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Autore: SherlokidAddicted    27/12/2016    3 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un forte legame



 
“Amnesia retrograda totale. Il signor Holmes non è in grado di ricordare tutti gli eventi precedenti all’incidente. Di solito sono la normale causa di traumi cranici, ma nella maggior parte dei casi non ci si ricorda solo di alcuni avvenimenti. Nel caso corrente, la memoria è stata completamente compromessa. Il trauma è stato così forte da causargli un vero e proprio vuoto. Avete presente la formattazione di un computer? È andata così anche per il signor Holmes. Tutto è stato rimosso, a parte la memoria implicita, ovvero i comportamenti automatici…”

 
Il medico continua a parlare, ma io ho la testa altrove.
Dopo quell’episodio, hanno preferito fare degli esami per stabilire le sue condizioni. Noi abbiamo aspettato fuori. Lestrade ci ha raggiunti quasi immediatamente, dopo che gli ho telefonato con quel tono da funerale.
Davanti al medico ci siamo io, i genitori di Sherlock e Mycroft. Sembro prestare più attenzione al suo camice sgualcito che al resto delle sue parole.
Io so cos’ha Sherlock, semplicemente non ricorda più niente e la cosa mi ha ucciso. Vorrei tanto essere come Siger Holmes in questo momento. Vorrei avere la forza di consolare Violet e dirle che andrà tutto bene, che lui si ricorderà, ma sono come pietrificato. E mentre li guardo abbracciarsi per darsi sostegno, io abbasso lo sguardo sulla mia mano e inizio a carezzare dolcemente la fede al mio dito.
- Sarà confuso, spaventato, e potrebbe trovare difficile fare alcune cose all’apparenza molto semplici. È normale, e per quanto riguarda questo potete star certi che si riprenderà. – Fa un sospiro pesante, mentre si gira un attimo a controllare se nella stanza dove c’è Sherlock vada tutto bene. Ne esce un’infermiera molto carina dai capelli biondo cenere. Si limita a fare un cenno al medico e guardarmi con un triste sorriso. Mi conosce, l’ho vista un paio di volte durante il mio turno. Poi torna nella stanza. – Per la memoria… non sappiamo se sarà in grado di recuperarla. È raro che una persona dimentichi tutto della sua vita, ma ciò non toglie che può succedere. Potrebbe recuperarla come potrebbe anche non farlo e… -
- La recupererà. – Dico in tono freddo e distaccato mentre il dottore mi guarda come se fossi un cucciolo bastonato. – Lo so che lo farà. – Quella lacrima solitaria non è riuscita a rimanere al suo posto. Maledetti sentimenti, maledetta paura. – Mi dica solo cosa fare per aiutarlo. –
- Beh, una terapia di farmaci, delle sedute da uno psicologo, molta pazienza e ogni tanto cercare di portarlo indietro nel tempo a rivivere determinati momenti. – Sento la mano di Violet sulla mia spalla e mi asciugo immediatamente quell’altra maledetta lacrima arrivata sul mio zigomo. Annuisco e il medico sforza un sorriso, che non gli riesce affatto come sperava. – Cominceremo la terapia di farmaci subito, ma dopo il ricovero spetterà a voi continuarla. Vi scrivo una ricetta, intanto se volete vederlo siete liberi di entrare. – Lo ringraziamo con un cenno del capo e lui gira i tacchi.
Violet, Siger e Mycroft entrano per primi. Io aspetto fuori con Greg finché, dopo circa un’oretta, Mycroft non fa capolino e mi chiama a bassa voce.
- Come sta? –
- Bene, sembra in forze. – Faccio un sospiro di sollievo ed annuisco. – Purtroppo non si ricordava nemmeno di noi. Abbiamo risposto alle sue domande, nient’altro. Non abbiamo ancora parlato di te, ma gli ho detto che saresti entrato. – Lancio un’occhiata a Greg e con un leggero movimento della testa mi fa cenno di entrare e non perdere tempo. Guardo Mycroft con un sorriso incerto e lui si scosta dalla porta per farmi entrare.
Prima di fare un qualunque passo all’interno della stanza, vengo travolto dagli occhi di Sherlock che, lucidi e stanchi, si posano subito su di me. Non sa chi io sia, ma riconosce in me la prima persona che ha visto quando si è svegliato. I nostri sguardi si incatenano e non si lasciano andare un secondo, nemmeno quando a passo lento ho raggiunto il suo letto.
- Sherlock, tesoro, lui è John Watson. Ti ricordi di John? – Mormora Violet in tono amorevole, poggiando una mano sulla spalla di Sherlock, semi seduto sotto almeno tre cuscini comodi che fanno in modo di tenere dritto il suo busto, a causa delle fratture. Lui la guarda per un attimo, poi punta nuovamente le sue iridi chiare su di me. Deglutisce a vuoto un paio di volte prima di parlare. Ha la gola secca. Mycroft se ne accorge e si premura di riempire un bicchiere di acqua fresca. Glielo fa bere con discreta attenzione, evitando di farlo bagnare.
- Eri qui quando mi sono svegliato. – Dice a bassa voce mentre prendo posto su di una delle due sedie nella stanza. – Solo questo. – Gli altri bisbigliano qualcosa che io non capisco, ma sono troppo impegnato a cercare di capire dai suoi occhi se davvero non c’è traccia di un mio ricordo.
- Forse dovremmo lasciarvi soli. – è Siger a parlare, e prima che possa accorgermene la stanza si svuota, perfino le due infermiere sono uscite.

