Film > Suicide Squad
Segui la storia  |       
Autore: GuapaLocaa    15/12/2016    1 recensioni
Harleen lavora all'Arkham Asylum ormai da troppo tempo e non le è mai stato affidato un caso serio.
Finchè non arriva lui.
Lui che, con i suoi inconfondibili capelli e occhi verdi la plagerà, fino a portarla alla distruzione.
Perchè è molto meglio un solo momento di vita vissuta intensamente, piuttosto che cento anni passati a sopravvivere.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2

Over the Window

Anche quella notte Harleen non era riuscita a dormire a causa degli incubi.

 

Aveva sognato di correre per la strada, senza arrivare mai, salvo poi ritrovarsi bloccata in un vicolo cieco, e poi lo sparo.

Lui l’aveva colpita dritta in fonte.

 

A quel punto si era svegliata, col fiato corto e il pigiama madido di sudore, e si era resa conto che si trattava di un altro incubo. Oggi ci sarebbe stata la prima vera visita psichiatrica col suo nuovo paziente.

Sarebbero stati nel suo ufficio, da soli, senza telecamere ad osservare la sua follia omicida.

Era un po’ intimorita.

Il giorno prima, per fortuna, era andato tutto a meraviglia nella cella del Joker.

Avrebbe dovuto portare con sé qualche arma per difendersi?

Istintivamente i suoi occhi guizzarono verso il comodino dove teneva la sua revolver.

Si trattava di una Chiappa Rhino 60DS nera con canna da 6”, caricata con sei colpi in calibro 357 Magnum a punta cava. Non l’aveva mai usata, a dire il vero.

L’aveva comprata, solo per difendersi da possibili aggressioni notturne.

Gotham non era di certo rinomata per la sua vivibilità.

 

Ridestandosi dai suoi pensieri, Harleen si preparò per un’altra intensa giornata di lavoro.

 

Arrivata nel suo ufficio indossò il solito camice, perfettamente bianco, in pendant con il resto di quella stanza spoglia, prendendo poi ad affilare le sue matite, perfettamente appuntite ed ordinate l’una accanto all’altra.

Dopo aver sistemato le ultime scartoffie, la donna chiamò le guardie che, prontamente, dopo nemmeno dieci minuti fecero accomodare il signor Napier nel suo ufficio, togliendo la camicia di forza e ammanettando il suo polso sinistro al tavolo, dileguandosi subito dopo.

Era una regola non scritta.

La dottoressa non voleva essere disturbata durante il suo lavoro; questa era l’unica regola che aveva imposto ai subordinati dell’Arkham Asylum fin dal primo giorno in cui le era stato affidato il posto di psichiatra presso quel centro.

Chiuse la porta a chiave, in modo che nessuno potesse entrare, sotto lo sguardo sorpreso e divertito del detenuto, che esordì, con fare teatrale, a mo’ di riverenza:

«Buongiorno bambolina!»

«Benvenuto Mr. J -ricambiò lei con un sorriso di circostanza, sedendosi di fronte a lui, tirando fuori dal cassetto della scrivania un block-notes ed una penna, e raccogliendo i capelli in un morbido chignon, fermato da una matita temperata per l’occasione - Oggi ha inizio la nostra prima seduta. Mi parli un po’ della sua vita. Inizi da dove preferisce»

«D’accordo bambolina. Avevo una moglie, era bellissima… proprio come te!

Lei mi diceva sempre che mi preoccupavo troppo, mi diceva che dovevo sorridere di più, che giocava d’azzardo e si metteva in un mare di guai con gli strozzini…

Hey! Un giorno le sfregiano il viso. Ma non abbiamo i soldi per la plastica.

Lei non lo sopporta. Ma io voglio solo vederla tornare a sorridere!

Hm? Voglio che lei sappia che non me ne importa delle cicatrici! E allora, mi ficco il rasoio in bocca -recitò, estraendole la matita dai capelli con un gesto repentino e ficcandosela in bocca, iniziando a squartarsi la carne, partendo dall’angolo destro della bocca, con la punta- e mi riduco così… da solo. E sai che succede? Non ce la fa neanche a guardarmi! E mi ha lasciato. Ora ne vedo il lato buffo: ora sorrido sempre!»

