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Autore: nettie    16/12/2016    0 recensioni
Elena si fece scappare un singhiozzo dalle labbra, e insieme alla seconda lacrima frantumata al suolo sentì anche qualcos’altro frantumarsi: era il cuore di Ivan che s’era buttato dal suo petto al freddo marciapiede, in un disperato tentativo d’addormentarsi per non sentire dolore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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[ What if I could somehowe store good memories in clouds, and fly to touch the moon and your hand at the same time? ]

 

Ivan le stringeva le mani intorpidite, con gli occhi colmi di nervosismo e il cuore che gli tremava in petto. Elena lo guardava dall’alto al basso, non riuscendo però a sostenere lo sguardo dell’uomo.

 

“Amore mio, cosa c’è?”

 

Le chiese l’uomo, avvicinando il volto al suo. Era pieno inverno, ed erano sotto il portone della palazzina dove abitava Ivan. La donna sembrava turbata, la luce che le brillava negli occhi era strana e non portava buoni presagi.  

 

“Non chiamarmi così, ti prego… non più.”

 

Mormorò lei a labbra strette, prima di ritrarre le mani dalla stretta del suo uomo. Ivan non riusciva a capire il perché di quella reazione a suo parere incomprensibile, e rimase interdetto di fronte al comportamento della donna. Alle parole di Elena il cuore di Ivan sembrò quasi saltare un battito, e l’uomo trasalì. Avrebbe preferito non aver udito bene, ma aveva udito benissimo.

 

“Cosa succede?”

 

Quello che Elena si portava dentro era un segreto da troppo tempo, una sensazione stagnante nel fondo dello stomaco che la stava portando ad una lenta disintegrazione morale. La donna si nascose il volto con una mano, per poi scostarsi la frangia dalla fronte. La Luna li osservava silente dall’alto del cielo, lì, inosservata e maledetta.

 

“Elena, vuoi dirmi cosa succede?”

 

Ivan le si avvicinò di nuovo, e le portò le mani alle spalle per scuoterla appena. Queste, poi, si serrarono sul corpicino minuto della donna che tanto amava. Elena alzò il volto affranto, e la sua voce tremò nell’aria, debole e sospirata.

 

“Io… Io credo di non amarti più.”

 

Gli occhi della donna si velarono di lacrime che piano stavano salendo su, al volto, bramose di scorrerle sulle guance. Lei le ricacciò indietro, gonfiando il petto e riempiendosi i polmoni di quell’aria gelida che le freddava le mani in quella notte d’Inverno.

 

Ivan ne era certo: quella volta il cuore gli si era fermato nel petto e il fiato s’era smorzato nella gola, insieme alla voce che tanto voleva urlare e disperarsi a quelle sillabe.

 

“Cosa stai dicendo… ti prego.”

 

Le parole a malapena gli uscirono di bocca, tanto era sconcertato da quella rivelazione che avrebbe preferito non scoprire mai. Le sue mani, che ancora si poggiavano sulle spalle di Elena, strinsero quest’ultime con leggera intensità.


“...Elena!”

 

Esclamò il suo nome mentre le labbre erano tutte un tremolio continuo, e il cuore aveva preso a martellargli in petto per mimare il gesto di dolore che avrebbe voluto tanto esaudire con corde vocali e lacrime: il cuore gli urlava in petto, e lui non voleva accettarlo.

 

La donna, dal canto suo, non si sentiva di gran lunga meglio.

 

Era accaduto, punto. Non sapeva neanche lei come, ma era accaduto. Un giorno s’era svegliata, e aveva compreso di non amarlo più. Aveva compreso d’aver vissuto in un’illusione per un po’, in un’abitudine imprigionante… e non voleva più fingere. Questo le creava dolore, un dolore ancestrale che cova la maggior parte di noi nel profondo di quella cosa chiamata anima: colpa. Elena era ricolma di sensi di colpa nei confronti del suo Ivan, verso il quale non provava nient’altro che affetto camuffato per amore. Ma lei sapeva: sapeva quanto Ivan fosse perso di lei, e non riusciva ad accettare questa sua reazione ai sentimenti che l’uomo ogni giorno le rivolgeva. Era colpevole, forse era tutta e solo colpa sua: una ragione non c’era, probabilmente neanche l’evidenza, ma mentre il cuore si trovava in uno stato comatoso questo le urlava la mente.

