Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Odinforce    01/01/2017    5 recensioni
Una serie di one-shot ambientate su Oblivion, il mondo in cui è narrata la mia maxi-opera Interior Dissidia. Storie parallele dedicati a personaggi diversi, sopravvissuti all'eterno ciclo di guerre e che cercano disperatamente di farsi valere a modo loro. Idee scartate dalla storia originale, ma non per questo dimenticate o mai avvenute.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L’ultimo sciamano

Image and video hosting by TinyPic Mi chiamo Melinda Gordon. Sono sposata e abito in una piccola città. Ho un negozio di antiquariato. Sono una persona come voi, tranne che per il fatto che fin da bambina ho scoperto di poter parlare con i morti. Mia nonna li chiamava “spiriti intrappolati sulla terra”, coloro non ancora passati oltre perché hanno dei conti in sospeso con i vivi e vengono a chiedermi aiuto.
Per raccontarvi la mia storia devo raccontarvi la loro.
 
Un’altra battaglia stava volgendo al termine su Oblivion. Un altro massacro; un altro tributo di morti pagato al crudele Nul, signore di quel mondo spezzato. L’aria era impregnata di fumo, il suolo cosparso di macerie, sangue e cadaveri. Gli unici rumori a dominare la scena erano il vento, il crepitare di deboli fiamme e il respiro affannoso degli ultimi due sopravvissuti.
Da una parte c’era il giovane Yoh Asakura, l’eroe. Dall’altra c’era Hao, sua nemesi e fratello gemello: reincarnazione del potente sciamano che da mille anni minacciava il mondo a cui entrambi appartenevano. Entrambi destinati a diventare Shaman King, signore degli sciamani, in grado di cambiare il destino di un intero pianeta; entrambi destinati ad affrontarsi, fino alla morte di uno o dell’altro.
Ed era accaduto, nell’avventura che li aveva resi noti come eroe e malvagio; ora, la Volontà Suprema li aveva costretti a sfidarsi in un nuovo duello, ancora più feroce e spietato.
Ecco perché si trovavano là in quel momento, allo stremo delle forze... unici superstiti di un’atroce battaglia. Avevano dato fondo a tutto il loro potere, tanto da perdere il controllo dei loro spiriti. Hao era il più incredulo fra i due, naturalmente: non si aspettava una simile conclusione... sperava di trionfare dove una volta aveva fallito; e ancora una volta, Yoh Asakura era di fronte a lui, lo sguardo colmo di pace e determinazione.
Si scambiavano un’occhiata sfinita, reggendo con mani tremanti le loro spade insanguinate.
« È finita » dichiarò Yoh, ansimando. « È finita, Hao... non hai più forze. »
« Hah... è vero » ribatté la sua nemesi. « Ma vale... hah... anche per te. Lo sento, fratello... hah... anche tu... hai esaurito tutto il tuo furioku. Non potrai sconfiggermi... in quello stato. »
« Non ho bisogno di altro furioku. Ti ho già sconfitto. »
Hao cercò di ridere, ma gli venne fuori solo una brutta smorfia malvagia, offuscata dalla fatica.
« Sconfitto... ma non ucciso » sibilò. « E io non mi fermerò mai... finché vivo. Io sono Hao... l’unico vero re degli... »
« Dacci... un taglio! » sbottò Yoh, esasperato. « So già tutto di te... perché diavolo continui a ripeterti? Sei davvero... noioso. »
« Allora fermami... hah... cosa aspetti? Hai ancora paura di uccidere... tuo fratello? »
Yoh strinse la presa sulla sua katana, appoggiando la punta al suolo per reggersi in piedi.
« Hai minacciato il nostro mondo per mille anni » mormorò, « rovinato e distrutto chissà quante vite... hai stravolto l’equilibrio della società degli sciamani... e ancora osi ritenerti mio fratello? Certo, avrai pure il suo corpo… ma lì dentro... »
Puntò un dito all’altezza del suo cuore.
« ...sei solo un mostro. »
Hao restò in silenzio per un po’. Difficile dire se le parole di Yoh lo avessero turbato o meno. Dopotutto ne aveva sentite di cose nel corso della sua lunga vita... perché le parole di uno sciocco ragazzino avrebbero dovuto toccarlo proprio adesso?
