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Autore: Lady Snape    24/05/2009    0 recensioni
Salve a tutti! E' da molto tempo che non scrivo una fanfiction a capitoli. Ho deciso di cimentarmi nuovamente in questa impresa. Argomento di questa mia nuova storia è la ricerca di Zelgadis di un incantesimo che possa riportarlo alla sua forma reale. Ho elaborato il personaggio seguendo i miei ricordi: probabilmente avrò fatto qualche errore, ma l'anime l'ho visto 10 anni fa, quindi vi prego di essere indulgenti! Una storia in 5 atti, accompagnati da una canzone che fa da sfondo e riferimento e che da il titolo a ogni capitolo. Buona lettura!
Genere: Romantico, Fantasy, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Personaggio originale, Zelgadis Greywords
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccoci all’ultimo appuntamento con Zelgadis. Dopo tanti avvenimenti, anche sconvolgenti per la vita di Dalìda, si dovranno prendere delle decisioni. Le strane dovranno riprendere a spiegarsi sotto i passi dei protagonisti. Le avventure non possono avere termine. Spero vi sia piaciuto leggere ciò che ho scritto. Dopo molto tempo mi sono cimentata in una storia a capitoli. Grazie per avermi seguita fin qui. Buona lettura!

Lady Snape

 

 

 

Le trasformazioni in questa vita

Mi faranno più che bene

 

Sai che il tempo

Tutto non contiene

Quest’amore

È tutto quel che ho

 

(“Tutto quel che ho”, Radiodervish)

 

 

La stanza della taverna era accogliente. Un letto molto grande contro la parete occupava gran parte della stanza, una scrivania era contro la parete opposta e un piccolo mobile provvisto di cassetti accanto alla sedia erano tutto l’arredo disponibile. Zelgadis posò con delicatezza Dalìda sulle coperte. Aveva ancora il suo mantello addosso: il ragazzo non aveva avuto il coraggio di toglierlo da lei, anche se entrare nel villaggio e specialmente nella taverna non era cosa semplice per lui dato che non era, per così dire, normale. Per la prima volta non gli importò molto che la gente lo guardasse nella sua deformità. Aveva altro a cui pensare. Aveva lasciato che fosse Lina a precederlo e a occuparsi della procedura di registrazione delle camere. La chimera si era semplicemente già diretta sulle scale che conducevano alle camere e aveva atteso lì di avere la sua chiave.

Ed ecco che era entrato nella camera 23 e ora, seduto di fianco sul letto, osservava quella creatura indifesa. Era ancora rannicchiata su sé stessa. Non piangeva più. Ormai, pensò Zelgadis, era giunta alla rassegnazione. Lentamente abbassò il cappuccio del mantello. Dalìda lo guardò negli occhi.

< Credo che abbia vinto tu. > disse in un soffio.

Zelgadis la guardò e si sentì quasi in colpa. In effetti era vero: la castellana non aveva più il suo castello, non aveva più niente che la legasse a quei luoghi, nulla se non un mucchio gigantesco di macerie ormai irrecuperabili. Ora la richiesta del mago poteva essere assolta senza alcuna scusa, senza che niente si potesse frapporre al suo volere. Si sentì potente e gravato da un compito pressoché oneroso.

< Non volevo andasse così. > volle quasi difendersi. Era una situazione strana.

< Lo so. Non ti incolperei per niente al mondo. Solo…ora sai che ho solo te. >

Zelgadis annuì con lo sguardo e tolse via il mantello da quel corpo che ormai non era più rannicchiato e che si addormentò sotto il suo sguardo vigile.

