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Autore: Hakaesaru    28/12/2016    3 recensioni
Sotto il riflesso di quella luna splendida, che sembra allargarsi a vista d’occhio come a voler essere partecipe di quell’importante evento, Tadashi lo dice.
A voce alta e un pochino imbarazzata.
Ma sicuro di ogni sillaba che prende forma dal suo cuore direttamente nella sua gola, che da sangue diventa voce, che da pensiero diventa parola, che da sentimento diventa un giuramento che si rinnova. Sempre. Per sempre.
Un ti amo che in risposta vuole un altro ti amo.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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La citazione di Kanzeon Bosatsu all’inizio ci sta tutta. Perché praticamente è l’essenza di Tsukki in questa storiella.
Avviso prima che possiate incappare in cocenti delusioni…

Ci sono delle parti OOC, almeno a me sembrano OOC, quindi ritenetevi avvisati fin da ora, perché ai fini della storia, rimaneggiare qualcosina si è reso necessario.
Spero di non aver fatto troppi danni in questo.
Allora.
Veniamo alle cose serie.

I personaggi di Haikyuu appartengono a Furudate Haruichi, che ne detiene tutti i diritti.

Come sempre, io ci guadagno solo viaggi mentali e niente di più.

Non ci sono scene lemon, e chi mi ha letto prima, sa quanto ami il lemon, trascendere nelle descrizioni, etc etc, ma in questo caso tutto è molto soft, praticamente non c’è niente o quasi niente in tal senso.
La dico a me, perché mi piace.

A Marghe Rotina perché a lei la TsukkiYama piace.
A Oleandro Bianco. Perché Tsukki e Yama-cutie-pie piacciono anche a lei.

Grazie fin da ora per tutti coloro che si avventureranno nella lettura.

Siate comprensivi. È una cosetta leggera. Prendetela per quello che è.
Una cosetta leggera.

Buona lettura.

Hakae.
 
La Leggenda Del Coniglietto Della Luna E Del Principe Servitore.
 

 
 
Le cose immutabili, sono noiose.
 
Alla lunga non c’è più nulla in grado di stupirti. Di attirare l’attenzione.
Un fiore che sboccia… il sole che nasce, la morte di una stella.
Ogni cosa diventa monotona se si spende troppo tempo, un’immensità incalcolabile, a guardarla.
Non c’è più nulla che sia in grado di stupire un servitore della Luna, quella Luna che altro non è che la sua nobile e splendida madre. Così rassicurante e materna in quell’abbraccio di latte e madreperla, così distante seppure appaia a volte incredibilmente vicina.
Tsukishima, il nobile figlio, il nobile servitore della Luna, il solo che è in grado di pettinarle i capelli senza annodarli, di tessere le sue vesti alla perfezione, il solo che riesca ad arrivare tanto vicino alla sua essenza senza provare il desiderio di abbracciarla e toccarla, devoto come solo un servitore può essere, ignaro di qualunque altro sentimento, all’amore, all’affetto, al calore.
Tsukishima esegue i suoi doveri senza battere ciglio.
Rimane impassibile ai sorrisi di quella divinità che mostra al mondo il suo viso più bello, capace di rendere la notte ancor più buia quando invece non fa alcuna mostra di sé.
La Dea lo guarda con gli occhi di chi sa, di chi conosce le storie del mondo da una vita, di chi si rassegna a guardare lo scorrere del tempo senza tuttavia provare pena, frustrazione, noia, disinteresse.
È uno sguardo che conosce e comprende, di chi riesce a vedere cose invisibili perché proiettate nel futuro, nel futuro di quel figlio che la serve ogni giorno, tutti i giorni, come il più dedito dei sudditi, senza per questo sentirsi svilito nel suo compito, senza offendersi nel sapere se stesso come una sorta di strumento per l’altrui perfezione.
Tsukishima riesce a sorvolare su tutto questo semplicemente vantandosi della sua perizia, usando il tono annoiato e sarcastico che ha rivestito la sua voce di polvere di diamanti, quando si prende gioco delle piccole divinità che servono la Dea Luna nell’immensità di quel palazzo senza pavimenti, soffitti, porte o finestre, perché il palazzo della Luna è il Cielo, le neonate stelle che provano con grande fatica a drappeggiare le vesti sontuose e a pettinare i capelli senza fine e soffici come seta, non riescono a rendere giustizia a quella bellezza del quale gli umani si innamorano ogni volta.
Tsukishima svolge i suoi compiti con precisione e senza alcun entusiasmo.
Ogni azione è uguale alla precedente e sarà esattamente uguale alla successiva.
E quando è dispensato dai suoi compiti scende sulla terra, per vedere quanto gli umani si affannino per vivere, un concetto a lui astruso, sconosciuto.
Cosa mai devi fare per vivere se non mangiare, respirare e riposare. Niente.
Allora perché tanto affanno…
Tsukishima non lo capisce.
E intanto aspetta.
Aspetta che sua Madre abbia bisogno di lui.
Aspetta quanto basta per assolvere ai suoi doveri.
Non ha bisogno realmente di mangiare, di dormire, di coprirsi quando fa freddo, di dare refrigerio al proprio corpo quando invece fa caldo.
Per lui lo scorrere delle stagioni è come sbattere le palpebre, il tempo per lui non è assolutamente qualcosa da misurare e quantificare. Non se sei abituato alla vastità del cielo e a considerarlo come a una casa, non quando hai a disposizioni un’eternità e ti puoi permettere di rimandare all’infinito, all’infinito, il cercare di capire qualcosa come il significato della vita di ognuno, di una divinità o di un essere umano.
 
