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Autore: Ortensia_    25/12/2016    2 recensioni
[ IN SOSPESO ]
Kageyama Tobio, vent'anni appena compiuti, una retta universitaria da pagare e una madre isterica di cui prendersi cura. La sua monotona esistenza subisce uno scossone dal momento in cui incontra un ragazzino dai capelli arancioni che sostiene di essere uno shinigami.
Inizialmente rifiuta di credergli, ma essendo lui stesso un essere soprannaturale comincia a pensare che possa esserci un fondo di verità nella sua confessione.
Quel che Kageyama non sa è che gli esseri come lui sono molti altri e che anche loro riceveranno presto visite dal regno dei morti.
[ Superheroes!AU; coppie e accenni all'interno; fonti di ispirazione: Marvel!Universe; Death Note; Psycho-Pass (non è necessario essere fan della Marvel o consocere gli anime citati per seguire la fanfiction) ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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IV


Uccidere o morire




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B u n k y o u __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



Seppur balbettando e boccheggiando, Moniwa era riuscito a convincere i propri genitori riguardo l'identità di Aone.
Aveva detto loro che Takanobu stava facendo un master post-laurea come lui, ma che, pur vivendo nella prefettura di Kyoto, era stato assegnato al suo stesso ufficio legale in seguito ad alcuni problemi burocratici e – per quel momento – non aveva ancora abbastanza denaro per permettersi una camera di albergo, né amici o parenti a cui chiedere ospitalità.
Detestava mentire, specie ai suoi genitori, persone di buon cuore e onesti lavoratori. Ovviamente avevano accolto calorosamente Aone, ma l'espressione con cui sua madre li aveva bersagliati nel corso della cena aveva fatto cadere Kaname in un profondo stato di imbarazzo.
Sua madre era una donna buona e molto tranquilla, ma nel suo silenzio celava una mentalità spesso contorta e piuttosto diffidente. Era palese che avesse dei sospetti, che non credesse del tutto a quello che le aveva detto il figlio. Probabilmente pensava – ed era questo a imbarazzarlo maggiormente – che in realtà Aone fosse molto più di un collega appena incontrato; magari, essendo a conoscenza dell'orientamento sessuale del figlio e considerando che Kaname non insisteva per ospitare qualcuno dai tempi delle medie, si era convinta che fosse il suo fidanzato o qualcosa del genere.
Che sua madre gli credesse o meno, comunque, avevano ricevuto la sua benedizione, e questo era un motivo sufficiente per stare tranquilli.
Come sempre, una volta uscito dallo studio legale, Moniwa era tornato a casa in fretta. Anche se adesso c'era Aone ad assicurarsi che Tetsuko tornasse a casa sana e salva – chiedergli di andare a prenderla direttamente a scuola gli sembrava ancora inappropriato –, Moniwa non si era soffermato neppure per un secondo sul profumo invitante proveniente dal ristorante Ohayou Ramen ed era rientrato perfino prima del previsto.
Tetsuko doveva essere arrivata da pochi minuti, perché venne a salutarlo con ancora il piumino rosa ben abbottonato.
«Com'è andata a scuola?» Moniwa le sorrise e le accarezzò la testa, scompigliandole leggermente i capelli.
«Bene!» Tetsuko ridacchiò. «Ho risolto un problema alla lavagna e la maestra mi ha detto che sono stata bravissima!»
«Ah sì?» Moniwa non poté che ampliare il sorriso. «E brava la mia sorellina!» le accarezzò nuovamente la testa, fermandosi non appena avvertì un profumo delicato proveniente dalla cucina.
«Tetsuko, va' in camera a cambiarti.»
Tetsuko annuì appena e corse verso la propria camera, mentre Kaname si diresse nella direzione opposta.
Appena Moniwa varcò la soglia della cucina, Aone lo salutò con un leggero inchino, provocandogli una vaga sensazione di imbarazzo che però fu subito spazzata via dalla tavola imbandita.
«A-Aone-san, hai fatto tutto questo per noi?» Kaname non poteva credere ai suoi occhi. In realtà non c'era una grande quantità di cibo in tavola, ma la varietà era impressionate, così come l'attenzione nella presentazione di ogni pietanza.
Al centro della tavola spiccava un'insalata di granchio e code di gambero, circondata da piatti più piccoli contenenti alghe in aceto di riso, germogli di soia alla piastra, zenzero in salamoia e tempura di verdure. C'erano poi tre piatti di udon ai frutti di mare e ancora un vassoio contente temaki e onigiri.
In quel momento, Moniwa fu certo che non avrebbe trovato qualcosa di tanto bello e impressionante neppure all'Ohayou Ramen.
«Non avresti dovuto. È tutto... così bello» Moniwa era ancora in piedi, immobile ed estasiato. Tetsuko, al contrario, urlò di gioia non appena entrò in cucina e prese subito posto a tavola, esortando gli altri due a fare lo stesso.
Moniwa fu l'ultimo a sedersi, mentre Tetsuko aveva già infilzato due gamberetti con la forchetta.
«Tetsuko, ringrazia Aone-san.»
«Uh?» Tetsuko richiuse la bocca, un po' indispettita per non essere riuscita a assaggiare nulla prima che il fratello la interrompesse.
«Grazie, Aone-san!» congiunse le mani senza lasciare la forchetta, chinando il capo in segno di gratitudine, poi riaprì la bocca, pronta a divorare i gamberetti.
«Prima di iniziare...»
«Onii-chan!» la bambina esordì in uno strepito lamentoso, accendendo un'espressione rammaricata sul volto del fratello.
«Scusami, Tecchan,» Kaname infilò la mano in tasca, poi la estrasse e tese il pugno chiuso verso la sorella «devo darti una cosa.»
«Un regalo?» Tetsuko avvicinò le mani a quella del fratello, ritirandole soltanto quando avvertì qualcosa di liscio e tiepido sul palmo.
«Non devi aprirla assolutamente, Tetsuko.»
La bambina osservò la piccola boccetta di plastica, chiusa da un tappo di sughero al quale si congiungeva una cordicella nera.
All'interno della boccetta vi erano un sottile strato di terra e un germoglio minuscolo, di un verde chiaro e brillante.
«Se dobbiamo difenderci, vorrei iniziare dalla tua salvaguardia» Kaname si voltò verso Takanobu, che annuì energicamente, poi tornò a fissare la sorella, sorridendole. «Non devi aprirla, a meno che non si tratti di un'urgenza reale. E con urgenza non intendo un brutto voto a scuola o papà che mangia l'ultimo budino.»
«Lo so, onii-chan» Tetsuko sembrò essere diventata improvvisamente triste. Si rigirò la boccetta fra le mani, guardandola assorta, per poi tornare a rivolgere la propria attenzione al fratello.
«Può fare fiori?» chiese riferendosi al germoglio.
Moniwa negò con un lieve cenno del capo, allora Tetsuko serrò le labbra con forza, indossando la collana con un movimento lento e preciso.
Recuperò la forchetta e guardò con estrema tristezza i gamberetti infilzati. Non c'era più un briciolo di entusiasmo nei suoi occhi, neppure una singola scintilla, e così il pranzo proseguì in totale silenzio.