In tutto quel tempo nessuno dei due ha distolto lo sguardo dall’altro.

- Stai bene, Sherlock? – Sembra non sentire la mia domanda, ma poi si schiarisce la voce con una finta tosse ed inizia a giocherellare con l’orlo del lenzuolo bianco, osservando le proprie dita compiere quel gesto per evitare di guardarmi ancora.

Il fatto che si senta a disagio in mia compagnia fa male.

- Ho male alla testa, al braccio e al torace. Hanno detto che è normale. – Mentre parla mi soffermo sui suoi ematomi, sui graffi e sui punti.

Dio, Sherlock, che hai combinato?

- Dicono che un furgone mi è finito addosso e che sono vivo per miracolo. - Mentre parla mi chiedo che fine abbia fatto quella parte fredda e sicura di lui, e chi è questa persona impaurita che sto ascoltando.

Non dire nulla John, prova tu ad essere al suo posto in questo momento!

- Mi vedi cambiato? – Corrugo leggermente le sopracciglia mentre mi accomodo meglio sulla sedia in cui ho passato intere notti e intere giornate a pregare che si svegliasse, che puntasse i suoi maledettissimi occhi di ghiaccio nei miei e mi dicesse “Sono sveglio, idiota. Smettila con questo sentimentalismo!”. L’ho sperato con tutto il mio cuore… e adesso la persona che ho davanti è quella che ho sempre amato, ma non lo sa. – Intendo… da come ero prima. –
- Beh, un po’, ma è normale nel tuo caso. - Annuisce appena. Sembra che muoversi sia uno sforzo enorme per lui, e perfino annuire è doloroso. Non riesco a guardarlo mentre è in queste condizioni, e l’unica cosa che mi riesce meglio è quella di guardare un punto fisso dietro alla sua testa, quell’ammasso di riccioli in cui avrei tanto amato immergere nuovamente le dita, o il naso per inspirarne il profumo intenso.
- Ricordo la tua voce, mentre dormivo. – Il mio sguardo si solleva nuovamente verso i suoi occhi, in un barlume di speranza. Quelle meravigliose iridi lucide minacciano il pianto imminente. – Ovviamente non… non sempre, ma ricordo di aver sentito qualcuno pregare di svegliarmi. Non sapevo che stava succedendo, né chi fossi, né chi fosse la persona che mi stava parlando, ma la sentivo. Ho anche provato a rispondere. – Le lacrime sgorgano dai suoi occhi come un fiume in piena. Forse è una delle rarissime volte in cui vedrò Sherlock esprimere tutte queste emozioni. Non lo fa spesso, anzi… in realtà non lo fa mai. E ora che lo vedo così fragile, direi che avrei preferito non assistere al suo pianto disperato, considerato il dolore che mi fa provare. – Ho provato a svegliarmi e non ci riuscivo, volevo parlare, volevo dire a chiunque sentissi che io c’ero, che ero lì. E quando mi rendevo conto di non riuscirci iniziavo a piangere. Avevo paura, perché non capivo cosa stesse succedendo… –

È stato provato che a volte le persone in coma possano percepire la presenza di chi gli parla, che possano sentire, che possano reagire a certi stimoli esterni.