Tsukishima non ama la compagnia delle persone ma non disdegna quella degli animali.
Nella sua collina preferita, nel suo posto privilegiato, ha spesso la compagnia di un gatto che a volte è in compagnia di un altro gatto dal manto color paglia e la testa con il pelo più scuro, una macchia di color marrone che sembra davvero uno scherzo della natura, tanto da fargli pensare che si sia sporcato con qualcosa.
L’altro gatto invece è nero e ha un’espressione proprio antipatica. Sembra emergere dalle tenebre quando il sole tramonta e quando ha bisogno di silenzio miagola continuamente, neanche fosse in amore. Lo fa semplicemente per dare fastidio. Tsukishima lo sa. Il gatto lo sa.
Ci sono due gufi nella sua collina preferita, o meglio, c’è un grande albero secolare che offre un nido e un riparo a due gufi. Uno vanta un piumaggio che ricorda la cenere, l’altro è più scuro, decisamente più somigliante alle sfumature della corteccia dove spesso si mimetizza alla perfezione. All’occhio umano.
Sono sempre in due. Appollaiati sullo stesso ramo. Vicini l’uno all’altro. Uno di essi, quello col piumaggio chiaro, è quello che più spesso fa sentire il suo canto. L’altro, decisamente più silenzioso, lascia spesso al compagno il compito di inventare le più svariate serenate da dedicare alla luna, alle stelle e a niente in particolare.
Ogni tanto il gufo dal piumaggio più chiaro plana fino ad arrivare ai piedi del divino servitore.
L’altro, quello con il piumaggio scuro, raramente si appollaia sulla spalla del giovane, ed è in quel frangente si scorge quanto poco sia umana la pelle di Tsukishima, perché gli artigli del rapace, benché affondati nella carne per trovare il giusto compromesso per trovare stabilità ed equilibrio, non scalfiscono in alcun modo pelle e carne.
E in quella collina che ospita una comitiva assai strana, due gufi, un gatto che va e viene, a volte da solo a volte in compagnia, e un divino servitore, si nasconde, al riparo della sua tana, un coniglio.
Giovane abbastanza da sapere come sopravvivere alle insidie della natura.
Inesperto abbastanza da volersi avvicinare a quella persona, a quello straniero che ogni notte e ogni giorno, tutte le notti e tutti i giorni, si siede e aspetta che qualcosa, qualsiasi cosa, accada.
Gli occhi dorati del giovane servitore non si voltano mai nella sua direzione, il piccolo coniglio, grato per essere soltanto un coniglio, si prende tutto il tempo per poter osservare quel principe, quel ragazzo che serve la Luna, la sua divina madre.
Il coniglietto sa chi è il giovane perché ha sentito gli amici gufi parlare di lui, di quel giovane senza età, che di suo ha solo il nome, il nome di chi è devoto a sua madre.
È strano parlare dei gufi come suoi amici, ma i gufi che abitano quell’albero, che offre loro un riparo e a lui una tana, sono davvero suoi amici perché sono cresciuti insieme su quella collina, perché quando gli altri rapaci e predatori provano a predarlo, essi lo difendono sempre e lo portano in salvo. Il gatto gioca spesso con lui, si diverte a spaventarlo, spesso gli impedisce di uscire dalla tana e questo gli fa battere il cuore così forte che teme sempre di morire.
Quando c’è l’altro gatto, viene semplicemente ignorato.
Il piccolo coniglietto combatte contro la paura ogni giorno. La paura gli scorre dentro insieme al sangue, come l’adrenalina che lo fa correre. È così che sopravvive. Ascolta la sua paura e scappa. Sempre.
Quando avverte un pericolo. Quando lo immagina. Quando semplicemente è troppo spaventato per uscire dalla tana. Da sempre ascolto alla paura. La paura lo salva sempre.
Tuttavia quando arriva il principe servitore, la curiosità è così forte che cerca in ogni modo, in tutti i modi, di vincere quella voce e di farla tacere. E riesce, ma questo non sempre, a fare un passo verso di lui.
Un passo. Un passo. Fino ad arrivargli abbastanza vicino. Non tanto da farsi prendere. Ma vicino abbastanza da poter vedere quanto fossero gagliardi i riflessi dorati di quei capelli, dei boccoli tagliati sempre cortissimi dal quale parte una lunghissima treccia alla base della nuca, sottile come un nastro, che arriva fino ai piedi del giovane principe servitore.
Quella lunga treccia al quale vorrebbe arrampicarsi, quella lunga treccia che gli permetterebbe di vedere cose meravigliose se solo avesse il coraggio di arrampicarsi sopra la sua testa.
Chissà quali e quante meraviglie hanno colto e possono cogliere quegli occhi.
Chissà quante ne vedrà ancora.
Come bellissime.
Assai più belle di un misero coniglio.
 
Il giovane coniglio ripiega sui suoi passi. Quando lo investono dei pensieri tristi non vuole che gli amici gufi lo vedano piangere, non vuole che il gatto nero lo veda piangere. Per questo spesso si nasconde nella sua tana di gran fretta. Piange tanto. Piange spesso. Ma pure se lo sentono, nessuno lo deve vedere.
 
Senonché un giorno, quando dopo tanto titubare il piccolo coniglio esce di nuovo dalla tana per avvicinarsi al giovane principe servitore, all’improvviso e senza motivo, il gufo suo amico lo punta con tutte le intenzioni di predarlo. Il coniglietto vede la via di fuga tagliata dal gatto e sente l’altro gufo iniziare a cantilenare.
In fondo ha sempre saputo di essere una preda. I gufi li mangiano i coniglietti come lui.
Che stupido è stato a fidarsi. Che stupido.
Quando non vede più via d’uscita, si prepara a una morte miserabile.
Gli artigli lo afferrano, già gli pare di sentire il dolore. Poi il vuoto.
Si sente letteralmente cadere.
Tra le vesti del giovane principe che sebbene sospiri infastidito per quell’improvviso baccano, non lo scaccia.
Quando è abbastanza sicuro da poter respirare senza morire di paura, apre gli enormi occhi neri, tondi tondi come due bottoni e li porta sui gufi. Uno gli pare soddisfatto, con le piume del petto tutte gonfie. L’altro è rilassato, come se stesse aspettando quella conclusione da tempo. Il gatto fa il gatto, si rotola sulla schiena e sonnecchia al sole.
E come d’incanto, è sulle gambe del giovane principe servitore.
Ne sente l’odore, ne coglie il calore. Ne percepisce perfino la tristezza.
È così innamorato di quel principe.
Ma si accontenta il giovane coniglio. Di stargli semplicemente accanto.
È più di quanto avesse osato sperare.
 
Tsukishima lentamente, molto lentamente, ha iniziato ad affezionarsi al piccolo coniglio. Tra tutti gli animali sulla collina è quello che gli piace di più perché è quello che sta più zitto.
Lo scova sempre nell’oscurità della sua tana, che sia notte o che sia giorno, i suoi occhi color agata individuano sempre gli occhi neri ossidiana.
Ha sempre qualche ghianda con sé Tsukishima. Dapprima si è accontentato di lasciargliele proprio all’entrata della tana, nell’apertura tra le radici dove si nasconde. Poi ha iniziato a tenerne alcune. Per averle, il coniglietto avrebbe dovuto avvicinarsi. E piano piano, con una sconosciuta, divina pazienza, il giovane principe ha aspettato che il coniglietto vincesse la sua paura e si avvicinasse. Fino a quando non ha mangiato tutte le ghiande colte per lui direttamente sulla mano del principe.
E sono diventati amici.
Migliori amici.
 
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Periodicamente, le divinità vengono sottoposte a delle prove. Una specie di esame. Per poter attingere a nuovi poteri e abbandonare il compito di servitori.
Tsukishima ha un fratello maggiore, che centinaia di anni prima ha superato il suo esame divenendo probabilmente una delle tante divinità che popolano l’enorme volta celeste. Nessuno sa in cosa consiste questo esame. È proibito parlarne. Ma si sa che una volta superato, nessuno torna più come prima.
Tsukishima ha fallito la prima volta.
E pensa al significato della vita proprio da quel fallimento.
Non sa cosa sia la pietà. La pena. L’affetto.
Sa solo servire la Dea sua madre. Soltanto questo. E non serve l’amore per farlo. Solo precisione, perfezione e una memoria eccellente.
Ogni prova è su misura.
Fatta appositamente per la divinità.
Non c’è un momento giusto.
Non c’è modo di sapere quando arriva il momento.
Non c’è modo alcuno di prepararsi.
 
Tsukishima ha atteso senza alcuna aspettativa che quella prova, la sua seconda possibilità, arrivasse.
Per poter finalmente capire perché gli esseri umani si affannano tanto per vivere.
Perché gli animali combattono con le unghie e con i denti per difendere quel dono del quale lui non riesce a capire il senso.
Perché tutti sembrano ricorrere quell’ideale, perché insistono tanto senza mai realmente avvicinarsi a quel concetto così astratto…
 
Tsukishima ha così tanto aspettato quella prova, ed essa, infine, arrivò.
 
Quella notte la luna è piena, enorme, brillante. Si staglia in cielo e illumina ogni cosa.
Ci sono due gufi a cantare per lei. Lamenti che si levano al cielo per commuovere.
Un vecchio, sfinito per la fatica, ad un passo dal morire, giace incredulo, stravolto, del tutto ignaro del perché sia ridotto allo stremo delle forze, così debole da non potersi nemmeno alzare.
Il coniglio, che ha riconosciuto gli occhi del vecchio, sebbene siano enormemente invecchiati, sa che se non fa qualcosa, il principe servitore, il suo principe, potrebbe morire.
Egli ha fame. Rantola continuamente… ha fame.
 