❋ ❋ ❋


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S h i b a t a __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



«Kageyama!»
Tobio sussultò, rischiando di bucarsi il dito con l'ago.
«Che vuoi?!» sbottò a bassa voce, incenerendolo con lo sguardo. «E poi devi stare proprio qui a fissarmi? Mi metti ansia!»
«Ho paura di incontrare tua madre,» Hinata restò seduto sul letto, per un attimo stringendo i denti con forza e poi esordendo in un breve piagnisteo «però ho fame e devo andare in bagno!»
«Per il cibo posso prenderti qualcosa dalla cucina, ma per il bagno dovrai arrangiarti» Kageyama trapassò il tessuto elastico con l'ago, sospirando esasperato – odiava cucire, e inoltre aveva la spiacevole e snervante impressione che la forma della maschera fosse sempre più quadrata e meno ovale.
«E comunque mia madre non ti rivolgerà nemmeno la parola» riprese, sollevando e distendendo la maschera davanti ai propri occhi. «A dire il vero è probabile che si accorgerà di te solo fra qualche giorno.»
Hinata restò a fissare la schiena di Kageyama in silenzio, stupito dalla sua affermazione, ma quella quiete bizzarra durò pochi secondi.
«Perché una zucca?» chiese Shouyou, ora intento a osservare la maschera di Kageyama. «Ti piace Halloween?»
«No» Tobio rispose borbottando, rapito dal contrasto cromatico dell'arancione e del nero e un po' dubbioso riguardo al sorriso ampio, sottile e fittamente righettato che aveva cucito con tanta cura.
«E allora perché?»
«Non ti riguarda» Kageyama ripose la maschera sulla scrivania e si alzò, esortando Hinata a fare lo stesso. «Avanti, andiamo a mangiare qualcosa.»
Affamato com'era, Shouyou non se lo fece ripetere due volte: si alzò immediatamente dal letto e lo seguì fuori dalla stanza.
Una volta giunti in cucina, Kageyama non poté fare a meno di rivolgergli un'occhiata stranita, confuso da quell'improvviso e insolito silenzio, ma alla fine decise di non farci troppo caso e, anzi, godersi il momento.
«Ci sono solo gli avanzi della cena.»
«Va bene» Hinata mormorò: riusciva a capire quello che Kageyama gli stava dicendo, ma la sua voce era come ovattata, sovrastata dalle domande che si stava mentalmente ponendo riguardo la maschera scelta dal suo protetto.
Mangiarono in fretta, in silenzio, e terminarono quasi in contemporanea.
Hinata annunciò di voler tornare in camera di Kageyama; quest'ultimo, al contrario, lo invitò poco gentilmente a togliersi dai piedi, a chiudersi nella stanza degli ospiti e a non uscire fino a sera, così si ritrovarono a spintonarsi nel bel mezzo del corridoio, come due adolescenti capricciosi.
«Vado in bagno» fu Hinata a interrompere lo scontro, ma in realtà non ebbe modo di allontanarsi da Kageyama neppure di una decina di passi, siccome la madre di quest'ultimo gli sbarrò la strada.
Hinata sobbalzò appena, per poi deglutire a fatica: quella donna era davvero molto simile a Kageyama, e anche se sembrava decisamente più docile e remissiva del figlio, il suo sguardo fisso e le labbra serrate, votate al silenzio, la rendevano inquietante oltre ogni misura.
«Si-signora Kageyama!»
Kageyama alzò gli occhi al cielo, serrando le labbra con forza, come a trattenere un grido: avrebbe voluto dire a Hinata di proseguire, di non parlarle perché non sarebbe servito a niente, ma non aveva fatto in tempo. Sua madre aveva colto di sorpresa anche lui, ma era certo che Shouyou avrebbe comunque potuto dire qualunque cosa senza che lei si scomponesse; non avrebbe reagito in alcun modo, semplicemente se ne sarebbe rimasta in silenzio a fissarlo per un po', per poi ritirarsi in qualche stanza.
«Mi dispiace per il disturbo,» Hinata procedette con voce leggermente tremante, innervosito dallo sguardo dell'altra fisso su di lui «a-avrei dovuto avvisarla. Spero non le dispiaccia se mi fermerò qui per un po'.»
Kageyama restò a fissare sua madre in silenzio, irritato dalla voce di Hinata: non serviva a nulla parlare, aspettare una risposta.
«Hinata‒» Tobio era sul punto di dirgli di lasciar perdere, ma fu allora che sua madre mosse un passo verso di loro e tese le mani in avanti.
Trasalirono entrambi, e Hinata accennò perfino un passo indietro.
La madre di Kageyama posò entrambe le mani sulle guance di Hinata, lasciando entrambi i ragazzi esterrefatti, senza respiro.
Shouyou restò a fissarla senza dire una parola, notando solo in quel momento la differenza fra il lato destro e il lato sinistro del viso.
Sotto l'occhio destro della donna si estendeva una chiazza di pelle più scura e leggermente raggrinzita, i cui bordi irregolari arrivavano a ricoprire gran parte della guancia. Le mani caldissime della donna gli suggerirono che quella zona di pelle cicatriziale doveva essersi originata da una bruciatura.
Hinata schiuse appena le labbra, boccheggiando, ma la donna lasciò il suo viso prima che potesse dire una sola parola.
Lui e Kageyama la osservarono allontanarsi e ritirarsi in una delle stanze, lenta e silenziosa come un fantasma.


