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Autore: CottonCandyGlob    30/12/2016    1 recensioni
Questo è il surrogato di una storia d'amore. Non è esattamente un'epopea amorosa, perché tutti gli ingredienti che di solito ne infarciscono una, qui sono stati mescolati alla cieca. Risultato? Si trovano sottili tracce di assurdo e un retrogusto di ectoplasma. Tutto sommato è così che si vorrebbe raccontare le origini dei due amici tra i più inseparabili ed insaziabili dei cartoni animati.
Ma voi, al piccolo Norville, questa storia gliela raccontereste mai?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E’ difficile credere che nei successivi tre mesi non accadde nulla di importante. Prima di tutto c’era stato il compleanno di Paula, ma, in tutta onestà, la festeggiata aveva passato la giornata a rigirare il cucchiaino nel piatto da torta. Non se la sentiva proprio di far festa, circondata da sorrisi tirati e reduce da una brutta influenza.
Aprile, maggio e giugno videro soltanto crescere di fronte allo specchio il broncio del signor Stuart, che non si rassegnava per niente all’idea di aver perso. Aveva scommesso con quell’ingrato vecchio amico: lui rivoleva tutta l’officina per sé, non un bullone di meno. E Vynil Philips non voleva sentirsi minacciato, come sempre. Così aveva scommesso sulla partita. Se avesse perso, avrebbe rinunciato ai suoi diritti, ma, in caso di vincita, avrebbe potuto prendersi officina, Finley e dignità.
La cosa peggiore di aver perso era di sentirsi dire a tavola dalla propria figlia che il ragazzino viziato continuava ad essere una presenza invadente al ristorante. Roba da farlo alzare e correre alla casa dei Philips di tutta fretta.
Minta evitava ora più che mai di passare a casa loro e congedava quasi sempre Paula, con la scusa che doveva studiare e non perdere tempo in quel postaccio infame. Il segreto di quel pomeriggio nero in compagnia dell’allegra banda aveva fatto sprofondare un frequente silenzio nelle loro conversazioni.
Intanto, Vynil voleva incontrare la moglie di Finley, perché aveva ancora una percentuale minuscola di officina, e doveva arrivare a patti anche con lei prima di essere totalmente soddisfatto. Furono quindi tre mesi di continui promemoria (e relative posticipazioni), mandati avanti soltanto dalla speranza che prima Joseph e poi Paula se ne andassero da lì presto.
Il primo raggio di sole era spuntato con la fine della scuola e il diploma, con cui la ragazza rompeva le catene da quella massa informe di gente pressoché sconosciuta e si preparava alla sua nuova vita.
Il secondo raggio di sole fu quando un imprenditore del Maine notò il talento originale di Minta e la valutò come possibile candidata dei suoi futuri investimenti.
Il terzo raggio di sole (per la gente della città) fu la voce che girava nei quartieri, secondo cui un’ombra si muoveva fra di loro. Solo che non era un’ombra come quella del signor Philips, ma pareva una di pari forza contraria. Si vociferava che un uomo misterioso scrivesse parole pesanti sui muri di Borderlake riguardanti questioni particolarmente private della famiglia Philips, che neanche l’assistente del signore in questione avrebbe potuto sapere. Vynil si trovava in grande confusione, perché tra il vasto assortimento di persone che lo odiavano, non sapeva come distinguere questa nuova presenza. Era solo in grado di far ripulire perbene quegli imbrattamenti non appena se ne avvistasse uno nuovo.
La polizia non era ancora riuscita ad acciuffarlo, e uno degli amici di suo figlio, esperto di libri gialli, gli aveva confidato che magari si trattava di una persona finta, messa in piedi da un gruppo di gente meschina. Altrimenti come cavolo facevano a sapere che questa persona stava seriamente portando speranza? Poteva essere solo un ragazzino stupido, incredibilmente veloce, ma stupido.
Il 15 luglio la città ebbe finalmente un nome.