È per questo che il coniglio chiede aiuto al gatto.
È per questo che il gatto lo aiuta e lo conduce dove c’è un fuoco. Anche se non è contento di fare quel che fa. Ma il coniglio pare esserlo. Allora lo asseconda. E i gufi gli cantilenano che sta facendo la cosa giusta.
 
Tsukishima sa di stare per morire.
Non sa come sentirsi. Grato. Sollevato. Stupito. Oppure semplicemente indifferente.
Aspetta come ha sempre fatto. Guarda alla Luna ma non le domanda perché.
Non serve chiedere ad altri la ragione dei propri fallimenti. Non serve chiedere perché si muore. Si muore e basta.
È così che funziona.
Sta per lasciarsi andare quando un lamento lo distrare dal proprio compatimento.
Il gatto ha tra le fauci qualcosa, qualcosa che ha evidentemente rubato per lui… per sfamarlo.
Ad ogni modo Tsukishima non ci pensa due volte e si ciba della carne che quel gatto ha lasciato ai suoi piedi.
E ne rosicchia fino all’ultimo brandello.
Non ha mai prestato attenzione a cosa mangiare, al sapore che avesse il cibo. Non presta mai attenzione a niente ma in quella notte, vinto dai morsi della fame, è certo di aver potuto gustare il cibo più buono del mondo.
Non sapendo cosa fosse a renderlo tanto speciale.
Ignaro ma finalmente sazio.
 
Come la notte si ritira e nel palazzo si irradia la luce del Sole, Tsukishima riprende la sua forma divina, conscio di aver perso di nuovo la prova. Ha fallito di nuovo il suo esame ed è costretto a servire la divinità sua madre per altri mille anni.
Si reca nella collina dove ad aspettarlo c’è il gatto nero. E il gatto bicolore.
Ed entrambi i gufi.
E aspetta che arrivi anche lui. Il coniglio. Il suo prediletto animaletto.
Quello che mangia sempre le ghiande dalla sua mano.
Quello che rimane vicino a lui sempre, per tutto il tempo, che gli dorme in grembo, che gli sale sulla testa, che rimane appallottolato tra la spalla e il collo quando Tsukishima rimane sdraiato a contemplare il cielo.
Quell’enorme palazzo senza porte o finestre.
Senza pavimento o soffitto.
Quell’enorme volta in cui c’è spazio per ogni cosa e dove lui, inspiegabilmente, si sente soffocare.
Perché dell’eternità non ha mai saputo cosa farsene.
Se non aspettare, scioccamente, che finisca.
 
Gli occhi vigili di Tsukishima si muovono lungo tutta la collina in cerca del piccolo coniglio. Pur essendo solo un servitore è comunque una divinità, il figlio della Luna, uno dei suoi prediletti, e riesce a vedere meglio di un falco se è in cerca di qualcosa.
Tra i tanti conigli che riesce a scovare, non c’è però traccia del suo.
E si accorge che quel pensiero gli causa un certo disagio, una sorta di malessere, qualcosa mai provata prima.
Aspetta Tsukishima. Aspetta come non ha aspettato mai.
E conta le ore. I minuti i secondi.
E d’un tratto il concetto del tempo assume un significato, uno spessore e una consistenza. Quando il tempo diventa mancanza e preoccupazione, ecco che si ferma, si dilata infinitamente e non passa mai. Mai.
 
 Mai.
 
Il coniglietto non c’è.
E a lui non rimane che chiedersi perché.
E lo aspetta.
Lo aspetta.
Fino a quando la primavera infoltisce i rami dell’albero secolare con nuove gemme e l’estate le fa crescere forti e vivide, poi  l’autunno le ingiallisce e i colori delle foglie sembrano somigliare incredibilmente al manto del piccolo coniglio suo amico.
Tsukishima non ha mai ritenuto che quella piccola creatura fosse qualcosa di così importante, come solo può esserlo un amico. Fino a quando non si è ritrovato senza.
E quando l’inverno ha fatto cadere anche l’ultima foglia, Tsukishima infine ha iniziato a provare risentimento, rabbia, delusione. Perché non è così che si trattano gli amici.
Non si sparisce così, da un giorno all’altro. Persino lui non è mai arrivato a tanto.
Fino a quando un pensiero, da allora ignorato, lo coglie d’improvviso.
Qualcosa al quale non ha mai pensato. Qualcosa che ha il potere di congelare il suo intero essere in un eterno secondo senza fine.
E se non fosse affatto sparito… e se fosse morto… e se non fosse dipeso da lui… l’ha così tanto odiato da non pensare mai, mai prima di allora, che dietro quella repentina sparizione non ci fosse mai stata una precisa volontà, quanto una dinamica al quale non è stato possibile opporsi.
Mentre per la prima volta il cuore del giovane principe servitore si spezza e prova angoscia e dolore, si contrae dolorosamente facendo sì che il suo dolore arrivasse in ogni fibra di quel corpo divino, in un continuo, continuo vibrare, ecco che insieme a tutto quello, arriva la comprensione.
E il gatto emette un miagolio del tutto simile a quello con cui lo ha trovato la notte della prova. E i gufi, pure se è giorno, prendono a cantilenare come quando ha inutilmente cercato di combattere i morsi della fame.
Ha creduto Tsukishima, di aver di nuovo fallito, non capendo, almeno fino a quel momento, che tutto l’anno trascorso a chiedersi cosa ne fosse stato del suo migliore amico, è stato la sua prova.
E solo ora rammenta…  che cosa il gatto gli ha portato per sfamarsi.
 
Un coniglio.
 
E capisce. E si rassegna a quello che è stato.
E riesce finalmente a comprendere un sentimento come la pietà.
La mancanza.
L’affetto.
Riesce a comprendere perfino l’amore, un sentimento così anelato da tutti e che lui non ha mai cercato, nemmeno voluto sfiorare. Mai desiderato. Ma come si può pretendere di capire la vita se non si è in grado di provare nulla, senza sentirla la vita, senza comprenderla attraverso tanti piccoli sottovalutati miracoli come la sofferenza, la rabbia, la tristezza e l’affetto… senza i sentimenti che ti fanno partecipe del mondo e di ciò che c’è in esso.
Tsukishima ha dovuto perdere il suo migliore amico per capirlo.
Questa è stata la sua prova.
 
D’un tratto la collina sparisce e si ritrova al cospetto della Luna, sua Madre.
E sa, senza bisogno di riferire alcunché, che quella è l’ultima volta che la vedrà da così vicino, che quella è l’ultima volta che scorgerà il suo volto.
È una divinità ora. E le divinità non sono più vincolate da alcun legame precedente la prova. La Dea è stata sua madre e adesso non lo è più.
Mentre osserva quel viso conosciuto leggendone l’espressione nei millimetrici movimenti che le disegnano i tratti, Tsukishima comprende che la Luna ha sempre saputo quale sarebbe stata la sua prova e non sente per questo alcun risentimento. E comprende che Lei sa anche come andrà a finire dopo, la decisione che ha maturato nel proprio cuore nel momento in cui si è ritrovato nella volta celeste, al cospetto della divinità che non avrebbe mai più rivisto.
E del quale non avrebbe sentito la mancanza perché l’avrebbe dimenticata.
Ma va bene così.
Perché è così che deve andare.
Come la morte, la vita deve seguire il suo ciclo, il suo inarrestabile corso, e Tsukishima non vuole perdere qualcosa di così prezioso come il tempo per recriminare su qualcosa che va oltre la sua mera volontà.
 