❋ ❋ ❋


La madre di Kageyama si chiuse la porta alle spalle, lentamente e senza fare rumore.
Con espressione trafelata, osservò l'ampia scrivania, sgombra e impolverata, gli occhi appena stuzzicati dalla luce che riusciva a filtrare oltre le veneziane, abbassate solo per metà.
Lo studio del marito defunto era l'unica stanza della casa che riusciva a sottrarsi alla sua ossessione per il pulito: vi entrava di rado, e quando lo faceva sentiva di non poter trascorrere più di una decina di minuti al suo interno.
Guardò la sedia in pelle nera, e pur sapendo che l'avrebbe trovata vuota, avvertì un forte dolore nel petto, un peso soffocante che all'improvviso parve gravarle anche sulle palpebre.
Portò entrambe le mani sulla bocca, soffocando un singhiozzo.
Quando le lacrime cominciarono a sgorgare, piegò le ginocchia e si sedette a terra, la schiena aderente alla porta chiusa. Raccolse le gambe al petto e affondò il viso fra le mani, singhiozzando sommessamente.
Con i palmi aderenti alle guance umide e le dita tremanti raccolte attorno agli occhi, lasciò la bocca libera di incamerare aria, schiudersi in gemiti e mormorare, per quanto difficile fosse articolare le parole durante un pianto tanto intenso.
«Adesso mi... mi porterete via anche mio figlio.»


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S e n d a i __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