                Un raggio di sole colpì gli occhi del ragazzo. Sbadigliò senza ritegno stiracchiandosi e sentì del calore al suo fianco. Si voltò e vide gli occhi di Dalìda chiusi e contornati da ciglia nere e lunghe, i capelli castani sparsi sul cuscino. Si era addormentato lì, nella stanza della ragazza. Era rimasto a vegliarla, poi la stanchezza, le energie spese durante la battaglia avevano preso il sopravvento e si era appisolato sul suo letto. Si sollevò dalle coltri con lentezza, per evitare di svegliarla. Prese il suo mantello e uscì dalla stanza. Il suo sguardo assente non vedeva quello che gli si parava davanti, essendo troppo immerso nei suoi pensieri. Ora aveva una ragione per riprendere le sue sembianze, una ragione in più: non solo il suo orgoglio, non solo il suo amor proprio, ma anche la voglia di dare un futuro, di costruire un progetto con quella ragazza che aveva solo lui.

Giunse nella sala mensa della taverna. Come immaginava tutto il gruppo era già a fare colazione. Erano capaci di ingozzarsi di prima mattina, senza avere nessun limite. Un po’ li invidiava: erano capaci di superare anche le difficoltà più grandi in un batter d’occhio e ad essere efficienti in tutto e per tutto senza lasciarsi condizionare dagli eventi. Si sedette con loro e ordinò la colazione.

< Come sta Dalìda? > chiese Lina, mentre finiva la sua torta con panna. Zelgadis, con sguardo assente, disse che dormiva ancora e che preferiva non disturbarla.

< Capisco. In effetti non si può pretendere che sia qui con noi a chiacchierare come niente fosse. Credimi, siamo davvero dispiaciuti per quello che è successo che, senza fare troppi preamboli, è perlopiù colpa nostra. > ammise senza preoccuparsi tanto. In realtà non poteva farci niente, quindi non capiva perché nascondersi o incolpare gli altri. Avevano coinvolto per l’ennesima volta qualcuno che non aveva nessuna colpa. Purtroppo certi avvenimenti erano incontrollabili, certi incantesimi erano d’obbligo in situazioni di emergenza e le conseguenze potevano essere disastrose.

                Al piano di sopra Dalìda fissava il soffitto della stanza. Inondata di luce aveva assunto una nuova forma, un nuovo aspetto. Si sentì per un attimo vuota, come se qualcosa le fosse stata strappata da dentro il suo corpo. Sentì la sua mente galleggiare della insicurezza del prossimo passo. Non aveva niente con sé, tranne i vestiti che aveva addosso. Non un mantello, non un soldo in tasca. Era tutta in quel corpo svuotato. Il candore del soffitto e la difficoltà nel continuare a fissarlo davano una vaga idea di come si sentiva; lo sguardo cominciava a diventare intollerante di quella fissità senza forma e colore. Si rigirò su un fianco. Doveva trovare la forza di ripartire, la forza di contare sulle proprie capacità, dimostrare a sé stessa e agli altri che avrebbe potuto farcela. Si alzò dal letto e trascinò una coperta fino al bagno. Lì uno specchio riflesse la sua immagine che la fissava con aria smarrita. Vide un volto sporco di terra, quella sollevatasi durante lo scontro. Vide le righe delle lacrime solcarle le guance. Vide i suoi capelli sciolti sulle spalle spettinati e arruffati. Una pessima immagine di sé, una bambola triste e sola, senza un perché, senza uno scopo nella vita. Aveva perso tutto e questo era un deterrente valido per il suo stato d’animo attuale, ma non era abbastanza per permettere allo sconforto di prendere il sopravvento e divorarle l’anima. Iniziò a spogliarsi, buttando per terra quei vestiti, ultimo legame con la sua vecchia vita, con tutto quello che era successo il giorno prima. Via il suo corsetto, via la camicetta, via la sua ampia gonna. Entrò nella doccia e lavò via tutte le sue paure. L’acqua calda scrosciava sulla sua testa e sulle sue spalle. Quel getto le schiaffeggiava il volto, ma lavava via anche quel timore che l’aveva contraddistinta. Ora avrebbe girato per città, per luoghi, per villaggi che nemmeno nei suoi sogni più estremi aveva immaginato di vedere. La schiuma del sapone intrappolò nelle sue bolle le molecole della sua angoscia e le trasportò giù nei tubi di scarico. Una donna nuova stava venendo fuori da quella strana fornace. Avrebbe plasmato una nuova Dalìda.