La prova che ha lungamente aspettato è durata un anno intero. Un anno dove si è chiesto continuamente che fine avesse fatto il suo coniglietto.
E dopo un anno passato a dannarlo, a maledirlo, a rimpiangere il suo silenzioso amico, ecco che ha scoperto che l’amico non lo ha affatto abbandonato.
Gli ha salvato la vita.
Lo ha nutrito.
Gli ha permesso di superare quella prova che un tempo ha fallito, dove non si è neanche realmente impegnato.
Un amico che si è fatto preda.
Un amico che si è fatto carne.
E che lo ha salvato.
Anche se questo ha significato morire.
 
Tsukishima sente per la prima volta di avere un cuore grande, enorme.
Sente.
Riconosce i propri sentimenti.
E solo questo è un miracolo.
Per la prima volta, il viso bellissimo si tende in un sorriso vero.
E l’oro di quegli occhi si illumina come se fossero due stelle.
E mentre si congeda, la Dea sa che non lo rivedrà mai più.
Lo ama immensamente.
 
Mentre riflette sulla propria decisione, Tsukishima tiene tra le mani la propria treccia.
Ha deciso di tagliare i suoi capelli. E quei lunghi filamenti sono ciò che gli consente di essere divino, immortale. Tagliarli significa rinunciare alla propria divinità.
Ma questo diventa possibile solo dopo, una volta superata la prova.
Dove una divinità può veramente scegliere cosa essere. E dare un senso e un valore alla propria esistenza.
Ma nessuno sa di questo perché chiunque abbia superato la prova e abbia rinunciato alla propria immortalità, non è mai tornato sui propri passi, sulla propria scelta. E non ha mai potuto raccontare cosa sia successo dopo.
Tsukishima lascia cadere la lunga treccia ai proprie piedi e sorride al proprio riflesso.
Oltre lo specchio d’acqua non sa cosa succederà. Cosa diventerà.
Sa solo che rivuole il suo amico vicino. E l’unico modo per ritrovarlo è compiere un gesto grande quanto il suo.
Morire.
Per rinascere in un’altra vita.
Mentre oltrepassa la superficie che immediatamente lo inghiotte e lo disintegra, riflette sul proprio operato.
Ha chiesto una sola cosa, in qualità di divinità.
Che tutti potessero vedere quanto grande fosse l’affetto del suo amico.
Quel coniglietto lo ha salvato da morte certa.
Tutti avrebbero dovuto saperlo.
 
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Tsukishima Kei cammina per i fatti suoi quando lo vede.
Un bambino alle prese con tre ragazzini più grandi.
Lo trova patetico, come trova inutile immischiarsi. Tuttavia non vuole proprio mettere un freno alla propria lingua.
“ patetico ”.
Yamaguchi non ha mai avuto il coraggio di chiedergli se anche lui fosse patetico. Troppo timoroso di sentirsi rispondere che sì, lo ha trovato patetico in quella situazione. Più di tutti.
Tuttavia…
Da quel giorno la vita di Tsukishima non è stata più la stessa.
Da quel giorno, la vita di Yamaguchi è cambiata.
Perché Yamaguchi Tadashi è diventato il suo migliore amico, il suo unico amico.
E dopo la delusione di Akiteru, è il solo che avrebbe potuto giurare di aver visto un sorriso sincero sul viso di Tsukki, prima che il sarcasmo lo cancellasse del tutto.
Il loro rapporto è tutto basato una fiducia costruita pezzo per pezzo. Sulla lealtà. Sulla reciproca e rassicurante presenza. Sulla certezza che mai, nemmeno una volta, il veleno di Tsukishima avrebbe potuto ferire, ferire sul serio, il suo migliore amico, sulla certezza che Tadashi non avrebbe mai lasciato il suo fianco a causa di una parola detta male o del suo carattere per niente facile, perché alla base di quel legame c’è l’affetto. L’affetto che si prova quando sai di aver trovato qualcuno che semplicemente ti accetta per come sei e non vuole cambiarti e non pretende che tu sia diverso.
 
Tadashi ha fantasticato su Tsukki fino all’eccesso, fino all’ossessione.
Lo ama di un amore senza scampo, folle e disperato.
È l’unico segreto che ha e che Tsukki non sa.
Ed è deciso a non rivelare mai quel sentimento, a nasconderlo nel proprio animo fino a quando non avrebbero preso strade diverse, ognuno impegnato a intessere la propria vita.
Desidera solo che Tsukki sia felice. A discapito della propria felicità che non conta tanto quanto conta, per Tadashi, quella di Kei.
Per questo in un certo senso, gli è facile pensare di lasciarlo andare.
Non lo ha mai avuto in fondo.
Non è mai stato suo.
Tsukki è come un principe. Ai suoi occhi lo è. E lui, oltre ad essere una sorta di segugio, pure se fedele, non aspira ad essere altro.
Un caro amico e niente di più.
Ha imparato a guardarlo senza farsi scoprire a fissarlo, ha imparato a stargli vicino senza soffocarlo con la propria presenza, ha imparato a fingere indifferenza quando ha visto le compagne si scuola fare qualcosa che lui non avrebbe potuto fare mai, confessare il suo amore allo stesso modo di tutte quelle ragazze che hanno chiesto proprio a lui consigli su come conquistare l’altero Tsukishima.
Ma nessuna è mai riuscita a ottenere niente da Tsukki, che ha sempre visto le relazioni come qualcosa nel quale investire il minimo sindacale, senza mai affezionarsi fino ad arrivare al punto da credere quella persona irrinunciabile, indispensabile.
E di sicuro una relazione romantica, nella scala delle priorità di Tsukki, non è classificata in nessun posto in un’ipotetica serie di numeri perché non è neanche lontanamente contemplata.
Dopo Akiteru, Tadashi è l’unica altra persona che ha avuto il privilegio di essere un amico per Tsukishima.
Mentre per Tadashi, Tsukki è sempre stato l’amore di una vita.
E una sicura condanna a morte.
Per il suo cuore se non altro. Perché Tadashi è sicuro oltre ogni ragionevole dubbio che non amerà mai più nessuno tanto quanto ama e amerà Kei.
Ne è sicuro dal momento che lo ha visto.
 
Tadashi quel Natale ha deciso di regalare un libro a Tsukishima.
Sulle leggende folkloristiche legate alle favole che si raccontano ai bambini per insegnare loro qualcosa.
Nel libro non manca nessuna di quelle storie che ha sentito da bambino.
Proprio nessuna.
Storie che Kei ha ascoltato innumerevoli volte raccontate da sua nonna, leggende di divinità che un tempo hanno abitato in cielo, un vastissimo palazzo senza porte o finestre, senza pavimenti o soffitti, solo uno spazio sconfinato dove nessuno sarebbe mai stato in grado di contarne le stelle.
A meno che non fosse stato un dio.
E spesso sua nonna gli ha raccontato la storia del coniglio della luna.
L’ha sentita tante volte che non avrebbe potuto contarle.
Kei ha amato e odiato quella favola.
Smuove sempre qualcosa dentro di lui che gli causa una sorta di inspiegabile dolore ogni volta che ode la sorte del coniglio, che decide di morire per salvare una vita. Per ridare una vita.
Quando Tadashi gli ha regalato il libro, lo ha fatto sapendo di cogliere nel segno. Di pizzicare una corda che non ha mai osato sfiorare.
 