Sendai non gli era mai sembrata così bella. Oikawa immaginava lo stemma indaco della città svettante sul fondale del cielo, di un azzurro tanto tenue da sembrare bianco; era fissato in alto, sopra a ogni cosa e visibile a tutti.
Aveva camminato lungo la strada Aoba-dōri, sotto le piante di zelkova, alberi alti e spogli che permettevano alla cupola biancastra del cielo di rischiarare la strada.
In realtà quel viale non gli era mai piaciuto in inverno; lo trovava deprimente anche a Natale, quando le luci bianche e gialle illuminavano gli alberi a cui erano avvolte, evidenziandone l'essenzialità, i ramoscelli freddi e senza foglie. Eppure in quel momento, nella sua famigliarità, Aoba-dōri gli parve calda e accogliente, eterna nella fascinosa fragilità dei suoi alberi spogli.
Non sapeva per quanto tempo si sarebbe allontanato dalla sua città. A dire il vero, non sapeva neppure se l'avrebbe rivista.
Quella mattina si era alzato di buon'ora, aveva salutato Iwaizumi e aveva portato Grey a sua madre, dicendole che avrebbe dovuto prendersi cura di lui per un po'. Ovviamente sua madre gli aveva ricordato che il cane apparteneva a lui e che per tale motivo non spettava a lei occuparsene, poi gli aveva chiesto per quanto tempo avrebbe dovuto tenerlo con sé e si era arrabbiata quando Tooru l'aveva salutata senza risponderle.
Le aveva sorriso, ma si era sentito morire quando le aveva voltato le spalle. Forse non avrebbe rivisto più neppure sua madre, e lei, che lo amava davvero più di ogni altra cosa al mondo, si sarebbe sgretolata come un albero morto.
In quel momento stava tornando dalla maison. Aveva chiesto una settimana libera e il datore gliel'aveva concessa senza fare troppe storie, probabilmente perché Oikawa non aveva mai disertato nessuno dei suoi incarichi.
Ora, mentre si allontanava dalla maison e si avvicinava sempre di più alla stazione ferroviaria, si sentiva meglio: la prospettiva di una settimana in cui nessuno si sarebbe avvalso della sua immagine per riempirsi il portafoglio lo confortava, lo liberava.
Si chiese se non sarebbe stato meglio prendersi una giornata prima di lasciare Sendai, dunque transitò accanto alla stazione ferroviaria di Aoba-dōri ma non si fermò. Sospirò appena, facendo marcia indietro per qualche metro, imboccando poi una strada secondaria.
Sarebbe partito quel giorno stesso, ma più tardi. Prima gli sarebbe piaciuto poter tornare alla sua vecchia scuola, anche se sapeva che non gli avrebbero permesso di rientrare per vedere un'ultima volta la palestra.
«Oikawa-san!»
Fino a quel momento, Oikawa non aveva considerato che aggirarsi in città senza prestare un minimo di attenzione a ciò che lo circondava potesse essere pericoloso. Sobbalzò appena e si voltò immediatamente, fermandosi quando vide Hoshiko corrergli incontro.
«Buongiorno, Hoshiko-chan» salutò con gentilezza la ragazza, che gli sorrise non appena lo raggiunse. «Vieni dall'università?»
«Sì» oltre alla giacca scura, Hoshiko indossava ancora la divisa nera, in perfetto contrasto con i capelli di un bellissimo biondo dorato, quel giorno legati in una coda alta, probabilmente nel tentativo di rendere meno voluminosa la massa di piccoli riccioli che diceva spesso di detestare. «Tu cosa stai facendo, Oikawa-san?»
«Sono andato alla maison per chiedere una settimana libera.»
«Una settimana libera?» Hoshiko sbatté le palpebre un paio di volte. «Vai da qualche parte?»
Oikawa le rivolse un'occhiata stupita, perdendosi per un istante nel languore dei suoi occhi nocciola, adombrati dalle lunghe ciglia.
Era sempre stata così perspicace? In quel momento gli sembrò molto più matura e tranquilla di come l'aveva giudicata nei mesi scorsi.
«Sì» Tooru rispose a fior di labbra, temendo che Hoshiko volesse sapere anche dove era diretto, ma la ragazza si limitò ad ampliare il sorriso, come se avesse intuito che qualcosa non andava e stesse cercando di rassicurarlo.
«Ti accompagno a casa, Hoshiko-chan» Tooru la stava vedendo davvero sotto una nuova luce, e in quel momento cominciò ad avere paura.
Se era in pericolo lui, allora anche Hoshiko lo era. Così come sua madre, Tamaki e chiunque altro a cui fosse legato.
«Davvero mi accompagni a casa?» in quel momento, Oikawa rivide nei suoi occhi e risentì nella sua voce la Hoshiko che aveva conosciuto fino a quel momento, molto entusiasta e troppo vivace, un po' infantile e piagnucolona.
«È per farmi perdonare, visto che ieri ti ho dato buca» Oikawa le sorrise, ma non c'era niente di sereno nelle sue parole e nella sua espressione. A dire il vero non gli importava molto di averle dato buca il giorno prima, e in un contesto normale avrebbe fatto in modo che ognuno tornasse a casa per conto suo, ma ora una guerra era cominciata e perciò voleva assicurarsi che Hoshiko arrivasse a destinazione sana e salva.
Hoshiko abitava in un quartiere molto carino e tranquillo, ma prima di arrivarci si dovevano attraversare due o tre strade a dir poco inquietanti, strette, cupe e sempre vuote.
«L'università mi sta stremando, sai?» Hoshiko sospirò appena, una mano ferma sulla cinghia del borsone scuro per evitare che scivolasse via dalla sua spalla. «Fortuna che fra due giorni è Natale!»
«Festeggi il Natale?» Oikawa era leggermente più avanti rispetto a lei, e si guardava intorno con circospezione.
«Sì,» Hoshiko non poté fare a meno di sorridere «mio padre è sempre stato affascinato dal Natale e ha finito per contagiare anche mia madre, così lo festeggiamo come una famiglia occidentale. Lui e mamma prendono ferie, e io non vado all'università. È solo un giorno, ma è molto divertente e piacevole.»
«Bello,» Oikawa commentò a bassa voce, rivolgendo una rapida occhiata sopra la propria testa «anche io e mia madre lo festeggiamo, di solito.»
Guardando il cielo bianco, pensò che quell'anno avrebbe trascorso il venticinque dicembre altrove e che, forse, si sarebbe perfino dimenticato che era Natale.
Quando riabbassò la testa, Tooru ebbe una strana sensazione, come se qualcosa alle sue spalle – e anche alle spalle di Hoshiko – si fosse mosso all'improvviso e con estrema velocità.
«Oikawa‒» quando sentì le dita calde di Hoshiko afferrare la sua mano, Oikawa si voltò e la vide interporsi chiaramente fra lui e qualcosa che non riuscì a intercettare in tempo.
Hoshiko spalancò la bocca in un gemito e sputò sangue sul suo cappotto.
Il borsone scivolò e cadde a terra. Le gambe della ragazza si piegarono, così Oikawa la prese per le braccia e cercò di sorreggerla.
«Hoshi‒» Oikawa abbassò lo sguardo, le mani tremanti ma ancora strette saldamente alla ragazza.
Il torace di Hoshiko era appena stato trapassato da una grossa stalagmite appuntita, un artiglio di ghiaccio bianco sulla cui superficie fredda e umida cominciò a defluire una grossa quantità di sangue.
«Hoshiko!»
Lei lo guardò, il volto pallido e l'espressione trafelata, gli occhi nocciola arrossati e acquosi.
«A-anche se...» una lacrima le rigò il viso e un rivolo di sangue le uscì dalla bocca «non sono la tua ragazza, avrei... avrei voluto tanto passare la vigilia c-con te, Oikawa-san.»
La stalagmite si ritirò, e per le mani tremanti di Oikawa il peso di Hoshiko divenne insostenibile.
«Ma va bene,» Hoshiko lo trascinò giù, le ginocchia sull'asfalto freddo e insanguinato «sono...»
«Hoshiko, ti prego» Oikawa le sorresse il capo con una mano dietro la nuca, ma lei si accasciò comunque a terra, senza smettere di guardarlo.
«Sono riuscita a proteggerti» Hoshiko tossì sommessamente, e il corpo sussultò in uno spasmo. Altro sangue le uscì dalla bocca e dal torace lacerato, e la luce nei suoi occhi svanì. Due stelle immobili e fisse, piccole biglie nere attraverso le quali Oikawa guardò di nuovo il cielo bianco e capì che l'artefice di quel freddo pungente era lì, proprio di fronte a lui.


