Fu una carezza a svegliarla. Non sulla fronte o tra i capelli, ma piuttosto nella mente, un tocco lieve che solleticò il suo animo, disturbando l’immobilità del nulla che lo avvolgeva. Durò solo un istante, poi arrivò il dolore: le fitte violente la trapassarono da fianco a fianco, ghermendole la schiena e artigliandole le spalle.
«Ah!»
Ancor prima di aprire gli occhi, Marai provò a mettersi a sedere, ma il suo corpo si rifiutò di collaborare e ebbe solo un debole tremito esausto. Una seconda carezza – questa volta molto più tangibile – le sfiorò il viso e d’un tratto la fanciulla ebbe l’assoluta certezza di essere sveglia.
«Ragazza? Mi senti?»
Stringendo i denti nel tentativo di combattere il mal di testa che era sbucato da chissà dove e subito aveva preso a martellarle le tempie, la fanciulla annuì. «Sì» mormorò, ma la sua voce fu solo un soffio rauco. «Sì» ripeté, più forte. «Mi fa male tutto.»
«Mi stupirei se non fosse così.»
La fanciulla gemette e poi si decise a socchiudere gli occhi, affrontando con cautela la luce che illuminava l’ambiente in cui si trovava. Un secondo più tardi li spalancò per la sorpresa: davanti a lei c’era il viso serio di Wenza. Non il modo migliore, per svegliarsi.
Cosa…
Poi,
la ragazza ricordò. Il viaggio.
L’imboscata. La freccia.
«Sono stata ferita?» chiese, pur conoscendo già la risposta. Guidata dall’istinto, la sua mano cercò di raggiungere il fianco per ispezionare il punto da cui, ora che era più lucida, le pareva avesse origine il dolore, ma la guaritrice intercettò il suo polso e la costrinse a riabbassarlo sulle coperte.
«Sì, sei stata colpita da una freccia: considerato il punto in cui è penetrata, sei fortunata a essere ancora viva.»
Nell’udire quelle parole, Marai provò una fitta di preoccupazione appena tamponata dalla consapevolezza di essere sopravvissuta a un pericolo potenzialmente mortale. «Ci saranno conseguenze?» indagò, con la voce un po’ impastata.
Wenza sollevò appena una spalla, senza distogliere gli occhi dai suoi: «È troppo presto per dirlo. Dovremo aspettare e vedere quello che accadrà nei prossimi giorni. Per ora la ferita sta guarendo bene, ma è meglio essere cauti.»
«Quanto tempo è passato?» chiese ancora la fanciulla, con la voce resa tremula dal dolore.
«Sei rimasta priva di sensi per quattro giorni» la informò Wenza, in tono insolitamente gentile. «C’è stato un momento in cui credevamo che non ce l’avresti fatta.»
«Quattro giorni» ripeté Marai, meravigliata, soppesando le parole della guaritrice. Quattro giorni non erano pochi, ragionò, senza riuscire a nascondere un brivido al pensiero del pericolo scampato.
Come indovinando ciò che le stava passando per la testa, Wenza scrollò le spalle. «Personalmente credo che il peggio sia alle spalle, ormai» la rassicurò. «Dovrai avere ancora un po’ di pazienza, ma a breve tornerai come nuova: come ho detto, le tue ferite stanno guarendo bene e non hai febbre. Se non ci saranno complicazioni, ti riprenderai completamente.»
Nonostante le fitte lancinanti che continuavano a dilaniarle il torso, nell’udire quelle parole la ragazza provò un inaspettato brivido di trionfo. Ci avevano provato, a ucciderla. Ci avevano provato, ma non ce l’avevano fatta. Lei era ancora lì e… un pensiero improvviso le attraversò la mente e la principessa sbiancò, sentendo l’angoscia mozzarle il fiato.