« Forse... è davvero così » dichiarò infine, abbassando lo sguardo. « È per questo che Nul mi ha arruolato in questa guerra. E tu... sei l’eroe che ha il compito di fermarmi. Perciò diamogli quello che vuole, fratello mio... possiamo sferrarci ancora un ultimo colpo, con le forze che ci restano. Sei pronto... a morire? »
Yoh sorrise, e sollevò la spada come se non aspettasse altro.
« Non sarò mai pronto a morire... ma lo stesso vale per te! »
Hao sollevò la spada a sua volta.
« Muori, maledetto... muori!!! »
Scattarono in avanti nello stesso istante, l’uno contro l’altro. E la morte li colse entrambi pochi istanti dopo, non appena le loro lame trapassarono il petto del proprio avversario.
Un’altra fine, con somma gioia del Mai Nato.
 
Tempo dopo...
Melinda Gordon era giunta al limite. Da quando era precipitata su Oblivion non aveva fatto altro che camminare in avanti, alla costante ricerca di ciò che aveva perduto. Nel suo mondo aveva una famiglia, degli amici... ora era rimasta sola, circondata da nient’altro che rovine. Aveva perso tutto, a parte la speranza: le aveva permesso di continuare a muoversi, giurando di cercare i suoi cari finché ne avesse avuto le forze.
Ora le forze stavano per abbandonarla. Chiunque avrebbe potuto constatarlo, vedendola in quello stato: il suo vestito era lacero, i piedi scalzi e insanguinati, il bel viso sporco e pieno di graffi. Il suo sguardo era spento, come se non vedesse più nulla.
« Jim... Aidan... » sussurrò con il poco fiato che aveva. I nomi del marito e del figlio, ciò che aveva di più caro al mondo. Ciò che Oblivion le aveva tolto.
La donna crollò sulle ginocchia, in mezzo a una distesa di macerie e morti. Poco lontano giacevano le ultime vittime della guerra: due ragazzi identici, riversi a terra nel loro stesso sangue, il petto di entrambi trapassato da una lama. Melinda lanciò loro un’ultima occhiata disperata, mentre la sua vista si offuscava; non aveva più la forza per reggersi in piedi, né per tenere gli occhi aperti.  
Ma riusciva ancora a sentire. Ecco perché un’altra voce attirò la sua attenzione, proprio dove giacevano i due gemelli. Melinda si rese conto di non essere sola: vedeva ciò che gli altri non potevano vedere, grazie al suo dono.
Un uomo dai lunghi capelli argentati, vestito come un samurai, stava in ginocchio accanto a uno dei due ragazzi. Piangeva forte, versando lacrime inesistenti che non bagnavano il suolo. Perché egli era un fantasma, e Melinda Gordon riusciva a vederlo.
Lo spirito piangeva per quel ragazzo. Doveva essere suo amico.
Melinda lo fissò, incapace di poter fare di più.
Il samurai si voltò a guardarla, e lo stupore s’impadronì di lui.
« Tu... » mormorò, asciugandosi il viso. « Tu riesci... a vedermi? »
Melinda annuì debolmente, prima di appoggiarsi al suolo con le mani. Stava perdendo conoscenza, lo sentiva.
« Jim... Aidan... perdonatemi. »
« Ehi, stai bene? » la chiamò il samurai. « Coraggio, non mollare... resta sveglia! »
« Chi... sei? »
« Io sono Amidamaru. Sei una sciamana anche tu? Oh cielo, stai molto male... ma non temere, ti aiuterò! »
« Mi dispiace... non ce l’ho fatta... a trovarvi. »
Melinda chiuse gli occhi, sotto lo sguardo sconvolto di Amidamaru. Le tenebre avevano infine avuto ragione di lei.
 
Quando Melinda riaprì gli occhi, era tutto diverso. Le ci volle un po’ per mettere a fuoco, ma in breve tempo scoprì di stare distesa su un letto in una stanza d’ospedale, senza avere la minima idea di come ci fosse arrivata. La stanza era molto buia, ma riuscì comunque a notare altri letti nelle vicinanze, tutti occupati da persone in stato comatoso. Esaminò le sue condizioni: non sembrava ferita né medicata; al posto dei suoi vestiti indossava un freddo pigiama da ospedale, e c’era la tipica flebo infilata nel braccio. Le gambe erano intorpidite, come se non le muovesse da tempo.