Sherlock piangeva mentre era incosciente, piangeva e singhiozzava perché ci sentiva.

- Sherlock, adesso è passato. – Mormoro a bassa voce mentre mi avvicino di più con la sedia, cercando di ricacciare indietro tutte le possibili lacrime. – E ti prometto che andrà tutto bene. – Adesso mi sta guardando. I suoi occhi sono gonfi e rossi, lucidi e scintillanti come diamanti, le sue guance rigate da lacrime calde e la punta del suo naso arrossata dalla crisi di pianto. – Io ti aiuterò. – Mi guarda ancora, fa vagare le sue iridi su ogni parte del mio viso, come a studiare le mie parole e a verificare se io dicessi la verità, se davvero sarei stato in grado di mantenere quella promessa.
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso ed impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -

Cosa mi passa per la testa, dite?

Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?

Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
- Mycroft ha detto che sono un investigatore privato. Questo sarebbe il mio caso? Scoprire chi sei? – Avrà anche perso la memoria ma le battute ironiche sono sempre lì, e la cosa non può che confortarmi. Sorrido divertito e lui fa lo stesso, rilassando lentamente le spalle. Sembra completamente tranquillo, nonostante gli occhi siano ancora velati dalle lacrime.
- Se proprio vuoi metterla così! – Non diciamo altro, ma i nostri sguardi continuano ad intersecarsi l’uno con l’altro, e le nostre labbra si sorridono a vicenda. Pare che andare avanti così non gli dispiaccia. La terapia sarebbe stata lunga e difficile, magari essere l’investigatore privato che cerca di scoprire chi è Sherlock Holmes può rendere il suo percorso più facile del previsto. E so che lui ne è d’accordo quasi quanto me. L’ho capito solo guardandolo, adesso riesco a percepire cose che prima non riuscivo ad interpretare, e tutto grazie ad alcuni trucchetti che lui stesso mi ha insegnato.
- Mi passeresti un altro bicchiere d’acqua? –
- Certo! -

Ce la possiamo fare, insieme.
 
***
 
Mycroft e gli altri hanno trovato il metodo che ho proposto abbastanza buono. Dicono che sfruttare la sua carriera per ricordare può essere un ottimo pretesto perché la sua memoria si metta in funzione. Tuttavia si sono chiesti perché non abbia accennato al fatto che io per Sherlock Holmes sono non solo il coinquilino, ma anche il fedele marito che per lui ha rischiato la pelle più di una volta.

Beh, anche lui l’ha rischiata per me.