«Gli altri come stanno? Mia madre, mio padre e…»
La guaritrice sospirò, adombrandosi. «Il re e la regina stanno bene: sono scossi, naturalmente, ma non sono stati feriti. Tua madre è venuta spesso a trovarti, in questi giorni, sarà deliziata nell’apprendere che hai ripreso conoscenza. Purtroppo, tua cognata, la principessa Arina, è state ferita e non ce l’ha fatta: è morta questa notte.»
Marai la guardò a bocca aperta, quasi stentando a dare un senso ciò che aveva udito. «Arina…»
«L’abbiamo curata come abbiamo curato
te – anzi, forse anche meglio. Ciononostante non siamo
riusciti a fermare
l’infezione. Probabilmente la principessa era troppo debole
per sopravvivere: è
stata colpita da due frecce e ha perso molto
sangue…»
«Capisco» mormorò la
fanciulla,
abbassando mestamente gli occhi sulle lenzuola stropicciate. Le
sembrava
strana, la sua voce. Come se appartenesse a qualcun altro.
«Il funerale c’è già
stato?»
La guaritrice scosse il capo: «No, si
terrà domani.»
Marai deglutì, cercando di allentare
il nodo doloroso che le stringeva la gola. «Voglio
partecipare.»
Ancor prima che la ragazza finisse di
pronunciare quelle poche parole, Wenza emise un sibilo di
disapprovazione.
«Credo proprio che non sia il caso, principessa. Devi
recuperare le forze, prima
di azzardarti a lasciare questa stanza. La sorte è stata
generosa, con te: non
essere così stupida da sfidarla.»
«Non voglio sfidare la sorte»
protestò
la fanciulla, più flebilmente di quanto avrebbe desiderato.
«Voglio solo dire
addio ad Arina: era quasi come una sorella, per me. E poi glielo
devo.»
«Può essere»,
replicò la guaritrice,
impassibile, «ma, per quanto mi riguarda, la cosa
più importante, ora, è che tu
guarisca: andrai alla cerimonia solo se sarai abbastanza forte per
farlo. In
caso contrario, dovrai pregare dal tuo letto.»
La principessa aprì la bocca per
protestare, ma poi la richiuse, stringendo debolmente la coperta tra i
pugni
sudati. Wenza aveva ragione: come poteva pensare di reggersi in piedi,
se non
riusciva nemmeno a stare seduta sul proprio letto? L’idea di
non potere dare
l’ultimo saluto ad Arina, però, le faceva
più male delle ferite della carne.
Lei e la sposa di Spiro non si conoscevano da molto, ma nel poco tempo
in cui
avevano vissuto sotto allo stesso tempo Marai aveva imparato ad
ammirare la
cognata, che si era fin da subito dimostrata più determinata
e coraggiosa di
quanto lei avrebbe mai potuto essere. Era sempre stata buona, con lei,
e, senza
chiedere nulla in cambio, l’aveva presa sotto alla sua ala
protettrice.
Ed
è morta, per questo,
pensò, mentre le lacrime le pizzicavano gli
occhi. Non le sembrava vero. Ricordava chiaramente il modo in cui Arina
si era
gettata su di lei, probabilmente per proteggerla da
quell’attacco tanto
improvviso e inaspettato.
Sentendosi sul punto di scoppiare a
piangere, Marai si passò una mano sugli occhi, cercando di
trattenersi.
Dimostrando un tatto che solitamente le era estraneo, Wenza si
allontanò da
lei. «Vado a chiamare tua madre, principessa. Tu resta a
letto e non fare nulla
di avventato.»
Annuendo in silenzio, la fanciulla
nascose il volto tra le mani e si concesse un pianto silenzioso.
***
Marai sospirò, appoggiata al petto di
suo madre, godendosi le carezze leggere con le quali la donna le stava
pettinando i capelli arruffati. Doveva essere passata quasi
un’ora dal momento
in cui Wenza le aveva lasciate sole, ma la regina non dava cenno di
voler fare
ritorno alle sue occupazioni abituali.