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N e r i m a __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



Shirabu non era così restio e scontroso come gli era parso all'inizio. A colazione gli aveva fatto diverse domande, soprattutto riguardo al mondo da cui proveniva, così Tsutomu aveva azzardato a sua volta una piccola indagine a cui l'altro si era sottoposto senza resistenze.
Forse la notte portava davvero consiglio, perché Kenjirou gli aveva parlato con estrema calma, come se si stesse confidando con un amico.
Shirabu gli aveva spiegato che era nato a Tsukuba, nella prefettura di Ibaraki, ma che all'età di otto anni era stato abbandonato di fronte a un orfanotrofio di Kashiwa, nella prefettura di Chiba. Ricordava come i suoi genitori fossero terrorizzati da lui e dal suo potere: sua madre urlava ogni volta che una lampadina si accendeva o si spegneva da sola, e quando questo accadeva, suo padre lo picchiava con la cinghia.
Era riuscito a scappare dall'orfanotrofio poco dopo i dodici anni, così si era rifugiato per qualche tempo nelle strade di Nagareyama; dalla prefettura di Chiba si era mosso nuovamente verso la sua città natale e oltre, fino ad Adachi, dove aveva trovato ospitalità presso un'anziana signora per cui aveva svolto lavoretti domestici fino a pochi mesi prima del suo diciassettesimo compleanno, quando la donna morì.
Arrivato a Nerima, aveva acquistato quel piccolo appartamento con il lascito dell'anziana e aveva cominciato a lavorare come fattorino. Aveva smesso di scappare, ma si stava ancora nascondendo, visto che viveva sotto falso nome e con le imposte sbarrate per sentirsi più sicuro. In particolare, poi, Shirabu sembrava rimpiangere la sua istruzione, ricevuta solo per i primi due anni di elementari e – in maniera ridotta – all'orfanotrofio e presso l'anziana signora.
In quel momento si trovavano nel piccolo salotto, ed entrambi si tenevano impegnati osservando il cielo scuro fuori dalla finestra.
«Shirabu-san?» Goshiki mormorò a fior di labbra «che cosa farai, adesso?»
Shirabu sospirò sommessamente, impensierito dalla domanda dell'altro.
«Prima di tutto tenterò di localizzarli. Credo che ci proverò proprio adesso.»
«E come?» Tsutomu distolse la propria attenzione dalla finestra e rivolse un'occhiata interrogativa all'altro, che di contro continuò a guardare fuori.
«La luce viaggia a trecentomila chilometri al secondo.»
Goshiki sbatté le palpebre un paio di volte, ancora più confuso di prima.
«I tralicci dell'alta tensione» Shirabu lo guardò solo per qualche istante, per poi tornare a rivolgere la propria attenzione fuori dalla finestra. «L'ho già fatto in passato. È come se la mia parte di cervello che riesce a trasmettere al corpo ogni percezione sensoriale possa spingersi molto lontano. Credo di poter sfruttare i tralicci dell'alta tensione per farlo, riuscirei a localizzare qualsiasi anomalia nel raggio di moltissimi chilometri e in pochissimo tempo.»
Goshiki restò a fissarlo in silenzio, le labbra spalancate per lo stupore, poi balzò giù dalla sedia, emettendo un fragore entusiasta.
«Che figo, Shirabu-san!»
«A Sendai.»
«Eh?»
Shirabu si voltò verso di lui, l'espressione estremamente seria.
«Sta succedendo qualcosa a Sendai.»


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S e n d a i __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