Non ho trovato una spiegazione chiara e coincisa, ma si sono fidati di me e hanno accettato di stare al gioco.
Sono passati due giorni dalla nostra prima conversazione dopo il coma. In sole quarantotto ore non è possibile recuperare ricordi, ovviamente, ma ci siamo impegnati ad immagazzinare alcune informazioni che riguardano la sua vita nella sua memoria: il suo indirizzo, alcuni aneddoti della sua famiglia, il suo lavoro, i suoi amici, alcuni dei suoi casi… ognuno di queste informazioni in piccole pillole da ingerire con calma. Le informazioni in questo caso sono come le medicine: fanno bene, ma non bisogna abusarne o potrebbero danneggiare il suo stato attuale.
- Mi sento come se fossi nato ieri, John. La mia testa è vuota. – Mi ha detto mentre gli sistemavo il cuscino sotto alle spalle. Non immaginate minimamente il tuffo al cuore che ho sentito.
Domani verrà dimesso, ed io mi sono organizzato al meglio per imparare a memoria la tabella oraria delle sue medicine, ho preso appunti sulla quantità e sui nomi impronunciabili delle sostanze che dovrà assumere, scatole e scatole di pillole con cui io, medico di base, non ho mai avuto a che fare. Ci sono antinfiammatori per le fratture alle costole, antidolorifici per il braccio e la botta alla testa, soluzioni per rafforzare la memoria e altre ancora per la terapia di recupero, di cui non sono certamente un esperto. Oggi mi sono addirittura offerto al posto dell’infermiera per somministrargliele, così da essere pronto quando saremo solo io e lui.
Per quanto riguarda Sherlock… ho risposto sinceramente ad ogni domanda che mi ha posto in questo periodo di tempo. Perlopiù mi chiedeva “Qual è la tipica giornata di Sherlock Holmes?” o “Dimmi un po’ di te, solo poco, voglio sapere”. Ho sempre scemato ogni suo dubbio a dosi minime, e lui ne è stato contento.
- Quindi condividiamo un appartamento? – Mi chiede mentre mi premuro di riempire per lui il cucchiaio di brodo di pollo. Il suo braccio destro è quello che ha subito la frattura all’osso, Sherlock potrebbe utilizzare agevolmente la mano sinistra, ma noto alcuni tremori quando prova a sforzarsi, quindi per assaporare il brodo mi propongo di aiutarlo senza nessun problema. La signora Hudson lo aveva preparato con tanto amore e tanta aspettativa, sperando con tutto il cuore che potesse aiutarlo a sentirsi meno spossato e meno stanco. Ho avuto modo di assaggiarlo, lo prepara sempre quando uno dei due è malato e ci costringe a finirlo fino all’ultima goccia. Presumo lo abbia cucinato anche perché spera che Sherlock si ricordi di quello che la nostra gentile padrona di casa è in grado di fare.
- Sì, un piccolo appartamento. – Dico allungando il cucchiaio fino alle sue labbra dalla forma invitante e deliziosamente piena. Lui si sporge appena con il collo e riesce a gustarne il contenuto, per poi tirare fuori la lingua e leccare via quella goccia di brodo che minacciava di colare lungo il suo mento. I miei occhi si stanno soffermando troppo su quel semplice gesto, devo distrarre la mia attenzione perché non voglio che abbia paura di una qualche mia possibile intenzione. – La signora Hudson è la padrona di casa. Tu le hai fatto un favore tempo fa e per questo l’affitto non è così esorbitante. – Dico abbassando lo sguardo sul contenuto della ciotola sulle mie gambe, mentre ci immergo nuovamente il cucchiaio.
- Capisco. – Mormora lui in risposta. – Lestrade mi ha detto che hai un blog dove parli di me. – Dice, dopo diversi secondi di silenzio. Quando alzo lo sguardo i nostri occhi si tuffano in quelli dell’altro, ed io a stento riesco a trattenere il rossore sulle guance. Lo nascondo fingendo di sentire un improvviso prurito sulla guancia, grattandola poi con prepotenza. Sul blog non ho mai parlato specificatamente della nostra vita privata, e di certo non ho intitolato uno dei post con “Il mio matrimonio con l’unico consulente investigativo al mondo”, ma non nego di aver accennato a certi sentimenti nei suoi confronti, a certi momenti di puro romanticismo dimostrati dall’uomo che adesso sto imboccando. Se solo leggesse quelle cose… potrebbe avere paura di questa nuova informazione, potrebbe non voler tornare a casa con me, potrebbe volermi fuori dalla sua vita perché, mi duole ammetterlo, è come se non mi conoscesse. – Ed esattamente di cosa parli? –
- Beh… - Tossicchio leggermente prima di continuare, così da far tornare la mia voce al suo normale tono, e non a quello stridulo che mi era spontaneamente uscito. – Parlo delle avventure di cui sei protagonista, dei tuoi casi, di come prontamente riesci a capire la vita di una persona solo guardandola… queste cose, in sostanza. – Sherlock avvolge nuovamente la bocca attorno al cucchiaio d’acciaio che gli sto porgendo, poi lascia cadere stancamente la testa sul cuscino.
- Magari, se vuoi… cioè… se non è dannoso per me, potresti leggermene qualcuno. – La sua voce bassa e timida mi fa accennare un leggero sorriso. Mai è stato più impacciato di così. – Insomma… uno alla settimana, magari. – E i suoi occhi chiari e limpidi si posano sul mio viso. Non posso fare a meno di annuire e così di acconsentire alla sua richiesta. – Così forse potrò sforzarmi di ricordare. – Aggiunge poi mentre faccio roteare il cucchiaio all’interno della ciotola ancora tiepida.
- Non c’è fretta per questo, Sherlock. –
- Lo so. – Per un attimo, sentendo quel tono deciso e freddo mi sembra di avere davanti il vecchio Sherlock, quello che tutti detestano al primo approccio, ma che io al contrario amo più di me stesso. Ma poi i suoi occhi si inumidiscono e quel suo lato vulnerabile viene di nuovo a galla, distruggendo in mille pezzi la sua lucidità. – Lo so, John… ma odio non ricordare, odio non sapere, odio guardare la gente che apparentemente mi vuole bene e non sapere chi sia. Prendi i miei genitori ad esempio. – Abbandono il cucchiaio all’interno della ciotola in porcellana e lo guardo, distrutto. Aveva sempre accennato al fatto che la sua testa fosse vuota, ma non si era mai sfogato, e magari parlare gli avrebbe fatto bene, dopotutto. – So che sono i miei genitori solo perché sono stati loro a dirmelo. Quando sono entrati in questa stanza non avevo idea di chi fossero. Io li sento raccontarmi del loro passato, della famiglia da cui provengo e mi incanto ad ascoltarli parlare ma… sono i miei genitori! Chi di loro due mi ha insegnato ad andare in bicicletta? Chi di loro due mi accompagnava a scuola tutti i giorni? Avevamo un buon rapporto? Sono un buon figlio per loro? E Mycroft? Litigavamo spesso? Ci facevamo i dispetti? – Smette di parlare e tira su con il naso, ma nessuna lacrima sta fuoriuscendo da quella limpidezza che sono i suoi occhi. – Quando ti chiedono di pensare a tua madre sono sicuro che hai un ricordo vivido che ti viene in mente, magari te la immagini mentre fate insieme le cose che amate di più. Se mi dovessero dire di pensare a lei… io non riuscirei ad avere un’immagine specifica in testa. – Non ci sono parole per replicare ciò che ha detto. Ha dannatamente ragione, se mi metto nei suoi panni so che non è facile. Poggio il brodo di pollo rimasto sul comodino accanto al letto, poi non mi preoccupo di andare a stringere la sua mano fredda per confortarlo. Il gesto sembra gradito, perché non fa niente per evitare che io smetta di carezzarne il dorso con il pollice. – Ed io? Tutte le mie prime volte… vedo solo il vuoto, nessuna vita, solo il vuoto. –
- Ascolta, Sherlock… - Dico, senza staccare la mia mano calda dalla sua.