Per quanto tempo era rimasta priva di conoscenza?
Mentre se lo chiedeva, la porta della stanza si aprì: Melinda vide entrare un infermiere, o almeno lo sembrava. Questi non aveva volto, come se fosse un manichino vivente. Era un Senzavolto, un abitante di Oblivion.
Il Senzavolto rimase immobile mentre notava Melinda, unica persona della stanza ad avere gli occhi aperti. Se avesse avuto una faccia, di certo avrebbe assunto un’espressione stupita.
« Ehm... »
Il Senzavolto si avvicinò subito a lei, afferrandola per le spalle.
« Cosa...? Ehi! Lasciami! »
Il Senzavolto non l’ascoltò. Afferrò una piccola torcia dal taschino e puntò la luce verso gli occhi di Melinda, esaminandola. Lei continuò a divincolarsi, ma l’infermiere proseguì nel suo compito, imperturbabile. Il tutto durò una manciata di secondi, poi il Senzavolto lasciò la presa: solo in quel momento si rese conto che quello strano essere aveva appena esaminato le condizioni. Il Senzavolto girò quindi i tacchi e si allontanò, uscendo dalla stanza.
« Che succede? » mormorò Melinda, sconvolta. « Dove sono? »
« Non temere. Sei al sicuro. »
La donna si voltò di scatto. La sua sorpresa fu grande quando vide che un altro individuo si trovava ora accanto al suo letto, fluttuando nell’aria come se mancasse la gravità. Naturalmente Melinda capì subito che era un fantasma, ma la sua memoria impiegò un po’ per darle modo di riconoscerlo. Era Amidamaru, lo spirito del samurai incontrato prima di perdere conoscenza.
« Finalmente » dichiarò lui, sorridendo compiaciuto. « Sei sveglia, finalmente. Ormai temevo di non vederti riaprire mai più gli occhi. »
« Io... cosa? » fece Melinda, confusa. « Ma quanto... per quanto tempo sono rimasta incosciente? »
« Ho vegliato su di te in questa stanza per settantasette giorni. »
Melinda restò a bocca aperta per lo stupore.
« Settantasette...? Mio Dio... ma questo posto... dove mi trovo? »
« In un posto sicuro » rispose Amidamaru. « Un rifugio per tutti i superstiti della grande guerra. »
« Come ci sono arrivata? Mi hai portato tu? »
Prima che Amidamaru potesse rispondere, la porta della stanza si aprì di nuovo. Questa volta entrò un tipo dotato di faccia: appariva come un uomo di mezz’età, alto e dallo sguardo serio, penetrante; indossava una giacca grigia sopra una camicia azzurra senza cravatta, e camminava appoggiandosi a un bastone. Aveva l’aria stanca, come se si fosse appena svegliato.
Melinda rimase a fissarlo senza parlare, incerta sul da farsi. Amidamaru faceva altrettanto al suo fianco, anche perché il nuovo arrivato non poteva vederlo né sentirlo.
« Lei deve essere la bella addormentata che ha deciso di tornare tra noi » dichiarò l’uomo, avvicinandosi al letto con un forte sbadiglio. « Non poteva proprio aspettare l’indomani mattina, vero? »
« Ehm... » fece Melinda, ancora incerta.
« Va tutto bene, sono un medico. Dottor Gregory House, in questo posto comando io. Come si sente? »
« Io... bene, credo. Sto bene, a parte le gambe... riesco appena a muoverle. »
House afferrò una cartella clinica, esaminandola con calma.
« Be’, è naturale dopo due mesi di coma profondo » commentò. « Non si preoccupi, in questo posto si guarisce in fretta... secondo le mie stime le basteranno un paio d’ore per riprendere perfettamente ogni capacità motoria. »
Melinda spostò lo sguardo in varie direzioni, dalle sue gambe ad House, per poi rivolgerlo su Amidamaru. Il fantasma alzò il pollice senza dire nulla, ma il messaggio era palese. Voleva dire che lei poteva fidarsi di quel medico.
« Ricorda il suo nome? Come si chiama? » chiese House in quel momento, attirando la sua attenzione.