«Da quanto tempo, Oikawa-san.»
Tooru era ancora inginocchiato accanto al corpo esanime di Hoshiko, in parte ancora incapace di realizzare quello che era appena accaduto.
Riusciva a pensare soltanto a quanto fosse triste il fatto che lei, ignorando la sua particolarità, si fosse sacrificata per proteggerlo. Oikawa si sarebbe potuto difendere da solo, e avrebbe potuto salvare anche lei, ma il mondo andava così: non si poteva confessare alle persone normali di possedere il cromosoma Z, altrimenti si rischiava una denuncia alla polizia o di ritrovarsi altri gruppi organizzati e molto più violenti alle calcagna. Era una situazione assurda che lo imbizzarriva, perché se solo le persone prive di cromosoma Z fossero state più aperte, molto probabilmente lui e Hoshiko si sarebbero salvati.
Oikawa strinse i denti con forza, fino a farsi pulsare le gengive, il viso contratto per la rabbia.
«Perché?» era rimasto tanto concentrato all'idea di lasciare Sendai da aver dimenticato che Yahaba viveva nella sua stessa città. Ma Yahaba uccideva le persone? Sentendo alcune notizie in televisione lo aveva sospettato, ma mai tanto intensamente da crederlo davvero.
Shigeru era diverso da come lo ricordava: sembrava essersi sbarazzato per sempre della personalità semplice e benevola che, con fatica, aveva tentato di ricostruire dopo l'incidente.
Se non fosse stato per la voce, forse Tooru non lo avrebbe neppure riconosciuto così in fretta.
«Mi spiace per la tua amica,» Yahaba sibilò, le labbra increspate in un sorriso «o meglio: mi spiace che tu sia ancora vivo per colpa sua.»
Oikawa si risollevò, inspirando un grande quantitativo d'aria dalle narici. Restò a fissare Yahaba senza dire una parola, le labbra serrate con forza, in una linea dritta e severa.
Quando lo vide lasciarsi alle spalle il corpo della ragazza, Yahaba ampliò il sorriso.
«Non puoi farmi nulla, Oikawa.»
«Sì?» le labbra di Oikawa si piegarono appena, a tracciare un sorrisetto sghembo. «Invece pare proprio che oggi morirai!» il cemento sembrò frantumarsi sotto i loro piedi, e un ampio ventaglio d'acqua si diresse rapidamente verso Yahaba, pronto a inghiottirlo.
Shigeru balzò indietro e, le mani spalancate e tese davanti al viso, congelò l'onda ad appena un metro da lui.
Yahaba abbassò le mani e l'onda di ghiaccio si sfaldò in un istante, lasciando una patina fredda e scivolosa sull'asfalto crepato. Oikawa attaccò di nuovo, questa volta con le fruste d'acqua che in passato Yahaba aveva già saggiato e odiato.
Tooru controllava l'acqua e poteva plasmarla a proprio piacimento, per cui spesso la conteneva, la richiudeva in una sorta di sacca trasparente e flessibile che le impediva di disperdersi e la rendeva più resistente.
Shigeru ghiacciò una delle fruste, mentre l'altra si strinse al suo braccio destro con tanta forza da riuscire perfino a storcerglielo.
Yahaba urlò per il dolore, e in un gesto istintivo spalancò la mano sinistra a pochi centimetri dal pavimento, creando una distesa di ghiaccio che arrivò fin oltre il corpo di Hoshiko.
Oikawa perse l'equilibrio, così la presa della frusta divenne debole e Yahaba ne approfittò per congelarla e liberarsene definitivamente.
La sottile superficie di ghiacciò si spaccò in diversi punti, crepitando, e alcune stalagmiti si sollevarono. Oikawa creò una sorta di pedana d'acqua sotto di sé, scivolando all'indietro per evitare le lingue di ghiaccio, più appuntite che mai.
Per garantirsi ancora una maggiore sicurezza, Tooru innalzò un muro d'acqua che, se sfiorato da fuori, sarebbe risultato elastico al tocco e, paradossalmente, perfino impermeabile. Il muro gli permise di diminuire l'attrito fra il suo corpo e le stalagmiti, arrotondandone le punte, ma l'impatto fu comunque doloroso, in particolare per gambe e fianchi.
Le stalagmiti si ritirarono, e Oikawa si preparò ad attaccare di nuovo. Era un sollievo che fino a quel momento il danno più grosso fatto dal ghiaccio di Yahaba fosse soltanto qualche graffio alle gambe, ma Tooru cominciava ad avere davvero troppo freddo, gli arti intirizziti.
Gli bastarono pochi secondi per rendersi conto che i suoi movimenti erano stati drasticamente ridotti, quindi si guardò le gambe e scoprì che il piede sinistro e parte del polpaccio erano intrappolati nel ghiaccio.
«Ti facevo più forte.»
Oikawa strinse i denti, prima guardando la distesa di ghiaccio davanti a sé e poi Yahaba.
«Togliti quel sorrisetto del cazzo dalla faccia» sibilò, accennando un sorriso quando scorse un'alta onda d'acqua alle spalle di Yahaba. Non appena l'altro si voltò per congelare l'onda, Oikawa gli avvolse la vita con due fruste d'acqua.
Avvertendo la morsa attorno alla vita e il peso di Oikawa, che per altro rischiava di farlo ruzzolare sul ghiaccio, Yahaba lasciò che il gelo gli avvolgesse entrambi i piedi, in modo da garantirgli una presa maggiore sul terreno.
Quella resistenza opposta da parte di Shigeru permise a Tooru di liberare la propria gamba dal ghiaccio. Oikawa scivolò sulla superficie bianca e liscia, prendendo velocità anche grazie alle fruste d'acqua che lo tenevano legato al corpo dell'altro; in pochi secondi si trovò proprio di fronte a Yahaba, giusto in tempo perché questo voltasse nuovamente il viso verso di lui.
Tooru gli assestò un pugno in piena faccia, secco e violento.
Shigeru urlò, il naso gocciolante di sangue, le labbra e il mento già macchiati di rosso. Tooru gli fu alle spalle in un istante, immobilizzandogli le mani con le fruste d'acqua.
Yahaba inarcò il corpo in avanti e urlò di nuovo, questa volta per la frustrazione che gli causava il non potersi toccare il viso, l'essere immobilizzato mentre una parte importante del suo corpo pulsava e sanguinava copiosamente. Il naso gli faceva così male da fargli perfino girare la testa.
«Pare che il ghiaccio sia un'arma a doppio taglio, per te» Oikawa gli strinse il collo con un'altra frusta d'acqua, togliendogli immediatamente il respiro, già compromesso dalla grande quantità di sangue presente nel naso e nella bocca.
«Non dimenticare mai che tu sei me allo stato solido» Oikawa riuscì a sollevarlo leggermente da terra. «Posso sbarazzarmi di te quando voglio» ma in realtà non fu troppo convinto della propria affermazione, visto che le sue fruste, lì dove entravano in contatto con il corpo di Yahaba, stavano già cominciando a ghiacciarsi.
Oikawa strinse i denti in una smorfia di rabbia, cercando di rafforzare la stretta delle fruste attorno al collo di Yahaba, ma qualcosa di inaspettato lo costrinse a mollare la presa.
Un grosso lupo gli si era gettato contro e gli aveva azzannato la gamba destra, gettandolo a terra.
Oikawa batté la testa sul ghiaccio, ma il gemito di dolore, forte e secco, fu dovuto alla bocca dell'animale stretta attorno al suo ginocchio, ai denti appuntiti conficcati nella carne, in profondità.
Yahaba, le ginocchia leggermente piegate e le mani impegnate a massaggiare il collo, sputò sangue, poi rivolse un'occhiata al lupo e a Oikawa. Sarebbe rimasto a osservare il volto trafelato e dolorante di Oikawa per l'eternità, ma poi si ricordò che aveva di meglio da fare, così estrasse la penna e il quaderno nero dalla tasca del cappotto.
Spalancò il quaderno sotto il proprio naso, senza curarsi del sangue che si riversò sulle pagine bianche. Cominciò a scrivere il nome di Oikawa, i denti scoperti in un sorriso maligno.
All'improvviso, però, il lupo guaì e il quaderno gli venne strappato di mano. Yahaba guardò il quaderno sospeso in aria, proprio di fronte a sé, poi lo vide tracciare un arco invisibile in aria e cadere diversi metri più avanti.
Restò immobile per qualche istante, confuso, per poi voltarsi verso il lupo. Lo vide ancora in piedi, ma intrappolato dalle fruste di Oikawa, e poi qualcosa lo colpì dritto nello stomaco. Il pugno o forse la ginocchiata di qualcuno che non riuscì a vedere.
Shigeru scivolò sul ghiaccio e, seppur già pronto a rialzarsi, non ci riuscì. Lo stomaco e la faccia facevano troppo male, lo stordivano.
Il lupo emise un ringhio prolungato e gutturale e si spinse in avanti con il corpo, fino a che non riuscì a sovrastare la potenza delle fruste d'acqua di Oikawa. Tooru lo vide spalancare le fauci, mostrare i denti bianchi e aguzzi; arpionò il ghiaccio con le dita delle mani, cercando di trascinarsi indietro, ma la gamba era troppo rigida e pesante.
In quell'istante pensò a quanto fosse stato patetico. Si era crogiolato per una notte intera all'idea di lasciare Sendai per qualche giorno, ma a quanto pareva il suo viaggio sarebbe finito ancor prima di salire sul treno. Aveva già perso la guerra, e avrebbe lasciato sua madre sola con Grey.
Oikawa chiuse gli occhi, e fu circondato immediatamente da un pesante silenzio.
Non capì perché ci volesse così tanto, perché non fosse accaduto ancora nulla. L'unico dolore che riusciva a percepire era quello alla gamba, continuo e di intensità sempre uguale.
Quando riaprì gli occhi, Tooru si ritrovò spettatore di una scena assolutamente inaspettata: il lupo, grande quanto due cassonetti messi insieme se non di più, era sospeso da terra di circa due metri. Lo vide ondeggiare leggermente in avanti, e poi venire scagliato via, nella stessa direzione di Yahaba.
A mezz'aria, le dimensioni dell'animale si ridussero drasticamente: le zampe si accorciarono e divennero più massicce; la coda, le orecchie e il lungo e folto pelo, di un biondo miele screziato di nero, si ritirarono; la testa si arrotondò. Il ragazzo che aveva appena preso il posto del lupo atterrò alla bell'e meglio proprio accanto a Yahaba.
«Iwaizumi-san» Kyoutani ringhiò, volgendo il proprio sguardo allo spazio vuoto di fronte a Oikawa.
«Niente di personale, Kyoutani,» Iwaizumi comparve proprio in quel momento, lasciando di stucco Oikawa «ma non ti permetterò di sbranare il mio protetto.»
Hajime gli voltò le spalle e si chinò per aiutare Oikawa a rialzarsi. Yahaba, dal suo canto, trovò finalmente la forza di rialzarsi e disse a Kyoutani che dovevano andare – ora che iniziava a intravedere una possibile sconfitta, quel giochino cominciava a sembrargli molto noioso; per quel giorno poteva accontentarsi di una sola vittima. Tuttavia, quando tutti e quattro furono in piedi, ai vertici del vicolo, Shigeru decise di provocare ulteriormente Oikawa.
«Lo troverò prima di te, Oikawa» accennò un sorriso, le labbra e il mento ancora sporche di sangue, poi gli voltò le spalle e si allontanò, seguito da Kyoutani.
«Troverà cosa?» Iwaizumi si rivolse immediatamente a Oikawa, il cui sguardo si era già posato sul corpo esanime di Hoshiko. Non era un “cosa”, ma un “chi”, e Tooru non aveva bisogno di altro per capirlo.
«Oikawa?»
Non rispose. Chiuse gli occhi e inspirò dalle narici, cercando di ignorare il forte dolore alla gamba.
Il ghiaccio sotto ai loro piedi scomparve.