 

La donna strinse i pugni ed abbassò lo sguardo, ma non si ritrasse dalla stretta che Ivan ancora esercitava sulle sue spalle.

 

“Scusami…”

 

Sussurrò lei, ma la voce le si strozzò in gola all’improvviso: qualche goccia di lacrima cadde al suolo e s’infranse.

 

“Non è colpa tua…”

 

Continuò. Si fece scappare un singhiozzo dalle labbra, e insieme alla seconda lacrima frantumata al suolo sentì anche qualcos’altro frantumarsi: era il cuore di Ivan che s’era buttato dal suo petto al freddo marciapiede, in un disperato tentativo d’addormentarsi per non sentire dolore.

 

L’uomo non rispondeva. Rimaneva semplicemente lì, sul posto, con lo sguardo fisso sulla donna e le labbra schiuse. Anche sul suo viso scorrevano lacrime: silenziose e funeste sembravano lasciare ustioni incurabili per quanto gli sembravano ardenti.

 

Non capiva; non voleva capire. E non riusciva. Non riusciva a capire dove aveva sbagliato, il posto sbagliato nel quale aveva messo mani e cuore, non riusciva a capire quel rifiuto improvviso e violento che Elena gli aveva schiaffato in faccia con apparente indifferenza inaudita.

 

S’erano fatti lontani, tutto d’un tratto. Elena non riusciva ad udire e vedere le lacrime di Ivan, e Ivan non riusciva ad udire e vedere le lacrime di Elena. Quel dolore tanto simile s’era fatto cieco, sordo e muto… e non poteva essere espresso.

 

“Scusami tu…”

 

Disse lui, cercando di mantenere il timbro più fermo possibile.

 

“Io ti amo ancora.”

 

Pronunciò quelle parole d’impulso, senza neanche pensare a ciò che stava per dire e alle conseguenze che avrebbe potuto causare. Elena sussultò, e i suoi occhi si sbarrarono. Quello che aveva detto Ivan le aveva fatto male, e ora si sentiva tale e quale ad un’assassina: l’omicida del cuore d’un uomo.

 

“E’ colpa mia…”

 

Si limitò a dire, mordendosi poi il labbro, forte: non voleva più parlare, non voleva più causare danni. Desiderava solo sparire dalla vita di Ivan per fare in modo che lui riuscisse a ricostruirsi daccapo delle certezze. Voleva diventare solo una sagoma sbiadita nella memoria dell’uomo… perché nonostante non lo amasse più, era convinta lui non si meritasse tutto questo dolore che gli stava recando.

 

Fece come finta di ignorare quelle parole, e piano prese le mani dell’uomo fra le proprie, scostandole dalle spalle. Quell’ultimo tocco elettrico fece raddoppiare le lacrime che rigavano il volto di Ivan, ma Elena non lo guardò per non far più male a nessuno dei due.

 

Si allontanò piano, lasciando l’uomo impotente e incapace di reagire o dire qualsiasi altra cosa. L’aveva fulminato, ma non come lo aveva fulminato la prima volta che aveva incrociato il suo sguardo. Lo aveva fulminato in un altro modo, più brutto e forse più crudele.

 

Gli diede le spalle e non gli diede nemmeno il tempo di replicare: allungò il passo e si allontanò lesta, come volesse fuggire da quelle parole da lei pronunciate e che ora sentiva rimbombare nella testa.

 

L’uomo non fece niente. Rimase lì, immobile: non si sentiva più il cuore nel petto, e faceva male più di ogni altra cosa al mondo. Chiuse gli occhi, e li riaprì quando alzò la testa verso il cielo: la Luna era stata scoperta ad origliare i loro discorsi e a spiare i loro volti, e vergognosa s’era nascosta dietro un drappo di nuvola che malcelava la sua pallida luminosità.

 

Ivan sospirò.

 

[ Here I stand and look at my life: barren, cold and incomplete. A mirror smiles at me with teary disdain, pointing out the faults in me. ]

 

(( ANGOLO AUTRICE:  

 

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