Ci sono poche cose che a Tsukki piacciono, e che Tadashi conosce, una di queste poche cose è proprio la leggenda del coniglio della luna.
Anche se Yamaguchi sa che quella storia lo rende triste dopo.
E quella storia Kei l’ha evitata consapevolmente fino a ritrovarsi a leggerla la sera prima del giorno della consegna dei diplomi.
In primavera.
Coi ciliegi in fiore.
 
Quella sera Kei non riesce a dormire.
Sa che si ritrova di fronte a una prova. A una scelta. E che non ha niente a che fare con la scuola, l’università e con tutto il resto.
Ha addosso una strana sensazione.
Di impazienza. Di attesa. Di irritazione.
Apre il libro che è sempre sotto il suo letto da quando Tadashi glielo ha regalato.
E legge la favola su cui ha sempre evitato di posare gli occhi.
 
È come essere su quella collina.
In attesa di qualcosa. Che qualcosa arrivi, che finisca. Che gli dia finalmente la pace che cerca da quando ha iniziato a capire come vanno le cose, quando la realtà gli è arrivata tra capo e collo con il più amaro dei bocconi da ingoiare e mandare giù.
Legge di quell’amicizia strana tra il coniglietto e il principe servitore.
Di quanto quel coniglietto gli volesse bene. Quanto lo amasse senza mai dirgli quanto in realtà desiderasse quegli occhi solo per sé.
Ha letto di quanto fosse contento di stargli vicino, accontentandosi di essere la creatura meno rumorosa e fastidiosa di tutte.
Ha letto di come il principe si fosse lentamente affezionato a quel piccolo coniglietto, del fatto che piano piano fosse riuscito a fargli mangiare le ghiande tutte dalla sua mano.
Ha letto di quanto fosse disperato e rattristato il principe servitore, per la scomparsa del piccolo coniglietto.
La sua rabbia nel constatare che quello che ha ritenuto un amico, in realtà non fosse tale.
Arrivando a comprendere soltanto dopo che il suo amico non è scomparso senza ragione.
Che in realtà la sua scomparsa è stata motivata dalla più nobile delle ragioni.
 
Tsukishima non ha mai pianto tanto in tutta la sua vita.
Non ha mai pianto in realtà.
Di rimpianto e disperazione. Di dolore e perdita.
Non comprende, non riesce proprio a capire, cosa ci fosse in quella storia da farlo stare male ogni volta che la ascolta, quando un groppo alla gola si serra tanto che gli impedisce di respirare. Quando sente il pizzicore delle lacrime pungergli gli occhi.
Kei non riesce a leggere oltre… e non riesce quasi a respirare.
Non arriverà mai alla fine di quella dannata favola.
Chiude malamente il libro mentre annaspa.
È possibile annegare nelle proprie lacrime? Davvero?
Kei lo ha ignorato fino a quella notte, gli occhi atterriti che scrutano quel cielo come a voler rincorrere le stelle che hanno le risposte alle sue domande, quelle che non ha il coraggio di porsi, quelle che si pone ma del quale non vuole affannarsi a trovare le risposte.
Fino a quando non la trova scolpita sulla faccia della Luna.
La risposta alla sua domanda.
È li che la trova.
È li che è sempre stata.
 
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Kei è seduto nella veranda.
Nella casa di sua nonna. Dove da piccolo ha sentito per così tante volte la storia del coniglio della luna.
Quella sera l’avrebbe ascoltata ancora una volta. Sua nonna gliela racconta sempre. Ogni volta che ne ha l’occasione.
Kei l’ha detestata quella storia.
L’ha amata e detestata.
E la storia nel libro, la storia che ha narrato le vicende del principe servitore, non è riuscito a terminarla.
 
Kei non ha mai saputo che quella storia fosse anche la preferita di Tadashi. Per motivi che Kei non conosce.
Tadashi ha sempre pensato di essere codardo esattamente come quel coniglio, questo quando si tratta di sentimenti, di cose importanti.
Tadashi si è sentito paralizzato dalla paura quando ha provato ad andare a servizio nella sua prima partita ufficiale con ma maglia della Karasuno. Quale umiliazione è stata, vedere la palla cadere nella parte sbagliata del campo…
Che pena per la squadra e per se stesso.
Che vergogna quando ha pensato a Kei, a quali potrebbero essere stati i suoi pensieri a riguardo.
E che amarezza nel constatare che niente lo ha minimamente sfiorato, vittoria e sconfitta non hanno mai significato nulla per lui.
E che pena quando la seconda volta che è sceso in campo, memore delle parole gridate in faccia al suo migliore amico, si è sentito ancora una volta raggelare dalla paura, contro cui nemmeno il suo orgoglio è riuscito a vincere.
Che pena pensare a se stesso come a un fallimento… incapace di reggersi sulle proprie gambe. Come il ragazzino che è stato quando ha conosciuto Kei, in balia di bambini più grandi e prepotenti.
Però…
Sebbene ammetta con se stesso di essere codardo, sebbene si sia abituato all’idea di rinunciare alla persona che ama senza nemmeno combattere, Yamaguchi ama quella favola e continua ad amare quel coniglio che gli somiglia in tutto e per tutto.
Se dovesse dare una forma all’amore, se dovesse rappresentarlo con una storia, Tadashi avrebbe sempre scelto quella, quella del coniglio della luna, così innamorato del suo principe da morire per lui.
Così innamorato da saperlo riconoscere pure in altre vesti, quelle di un vecchio, affaticato e prossimo alla morte.
Prigioniero di quegli occhi che hanno rapito il cuore del piccolo coniglio per sempre.
 
Tadashi conosce la nonna di Tsukki da anni ormai.
Non conta più le estati che ha passato con lei e il suo migliore amico, in quella vecchia casa di campagna dove d’estate rimane sveglio fino a tardi per vedere le lucciole danzare sul laghetto del giardino di obaa-san.
Il suo sogno ricorrente è immaginare Tsukki circondato da lucciole, che si muovono per lui, danzano per lui, che brillano per lui e Tsukki che brilla a sua volta di una luce intensa ma che non lo ferisce come lo ferisce guardare il sole.
Tsukki si appresta ad ascoltare per la prima volta, la storia del coniglietto della luna. dall’inizio alla fine. Forte anche della presenza di Tadashi, del suo Tadashi, che lo rassicura con la sua sola presenza.
Obaa-san inizia a raccontare…
E Tadashi è emozionato come un bambino quando sente la voce greve eppure dolce della donna iniziare a creare personaggi e mondi lontani, a descrivere come nel migliore dei libri quel sogno, quella leggenda.
L’amore assoluto di un coniglietto.
E del principe servitore che ha rinunciato all’immortalità per ritrovarlo.
Tsukishima ricorda di non aver mai voluto sentire quella parte della storia. Questo perché alla morte del coniglio ha sempre rifiutato di voler ascoltare oltre, convinto che le storie non fossero altro che storie, senza alcun fondamento e se non hanno ragion d’essere, non ha senso nemmeno sentirle.
L’anziana donna ha lasciato il nipote alle proprie convinzioni.
Non ancora maturo per sentire quella parte della storia.
Che sembra riguardarlo così da vicino.
Kei si fa attento quando sente la parte della storia che non ha mai voluto scoprire.
Non è mai arrivato a sfiorarla nemmeno nel libro che Tadashi gli ha regalato. Semplicemente non ci è riuscito.
Non lo ha più aperto da quando si è ritrovato senza fiato e con le lacrime agli occhi.
Sospettando che quel libro non fosse solo un regalo, ma che avesse l’ingrato compito di congedare l’amico una volta finite le superiori.
Quel libro è finito nascosto dietro ad altri libri. Sulla scrivania della stanza di Akiteru. Non più sotto il suo letto come è stato da quando Tadashi glielo ha donato.
E per un certo numero di giorni ha persino odiato quel libro.
E ora eccolo lì, come un ragazzino, a sentire con le proprie orecchie il finale di quella storia…
 