L’enorme emporio della signora Densel, probabilmente uno dei più prostrati sotto il giogo dei Philips, era ritornato al legittimo proprietario in un battibaleno, e in ancor meno tempo era passato ad uno nuovo.     “Se il debito con il relativo creditore viene estinto, la percentuale di possesso di quest’ultimo viene proporzionalmente diminuita, permettendo al contraente di riprendere pieno possesso della proprietà nell’ eventualità di debito totalmente estinto”. L’avvocato della proprietaria aveva sbandierato il contratto sotto il naso del signor Philips porgendogli la somma tonda del suo debito. Il giorno dopo, quando l’uomo non aveva ancora richiuso la bocca dallo sgomento, gli aveva portato il nuovo contratto da firmare per lasciare andare la sua cliente. Aveva firmato? Quell’avvocato sembrava straniero di lingua e non avrebbe potuto intendere i furbi giochetti di favore che lui di solito faceva. Ma il foglio che gli era arrivato sotto il naso lo aveva definitivamente incuriosito a procedere.
-Così, questo signor Chastain ha comprato il negozio. Ha fatto un ottimo affare, devo dire. Ma non mi pare di aver mai sentito il suo nome.
-Oh, è un uomo ezcellente signore. Lui ha fatto molto favore ad la mia cliente.
-Mi piacerebbe incontrarlo.
Ma l’avvocato con la fronte gli aveva fatto capire che era una cosa impossibile. Nessuno aveva mai parlato con quell’uomo. La signora Densel si era trovata sul portico una busta strana, che a sua insaputa le avrebbe cambiato la vita. Il signor Samuel Chastain era stato il suo salvatore. Si sentiva quasi pronta a riprendere marito, la vecchia volpe.
Ma per arrivare effettivamente al primo round fra Vynil Philips e Samuel Chastain, bisogna passare, per quanto possa essere ancora insensato, a parlare di Paula, cioè quella la cui cassetta della posta doveva riempirsi da un momento all’altro e invece non accadde. Di fatto due persone erano interessate a lei, e avevano il disperato bisogno di confidarsi. Ma una aveva fermato l’altra prima che la spedisse. “Sarebbe imprudente scriverle così, giusto?”. “Fosse per me, rischierei. Ho bisogno di aiuto sincero, per aiutare le altre persone”. “Secondo me le aiuti solo per sentirti orgoglioso e farti riverire. A te importa solo di finire il lavoro. Lo fai solo per te”. “No, sei tu che lo fai solo per te, per pulirti la coscienza. So cosa pensi, so che ti vergogni”.
-Mamma!
-Sì, tesoro, è successo qualcosa? Non mi sarai diventato alto per i pantaloni?
-Cosa? No!-rispose il ragazzo, guardandosi le caviglie.
-E a vita? Ti stringe, ti è largo?
-Ah, Dee, questo ragazzo avrà sempre i fianchi perfetti, eppure ha lo stesso stomaco della mamma.
-Trovi, eh? Non mi crede nessuno quando dico che è la sua immagine sputata…ah, la mamma.
-Mamma!
-Cosa c’è, dimmi!
Il ragazzo fece due passi e si appoggiò coi gomiti allo schienale della sedia. La madre e la zia stavano trafficando con barattoloni di perline e metri di spago, che quasi non si vedeva più la tovaglia.
-Mamma?
-Sì, dimmi, su, forza-gli disse, brandendo le forbici a mezz’aria.
-Veramente è una cosa un pochino personale- tossì guardando l’altro capo del tavolo.
-Rose, credo stia parlando con te-sorrise la madre.
La zia buttò giù gli occhiali appesi al collo e si girò di lato.
-Mi vorrai mica fuori di qui? Lo sai chi sono io, vero?
-Non di certo una diplomatica-borbottò Diane, con lo spago fra i denti.
-Sai che sono la tua unica cara madrina? Dovresti darmi un po’ di fiducia, giovanotto! In fondo pensaci, con chi parlerai quanto la tua cara mamma non ci sarà più?
La sorella alzò gli occhi al cielo.
-Faccio finta di non aver sentito.