                Zelgadis tornò nella stanza per verificare se la ragazza si fosse svegliata e stesse bene. Bussò piano e la voce della castellana confermò il permesso ad entrare. Dalìda era davanti allo specchio e con gesti rapidi e sicuri stava annodando una fascia verde tra i suoi capelli. I vecchi vestiti erano in un angolo, quasi ad allontanarli dalla vista, e al loro posto abiti differenti ricavati da un lenzuolo, una tenda, una coperta, dalla tovaglia e dai centrini di pizzo che erano in giro in quella stanza. Aveva demolito mezza camera, ammise Zelgadis, però il risultato ne valeva la pena. Aveva dimostrato ancora di una volta che sapeva risolvere quei piccoli problemi, quelle piccole difficoltà che le si paravano davanti, ma era anche riuscita a darsi una scossa, a farsi una ragione di quello che era successo, che era ormai immutabile e che non aveva senso piangersi addosso.

< Mi dispiace, ma credo che dovrò chiederti di prestarmi dei soldi per risarcire il proprietario della locanda. Non ho niente del genere con me. > disse la ragazza guardandolo attraverso lo specchio e vergognandosi per l’aver dovuto chiedere dei soldi.

< Non importa. > il mago era stranamente tranquillo e non gli importava se li avrebbero presi tutti per matti per quella strana bravata dettata dalla necessità. La trovava estremamente bella nel suo strano modo di fare, nel suo essere così folle, ma allo stesso tempo riuscire a rassicurarlo, a calmare la strana bestia che era dentro di lui ormai da lunghi anni. In quel momento fu sicuro dell’origine di quelle sensazioni, di quei sentimenti che provava per quella ragazza, per quegli occhi malinconici, per quelle labbra rosee e per quella cascata di capelli morbidi che, durante la notte, lo avevano accarezzato dolcemente. Lei sarebbe stata al suo fianco e lui l’avrebbe protetta dalle sue paure, dalla sua fragilità. Per quanto riguarda il denaro, beh, non gliene importava nulla: la ragazza era stata più che generosa con lui e quello gli sembrava il minimo per provare a ricambiare tutto quello che lei aveva offerto.

                Il gelo ormai era passato. La neve era un ricordo lontano. Sulla strada che conduceva alla città del regno di Terylia lo strano gruppo che si era formato qualche mese prima doveva separarsi a breve; giunti al bivio Zelgadis e Dalìda avrebbero proseguito oltre per cercare la soluzione alla maledizione che aveva colpito il ragazzo, mentre Lina, Amelia e Gourry si sarebbero fermati lì per qualche tempo.

< Hai nuovi indizi per trovare qualche testo utile? > chiese Gourry a Zelgadis.

< Ce ne sono un po’. Il primo conduce a un centinaio di chilometri da qui, quindi non possiamo fermarci, perderemmo solo tempo. >

< In questo caso dovremmo salutarci, fermo restando che ci incontreremo nuovamente e che, ovviamente, quando troverai l’incantesimo dovrai venire a farti vedere. Onestamente non riesco proprio a immaginare come tu possa essere senza tutti quei bozzi rocciosi e quella tua carnagione azzurra. > Lina ci scherzò su, anche se una parte di lei davvero trovava difficile immaginare il ragazzo senza quell’aspetto così familiare; quando si erano conosciuti l’aveva trovato abbastanza terrorizzante, eppure ora sapeva che era un amico sul quale contare in qualunque momento, in lui aveva trovato un valido alleato, un mago dalla grande capacità magica e un abile spadaccino, uno dei più forti.

< Sempre gentile. > rispose lui, fintamente offeso < Puoi star certa che tornerò. Non è mia intenzione essere nomade ancora per molto. Voglio solo trovare quello che cerco. >

< Ammettiamo pure che la ricerca di un rimedio per quello che ti ha fatto Rezo ti ha portato a trovare qualcos’altro. > e con un occhiolino Lina ammiccò verso la ragazza dalla lunga treccia morbida che scherzava con Gourry e Amelia, finiti un po’ più avanti rispetto a loro due.