« Oh... Melinda. Melinda Gordon. »
« Bene, direi che la memoria è a posto. Il mio verdetto è positivo, signora, perciò posso dirle con sicurezza che si rimetterà molto presto. »
Melinda notò il tono burbero e sbrigativo usato dal dottore, ma non osò replicare. Era tipico delle persone molto indaffarate, il che fece supporre che House fosse così occupato da non poter trattare meglio i pazienti. Eppure aveva un occhio attento: l’uomo doveva aver notato subito la fede nuziale posta al dito di Melinda, perciò aveva pensato di chiamarla “signora” fin da subito.
« Mi dica una cosa, dottore » chiese Melinda, dopo una breve esitazione. « Questo posto... siamo ancora su Oblivion, vero? »
House sospirò.
« Ho paura di sì, mia cara » le rispose. « Immagino che lei sia una delle tante povere anime scelte per combattere in questa guerra... e ne è uscita viva per miracolo. E mi dica, quale sarebbe il suo ruolo? Strega? Cavaliere? Principessa? »
« Uhm, no... io non sono... insomma, io posso solo vedere e comunicare con i... fantasmi. »
House sembrò indifferente alla risposta, e si limitò ad una leggera alzata di spalle.
« Non riesco a ricordare come sono arrivata fin qui » aggiunse Melinda, abbassando lo sguardo.
« Mah » fece House, « di solito è il signor Uchiha a portare qui i feriti più gravi, ma lei non ne ha avuto bisogno: è arrivata con le sue stesse gambe. Non mi sorprende che non riesca a ricordarlo... quando è arrivata era priva di volontà, come in una sorta di trance. Non aveva effetti personali con sé, a parte questa. »
House afferrò qualcosa da sotto il letto di Melinda, e gliela mostrò: era una katana, una spada giapponese. La donna la osservò stupita: era certa di non averla mai vista prima in vita sua. L’afferrò tra le mani, ma poi la mise via.
« Ero in trance, dunque? » chiese.
« Già. In pratica, la macchina camminava, ma al volante non c’era nessuno. »
« Sì... so bene che cosa si prova. Non è la prima volta che mi succede. »
Melinda tornò a guardare Amidamaru. Era pronta a scommettere che lui fosse responsabile del fatto di cui parlavano.
« Bah, come vuole » tagliò corto House. « Sono certo che avrà una storia appassionante da raccontare, signora Gordon... ma sfortunatamente non ho tempo né voglia di ascoltarla. Le consiglio di riposare un altro po’, in attesa di recuperare l’uso delle gambe. Poi sarà libera di andare, qualunque siano i suoi programmi futuri. »
Il dottore si diresse verso l’uscita, ma Melinda lo richiamò.
« Aspetti! È... è mai venuto nessuno a visitarmi? Mio marito? Mio figlio? Li cerco fin da quando sono finita in questo posto maledetto... li ha per caso incontrati? »
House scosse la testa, cupo.
« Mi dispiace. Nessuno è mai venuto a visitarla da che si trova distesa su quel letto. »
Esitò ancora un secondo, poi oltrepassò la soglia, sparendo nel corridoio.
Melinda rimase dov’era, quasi esterrefatta. Lentamente spostò lo sguardo attraverso la stanza, ora più illuminata dopo che House aveva acceso la luce. C’erano altri cinque letti, tutti occupati da altri personaggi in stato comatoso: difficile dire da quanto giacessero su quelle brande; alcuni, inoltre, avevano una mascherina per l’ossigeno applicata al viso. Melinda fissò in particolare il paziente sul letto vicino: era un ragazzino dai corti capelli biondi; un paio di occhiali giacevano sul comodino accanto al letto, coperti da un lieve strato di polvere. Sembrava che dormisse, ma il macchinario che monitorava le sue condizioni ricordava la dolorosa realtà, con il suo bip costante.
« È triste, vero? » disse la voce di Amidamaru all’improvviso. « Vedere tante persone in simili condizioni... sospese sul sottilissimo confine tra la vita e la morte. Sottile, eppure così... immenso. »
Melinda tornò a guardare il fantasma, con aria triste.
« Che cosa sta succedendo? » domandò. « Che cosa mi hai fatto? »
Amidamaru sorrise leggermente.