❋ ❋ ❋


Nonostante il dolore alla gamba, Oikawa aveva chiesto a Iwaizumi di accompagnarlo fino al corpo di Hoshiko.
L'aveva guardata per qualche secondo, le labbra increspate in una smorfia: quella visione orribile e il forte dolore al ginocchio lo stavano stordendo, quasi gli avevano fatto scordare perché si fosse trascinato fino a lei.
Tooru piegò il ginocchio sinistro e fletté la schiena, lasciando scivolare la gamba destra – tesa e dolorante – in avanti, finché non riuscì a raggiungere la tasca della giacca di Hoshiko. Si lasciò avvolgere la mano da uno strato d'acqua elastico, dunque affondò le dita nella tasca, sospirando di sollievo non appena afferrò il cellulare della ragazza.
Sotto lo sguardo vagamente confuso di Hajime, Tooru aveva selezionato la rubrica della ragazza e cancellato il proprio numero di cellulare. In realtà la polizia sarebbe potuta risalire a lui senza alcun problema, anche se il suo numero non appariva più nella rubrica di Hoshiko, ma sul momento eliminare il proprio contatto gli era sembrata la cosa più giusta da fare – si trattava pur sempre di una precauzione in più.
Sempre con il cellulare di Hoshiko, aveva poi telefonato alla polizia, segnalando anonimamente il ritrovamento di un cadavere in un vicolo poco frequentato di Sendai.
Infine, sul punto di restituire il cellulare alla legittima proprietaria, Tooru aveva pensato che distruggerlo per proteggersi sarebbe stata una decisione molto più saggia rispetto a quella di assicurarsi che rimanesse integro per non mancare di rispetto a una persona che ormai non c'era più. Aveva esitato solo per qualche secondo, poi lo aveva gettato a terra e aveva chiesto a Iwaizumi di calpestarlo con forza, fino a sbriciolarlo.