E, del resto, la principessa non
sentiva alcun bisogno di riposare. Il dolore non era diminuito, ma la
presenza
di sua madre le dava forza e riportava un poco di ordine nei suoi
pensieri,
sconvolti dalla notizia della morte della cognata. Si sentiva
più in forze e,
soprattutto, sentiva crescere il bisogno di comprendere ciò
che era successo.
«Ma quindi i suoi genitori non faranno
in tempo a venire al funerale?»
«Temo di no» mormorò
la regina,
chinando il capo per posare un bacio sulla fronte della figlia.
«Ma non sarebbe meglio aspettare
qualche giorno e dargli il tempo di arrivare?»
obiettò piano Marai, pensando
come si sarebbero potuti sentire il padre e la madre di Arina, in
quelle
circostanze.
«Meglio di no»
ribatté la regina.
«Meglio rispettare i tempi che gli Dei hanno fissato: a
questo punto, re
Lashkar vorrà sapere che lo spirito di sua figlia
è in salvo, visto che per il
corpo, purtroppo, non c’è più nulla da
fare, ormai.»
« È davvero brutto,
però» commentò
tristemente la fanciulla, sentendosi totalmente impotente di fronte
alle
ingiustizie del mondo. «Spiro come sta?»
Lisi esitò un secondo, prima di
rispondere. «È arrabbiato» disse, poi.
«Non l’ho mai visto così arrabbiato:
vuole
andare a cercarli.»
Allarmata dal tono della madre, la
fanciulla raddrizzò la schiena, stringendo i denti contro la
stilettata che la
passò da parte a parte. «Quelli che hanno ucciso
Arina, intendi? Vuole andarci
da solo?»
Le pareva una domanda innocente,
quella, eppure sua madre si irrigidì di nuovo.
«No, non da solo: ha dato ordine
di radunare un corpo di soldati e di esploratori»
mormorò, prima di inspirare
profondamente. «Senti, c’è anche
un’altra cosa che devi sapere.»
La fanciulla avvertì chiaramente
l’ombra di incertezza nella voce della madre e la cosa le
fece contrarre lo
stomaco in un crampo che non aveva nulla a che fare con la ferita che
la
freccia aveva aperto nella sua carne o con i punti di sutura con cui
Wenza
l’aveva richiusa.
«Cioè?» chiese,
leggermente tremula.
«Quando sei caduta a terra e non
c’era
modo di svegliarti, pensavamo che per te non ci fosse più
nulla da fare»
mormorò la regina, con voce mesta.
«Lo so, Wenza me l’ha
detto.»
«Però eri ancora viva; e Padre
Tyban
era lì con noi.»
Marai aggrottò la fronte, cercando di
capire dove volesse andare a parare sua madre. Ricordava perfettamente
la
presenza del confessore al suo fianco, nella carrozza, ma non vedeva
come la
cosa potesse essere di un qualche interesse, per lei.
«Lui ci ha raccomandato di fare il
possibile per assicurarci che il tuo spirito fosse salvo; e che gli
venisse
garantito l’accesso alla Sala degli Antenati.»
«Ah?» la fanciulla avvertiva
che c’era
un pericolo, lì, nascosto da qualche parte, ma ancora non
riusciva a vederlo.
Alzando lo sguardo sulla regina, Marai vide che la gote della donna si
erano
fatte scarlatte.
«Lui ha detto che non eri più
una
bambina e che, alla tua età, il fatto di non essere sposata
era contrario alla
legge divina… quindi siamo stati costretti a trovarti un
marito.»
La regina pronunciò quelle ultime
parole tutte d’un fiato, quasi che tenerle dentro di
sé fosse diventato troppo faticoso
– o imbarazzante. La ragazza si scostò bruscamente
da lei, ignorando la fitta che
le mozzò il fiato. «Quindi devo
sposarmi?» chiese, inorridita. Rendendosi conto
di quanto poco consona fosse la sua reazione, la principessa si
schiarì la
voce, portandosi una mano al fianco nel tentativo di tamponare il
dolore.