« È una lunga storia. »
 
Melinda passò le due ore successive a scambiarsi informazioni con il fantasma, mentre recuperava i suoi vestiti e, pian piano, le sue funzioni motorie. Dal racconto di Amidamaru apprese molte cose sul mondo da cui egli proveniva: una Terra pressoché identica alla sua, ma con una presenza maggiore d’individui sensitivi. Questi individui erano noti come sciamani, in grado di vedere e controllare gli spiriti.
Amidamaru raccontò del suo incontro con Yoh, giovane sciamano con cui aveva stabilito un forte legame. Insieme avevano vissuto molte avventure, durante il viaggio che avrebbe condotto il ragazzo al grande torneo degli sciamani. Yoh aveva le carte in regola per diventare un potente sciamano, se non addirittura il leggendario Shaman King... ma il destino aveva posto un grande ostacolo sul suo cammino.
Raccontò di Hao, sciamano millenario reincarnatosi nel fratello gemello di Yoh. Crudele e malvagio, aveva dichiarato guerra al popolo degli sciamani... e avrebbe vinto, se Yoh e Amidamaru non fossero scesi in campo per affrontarlo, insieme a un gran numero di amici e alleati. Perché la forza di Yoh proveniva dall’amore e dal sostegno di molti... mentre Hao era solo, con l’unico supporto del suo spirito implacabile. Così il nemico fu sconfitto, e la pace tornò a regnare sul popolo degli sciamani.
Amidamaru aveva creduto che fosse tutto finito, ma si sbagliava. Non molto tempo dopo la fine della guerra, aveva visto il sorgere di una nuova crisi: aveva visto il mondo intero venire inghiottito dall’oscurità, e al risveglio era cambiato tutto. Lui e Yoh erano finiti su Oblivion, costretti a combattere in una nuova guerra di enormi proporzioni. Dopo un breve viaggio si erano uniti a un folto gruppo di eroi ai piedi del grande albero Nordrassil, un settore di Oblivion, ma lo scontro con Hao li aveva separati dal resto del gruppo.
« Hao era inarrestabile » disse il fantasma, concludendo il suo racconto. « Per contrastarlo, io e Yoh abbiamo dato fondo a tutto il nostro potere, finché le mie forze non sono venute meno. Ero allo stremo quando il mio amico ha sferrato il colpo finale... e non ho potuto vedere la sua conclusione. Quando mi sono ripreso... per Yoh era troppo tardi. »
Melinda vide le lacrime solcare il viso di Amidamaru, in quel momento, scivolando lungo le guance per poi ricadere sul tavolo... ma senza lasciare alcuna traccia. La donna rimase in silenzio, aspettando pazientemente che il fantasma proseguisse.
« Erano morti entrambi. Yoh e Hao... si sono uccisi a vicenda. Io sono uno spirito, so cosa si prova... eppure non ho visto le loro anime lasciare i corpi quando ciò è accaduto. Al mio risveglio c’era solo silenzio e morte. Ero rimasto solo... persino lo spirito guardiano di Hao era sparito, andato chissà dove. Mi sentivo abbandonato, indifeso; non ricordo di aver mai provato così tanto dolore... così tanta paura... in vita mia. »
Altre lacrime interruppero il racconto di Amidamaru. Melinda restò in silenzio, sempre paziente.
I due avevano proseguito la conversazione fuori dalla stanza in cui Melinda era stata ricoverata. In quel momento si trovavano nella mensa dell’ospedale, seduti ad un tavolo accanto alla finestra. Poiché ormai era mattina, il luogo era già occupato da altre persone, ma la donna non ci faceva caso: il suo compagno invisibile versava lacrime di fronte a lei, unica persona in grado di vederlo.
« Non so dire per quanto tempo ho vegliato sul cadavere di Yoh » riprese Amidamaru. « Il tempo non ha significato su Oblivion: i giorni scorrono, ma senza armonia. Per me non cambiava nulla, comunque. Avevo perso tutto, non sapevo dove andare: ero pronto a restare insieme a Yoh finché di lui fosse rimasto qualcosa... ma poi ho visto te. »
Rivolse lo sguardo su Melinda, interrompendo il flusso di lacrime.