-Credo mi sia uscita male-si rimise al posto- Insomma, dico, ora tua sorella sta per andarsene. Da qui a un anno sfornerà già tanti piccoli marmocchi, e tua madre li assisterà giorno per giorno mentre i genitori sono impegnati al lavoro. Poi sarà la volta di tua fratello maggiore e anche lui promette bene in quanto a cucciolate, visto che domani si porta dietro la sua nuova fidanzata, ed è pure ad un passo dall’altare. Tua madre avrà già così poco tempo da spendere che non avrà la forza per stare dietro a te. Ed ecco fatto, ci sono io.
-Smettila, non è vero che avrò poco tempo. Io il tempo lo trovo sempre. E raddrizza quel fiocco che sembra si stia sgonfiando!- le indicò il sacchettino che aveva in mano.
-D’accordo, fa niente-si sedette il ragazzo- va bene così.
-Su dai, dicci-tirò il nastro la zia.
Non era facile da spiegare. Sono difficili da spiegare quelle questioni in cui ti senti colpevole, e anche se vuoi mostrare di esserti pentito, il racconto della cosa orribile che hai fatto verrà sempre prima. Prima ancora di finire potresti riceverti un paio di forbici nella spalla e un cappio di nastro color crema intorno al collo.
-Una settimana fa, sai che sono andato in giro con Tyler e i soliti, no?
-Lo hai fatto tutta la settimana-commentò lei.
-Non si può neanche più uscire ora?
-Non si dovrebbe uscire sempre, intendevo. C’è da fare qui.
-Ma per studiare ho tutto il tempo dopo, quando abbiamo finito la festa.
-Potresti anche aiutarci con la festa-lo rimbeccò la madrina.
-Posso almeno dirvi cosa è successo?
-Non girarci, vai dritto al punto.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo sperando di potercela fare. Quando si mettevano le due sorelle da sole intorno a un tavolo, nessuno riusciva a uscire dalla giungla di discorsi che iniziavano, senza la garanzia di finire.
-Beh, eravamo in un bar, e Tyler ha fatto la scommessa di riuscire a conquistare una ragazza.
-Gli serve una scommessa per prendersi una ragazza? Roba da matti!-sogghignò la zia.
-Doveva trovare una ragazza impossibile da conquistare e lui ha trovato la cameriera di questo posto. Solo che poi, nel mezzo di una, ehm, conversazione… Tyler si è messo ad insultarla di fronte a tutti e lei si è messa a piangere.
Non seppe mai la velocità con cui riuscì a sparare l’intera frase.
-Ahah-mugugnò la madre distratta, raggruppando sei perline.
-E quindi…?-completò l’altra, pulendosi le lenti con due fiati.
-Beh, Tyler sapete com’è, giusto? Giusto?
-Sì-lo guardò sorridendo la madre, per tornare subito al lavoro.
-Beh, ha riso tanto, proprio tanto, e io ho fatto lo stesso. Non ero l’unico, vedeste i miei amici, anche loro ridevano…
Era almeno la decima volta che pensava a quella situazione. Lui era colpevole, molto colpevole, come tutti gli altri. Per degli istanti che furono secoli, i suoi occhi scavarono di nuovo nella sua coscienza, e lo fecero sobbalzare, ancora.
-Dovrei andare a scusarmi di persona?
-Con Tyler?
-No, con la ragazza!
-E non parli più con Tyler?-si voltò la zia-Ma come?
-No, non voglio parlare con Tyler, voglio parlare con la ragazza di Tyler, o almeno quella che era, o almeno…insomma, che devo dirle?
-Ma perché dovresti interessarti alla ragazza di Tyler? Lui non era tuo amico? Ti osi a parlare con lei da solo…in privato?-alzò le palpebre la zia.
-Ma per questa questione?
-Per cosa?
Il ragazzo era stravolto. Non una parola. Avevano ascoltato non una parola.
-Mamma! La ragazza, ok? Tyler l’ha maltrattata, ok?-le schioccò le dita vicino al viso.
-Che bastardo!-scattò la madrina sulla sedia, tutta stupita.
-Rose!
La zia alzò le mani per scusarsi.
Va bene, secondo tentativo.
Facciamo terzo.
