Libro 2° L’erede di Merlino
Prologo
Cara Hanna,
sinceramente non so perché non te l’abbia detto appena l’ho scoperto, ma spero che tu mi possa perdonare anche se mi meriterei la tua ira, poiché io stesso ti ho rimproverata quando l’uno era al posto dell’altra. Sarò sincero: io sono un druido, o meglio un apprendista druido. Tutto è iniziato durante Beltate: io non ho mai impugnato il coltello di Nath, questo si muoveva da solo seguendo la mia volontà. All’inizio ho creduto di aver perso il controllo della mia magia, come mi è accaduto qualche volta durante l’infanzia, ma questa volta era diverso: non era uno sfogo incontrollato e istintivo, era qualcosa che veniva da un mio espresso desiderio, ero confuso ma una parte di me sapeva quello che facevo. L’ultimo giorno di scuola ho incontrato un vecchio di nome Ehogan. È un tipo strano e sfuggevole che per tutta l’estate mi ha insegnato come controllare la mia magia druida, diversa dalla nostra. Non oso scrivere altro perché se mi dilago di sicuro ti arrabbierai ancora di più di quanto lo sei ora che leggi. Sei la prima persona a cui lo dico. Con affetto,
Arthur
Hanna rilesse la lettera tre volte a occhi sgranati cercando di capire quel che il suo amico le avesse detto, una volta compreso afferrò una piuma e una pergamena e scrisse.
BEN VENUTO NEL CLUB DEI MAGHI STRANI ARTHUR!!!!
Però santo cielo dovevi dirmelo subito!!!
Druido!?! Tu sei un druido? Cosa fai tutto il giorno? Il tuo maestro è affidabile? Lo hai detto a tuo padre? Intendi lasciare la scuola? (Se lo fai ti uccido). Hai informato Elaine e Nathaniel? Posso vedere un tuo incantesimo? Se è no sappi che lo farò di nascosto! Dammi presto tue notizie, con affetto;
Hanna
Mi fece piacere ricevere la lettera di Hanna prima del Litha. Alzai lo sguardo alle fronde, la leggera brezza estiva le scuoteva placide e lasciava a tratti intravedere il cielo e qualche stella. “È proprio necessario?” Chiesi per l’ennesima volta a Ehogan. “Ragazzo l’ho detto e l’ho ripetuto: sì!” Esclamò esausto il druido. Guardai perplesso la ghirlanda di trifoglio, rosa, ruta, iperico e verbena e il fuoco che scoppiettava già da un po’ malgrado la calura estiva. “Sì, ma mi pare un po’ esagerato.” Dissi cercando di far cambiare idea al vecchio. “Si può sapere che cos’ha di così tanto spaventoso questo rituale?” Domandò l’uomo continuando a ravvivare il fuoco. “Niente… a parte il fatto che proverò un dolore tremendo!” Urlai sottolineando l’evidenza. “Oh per gli dei! Io l’ho fatto a sei anni e ne ho un bellissimo ricordo.” Disse Ehogan seccato. “Sì, ma tu avevi una schiera di persone che ti guardava con orgoglio, io ho solo un vecchio druido malconcio che mi fa da aguzzino.” Mi lamentai. “Che melodrammatico. Avanti, è quasi ora, togliti la maglia e falla finita!” Non aveva alzato più di tanto la voce però il suo tono imperativo non ammetteva repliche. Così mi tolsi la maglietta e rimasi a torso nudo nella foresta dietro casa mia. Ehogan prese il tizzone di metallo che aveva lasciato a scaldare nel fuoco per tutto questo tempo e pronunciò una formula a dir poco strana che non mi è concesso scrivere, però posso descrivere. Era una nenia profonda ma dai suoni dolci, essa serviva a sancire il legame che avrei avuto con l’antica religione e con Avalon. Al termine della poesia chiusi gli occhi. Allora lo sentii: un bruciore devastante sulla zona alta del petto destro, era il calore dell’inferno, ogni singola cellula del mio corpo urlava di muoversi, di separarsi e di allontanarsi da questa follia, il mio istinto mi urlava di scappare, ma una parte di me, quella che avevo scoperto in quei due mesi, quel fuoco azzurro, mi diceva che questo dolore lo avevano provato tutti prima di me e che sarebbe stato sbagliato nei loro