«Voglio dire… sarò lieta di sposarmi,
se questo è quello che avete stabilito
per me, ma è una decisione così
improvvisa…»
L’ombra di compassione che scorse
negli occhi azzurri di sua madre le fece morire le parole in gola.
«Non ti devi
sposare» mormorò la donna. «Sei già
sposata.»
La principessa sbatté lentamente le
palpebre, certa di avere interpretato male le parole della regina.
«Eh?»
«Ma non è una cosa
definitiva!» scattò
immediatamente Lisi, posando entrambe le mani sulle spalle della
figlia, prima
di rendersi conto che quel gesto le procurava dolore. «Non
devi preoccuparti,
si è trattato ovviamente solo di un proforma, di un
espediente per…»
«Ma non ero nemmeno cosciente!»
pigolò
Marai, a metà tra le lacrime e l’indignazione.
Non
è possibile. Non così.
«Lo so, lo so: credimi, non
l’avremmo
mai fatto, se avessimo pensato di avere un’alternativa. Ma
eravamo convinti di
averti perso e abbiamo fatto il possibile per salvare almeno la tua
anima.»
La fanciulla rimase immobile per
alcuni istanti, fissando la madre con aria vacua. Inconsciamente, il
suo
sguardo corse all’anulare destro, dove non c’era
nemmeno l’ombra di una fede
nuziale. Sono sposata? Si chiese,
mentre la testa iniziava a girarle. Con chi?
E cosa significa che “non è una cosa
definitiva”?
«Temo di non capire, madre»
mormorò la
principessa, facendo del proprio meglio per mantenere un contegno
quantomeno
dignitoso.
Perché si stupiva tanto?
Perché si
sentiva quasi tradita dalla decisione dei suoi genitori? Dopotutto
sapeva che
era ormai solo una questione di tempo: aveva già
vent’anni, non poteva sperare
di rimanere nubile per sempre. Prima o poi suo padre le avrebbe
comunque scelto
un marito e, con ogni probabilità, lei non avrebbe avuto
alcuna voce in
capitolo. Tuttavia, il modo in cui era successo non faceva altro che
rendere
ancora più traumatica quell’esperienza.
«Beh…» Lisi sorrise,
palesemente
imbarazzata. «Il matrimonio doveva essere celebrato subito,
quindi abbiamo
dovuto cercare un uomo tra quelli che erano lì con
noi.»
Marai deglutì e sgranò gli
occhi,
aspettando con trepidazione il seguito, mentre l’adrenalina
le faceva quasi
dimenticare il fatto di essere ferita.
Non
mi avranno mica fatto sposare Padre Tyban, vero? Si chiese,
cercando disperatamente di ricordare se, in circostanze particolari, i
sacerdoti potessero prendere moglie.
«Ovviamente tra di essi non
c’era
nessuno che fosse alla tua altezza, quindi abbiamo dovuto scegliere il
meno
peggio. Fortunatamente il capitano ha compreso perfettamente la
situazione e ha
accettato di buon grado di concederti la separazione, non appena
sarà trascorso
l’anno in cui, per legge, è impossibile sciogliere
il matrimonio.»
La regina guardò la figlia, aspettando
una sua reazione, ma i pensieri di Marai erano inciampati sulla parola
“capitano”
e da lì non si erano più mossi.
«Il… capitano? Il capitano
della
Guardia Reale? Mi avete fatta sposare con lui?» chiese, con
un filo di voce.
Lisi si morse leggermente un labbro,
poi annuì: «Sì.»
Qualcosa prese a suonare, nella testa
di Marai. Qualcosa che assomigliava tremendamente a delle campane a
festa. Le gote
della fanciulla si fecero roventi e le sue labbra iniziarono lentamente
a
piegarsi verso l’alto. Resasi conto di quanto stava
accadendo, la principessa
irrigidì la mascella, cercando di non far trasparire alcuna
emozione.
Zeru! Pensò,
mentre l’euforia la faceva fremere e cancellava per un
istante anche il dolore.
«Marai? Tutto bene?»