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Tsukishima ha rinunciato immediatamente alla propria immortalità. Nel momento in cui ha compreso quanto fosse grande l’amore e quanto potesse essere vasto da rendere l’immensità del cielo infinitamente piccolo al confronto.
Non c’è niente che colmi di più.
E non ci sono abbastanza stelle in cielo per quantificare quali e quante sfumature avesse uno stesso sentimento… sentire il proprio cuore capace ci contenere quell’enormità e allo stesso tempo, essere incapace di provare lo stesso per qualcun altro.
Tsukishima ha smesso di esistere come essere divino da quando ha compreso quanto fosse importante per quel coniglio la sua sopravvivenza. Lo ha riconosciuto in quel corpo così invecchiato, sconosciuto.
E ha deciso nell’immediato che la sua vita fosse un bene prezioso, così tanto da meritare un sacrificio.
Il suo.
Sfamare un vecchio è così poca cosa.
Cos’altro può fare un coniglio, cosa può offrire.
Può offrire la sua vita.
Tsukishima ha espresso il desiderio che tutti, tutti quanti, potessero comprendere quanto grande fosse l’amore di quel coniglietto per lui.
Per questo la Luna ha acconsentito a mostrarlo, amando quel figlio al punto da creare un incisione perenne sul suo volto perfetto.
Un incisione che ha la forma di un coniglio.
E che il folklore conosce come il coniglio della luna.
Una volta che ha potuto vedere coi propri occhi il dono della Dea sua Madre, Tsukishima ha tagliato i propri capelli.
Perdendo la propria immortalità.
Ed è passato per lo specchio, il cancello oltre il quale non si può tornare indietro, che mostra cosa c’è dentro chiunque ci si rifletta davanti e vede nel proprio riflesso i propri segreti e le proprie speranze. Che siano essere integre oppure infrante.
Tsukishima non si è mai pentito della propria scelta.
Non pensando mai a quanto avrebbe impiegato a trovarlo e se lo avesse ritrovato in un’altra vita.
La sola certezza che ha avuto è stata  fare tutto il possibile per riaverlo al suo fianco.
Il suo amato. Il suo migliore amico.
 
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 Tsukishima è sdraiato sul proprio letto.
Tadashi gli è sdraiato addosso per un quarto. Ha un suo braccio poggiato di traverso sull’addome, una gamba piegata sulla propria, la testa nascosta tra il collo e la spalla.
Respira piano. Vinto da un sonno lieve.
Tsukishima vede la luce della luna illuminare tutto. I dettagli della sua stanza, i dettagli dei loro corpi intrecciati. I dettagli del viso di Tadashi, le sue lentiggini sulle guance, le labbra appena dischiuse, i capelli tra le sue dita.
Quando lo tiene così, quando sono così, vicini, paghi del reciproco calore, è in quei momenti che Kei si sente completo, come se avesse finalmente trovato la parte mancante che ha disperatamente cercato.
Senza sapere di starla cercando.
Guarda la luna e vede su quel viso che mostra al mondo da così tanti anni, la sagoma di quel coniglio, quel coniglietto che per anni lo ha inseguito.
Pensa al coniglietto e sente il proprio cuore troppo grande per il suo torace.
Quel cuore inizia a galoppare. A battere sempre più veloce.
E sveglia il compagno dal quel sonno leggero nel quale è scivolato senza rendersene conto.
Tadashi lo guarda con gli occhi spalancati, preoccupato nel sentire quel martellare impazzito, immediatamente concentrato su qualsiasi cosa potesse fare per Tsukki.
“ dimmi cosa posso fare per te ”.
E mentre Tsukishima lo sente sussurrare quelle parole, mentalmente gli risponde che c’è qualcosa che può fare ma dalle sue labbra non esce una parola.
 
Ci sono poche cose che Kei ama.
Ama la strawberry shortcake.
Ama la musica.
Ama il coniglietto della luna.
Ama Tadashi alla follia.
E non in quell’ordine naturalmente. Non c’è bisogno di dirlo che Tadashi viene prima di qualsiasi cosa.
Ama sentirsi dentro Tadashi. Ama quella sensazione incredibile che lo coglie sempre quando lo possiede e ama il modo in cui Tadashi lo accoglie. Sempre. Ogni volta.
Ogni singola volta che fanno l’amore.
E quella sera, mentre Tsukishima lo spoglia dei vestiti e conta di nuovo le lentiggini sulle sue guance mentre le bacia una a una, mentre espugna la sua bocca contandole ancora una volta con gli occhi socchiusi, Tadashi è con tutto l’amore di questo mondo che si concede, che gli si dona.
Godendo di ogni sospiro, di ogni gemito che riesce a strappare dalla gola contratta del suo compagno che mai avrebbe immaginato così vicino.
Che mai avrebbe immaginato ricambiare quel sentimento da sempre nascosto e mai coltivato come qualcosa di reale ma sempre visto come a un sogno, un desiderio impossibile da esprimere.
 
“… non chiedermi di dirlo ad alta voce… non ancora almeno… ma te lo dirò, ti giuro che te lo dirò…”
Così gli ha detto non appena hanno ricevuto i diplomi.
E lo ha trascinato sulla terrazza. Con il fiato corto e il cuore in gola. E senza riuscire a guardarlo in faccia per paura di perdere le parole e con esse la sua risoluzione.
Tadashi si è sentito travolgere, colmare, si è sentito cadere in quelle braccia che ha sempre desiderato pur non essendo ancora effettivamente stretto a quel corpo, in quel calore.
Il vuoto e improvvisamente, tutto. Semplicemente tutto. L’amore che ha sempre nascosto. Ricambiato. E che ha cancellato in un solo istante anni di tristezza, di dolore nel desiderare una persona sapendo di non poterla avere mai. Mai come l’avrebbe voluta avere lui.
Tadashi si è ritrovato così, con gli occhi spalancati e paralizzato in quell’eterno momento di terribile sollievo.
Con il secondo bottone della divisa di Tsukki stretto nella sua mano. Offerto con le guance rosse come fragole mature. E lo sguardo rivolto altrove. E gli occhi arrossati di chi ha pianto tutta la notte per un motivo noto a lui soltanto.
Tadashi  non ci ha pensato e lo ha abbracciato di slancio senza sapere come articolare una sola parola. Figurarsi l’andare a chiedere a Tsukki il ti amo che avrebbe sugellato quel momento come nel migliore dei romanzi.
Ma quel ti amo è arrivato.
Dopo aver sentito la fine della storia del coniglio della luna.
Dopo averlo tenuto stretto per tutta la notte, pensando a se stesso come a una persona dannatamente, incredibilmente fortunata, per il solo fatto di poter stringere tra le braccia la persona che ama.
Dopo la prima volta di tutta la loro vita, quando un Tadashi indolenzito e sfinito e che non ha mai smesso di abbracciarlo, si è lasciato andare in un pianto silenzioso a sentire quel ti amo con la voce rotta dall’emozione e ancora tremante.
E tutte le volte che hanno succeduto quella prima volta, Tsukishima glielo ha ripetuto.
Ogni singola volta che sono stati insieme.
L’uno nell’altro.
E Tadashi gli risponde a propria volta.
Che glielo dice mentre lo guarda negli occhi, lo serra dentro e lo stringe più forte che può, quasi fosse un sogno e non volesse lasciarlo scivolare via.
Che lo ama.
E quando l’acme passa e la spossatezza reclama il suo tributo, dopo così tanto piacere, è solo allora che il battito impazzito di Kei si placa e diventa un lenta e cadenzata ninna nanna per Tadashi e lui soltanto.
Mentre si lascia scivolare in una soddisfatta sonnolenza, Kei serra di più le braccia attorno al compagno che sospira pago, e lascia che la luna illumini entrambi.
Tsukishima non sa quantificare quanto sia grande il proprio amore. Non saprebbe a cosa paragonarlo. E crede che sia sciocco farlo.
Non è una gara a chi ama di più.
Ma se proprio deve, gli piacere paragonare se stesso a quel principe divino che per amore di un coniglietto ha rinunciato a ogni cosa pur di riaverlo indietro.
Il suo preziosissimo coniglietto. Che la luna mostra sempre con affetto, inciso sul suo viso in un perenne voto d’amore.
Quel coniglietto che per Tsukishima ha le sembianze di Tadashi, per lui conta più di chiunque altro.
Con quel pensiero Kei si addormenta, sicuro del fatto che ha finalmente raggiunto quello che ha sempre cercato pur senza saperlo. Ma sicuro del fatto che lo ha trovato non appena lo ha stretto tra le braccia.
Dopo un lunghissimo cammino.
 