 

Concluso il racconto dell’uomo la dottoressa si portò una mano alla bocca, come per trattenere un conato di vomito. L’aria era diventata pesante.

Improvvisamente le mancava il respiro.

Si alzò, per aprire una finestra, ma immediatamente si ritrovò un corpo molto più possente di lei afferrarle la gola da dietro, con una matita puntata contro la carotide.

Prontamente Harleen afferrò la revolver, estraendola dalla fondina e puntandogliela contro il fianco.

Subito Jack allentò la presa, tornando a sedersi al suo posto e lasciando cadere, il pastello, ancora insanguinato sul pavimento freddo.

«Hai fegato da vendere bambolina! Sai che dovresti stare attenta a maneggiare certe cose? Potresti farti male, molto male. Soprattutto se sfortunatamente quella pistola dovesse finire nelle mani sbagliate… Non sei d’accordo con me?» concluse il Joker, in tono ironico.

 

La dottoressa tornò immediatamente al suo posto, ignorando le sue parole e riponendo l’arma nella custodia.

«Gradisce un caffè?» chiese, infine, accendendo la macchinetta e prendendo due tazzine a un cenno affermativo del paziente.

Prese poi le due bevande, appoggiandole sul tavolo e domandandogli: «Zucchero?»

Il joker non rispose, limitandosi a giocherellare con gli aghi della pianta grassa sulla scrivania della dottoressa.

«Mi parli della sua infanzia» gli intimò lei, con fare freddo e professionale.

«I miei genitori erano molto amorevoli. C’erano mia madre, mio padre e Jack. Era la classica famiglia Mulino Bianco.» disse lui, con un sorriso quasi… nostalgico?

«E allora perché li ha uccisi?» continuò con un filo di disprezzo nella voce lei.

«Vuoi sapere come mi sono fatto queste cicatrici? Mio padre era un alcolista e un maniaco e una notte dà di matto ancora più del solito…

Mamma prende un coltello da cucina per difendersi, ma a lui questo non piace neanche un pochetto! Allora mentre io li guardo, la colpisce col coltello, ridendo mentre lo fa… Si gira verso di me e dice: “Perché sei così serio?!”. Viene verso di me con il coltello e mi ficca la lama in bocca. “Mettiamo un bel sorriso su questo faccino! Perché sei così serio!”»

 

Harleen, adirata per la sua presa in giro, battè il palmo delle mani sul tavolo.

 

«Basta così Mr. J., è chiaro che lei non vuole collaborare. Smettiamola di prenderci in giro a vicenda!» disse la dottoressa, alzando per un attimo il tono della voce, sempre così pacata.

 

«Non ti stavo affatto prendendo in giro bambolina. Smettila di entrarmi nel cervello. Attenta: la follia è come la gravità… basta solo una piccola spinta -le sussurrò lui all’orecchio -lentamente la accoglierai di tua spontanea volontà. Sarà allora che si impadronirà di te… e ti consumerà!» concluse il clown ridendo sguaiatamente, con quel lampo folle negli occhi che lo contraddistingueva.

 

«Non ho paura Mr. Joker, perché si ostina a rifiutare il mio aiuto?» chiese, ancora nervosa, la dottoressa iniziando a mordicchiarsi le unghie, sempre perfettamente curate e sbeccandone lo smalto rosso.

«Mi hanno trattato come un mostro, e sono diventato un mostro. -rispose l’uomo con un bagliore perverso ad illuminargli gli occhi- Non sono qualcuno che può essere amato. Io sono un’idea, uno stato d’animo. Sono un’ombra, che si insinua nella mente, come un parassita, corrompendoti prima che tu possa accorgertene. Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!» concluse, esternando la propria devianza, prima di tornare nella sua cella lanciandole uno sguardo intimidatorio e dicendole «Avevo ragione dottoressa Quinzel, lei è proprio deliziosa» scomparendo dietro la porta, scortato dalla vigilanza.

 

Quella notte la dottoressa restò di turno al manicomio.

Quel posto non era bello nemmeno di giorno, figuriamoci quando veniva avvolto dalle tenebre.

Harleen restava chiusa nel suo ufficio scrivendo la cartella clinica del Joker e prendendo spunto per il suo libro.