Senza osare incontrare lo sguardo di
sua madre, la ragazza annuì. «Credo che sia un
brav’uomo» disse, misurando le
parole con grande attenzione.
«Oh, lo è
senz’altro» concordò la
regina, palesemente sollevata. «In molti non avrebbero
esitato ad approfittare
della situazione, ma lui era decisamente restio a fare quello che gli
stavamo
chiedendo. Pensa che l’abbiamo dovuto pregare a lungo, prima
di convincerlo ad
accettare: è davvero un uomo estremamente fedele alla
corona, il che è una cosa
rara, di questi tempi.»
Le parole di Lisi raffreddarono un
poco l’improvviso entusiasmo della fanciulla. «Lo
è davvero» considerò, con
voce controllata.
Le cose poco chiare, in quella
situazione, erano ancora troppe e Marai sentiva di non avere il
coraggio di
confessare a sua madre che lei, per Zeru, aveva una cotta mostruosa da
quasi sette
anni - da quando, per la precisione, il capitano, fresco di
investitura, aveva
cenato con la famiglia reale in una lontana sera d’estate.
L’uomo aveva più
volte sorriso alla principessa, allora tredicenne, servendole anche da
bere e
offrendole i bocconi migliori: la ragazzina, che fino a quel giorno non
gli
aveva mai prestato particolare attenzione, aveva pensato che non
potesse
esistere un uomo più bello e più gentile.
Crescendo, l’aveva tenuto
d’occhio da
lontano, dissimulando il proprio interesse, imparando a conoscere lui e
i tanti
difetti che, a prima vista, le erano sfuggiti. Tuttavia quelle piccole
imperfezioni non erano servite che a farglielo piacere ancora di
più, a
renderlo più umano, ai suoi occhi.
Era sempre stata convinta che la sua
fosse condannata a rimanere una semplice infatuazione;
e invece ora si ritrovava sposata all’oggetto
dei suoi desideri. Anche se, da quanto aveva capito, Zeru
l’aveva presa in
moglie solo perché gli era stato ordinato di farlo; e non
aveva alcuna
intenzione di portare avanti quel matrimonio.
La ragazza sentì la delusione
bruciarle la gola, poi un tremito di determinazione la scosse da capo a
piedi. A
lei il capitano piaceva; e pure tanto. Quante volte aveva pregato gli
Dei,
chiedendo loro che l’uomo si accorgesse di lei? Quel
matrimonio imprevisto – e,
soprattutto, insperato – poteva davvero essere soltanto il
frutto del caso?
Forse
gli Dei vogliono dirmi qualcosa,
rifletté la fanciulla. Probabilmente
per lui adesso sono solo un incarico
come tutti gli altri, ma chissà se, conoscendomi meglio, non
cambierebbe idea? Anzi,
pensò ancora, in un guizzo di intraprendenza, sono
certa di riuscire a
fargli cambiare idea, se mi ci metto d’impegno.
Il fatto che lei non avesse la benché
minima esperienza, in materia di uomini, le pareva in quel momento un
particolare di nessuna importanza. Prima di tutto, comunque, doveva
capire con
esattezza come stavano le cose. «E ora cosa
succederà?» chiese, allora, rivolta
a sua madre.
«Non abbiamo ancora discusso dei
particolari» sospirò la regina. «La
morte di Arina ha sconvolto tutto: ne
riparleremo a breve, non appena avremo sistemato le cose più
urgenti. Non preoccuparti,
però: per te cambierà poco, o nulla. Non dovrai
vivere con lui, se è di questo
che ti preoccupi.»
Oh,
non mi preoccupo affatto,
pensò Marai, abbassando lo sguardo sulle
coperte, con aria contrita.
«I nobili e i signori delle casate
sono stati tutti avvertiti delle circostanze che hanno condotto a
questo
matrimonio: tra un anno la tua vita tornerà esattamente
quella di prima» Lisi
si interruppe e guardò la figlia con
un’espressione insolitamente determinata.