Il suo palazzo mentale, quello che a lui serviva per immagazzinare ricordi, informazioni utili, adesso era crollato come un castello di carte con una folata di vento. Le informazioni perdute, come incenerite dalle fiamme.

- Non è tutto perduto. Noi ti staremo accanto, finché nella tua testa rifioriranno quei ricordi che tanto brami di riavere indietro. Ti aiuteremo con tutti i mezzi possibili, e vedrai che a poco a poco quando farai qualcosa la troverai familiare, e ti ricorderai quando è avvenuta in passato. Ti prometto che la tua mente tornerà come prima, e che sarai ancora più brillante e lucido di quanto già non lo fossi. – Le sue iridi sono ricolme e straboccanti di speranza. So che ha capito che noi, e soprattutto io, ci faremo in quattro pur di aiutarlo, ma qualcos’altro lo attanaglia e me lo fa subito presente con la sua flebile voce.
- Mi merito tutto questo affetto? – La sua domanda mi stupisce e mi fa boccheggiare confuso. Vedo la sua tristezza dipinta in viso e non riesco a capire perché se ne sia uscito con questa assurda domanda.
- Certo, Sherlock, ovviamente! Perché dici questo? –
- Beh, da come ho capito… per alcuni sono un tipo insopportabile, lunatico e calcolatore, magari non me lo merito e… -
- William Sherlock Scott Holmes, questa è un’idiozia bella e buona! Tu te lo meriti, eccome. Molte persone grazie a te sono ancora vive, molti pericoli grazie a te sono stati scampati, e chi ti sta intorno… credimi… non può vivere senza di te. –

IO non posso vivere senza di te.