-E lei si è messa a piangere e io ho riso, con tutti gli altri, insomma lei era lì che piangeva e noi ridevamo, c’era il suo capo che si sbracciava e si agitava tutta, insulti di qui, insulti di qua, e io ero lì e la vedevo piangere e la prendevo in giro con gli altri, ma insomma lo facevano tutti e non ne potevo niente perché sono già fortunato ad avere i miei amici e di ragazze ne incontro tutti i giorni, insomma non ci stavo pensando che lei era lì a piangere a terra, a terra! L’ha sbattuta a terra! Io non…uffa!
 -Ehi, ehi! Signorino, respira!-gli prese il braccio la madre. Aveva dovuto acchiapparlo a mezz’aria mentre gesticolava furiosamente. Almeno, con la scusa di aiutarle, si era guadagnato un po’ di attenzione. E mani piene di colla.
Lui si calmò subito-Insomma, che devo fare?
-Oh, sono sicura che lei lo sa quanto sono stupidi i ragazzi. Mi chiedo solo come ci sia finita con Tyler-gli rispose.
-Magari ci è finita perché è una poco di buono. Ne girano di quel tipo, qui intorno.
-Ma lei è di Borderlake.
-E Borderlake infatti è qui intorno, dopotutto- si corresse la zia-Ma io so, da buona veterana sorella maggiore di un’adolescente e soprattutto da buona interprete dell’anima umana, che quella ragazza ora si è ripresa dal brutto episodio.
-Tesoro, ha ragione. Fosse una ragazza stupida piena di odio e vendetta verrebbe qui a spaccarti i vetri alla macchina. Hai controllato la macchina stamattina?
-Ehm…credo-disse il ragazzo con il cuore che gli saliva in gola.
-Quindi scommetto che adesso può solo essere rassegnata all’idea di non pensarci più e di perdonarvi tutti. Alla peggio è semplicemente una ragazza sveglia ed intelligente che preferisce una sana vendetta lunga e dolorosa-gli sorrise la zia, con due pacche sulla mano.
-Ma se tu sei preoccupato, che so, vai a parlarle.
-Ma sarebbe imbarazzante.
-Ti vuoi prendere o no la responsabilità in quella tua testolina? Faresti contenta anche me, che odio un figlio impertinente.
-Già-sbuffò il ragazzo-Il figlio impertinente della cara persona che manda al diavolo la sua futura consuocera due giorni prima del matrimonio di sua figlia.
La madre sbattè l’intera matassa di spago sul tavolo-Non voglio che diventi una questione nazionale, questa sfuriata. Entrambe siamo prese dallo stress, per i preparativi, per gli addobbi. Ci sono saltati i nervi, tutto qua.
-Non ti devi scusare, io le avrei fatto ingoiare quelle stupide tovaglie una per una.
Diane sorrise teneramente alla sorella. “Grazie”.
-Volevo scriverle-fece lui, tracciando cerchietti in aria con la stilo.
-Oh, tieni la carta. Falle tutte così, con una leggera inclinazione a sinistra-gli indicò i cartoncini.
-No, mamma, non le presentazioni. Voglio scriverle, scrivere a lei, alla ragazza.
La madre ritrasse la carta delusa-Oh, certo. Se vuoi fare qualcosa, perché no. Mi raccomando la grammatica, non fare il solito pigrone che ripete troppe volte…alle ragazze di adesso piacciono i tipi intellettuali. Però non esagerare col mieloso, che poi diventa una lettera di amore. Sii schematico, ma armonioso. Le dichiarazioni di amore a tua sorella arrivavano sempre ben scritte e profumate.
-Mica mi voglio dichiarare, voglio solo scusarmi.
-Stai comunque attento a Tyler. Mi ricordo che qualche tempo fa un certo Colton gli portò via la ragazza e fu una vera rissa-sogghignò l’altra.
-Ah, sì? Beh, zia, sai cosa ha fatto Colton, sai cos’ha fatto?-si rizzò dalla sedia-Se l’è portata via di nuovo!
Il ragazzo si diresse immediatamente verso la porta e tirò con forza la maniglia.
-Ci vediamo più tardi. Io esco-e ci fu un tonfo.