«E poi, cara mia, sarà proprio il caso di trovarti
un marito vero: non vorrei portare
male, ma un
matrimonio fasullo può anche andare, due proprio no.»
Marai deglutì: doveva forse rivelare a
sua madre i suoi veri sentimenti? Osservando per una frazione di
secondo l’espressione
sdegnosa della regina, però, la ragazza desistette da quel
proposito. Con ogni
probabilità la donna riteneva – forse a ragione
– che il capitano della Guardia
non fosse uno sposo all’altezza di sua figlia e lei, la
figlia in questione,
sentiva di non avere la forza di intavolare una discussione in
proposito. Non in
quel momento, almeno.
«Se la cosa può farti stare
più
tranquilla, però,» continuò la regina,
ignara dei pensieri della fanciulla,
«posso chiedere al capitano di venirti a trovare: sono certa
che lui potrà
risolvere ogni tuo dubbio.»
Marai sobbalzò: «No, no.
Domani,
forse, ma oggi non mi sento in grado di affrontarlo.»
Morirei
di vergogna. Non saprei nemmeno cosa dirgli. E poi mi fa male
dappertutto. E puzzo
pure.
«Sei stanca, vero?» chiese
Lisi,
facendosi improvvisamente apprensiva. «Mi sono trattenuta
troppo. Scusami:
chiederò a Wenza di darti qualcosa che ti aiuti a
riposare.»
Così dicendo, la donna si
chinò e posò
un bacio sulla fronte sudata della ragazza. Quando se ne fu andata,
Marai si
adagiò sul cuscino, espirando profondamente. Quasi non
aspettassero altro che
la partenza della regina, le mille novità che aveva appena
appreso si
abbatterono tutte insieme sulla fanciulla, risvegliando anche il dolore
che per
qualche tempo era passato in secondo piano.
Marai gemette, rannicchiandosi su un
fianco e portandosi le mani sulla ferita.
«Ecco, ti sei stancata troppo.»
La voce brusca di Wenza le fece
socchiudere un occhio e la principessa si sforzò di adottare
di nuovo una
postura più rilassata. «Forse», ammise,
«ma almeno ho scoperto un sacco di cose
decisamente importanti.«
«Mh. Il tuo matrimonio,
immagino.»
«Proprio così.»
«Strano uomo, tuo marito»
mormorò la
guaritrice. «Non sono mai riuscita a inquadrarlo
perfettamente.»
«Come mai?» chiese la ragazza,
aggrottando
la fronte, sospettosa.
Wenza si strinse nelle spalle: «Non lo
so: mi sembra uno che nasconde molto. Ma niente disquisizioni
filosofiche,
adesso: è ora di dormire.»
Davanti a quell’ordine che la fece
sentire una bambina, Marai non trattenne un sospiro. «Non
vedo come potrei
dormire, visto che mi fa male dappertutto: posso avere un po’
di latte di grano
rosso?»
«Ma nemmeno per sogno!»
sbottò la
guaritrice. «Te ne ho somministrato fin troppo, durante i
primi giorni: non ti
ho salvata solo per vederti morire avvelenata dal latte.»
«Ma mia madre ha
detto…»
«Lo so cosa ha detto tua madre, ma la
guaritrice sono io; e dico che, al massimo, posso darti qualche foglia
di
stella del sole.»
Pur con una smorfia di disappunto, la
fanciulla annuì e allungò una mano per afferrare
le piccole foglie giallastre
che la donna le stava porgendo. Infilandosele in bocca e soffocando il
conato
di vomito che il loro gusto acre le provocò, la ragazza
aspettò pazientemente
che il blando anestetico contenuto in esse iniziasse a fare effetto,
mettendo a
tacere, almeno per qualche tempo, il dolore del corpo, la tristezza per
la
morte di Arina e gli interrogativi a proposito del suo nuovo marito.
***
Scusate
il ritardo: tra le feste natalizie e una one-shot per un concorso ho
dovuto
mettere un attimo in stand-by questa storia. Da gennaio però
gli aggiornamenti
torneranno regolari.