« Quando ho capito che eri una sciamana, ho ricordato di essere ancora in grado di fare qualcosa di buono... di utile. Non potevo permettere che qualcun altro morisse in quell’orribile campo di battaglia. Avevi perso conoscenza, ma non era un problema: ho preso possesso del tuo corpo, controllandolo come se fosse il mio. Perdonami, ma mi sono permesso di usare il tuo corpo per fare alcune cose prima di condurti fino a questo posto. »
« Quali cose? » chiese Melinda.
Amidamaru sospirò.
« Non potevo abbandonare il corpo di Yoh come se nulla fosse... così l’ho seppellito. In quanto ad Hao... be’... quell’essere spregevole ha ingannato la morte per mille anni prima che finissimo in questo posto. Così, per non correre rischi, ho fatto a pezzi il suo cadavere con la spada di Yoh. » Il fantasma indicò la katana, che Melinda aveva portato con sé nel frattempo. « Poi ti ho fatto camminare fino all’ospedale, dove ti hanno ricoverata. E poi... be’, lo sai già. »
Amidamaru tacque, giunto ormai al capolinea con il racconto.
Melinda sospirò, divenuta improvvisamente molto triste.  Aiutava i fantasmi da molti anni, ma era impossibile abituarsi a tanta sofferenza: spiriti erranti in cerca di conforto, anime prigioniere di emozioni negative. In attesa di andare oltre, verso la grande luce. Melinda faceva il possibile per aiutarli, ma ogni volta che apprendeva le loro storie, ne condivideva il dolore. Anche ora, anche in un mondo così lontano... e lei aveva già il suo dramma personale da affrontare.
Non aveva mai incontrato un tipo come Amidamaru, in vita sua. Non le capitava spesso di conoscere fantasmi vecchi di secoli. Per lei era terribile l’idea che un’anima in pena vagasse per così tanto tempo in un mondo a cui non apparteneva più.
« Mi dispiace tanto, Amidamaru » si trovò a dire a voce alta. « Vorrei tanto poter fare più di questo. Ormai non ti resta che passare oltre. »
Il fantasma sospirò.
« Credimi... lo avrei già fatto se avessi potuto » rispose. « Ma pare che Oblivion sia una prigione per i morti quanto per i vivi. È come se non esistesse un aldilà su questo mondo... chi muore è condannato a restare qui, indipendentemente dalle sue origini. Io sono un guerriero, non un saggio... ma anche uno come me può rendersi conto facilmente che questo luogo sfugge a qualsiasi comprensione. E a questo punto non mi resta che una domanda da pormi... la stessa che di certo avrai in mente ora anche tu. »
« ...e adesso? » completò Melinda, annuendo leggermente.
« Già. Che fare adesso? Fino ad oggi ho sempre avuto uno scopo. Prima proteggevo Yoh, poi ho protetto te... fino al tuo risveglio. Ora non mi resta più nulla da fare. Immagino che mi toccherà vagare in eterno in questo mondo, finché anch’esso non finirà. »
Melinda esitò per qualche secondo, poi riprese la parola.
« Ti sbagli, hai ancora qualcosa da fare. »
« Sarebbe a dire? »
« Tu hai scelto di proteggermi, Amidamaru. È vero che ormai mi sono ripresa, ma penso di aver ancora bisogno del tuo aiuto. Ho ancora uno scopo: ritrovare mio marito e mio figlio, ovunque siano finiti. Ormai so bene cosa mi aspetta là fuori, e se dovrò tornare a vagare su Oblivion, meglio sapermi muovere con le giuste capacità. Sei d’accordo? »
Il fantasma tacque, sorpreso dalla coraggiosa proposta di quella donna. In quel momento gli parve di parlare con una versione più matura di Yoh, e per questo provò molta nostalgia.
Un sentimento che lo spinse a sorridere.
« Il mio spirito ti guiderà attraverso il tuo cammino » dichiarò.
Appena Melinda ebbe terminato la sua lunga e abbondante colazione, i due si alzarono dal tavolo e s’incamminarono per lasciare la mensa. Lo sguardo della donna cadde per alcuni secondi su un ragazzo che le passava davanti in quel momento: costui era basso e magro; non aveva segni particolari, a parte i capelli grigi come l’argento, lisci e lunghi fino alle spalle. Mentre passava, il ragazzo ricambiò la sua occhiata, fissandola con due occhi che parevano di ghiaccio.
Melinda si fermò, improvvisamente turbata. Il ragazzo, tuttavia, la ignorò e proseguì, dopo aver mostrato un sorriso lieve quanto inespressivo.