-Comincio a pensare che il ritorno di Colton sia una vera e propria tragedia.
-Oh, Rose, non badarci, gli passerà.
-Spero entro domani, perché non vorrei musi lunghi nella foto della mia nipotina.
-Allora faremo tagliare la famiglia dello sposo.
Entrambe scoppiarono a ridere, prima che il barattolo di perline si rovesciasse a terra.
Così, quella notte, al 6 di Polish Avenue, chiunque passasse per il corridoio verso la cucina faceva una breve scivolatina appena piantava il piede su una di quelle minuscole palline argentate, se non bastava ovviamente il fresco strato di cera steso dalla zia. Di traffico però non ce ne fu molto. Le bomboniere avevano occupato tutto il pomeriggio e avevano azzerato le forze delle due povere donne al tavolo. Ma la sposa amava la torta al cioccolato, viveva di torta al cioccolato, perché darle dei confetti e nessuna torta al cioccolato(fatta in casa, certo)? Sei teglie da forno per confezionarle tutte. Una famiglia mezza a digiuno perché il frigo ne era strapieno per conservarla. Diane si era inginocchiata al suo letto e aveva ringraziato Dio di aver ordinato la torta nuziale alla prima pasticceria che l’altra svitata della sua consuocera le aveva proposto. Aveva ripensato a sua madre e alla faccia che aveva quando lei, appena ventenne, aveva pensato bene di marciare all’altare con il suo Francis. Poi Francis era entrato in camera, e il suo braccio aveva fatto un velocissimo segno della croce.
La loro piccola grande signorina dormiva come un ghiro, stremata dal calore dell’asciugacapelli della zia, nella camera degli ospiti. In camera sua, la camera per intenderci in cui per la prima volta aveva staccato la vite della culla e l’aveva ingoiata (successe solo due volte, non preoccupatevi), dove si provava di nascosto le scarpe di sua madre e capovolgeva i cassetti per farsi la bara di Biancaneve, c’era suo fratello che fissava il soffitto.
 Non c’era proprio gusto a rubare la camera ad Adele, se poi gli era permesso farlo per il resto della sua vita. Non c’era niente di male a dormire in una camera tutta rosa, se era per farle uno scherzo. Ma ora? Patetico. Eppure gli piaceva. Anzi no. Sicuramente in testa gli passava tutto meno che il rancore per quella povera cameriera. No, quello era successo pochi giorni prima. Quella notte lui non aveva età. Non gli era piaciuta nessuna delle età che aveva avuto finora, una volta arrivato a tutte, aspettava subito quella dopo e ripiangeva quella prima.
Da bambino sua sorella gli prendeva sempre la mano e lui gliela rifiutava per farle un dispetto. Poi quando la prendeva a lei, era lei a staccargliela, perché voleva raggiungere le sue amiche. Poi lui le chiedeva di aiutarlo a studiare, e lei era troppo occupata con i suoi compiti, ma, ogni tanto, sbuffando, si arrendeva. Ora lei partiva per una nuova vita, e lui se la lasciava scivolare via. Non sopportava il pensiero che non si sedesse più a tavola con loro senza che ci fosse il signor bell’imbusto a farle compagnia.
La fretta con cui il carillon si sforzava di finire la melodia era la stessa con cui i suoi pensieri correvano verso l’unica possibile spiegazione: stava crescendo. L’adolescenza stava finendo, ma lui cresceva solo ora. Perché? Perché forse sono gli altri a darci la cognizione del tempo che passa? Adesso aveva paura che il tempo con sua sorella dovesse diminuire per prepararsi a perderla per sempre. Ma sì, perché non andare dritti al problema, un giorno li avrebbe persi tutti.
Fatto, il cavallino tutto sbilenco si era fermato. Lo ricaricò un’altra volta. Lo zio Ludwig lo aveva regalato per Natale a loro tre, ma l’unica a volerlo in camera, ovviamente, era stata Adele. Talvolta quel tintinnio malinconico arrivava da sotto la porta, e lui se la rideva alla grande che una signorina degnasse ancora quel fossile di legno.