- Lo pensi davvero? – Annuisco convinto delle mie parole. Tutto ciò che gli ho detto è vero. Sul suo viso compare un minuscolo sorriso sollevato, poi annuisce e per la prima volta dopo tanto tanto tempo, io e Sherlock ci stringiamo la mano affettuosamente, dita intrecciate e palmi a contatto. Il mio cuore si scalda e un barlume di speranza si accende nei miei occhi.
- Chi ti ha detto che sei un calcolatore insopportabile, tanto per saperlo? - Chiedo poi, incuriosito e furioso allo stesso tempo per la tale mancanza di tatto di questo presunto individuo.
- Nessuno. –
- Nessuno? –
- L’ho capito da solo. Tutti, a parte te e i miei genitori, quando entrano in questa stanza si sentono in soggezione. Mi guardano tenendo la traiettoria visiva verso il basso e parlano a malapena, ma quando lo fanno hanno paura di aprire bocca, quindi deduco sia per una mia possibile sgarbata reazione. Non lo fanno per pena o compassione, la loro voce non tremerebbe in quel modo se così fosse, quindi è ovvio sia per questo motivo. Ero solito essere sgarbato e insopportabile! – Le parole escono dalla sua bocca come un fiume in piena. Non smette di fissare un punto fisso davanti a sé ed utilizza quel tono di voce che di solito ero abituato ad udire sulle scene del crimine, quando faceva le sue infallibili deduzioni e ci spiegava i dettagli in modo che anche noi comuni mortali potessimo capire.

Eccolo, c’è ancora il vecchio Sherlock in lui.

- Ho detto qualcosa che non va? – Mi chiede, dato che non ho accennato ad una risposta per un po’. Mi accorgo di avere la bocca spalancata solo quando la richiudo per risvegliarmi da quella sorta di trance. Gli occhi sbattevano quasi convulsamente dalla sorpresa.
- No, è solo che… eri così anche prima. Quando deducevi parlavi in questo modo, senza fermarti, con questo tono superiore, mantenendo quello sguardo indagatore e azzeccando ogni cosa… il vecchio Sherlock è ancora in te! Possiamo farlo tornare! – Lui ridacchia amaramente e, forse senza nemmeno accorgersene, inizia a carezzare le mia dita con il pollice in un gesto rapido e nervoso ma abbastanza piacevole per il sottoscritto, perché non ho intenzione di lasciare la sua mano.
- Quindi ho azzeccato, sono insopportabile. –
- No, Sherlock… - Dico scuotendo la testa con vigore. – Alla gente infastidisce sentirsi dire delle verità nascoste. Tu eri in grado di capire tutto, ma non sei insopportabile, d’accordo? – Mi rivolge quello sguardo impacciato, poi annuisce lentamente e torna a poggiare la testa sul cuscino fissando il soffitto.

Le nostre mani ancora unite.