confronti rifiutare tutto ciò, benché apparisse al limite della barbarie. Dopo interminabili istanti d’agonia il tizzone si separò dalla mia pelle trascinando con sé i primi strati di quest’ultima. Mi afflosciai a terra sullo stomaco imprecando mentalmente, stringendo i denti per il dolore, gli occhi mi pizzicavano ma le lacrime non scesero, volevo urlare, scalciare, ma non mi mossi; rimasi lì immobile ad assorbire tutto il mio dolore, a comprenderlo e a razionalizzarlo fino a quando, dopo pochi minuti, riuscii a conviverci. Ehogan allora mi aiutò ad alzarmi sollevandomi con delicatezza prendendomi dalle spalle. Osservò il mio petto che aveva appena guadagnato un simbolo importante per i druidi. “È venuto bene. La cicatrice ti resterà a vita… vuoi un po’ d’acqua?” Domandò gentilmente. Accennai un sì in risposta. Il vecchio mi passò una caraffa da cui bevvi due lunghi sorsi mentre Ehogan passava dell’acqua fredda sulla ferita aiutandosi con uno straccio e applicandovi una mistura di erbe per prevenire un’infiammazione. L’impasto e l’acqua fredda mi davano fastidio e mi venne naturale scrollarmi dal freddo contatto, Ehogan non si lamentò, però afferrò saldamente, con le sue mani ossute, la zona sana della spalla destra, tenendomi fermo e continuando pazientemente il suo lavoro. “Il triskell è l’unico simbolo per cui dovrò sopportare questo?” Chiesi sforzandomi di non far scorrere le lacrime che tanto avrei voluto versare. “Credimi, mio giovane allievo: per noi druidi i mali fisici sono nulla in confronto ai mali dello spirito.” Non sapevo se sentirmi rincuorato o se spaventarmi di più alle parole del vecchio. “Ehogan, il tuo triskell… posso…” Iniziai tentennante. “Credevo non me lo avresti mai chiesto.” Rivelò il vecchio sfoggiando uno stanco sorriso. Allora con naturalezza si tolse la parte superiore della tunica e lo rivelò: sulla spalla destra, nello stesso punto dove il fuoco aveva bruciato la mia carne, v’era una flebile cicatrice color avorio sinuosa e ondulata, con tre spirali che si univano nel punto centrale formando un triangolo, un triskell. Restai ad osservarlo per un po’ poi una pressante inquietudine avvolse il mio cuore.
“Ehogan…” Iniziai io oramai sul orlo delle lacrime. “Sì?” Chiese l’uomo guardandomi con dolcezza. “Fa male.” Dissi lasciando finalmente libere le lacrime. “Lo so Arthur.” Così dicendo il vecchio si affiancò a me e mi abbracciò con una dolcezza con la quale nessuno mi aveva mai accolto. Non erano come gli abbracci di Hanna caldi e devastanti che ti lasciano sconvolto e senza fiato, né come quelli di Elaine leggeri e avvolgenti ma mai invasivi, né come quelli di Nathaniel forti e tesi, sempre un po’ titubanti, né come quelli di mio padre, duri, sempre pronti a distaccarsi. Questo abbraccio era caldo e freddo, avvolgente e soffocante, sincero ma incerto, forte nella sua delicatezza, sentii un leggero dolore al cuore -Era così che tu mi abbracciavi. Non è vero… mamma?- Affondai la testa nel petto di Ehogan e respirai a fondo il suo odore cercando di calmarmi e dimenticare il dolore, fino a quando non mi addormentai.
Note dell’autrice:
Ed eccomi qua, lo so in leggero ritardo rispetto a quel che avevo detto ma ho avuto problemi con il computer. Comunque sia…. Piccolo avvertimento per chi ha letto il prologo per curiosità, non temete: Hogwarts esiste, non ho sbagliato a inserire la storia. Per chi mi seguiva già ed pensa di continuare: vi ringrazio infinitamente *Si inginocchia e inizia a venerarvi. Poi si rialza e si tira su le maniche.* Bene, ora si ricomincia a lavorare e ho preparato un po’ di rogne per i nostri cari ragazzi, leggete e capirete. Per il momento vi auguro un buon Natale, anche se un po’ in ritardo, e un felice anno nuovo, anche se un po’ in anticipo.