Sigillò bocca e occhi mentre scorreva la musica, intrappolando per sempre il meglio di sua sorella in quelle tre note lente. Cominciarono così le sue cinque ore filate di sonno.
E’ uno di quei momenti del mio racconto dove vorrei tanto poter intervenire. Anche io avevo un carillon con la stessa musica e devo dire che di così tristi non ne ho mai sentite. Eppure se la si accelera un po’ diventa pure orecchiabile. Mi verrebbe la tentazione di fermarlo per farlo rimanere ancora qualche secondo nei suoi pensieri, ma ormai è scomparso in un bel sogno colorato, e quelli sono difficili da sbirciare.
Dov’era scomparso invece Samuel Chastain intanto? Non era riuscito a concentrarsi, oppure ci voleva un bel po’ per portare avanti il suo lavoro? Oserei dire entrambi.
Respirava così tanta aria dei Philips che aveva temuto di non resistere a denunciarli subito. Persone fidate lo allontanarono per due mesetti da quelle strade e la sua indagine nascosta divenne nascosta persino a lui. Non bastava solo un esilio forzato a rimuginare su come accalappiarsi le prove che i suoi mandanti aspettavano, ma aveva pure il rimorso di non aver scritto a quella ragazza che gli rodeva il fegato. E la cosa gli apparì urgente solo quando la febbre dell’influenza si alzò pericolosamente in una notte e lo tormentò per una settimana. Quando corpo, e soprattutto mente, si erano raffreddati, la questione ritornava solo come accessorio.
Quando il liceo aveva chiuso i battenti, Samuel era stato costretto a ritornare, perché uno dei ragazzi della città doveva festeggiare il suo fresco diploma. A Borderlake, Tyler non si sarebbe mai atteso di venir promosso, se avesse portato diverso cognome.
Dopo un breve salto a South Bay (avevano avuto il tempo di ridipingere il cartello e fare scandalo per quel madornale errore) per rivedere la casa che aveva lasciato mesi addietro, il nostro paladino della moralità si era diretto subito alla città sull’altra sponda. Quale fu, secondo voi, la prima cosa che fece? Dare una sbirciatina al Minta’s Diner per scorgere la sua conoscenza. Non si sa perché gli avrebbe dato sicurezza vedersela intenta alla sua normale vita, così come l’aveva lasciata.
Si vede che quel giorno, il cielo doveva piombargli addosso. Minta non era la tipa che si metteva in mostra facilmente. Preferiva la cerchia di clienti fidata che l’affollamento abnorme del locale. Un signore aveva notato il suo talento e lei gli si era quasi attaccata ad una manica della giacca. Per la donna indipendente e fiera che in parte avete conosciuto, non era una cosa normale.
Ma d’altronde non era nemmeno normale camminare in mezzo a un mucchio di macerie incenerite.
 Non credo sia difficile dirvi cosa accadde. Per padre Voltner lo fu, in quei tre minuti che parlò con Samuel.
-Come se mi avessero trafitto il cuore da parte a parte. Dio mi perdoni se per un attimo ho pensato di mettere le mani addosso a chi ha solo immaginato un simile scempio.
-Ma si sa chi è stato? Come hanno fatto?
-Figliolo-aveva sospirato l’uomo- non credi di correre troppo sulla tua strada?
-Ma, ascolti, io devo sapere se…
-Se qualcuno si è fatto male, è rimasto ferito….tremi dal desiderio di saperlo, o sbaglio?-lo squadrò sorridendo.
-Ci sono stati feriti?-arrossì.
-No, sia ringraziato Dio, nessuno si è fatto male. No, no, quello che hanno ferito è lo spirito, lo spirito di gente onesta. Difficile operare con una cosa fragile e preziosa come l’animo della gente.
“Paroloni” bofonchiava Samuel nella sua testa.
-Quindi? Cosa è accaduto?
-Nell’arco di poche ore, fiamme alte come un palazzo hanno trasformato in cenere quel ristorante.
-E come è successo?
-Non è stato certo un incidente, come sostiene il giornale. Ma si tratta solo della mia opinione ed esperienza. E’ l’ennesima conferma della regola.
-Quale regola?