- Vorrei dormire un po’ – Sussurra dopo un po’, socchiudendo gli occhi.
- Certo. Ti lascio riposare allor… - Mi sono alzato e sto per allontanarmi, ma le sue dita si stringono più forte attorno al mio polso, impedendomi di fare un qualunque passo. Quando guardo Sherlock, noto i suoi occhi sbarrati e spaventati che corrono lungo tutta la mia figura, il suo petto si alza e si abbassa velocemente e per un attimo ho paura che stia avendo un attacco di panico.
- Non andare… - Sussurra fermando le sue iridi nelle mie. – Non lasciarmi solo, aspetta che mi addormenti… ti prego. – Le mie dita si intrecciano nuovamente con le sue e non posso fare a meno di sorridere confortante mentre torno a sedermi su quella scomoda sedia.
- Non me ne vado. – Dico in un sussurro.
- Se passa la signora Hudson… dille che il brodo era squisito, e ringraziala. – Annuisco lentamente, e solo dopo Sherlock si lascia sfuggire un sorriso sollevato e chiude esausto gli occhi, dormendo profondamente e come un bambino.
Non lascio il suo capezzale, finché, dopo circa un’ora, sento un leggero bussare alla porta della stanza. Mio marito gira appena la testa, con un’espressione leggermente infastidita, ma la cosa sembra non toccarlo affatto, perché poi continua a dormire beatamente. Per non urlare un “avanti” che avrebbe rischiato di svegliarlo, mi alzo personalmente e vado ad aprire la porta. Mi sarei aspettato di vedere Mycroft, Lestrade, i signori Holmes, ma non Sarah, con il camice sbottonato e il fiatone.
- Sarah! – Esclamo a bassa voce. Lei si sistema prontamente le ciocche di capelli in disordine dietro le orecchie. Ovviamente ho preso delle ferie e so che si sta facendo in quattro per coprire il mio turno insieme agli altri colleghi. Gliene sono debitore.
- Ciao, John. Sono passata a vedere come vanno le cose. – Dice piegando la testa per lanciare un’occhiata a Sherlock che dorme ancora tranquillamente.
- Oh, è molto gentile da parte tua. – Questa è la seconda volta che lo viene a trovare, ed è la prima che lo vede fuori dal coma. Non aveva tempo per via del lavoro, ma vista l’ora di pranzo ha deciso di passare in fretta, prima di recarsi a mangiare un boccone.

John, piantala di dedurre anche tu adesso!

- Se la sta cavando bene? –
- Oh, sì. Oggi mi ha fatto la sua prima deduzione! –
- Beh, è un buon segno! – Dice, sinceramente felice per lui e per me. Io mi scosto per farla entrare, ma lei scuote la testa rassegnata. – Non ho tempo per restare, mi dispiace. – Io annuisco ed incrocio le braccia al petto. – Si ricorda qualcosa? –
- Niente… però ha sviluppato un certo attaccamento nei miei confronti, poco fa non voleva che uscissi dalla stanza per lasciarlo riposare. –
- Non ha sviluppato nessun attaccamento. – Dice lei, sollevando le sopracciglia. Io la guardo senza capire e lei si affretta a spiegare. – Tu sei stato la persona più importante della sua vita: il suo primo bacio, la sua prima volta, il suo primo vero amore. Anche se non si ricorda di te, il suo subconscio gli suggerisce che avete un forte legame ed istintivamente, forse senza nemmeno accorgersene, non può fare a meno di te. – Il mio sguardo cade su mio marito, disteso supino, con gli occhi chiusi e le labbra semiaperte, quell’aspetto fanciullesco e quel suo viso dalla pelle liscia, martoriato da graffi, suture e sofferenze dovute alle ossa rotte e al dolore alla testa.

Sarah potrebbe avere ragione.

Non riesco ancora a togliermi dalla testa quei suoi occhi terrorizzati quando ho cercato di allontanarmi per lasciarlo dormire senza distrazioni. Lui vede in me qualcuno di importante, sa che per lui sono importante… solo che deve ancora capire il perché.
- Come fai a sapere queste cose? – Le chiedo, tornando a guardarla con un sorriso triste sulle labbra.
- Quando mi hai detto della sua amnesia ho fatto qualche ricerca e degli esperti specialisti hanno proprio affermato ciò che ti ho spiegato. – La sua mano si poggia dolcemente sul mio braccio e il sorriso che nasce sulle sue labbra trasmette conforto e ottime aspettative. – Niente è perduto, quindi. –
Anche quando Sarah è andata via, anche mentre sono ancora seduto su questa sedia scomodissima, guardando il viso rilassato di Sherlock, non posso non essere contento di ciò che mi ha fatto capire.



Note autrice:
Ci siamo, ecco il secondo capitolo!
Sono contenta che questa storia vi stia piacendo, spero che possiate continuare ad apprezzarla.
Volevo anche farvi gli auguri di Buon Natale in ritardo, spero che lo abbiate passato bene.
Un bacio e alla prossima!
  
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