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La nonna di Kei è seduta sulla veranda.
Sul viso ha un’espressione di chi finalmente ha potuto vedere coi propri occhi come è andata a finire quella storia.
Quella favola che è stata raccontata in così tanti modi diversi. E che ha assunto così tanti significati.
Chi ha aggiunto e chi ha tolto particolari.
Sorride mentre guarda la Luna, la Dea che ha servito dal primo vagito in quel mondo.
Un’altra divinità che ha scelto una vita, che ha rinunciato all’immortalità per amore. Che come desiderio ha espresso quello di poter vedere quelle due anime ritrovarsi. E che è stata esaudita. Anche se lo avrebbe dimenticato il mattino seguente.
Perché nessuno può ricordare nulla della propria vita divina.
 
Nelle sue mani c’è una lunga treccia.
Capelli dorati.
Capelli divini.
Una treccia che il principe servitore ha portato per infiniti anni.
Una treccia che è passata attraverso i secoli fino ad arrivare ai tempi moderni, stretta nelle mani di una donna anziana che ha avuto alle spalle una vita piena.
Una treccia che lentamente ma inesorabilmente si trasforma in cenere.
La vecchia signora chiude gli occhi e sorride. Oltre le palpebre chiuse vede il viso della Dea che ha servito per tantissimi anni prima di rinunciare a sua volta alla propria natura divina.
La sua signora è felice. E brilla di una luce assai intensa stagliata così in alto, in cielo.
In televisione l’hanno apostrofata come un fenomeno, noto come Super Luna.
In realtà la Dea si mostra in tutta la sua meraviglia per poter ammirare da vicino uno spettacolo che ha atteso di vedere per lunghissimo tempo.
Il suo diletto figlio finalmente felice.
Quel sorriso che si è aperto sul quel viso perfetto ancora una volta.
E si gode quell’incanto per tutta la notte.
Si avvicinerà ancora quando sarà il tempo, per osservare quanto quell’amore sarà maturato.
E infine quando verrà il momento, riavrà i suoi amati figli vicino.
 
Mentre le piccole stelle si danno da fare per pettinare i lunghissimi capelli della Luna, la Dea sorride appagata.
Il suo diletto figlio ha ritrovato l’amore e pure i suoi amici, non è assolutamente un caso che Kuuro e Kenma fossero paragonabili a dei gatti e che Bokuto e Akaashi fossero paragonabili a due gufi.
E ha persino ritrovato il proprio fratello.
Perso da tempo immemore e ancora una volta, in quella vita terrena.
 
La Luna si mostra in tutto il suo splendore.
Il coniglio che adorna il suo viso si palesa al mondo con ancora più orgoglio.
Un coniglietto da cuore grande. Immenso.
E tutti sulla terra e nella volta celeste possono ammirare quel coniglietto.
E scoprire la sua storia, sebbene arricchita di particolari e privata di altri.
Ma ciò che non cambia è il sacrificio del coniglietto.
E la purezza del suo gesto.
 
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Tsukishima appena prima di attraversare lo specchio che lo avrebbe reso mortale, prima di gettare se stesso in una diversa realtà alla ricerca del suo migliore amico, ha espresso un altro desiderio. Qualcosa che si è affacciata nel suo cuore non appena ha scorto il proprio riflesso nello specchio d’acqua.
Quello specchio non è solo una porta.
Mostra a chi intende varcare quella soglia, quale fosse la propria debolezza. Quella che avrebbe potuto far decidere alla divinità di tornare sulla propria decisione in tempo.
Tsukishima vede se stesso. Vede se stesso riflesso nello specchio.
Si vede in lacrime, prostrato dal dolore, afflitto.
Non vuole più sentirsi solo.
Non vuole più assaporare il gusto amaro della mancanza.
Non vuole più che la rabbia lambisca le sue viscere se chi desidera non è più al suo fianco.
Quel riflesso lo spinge ancor di più verso lo specchio.
Desidera qualcosa solo e unicamente per se stesso.
L’unico desidero che ha mai espresso a suo esclusivo appannaggio.
Non importa quanto ci avrebbe impiegato.
Avrebbe continuato a varcare i cancelli della vita e della rincarnazione fino a quando non avrebbe ritrovato il suo amico.
E una volta ritrovato, non lo avrebbe più lasciato andare.
E una volta al sicuro nelle sue braccia…
 
Mentre varca lo specchio e il suo corpo si dissolve in frammenti sempre più piccoli, in quell’ultimo momento in cui può ancora pensare, comprendere e provare sentimenti, Tsukishima esprime il proprio desiderio.
Una volta nelle sue braccia, non vuole più, in nessun caso, privarsi di quel tesoro così a lungo cercato, di quel calore, di quell’affetto così grande, che ha regalato al suo cuore un palpito di vita e gli ha mostrato cosa fosse la vita in realtà.
Una volta nelle sue braccia, non avrebbe mai più voluto essere privato di quell’amore.
E quando sarebbe giunto il suo momento, avrebbe voluto solo questo…
Morire prima di lui, sarebbe bastato un secondo. O morire insieme a lui.
Ma mai dopo.
Non vuole più provare l’afflizione che segue alla morte, all’abbandono.
Nemmeno per un giorno.
Non vuole più sentirsi solo.
 
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Per quella sera Tadashi ha preparato tutto.
Coperte. Thermos con della cioccolata bollente. Una tazza soltanto. E delle fragole, perché non vuole privarsi di niente.
È il ventisette Settembre ed è su di giri.
Perché è il compleanno di Tsukki. Perché saranno abbarbicati sul tetto della casa che hanno comprato insieme.
Perché per quella sera è prevista la Super Luna.
E non vuole assolutamente perdere l’occasione di guardarla, anche per tutta la notte.
Kei è strettamente avvolto nella coperta che Tadashi gli ha posato sulle spalle.
Per essere Settembre fa abbastanza freddo e non è che fosse esattamente entusiasta all’idea di trascorrere una nottata intera sopra il tetto di casa, pure se il compagno ha proposto di recuperare dalla soffitta i sacchi a pelo.
Per quanto ami Tadashi, non ha intenzione di dormire tutta la notte sulle tegole del tetto. Ma cercherà di fare del suo meglio per rimanere il più a lungo possibile all’aperto.
Di sicuro le fragole aiutano il suo umore. Specie se sono immerse nella cioccolata bollente. Specie se mangiate direttamente dalla mano di Yamaguchi, che ha le guance più rosse delle fragole stesse.
Pure se sono compagni da anni, Tadashi non smette mai di emozionarsi, l’abitudine sembra non attecchire in nessuno dei due, giorni e giorni trascorsi insieme non mettono mai fine alla voglia che hanno di stare ancora insieme per scoprirsi ancora, condividere tutto,  memorizzare il proprio viso ancora una volta.
 