-Non posso dirtelo.
-Perché?
-Cause di forza maggiore. Immensa oserei dire.-puntò il dito verso la volta della stanza.
- E non se ne può fare nulla?
-Nulla, figliolo.
-Ottimo.
Samuel aveva raddrizzato nervosamente la giacca sulle spalle, senza dar segno di voler lasciar perdere.
-C’è altro, figliolo?
-Pensavo, che a lei, padre, certa gente viene qui a parlare dei suoi problemi e…
-Ti ho già detto che i discorsi a cui il Signore assiste qua dentro sono sigillati nel sacro segreto.
-Ho capito, ho capito. Ma dico, a lei la gente viene a confidare i segreti per cui non esistono persone fidate…
-Segreti che rimarranno solo nelle mie orecchie e in quelle di Dio.
-D’accordo-controllò i nervi lui-ma in fondo…
Il sacerdote allungò la mano sulla sua spalla e tirò dolcemente avanti, chinando il capo.
-La gente che viene qui, vuole solo che il Signore la perdoni. Ma credimi, ben pochi hanno ancora quella sana dose di timor divino in corpo per farlo. No, ti dico, alcuni parlano con se stessi in una camera vuota quando sentono il bisogno impellente di confrontarsi con qualcuno di fiducia. Dopotutto, però siamo umani, e queste persone sono davvero un raro caso. Ci sono i dottori della mente, ma chi intendi tu non da soldi ad uno perché si tenga i suoi segreti. Siamo deboli, ragazzo mio, e preferiamo spesso una strada che ci pare per metà sensata.
-Cioè?
-Cioè prendere quei segreti inconfessabili e riporli comunque in una persona fidata. E questo non vale solo per la gente che tu citi ogni volta che torni qui. Vale per me, vale per tutti. Vale anche per te.
-Dice che dovrei cercare le persone fidate a cui la gente che io intendo di volta in volta svela i suoi segreti?
-Tu l’hai detto.
-Ma ci ho già pensato e non funziona…avevo una lista, ma è andata in fumo negli ultimi tempi-si grattò la fronte.
-In realtà-si ricompose il prete-io volevo intendessi un'altra cosa. Io pensavo a te. Hai mai pensato ai tuoi segreti? Non ti scoppiano in testa ogni tanto? Non sei stanco di parlare rare volte con un tonacato che ti ripete la parola Dio incessantemente e che ti insegna a credere nei miracoli? Scommetto che sei stanco di aspettare, sperare, pregare, giusto?
Il ragazzo era rimasto in un’espressione perplessa.
-Tempo fa avevi in mente di cercare aiuto, perché non pensi prima a trovare una persona fidata per te?
-E’ una cosa difficile, padre!
-Lo so, lo so. Difficile scovare ormai una persona fidata, amichevole, onesta, laboriosa ed entusiasta.
-Forse solo un cane riuscirebbe ad avere tutte le doti giuste.
-Cani o persone, l’onesto e l’amichevole sono nascosti ovunque e non credo tu abbia una testa così offuscata da non poterli vedere. Sono certo di avere davanti un ragazzo sveglio, a prescindere che tu abbia o meno una missione da portare a termine…Samuel-gli sorrise- lascia che qualcuno ti conosca davvero. Cerca bene, prenditi il tempo che ti serve. E’ pur sempre un azzardo, devi rischiare sapendo che non potrai tornare indietro in alcun modo. Che il Cielo ti assista.
-E se la convinco?
-Ogni eroe ha la sua spalla.
Samuel aveva selezionato in testa un paio di persone che potevano fare al caso suo, schivando l’ancora precoce possibilità di un cane. Peccato per lui, perché la sera di due giorni dopo la signora Rogers si era trovata indaffarata a gestire l’arrivo dei nuovi cuccioli della loro cagnolina Lois. Erano saltate fuori due dolci miniaturine pelose a cui era stata immediatamente assegnata la camera in disuso della figlia maggiore. L’euforia per il diploma di Dirk era spostata tutto sul lieto evento, tanto che si temette Diane intendesse già mostrare una voglia irrefrenabile di nipotini. Questa questione interessa solo perché i due cuccioli appena nati hanno decisamente un ruolo decisivo per gli eventi che seguono, e determinarono anche l’andamento della festa del 3 luglio.
