accompagnare la storia: la rapsodia. Quella in Blu di Gershwin è un brano che adoro e che mi ha sempre fatto balzare in testa l’immagine del circo. Ed è lì che mi è venuta l’idea: circo = Sugawara trapezista x””.
Devo ammettere che scrivere una DaiSuga è stato più difficile del previsto. Ad un tratto ho creduto di aver completamente sbagliato la caratterizzazione dei personaggi, ho creduto che inserire la figura di un figlio fosse roba da ricovero, i personaggi si muovevano da soli e assumevano caratteri di altri personaggi, ma poi ho deciso di continuare lo stesso, anche se piena di dubbi. Scrivendo ho capito che, sebbene adori la DaiSug come pairing, non scriverò più così spesso di loro, perché mi mettono realmente in difficoltà XD
Date tutte le mie preoccupazioni, vi prego, fatemi sapere il vostro parere! Non vedo l’ora di pubblicare la prossima one-shot (quella che ho pensato per prima iasugdwiaks), anche perché scritta questa posso scrivere di tutto. Cose da sapere su questo capitolo:
- Le musiche a cui mi sono ispirata: “Rhapsody in Blue” di George Gershwin, “Did I Miss It?” e “The Circus Sets Up” dalla colonna sonora di “Water for Elephants”, “Magic” dei Coldplay.
- La danza in questo capitolo è vista in modo astratto e non concreto, perché di per sé Daichi e Suga non ballano.
- “Dolceamara invincibile belva” è una citazione di Saffo.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che i Twenties siano stati veramente “Roaring” (?). Vi abbraccio fortissimo, grazie a chi lascia segno del proprio passaggio. <3
_Noodle 
  
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