Tadashi rimane per minuti interi a guardare la luna.
Con gli occhi enormi e la bocca socchiusa in un sincero stupore, in una rinnovata meraviglia.
Guarda la luna e segue con gli occhi la sagoma del coniglietto lunare, rammentando ancora una volta la favola della nonna di Kei, secondo la quale quel coniglietto, così innamorato del principe servitore, ha sacrificato la propria vita per lui.
E che la luna, commossa da quel gesto, abbia deciso di mostrare a tutti quanto fosse grande il cuore di quel coniglietto, in grado di contenere un amore così grande, da inciderlo suo proprio viso per farlo conoscere al mondo.
Tadashi si volta a guardare il compagno che osserva la luna a sua volta, mentre beve la cioccolata dalla tazza.
Si domanda Yamaguchi, quante volte ancora si innamorerà di quel ragazzo.
Si chiede quante volte il suo cuore si debba fermare alla consapevolezza che sì, quel ragazzo ha scelto lui. che lo ama. Che vuole trascorrere la vita, tutta la sua vita, insieme a lui.
E sorprendentemente, Tadashi si accorge con imbarazzo, che non gli ha mai detto ti amo per primo. Ha sempre risposto al ti amo di Kei, ma mai una volta lo ha detto per primo.
E non ci sarebbe stato mai un momento perfetto come quello.
E lo coglie.
Sotto il riflesso di quella luna splendida, che sembra allargarsi a vista d’occhio come a voler essere partecipe di quell’importante evento, Tadashi lo dice.
A voce alta e un pochino imbarazzata.
Ma sicuro di ogni sillaba che prende forma dal suo cuore direttamente nella sua gola, che da sangue diventa voce, che da pensiero diventa parola, che da sentimento diventa un giuramento che si rinnova. Sempre. Per sempre.
Un ti amo che in risposta vuole un altro ti amo.
 
Tsukishima fa quasi cadere la tazza quando lo sente.
E sorride.
Come non fa mai di fronte ad altri. Solo Tadashi ha visto quel sorriso.
E Akiteru. Tanto e tanto tempo prima.
Quel sorriso ora lo vede pure la luna, che gli pare diventare più luminosa a ogni minuto che passano a osservarla.
Guarda il compagno mentre risponde al suo ti amo.
E pensa che non vuole, per nessuna ragione, essere privato di quell’amore, di quella presenza al quale non sa più e non vuole più fare a meno.
Neanche un giorno. Neanche un minuto.
Non vuole mai più sentirsi solo.
E non sa da dove arrivi quel pensiero.
Sa solo che è così.
Rimangono sul tetto fin quasi all’alba.
Quando la luna inizia a farsi da parte per lasciare il posto al sole.
Solo allora Kei e Tadashi rientrano in casa.
 
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La Luna si ritira nella sua alcova, nella volta celeste.
Le stelline appena nate iniziano subito a pettinarle i capelli, a sistemarle le lunghissime vesti, a intonare melodie inudibili a chiunque se non alla sola Dea.
Che veglia sui suoi prediletti come una mamma.
Che osserva sempre, di giorno e di notte, la felicità del suo diletto figlio e del coniglietto che è diventato poi l’amore della sua vita.
E decisamente vedere quei due ragazzi insieme è la parte migliore della favola.
Quella del coniglietto della luna e del suo principe Tsukishima.
 
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L’angolo di Hakae:
 
L’ultima volta che ho postato qualcosa su EFP è stato diverso tempo fa e con qualcosa di completamente diverso da questo.
Da quando sono rimasta intrappolata nella rete di Haikyuu, ho eletto la TsukkiYama come a pairing preferito.
Ovviamente la IwaOi o OiIwa, io sono una estimatrice del reverse se non si fosse ancora capito, ha un pezzo del mio cuore, un pezzo assai grande.
Così come la DaiSuga. E la AsaNoya.
Sono tutte coppie papabili in Haikyuu, diciamocelo. Come e meglio di KuroBasu.
Ma torniamo a questo.
Il clima natalizio mi ha spinta a scrivere una cosa del genere.
E ho deciso di prendere la storia del coniglietto lunare, metterla nella mia testa come se stessi mettendo della frutta nel frullatore, ridurre tutto il poltiglia e tirare fuori il succo, che è questo.
Ovviamente, il fatto che nel cognome di Tsukki ci sia un ampio riferimento alla signora Luna ha decretato in primis il suo essere un nobile giovanotto senza scopo.
E Yamaguchi coniglietto deriva dal fatto che amo i coniglietti e che Yama-cutie pie si prestasse benissimo allo scopo.
Ovviamente questo ha reso necessario degli scivoloni OOC. Ma siamo a natale, dove tutto è cosparso di zucchero a velo a causa dei troppi pandori, siate comprensivi.
Allora.
Di solito quando scrivo, mi piace dilungarmi in scene lemon, mi piace l’introspezione, mi piace la storia luuuuuuuuuunga.
Questa volta ho optato per qualcosa di molto molto leggero.
Che inizia e finisce senza stare a scavare troppo sulla psicologia dei personaggi.
Quello provvederò a farlo in tempi migliori, visto che giusto tre giorni fa ho cestinato una cartella intera contenente fic iniziate, elaborate, rilette e decretate orripilanti, quindi eliminate.
Tutte TsukkiYama.
Questa cosa è uscita fuori in poche ore.
Nemmeno due giorni alla fine, rilettura compresa.
E mi è venuta con così tanto slancio, che ho deciso di lasciarla così com’è, senza approfondire niente, almeno non troppo, o comunque come sono solita fare.
Prendetela quindi semplicemente per quello che è.
Una storiella.
Una rivisitazione personale e imprecisa della leggenda folkloristica del coniglietto lunare.
Con il quale alla fine non condivide niente, ma dal quale ho preso uno spunto.
Avevo voglia di dolcezza. Di una storia romantica.
Una cosina zuccherosa.
E quindi amen.
 
Grazie a chiunque si sia preso del tempo per leggere questa piccola cosa.
Una cosa che mi piace tantissimo. Lo devo proprio dire.
Perdonatemi se i personaggi sono poco coerenti con la loro caratterizzazione canonica, ma ai fini della storia mi è servito rendere Tsukki un po’ meno Tsukki.
Non ho resistito alla tentazione di inserire i gufetti e i gattini randagi che prediligo, Kuuro, Kenma, Bokuto e Akaashi. A questo proposito ho deciso di differenziare solo il piumaggio dei due gufi, senza inoltrarmi troppo sulle specie, anche perché non ho idea se i gufi di razze differenti possano condividere pacificamente lo stesso ramo senza lotte per il territorio.
In generale è tutta un’immensa cosa campata per aria.
Ma è venuta così. E la lascio così.
 
Grazie ancora a tutti per essere inciampati su questa favoletta.
See you.
 
Hakae
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
   
 
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