 

 

CARTELLA CLINICA

Elizabeth Arkham Asylum for the Criminally Insane

                                                            Detenuto n°  O  

 

Nome: Jack

Cognome: Napier (?)

Alias: Il Joker

Età: //

Altezza: 183 cm

Peso: 73 kg

Occhi: Verdi

Capelli: Verdi

 

 

 

Diagnosi critica del disturbo:

Il paziente è affetto da diverse psicosi caratterizzate da sociopatia, alterazione del pensiero, e del comportamento. Ha difficoltà a relazionarsi col prossimo, 

e tende ad alternare fasi di bipolarismo cronico.

Pare che la malattia si sia manifestata d’improvviso, fin dalla più tenera età.

Tali accessi di durata più o meno lunga erano intercalati da periodi di quiete.

La sfrenata libidine lo rendeva spessissimo oggetto di scandalo per la pubblica morale. Qualche volta minacciava anche i parenti.

 

Il soffocamento di questi istinti primitivi ha portato il sig. Napier a sviluppare una visione distorta e perversa del mondo.

Talora presenta dei leggieri delirii che si estrinsecano in una forte tendenza all’autolesionismo.

Conserva memoria della maggior parte delle cose passate più o meno lontane, ma talora pare che abbia dimenticato tutto.

 

Si è riconosciuta la necessità di un urgente ricovero all’interno dell’istituto.

 


 

Mentre la dottoressa scriveva il verdetto di quel folle incontro, diverse voci continuavano a rimbombare nei corridoi del carcere.

Tra tutte, seppe distinguere una risata sadica che le era familiare.

Immediatamente si avviò, col cuore in gola, verso la sua cella, accasciandosi contro la porta, unico ostacolo che li separava.

 

«Chi è la?» sentì poi.

 

Un sussulto.

 

La sua voce quella sera era particolarmente sofferente.

«Sono… Sono io Mr J! -disse, con una nota di incertezza nella voce- Volevo chiederle se aveva bisogno di qualcosa, magari del cibo. So bene che la sbobba della prigione, non sia propriamente equiparabile al caviale.

Magari, essendo nuovo ha ancora bisogno di ambientarsi. Cosa posso fare per metterla a suo agio?»

 

«Dottoressa, lei mi delude -rispose il Joker, nel chiaro tentativo di provocarla- Non credevo che si facessero favoritismi tra detenuti»

 

«Io non volevo dire questo. Cioè… Insomma, se ha bisogno di qualcosa mi chiami pure» continuò cautamente.

 

«Avrei bisogno di fumare» si sentì rispondere.

 

«Va benissimo. Vedrò di fare quello che posso!» concluse, sorridendo tra sé e sé e dirigendosi a velocità inaudita nell’ufficio del direttore.

Conquistare la fiducia del detenuto era il primo passo verso una completa e totale guarigione.

Se fosse riuscita ad esplorare i cunicoli più stretti del subconscio del sig. Napiel, era certa che quest’ultimo ne avrebbe tratto solo beneficio.

La serratura della porta era leggermente arrugginita. Fu facile scassinarla.

Prese un paio di sigari, riposti accuratamente in una scatola di legno in bella mostra sulla massiccia scrivania in massello e un accendino, tornando velocemente indietro.

 

«Mr. J, sono tornata! -esordì- ho preso quello che mi ha chiesto…»

 

«È un piacere fare affari con lei, dottoressa Quinzel! Ha portato anche un accendino?» chiese con voce solenne.

 

Esitò un istante, rispondendo subito dopo con un filo di preoccupazione nella voce «Si, sto aprendo la finestra del cibo, le passo tutto da lì».

E così fece. Aprì la finestrella della cella con uno scatto e, tremando, con le sue esili mani affidò il bottino al detenuto che le sorrise ammiccando.

 

In fondo cosa avrebbe mai potuto fare un assassino pluriomicida con un misero accendino?

 

Il sig. Arkham aveva ragione.

 

Stava cadendo in balìa del clown.

 

Lei pensava di curarlo,

invece si stava innamorando di lui.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Suicide Squad / Vai alla pagina dell'autore: GuapaLocaa