❋ ❋ ❋


Adesso si trovavano nello stretto bagno di un treno, Oikawa con entrambe le mani aggrappate al lavandino e la gamba destra leggermente sollevata da terra. Respirava affannosamente, stringendo i denti fino a farsi male.
La ferita si sarebbe rimarginata di lì a circa un'ora – così aveva detto a Iwaizumi –, ma fino a quel momento, nonostante avessero trovato il modo di fasciarla ben stretta, avrebbe continuato a pulsare e a farlo gemere di dolore. Odiava, poi, che si trattasse proprio del ginocchio destro, quello che lo aveva costretto a rinunciare per sempre alla pallavolo.
Con i denti stretti e il capo chino, fra un gemito e un singulto, Oikawa versò perfino una lacrima per la frustrazione che gli provocava quel dolore e per la morte stupida e inutile di Hoshiko.
Iwaizumi rimase con la schiena aderente alla porta chiusa, fissando l'altro attraverso lo specchio. Avrebbe voluto chiedergli tante cose, ma decise di attendere in silenzio la scomparsa del suo dolore.


❋ ❋ ❋


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S h i b a t a __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



«Quando ero piccolo mia madre mi raccontava sempre delle storie su una zucca» la voce di Kageyama spezzò un silenzio profondo e prolungato. Hinata, lo sguardo fisso sull'anfratto di cielo arancione che si poteva ammirare dal rombo impreciso lasciato scoperto dalle tende, sollevò le sopracciglia, sorpreso e vagamente confuso, poi voltò leggermente il viso, guardando l'altro in attesa che continuasse a parlare.
«La zucca si chiamava Jack-o'-lantern, ma non aveva niente a che fare con la leggenda su cui si basa Halloween.»
Hinata annuì appena, guardandolo mentre infilava la maschera.
«Mia madre aveva preso in prestito soltanto il nome. Le storie le inventava lei» Kageyama si tastò le guance con i polpastrelli, per assicurarsi che la maschera aderisse bene al viso ma senza provocare irritazione alla pelle. «La sera era il momento della giornata che preferivo.»
Hinata aveva capito. Non gli dispiaceva che Kageyama avesse deciso di ispirarsi alla sua infanzia per concepire il suo personaggio, e poi all'interno delle zucche intagliate venivano inserite delle candele accese per illuminarle, il che richiamava senza ombra di dubbio alla lucentezza e al calore del fuoco. Senza contare, infine, che aveva già visto sul volto del suo protetto un'espressione molto simile al ghigno inquietante che ad Halloween veniva disegnato sulle zucche.
«Ci vedi, Kageyama?» gli occhi erano neri come la bocca, due triangoli sottili i cui vertici più acuti erano diretti verso l'interno.
«Sì, vedo perfettamente.»
«Alla fine è venuta piuttosto bene» Hinata sorrise e Kageyama annuì con un movimento ingessato del capo, ancora dubbioso sull'accuratezza e la resistenza delle cuciture.
«Fra poco devi uscire per andare a lavoro, vero?» Shouyou lo vide annuire di nuovo «allora lascia che ti accompagni!»
Al contrario di quanto si era aspettato, Tobio non protestò, anzi rimase in silenzio per qualche istante, la maschera ancora aderente al viso, le braccia tese lungo i fianchi.
«Hinata.»
La voce profonda e nervosa di Kageyama lo prese alla sprovvista, facendolo sussultare appena.
Kageyama chinò appena il viso, per sfilarsi più facilmente la maschera, poi, finalmente libero dall'aderenza dello spandex, guardò Hinata dritto negli occhi.
«Ho conosciuto una persona come me qualche anno fa, e credo che in questo momento sia molto vicina.»




L'angolino della piantina autoritaria
(You should read this):

Nello scorso capitolo avevo detto che avrei pubblicato il 29 o il 30, ma poi ho pensato che sarebbe stato carino pubblicare a Natale (visto che il capitolo stesso è ambientato nel periodo natalizio), quindi ecco il mio regalo per voi! Buon Natale! >w<
Originale regalare una scazzottata con una morte innocente come bonus, no? E pensare che siamo solo all'inizio! xD
Sto cominciando a delineare anche i rapporti fra i vari dotati di cromosoma Z, oltre che fra loro e i rispettivi shinigami, e come vedete in certi casi c'è molto attrito (nel caso di Yahaba, in realtà, c'è sempre attrito, ma con Oikawa si trova in misura sicuramente maggiore, visto che, come è stato spiegato anche nel secondo capitolo, Shigeru ha trascorso qualche anno in casa Oikawa e quando Tooru se n'è andato per la sua strada si è sentito abbandonato). In questo capitolo non sono presenti tutti i personaggi, ma non temete: li vedrete sicuramente nel prossimo che, ve lo anticipo, conterrà un'altra scazzottata (ma di dimensioni più grandi /?/)
Se avete domande e curiosità resto sempre disponibile~
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ancora buon Natale e buone feste!
Alla prossima!
   
 
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