Lo sguardo di Zelgadis si posò su Dalìda e comprese che forse Lina aveva ragione: aveva trovato qualcuno che non tutti hanno l’onore e la fortuna di incontrare, quell’amore ideale, quella persona capace di capirti anche se non ci si conosce affatto, la ragazza dolce che da bambino aveva sognato di liberare dal castello minacciato da chissà quale orrore. Si era sempre figurato come il cavaliere senza macchia e senza paura ed evidentemente questa era l’immagine che anche Lina aveva avuto di lui quando, la sera prima, avevano discusso riguardo quelli che sarebbero stati i loro percorsi. Lina aveva visto la luce che il suo sguardo aveva assunto negli ultimi tempi e aveva letto la tenerezza dei suoi gesti quando erano rivolti a Dalìda. Non l’aveva mai visto così, non avrebbe mai immaginato che potesse succedere. Nemmeno Amelia era riuscita in questa difficile impresa. Le sue premure, le sue dolcezze erano sempre state effimeri e non erano riuscite ad andare oltre la superficie, non erano mai riuscite a scalfirlo. Eppure quella nuova ragazza aveva dimostrato che era possibile.

< Forse è stato solo un colpo di fortuna. > ammise Zelgadis, forse più a sé stesso.

< Oddio! Sono fragole! > la voce di Gourry richiamò tutti verso un campo sterminato che si stendeva davanti a loro. Un verde fulgido e brillante componeva uno strano mare ai loro piedi e la punteggiatura leggera di rosso era dovuta alle fragole, che emanavano un profumo intenso.

< Pancia mia fatti capanna! > urlò dalla gioia il ragazzo.

< Fermo! Aspettami! > Lina abbandonò Zelgadis sulla china e corse verso gli altri più avanti.

I tre mangioni del gruppo si diedero da fare a raccogliere le fragole, spintonandosi continuamente per conquistare quelle più grosse e mature. Zelgadis si portò una mano alla fronte e sospirò disperato: erano sempre i soliti. Quando riportò lo sguardo sul mare d’erba, Dalìda era davanti a lui. Aveva risalito la collinetta e tra le sue mani c’erano un mucchietto di quei frutti rossi. Con delicatezza ne prese uno tra le dita e l’avvicinò alle labbra del ragazzo. Le guance di Zelgadis si imporporarono all’istante: non era mai successa una cosa simile, ma, abbandonando gli indugi e prendendo il coraggio a quattro mani, si lasciò imboccare e si perse nel sorriso dolce di quella stella, briciola di campo.

 

 

Chiedono di te

Vecchie attitudini

Sembrano cercare un ruolo

Per ricominciare

 

Le trasformazioni in questa vita

Mi faranno più che bene

 

Sai che il tempo

Tutto non contiene

Quest’amore

È tutto quel che ho

 

Sedendo nel metrò

Ascolto il suono di Magog

Che adesso viene

Domande ferme di una vita

Dietro ai vetri che non apri più

E ti telefono per raccontare

Il mio giorno migliore

 

Sai che il tempo

Tutto non contiene

Quest’amore

È tutto quel che ho

 

Nell’estate del ‘77 sorridevo divertito

Disegnavo l’orlo del profilo

M’innamorerò di te

 

Le trasformazioni in questa vita

Mi faranno più che bene

 

Passando per le strade

Ascolto il suono di Magog

Che adesso viene

Una vertigine che nasce

Sui tramonti di quello che fu

Passaggi rapidi verso il sentiero

Che conduce al cuore

 

Sai che il tempo

Tutto non contiene

Quest’amore

È tutto quel che ho

 

Nell’estate del ‘97 sorridevo divertito

Disegnavo l’orlo del profilo

M’innamorerò di te

 

Le trasformazioni in questa vita

Mi faranno più che bene

 

Sai che il tempo

Tutto non contiene

Quest’amore

È tutto quel che ho

   
 
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