Innanzitutto la data, visto che Diane, tutta presa dalla novità, aveva deciso che gli avanzi di quella sera erano da rifilare ai parenti il 4, quando avrebbero festeggiato insieme. Così non doveva nemmeno cucinare due volte, geniale. Bisogna anche tener presente il traffico limitatissimo al piano superiore della loro casa per non disturbare i nuovi arrivati. L’avvertimento corrucciato col figlio e i suoi amici ad inizio festa era stato decisamente esauriente. Il piano di sopra era solo per i bagni. Capito.
Bisognava modulare la voce e la musica anche a quello inferiore, comunque. Infatti appena era uscita, lo stereo era esploso. Gli ospiti erano messi abbastanza alle strette psicologicamente e fisicamente, però non ci furono grandi problemi.
E dopo due scene sconnesse e per niente legate alla protagonista, arriviamo finalmente a lei, l’invitata arrivata alla festa con il cuore in gola, al culmine di imbarazzo, in uno stropicciato vestito turchese e due piccole scarpe di tela nuove, di un bianco accecante. Non si esagera a dire che la maggior parte non si curò di lei, a parte chiedersi chi l’aveva voluta lì, in tutta onestà. E soprattutto, ci era venuta?
Paula era impalata davanti al tavolo sistemato in un salotto del tutto sgombrato. Osservava la tappezzeria di quella che le pareva una reggia, un sogno che le ricordava a pieno la padrona di casa. La musica alta aiutava i suoi pensieri ad isolarsi dal mare di conversazioni lì accanto. Persino da pensieri incessanti dei suoi vicini.
“Bene, e ora come la faccio girare?”.
Si sentì sfiorare le spalle. Grazie al vuoto tra ritornello e strofa riuscì a captare un debole “permesso” alle sue spalle, un suono che le ricordava Dirk.
-Prego-disse quasi automaticamente voltandosi.
Finì col naso a sfregare contro una manica di camicia color caffè. Fresca di lavanderia, dal veloce assaggio che ne diede.
Si ghiacciò quando vide che quella spalla apparteneva ad un viso familiare, ma non certo quello di Dirk. Si trattava di Colton, l’amico di Tyler. Le venne un tuffo al cuore e un groviglio di pensieri in testa.
Voleva dire qualcosa, ma l’audio le toglieva persino le orecchie per ascoltare il suo buonsenso. Il ragazzo pure non faceva nulla se non tentare con le labbra di lasciare uscire qualche discorso. Provò di dirle qualcosa, invano, pur muovendo la mano come in un saluto insicuro. Si rivolse allora al tavolo a cui pochi secondi prima si era appoggiato e svuotò il fondo di una caraffa in un bicchiere pulito.
Quando con la testa piegata e il suo bicchiere in mano le indicò la porta che dava all’esterno, lei si sentì avvampare in volto.
“Vuole che lo segua? E’ per me?” fissò il liquido che ancora frizzava di schiuma.
Colton si aprì un passaggio tra la piccola folla vicina e diede di nuovo un colpo d’occhio indietro.
Fu allora che Paula si affrettò ad afferrare il bicchiere stracolmo.
Sbuffò su un ciuffo di capelli ”Calma, diamine, mantieni la calma”.




Angoletto Autrice
Rieccomi!Le cose da dire sono tante e questo mi porta a doverle condensare tutto in un supercapitolo concentrato. Spero comunque vi sia piaciuto e che inizi ad essere apprezzabile oltre a "Rogers" l'accenno all'indispensabile ingrediente"cane". Questo capitolo nasce anche un po' da una dedica da fare ai fratelli e sorelle, di sangue o spirito, persone di intesa e segreti inconfessabili. Nel mio caso in particolare, quel fratellino che alla mezzanotte prima dei miei 18 anni mi ha confessato in lacrime di non volere che io crescessi. Beh, infatti, eccomi qua :)
Alla prossima CCG
  
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