« Tutto bene? » domandò Amidamaru.
« Sì... » rispose Melinda, un po’ incerta. « Quel ragazzo... non so perché, ma mi dava una brutta impressione. »
« Già, anche a me, in effetti... ma se si trova da queste parti non può essere pericoloso. Questo è un rifugio per gli eroi, dopotutto. »
Melinda trascorse il resto della giornata in tranquillità, rimanendo all’interno dell’ospedale. Dopo aver verificato sui computer dell’atrio che suo marito e suo figlio non avevano mai messo piede nell’edificio, la donna non vide altra scelta che restare. Le occorreva tempo per ambientarsi, così impiegò le ore successive percorrendo i vari reparti. Ognuno di essi ospitava pazienti di ogni sorta, accuditi dai Senzavolto che obbedivano per qualche ragione al dottor House. Melinda lo incrociò più volte nei corridoi, occupato in mansioni di vario genere.
Numerosi personaggi occupavano i reparti, ricoverati in modo più o meno grave; erano tutti sopravvissuti a qualche battaglia precedente, sconfitti sia nel corpo che nell’anima, in molti casi. Alcuni, agli occhi di Melinda, avevano un’aria stranamente familiare: assomigliavano molto a personaggi visti in tv, o nei libri, o ancora nei fumetti. A un certo punto, per esempio, giurò di aver incrociato Luigi, il fratello del più celebre Super Mario, intento a vagare con aria sconsolata per il corridoio. Ciò contribuiva a rendere ancora più assurda la situazione, ma nessun altro sembrava farci caso. Amidamaru non ne sapeva nulla.
Non tutti potevano riprendersi completamente: Melinda se ne rese conto quando passò davanti al reparto psichiatrico, dal quale provenivano lamenti che le fecero passare la voglia di proseguire. Amidamaru si limitò a seguirla in silenzio, come un fedele animale da compagnia.
La sera non tardò ad arrivare. Melinda e Amidamaru si fermarono su un balcone, osservando con amarezza il cupo panorama che li circondava: la città dolente di Oblivion si stagliava di fronte a loro. Gli alti palazzi di ferro e cemento, dimora di milioni di Senzavolto... spettri di un popolo a cui molti eroi ricoverati in quell’ospedale sapevano di appartenere. Il regno di Nul rispecchiava in un certo senso la società moderna: un mondo pieno di persone senza identità, costrette a un’esistenza grigia e tetra con il solo obiettivo di tirare avanti. Vite vuote fatte di giorni tutti uguali, anime prigioniere di un sistema avido e instabile.
Il sospiro di Melinda attirò l’attenzione del suo spettrale compagno.
« Che cosa ti tormenta? » le chiese.
« Nulla di nuovo, a dir la verità » ammise la donna. « È questo posto... questo mondo. Più lo guardo, meno lo capisco. Eppure, più mi accorgo quanto assomigli al mio mondo, sotto certi aspetti. Questa orribile città, i Senzavolto... in qualche modo sembrano rispecchiare l’umanità moderna. »
« Uhm... l’ho pensato anch’io, sai? È lo stesso tipo di umanità che si trova nel mio mondo... o almeno in buona parte di esso. Per seicento anni il mio spirito è rimasto accanto ai vivi, e ho visto il mondo cambiare intorno a me. In peggio. Ho visto gli uomini perdere gran parte della gloria, sostituendola con la semplice tendenza al sopravvivere. Non è più tempo di spade e di scudi, ma di carte e valigette. Per questo, osservando simili persone camminare per le strade, mi sono domandato spesso chi fossero i veri fantasmi. »
« Tutto cambia, con il passare del tempo. Anche la natura umana. »
« È così. Il difficile è riuscire ad accettarlo. Per noi fantasmi, il problema è proprio questo. Perciò molti non riescono subito a passare oltre... non accettano lo stato delle cose. »
Melinda non riuscì ad aggiungere altro. Lo sapeva fin troppo bene. Si disse che era il caso di lasciar perdere e rientrare nell’edificio, perciò si voltò: fu allora che si rese conto di non essere più sola sul balcone.
Sulla soglia c’era di nuovo quel ragazzo dai capelli d’argento. Questi era immobile e silenzioso, ma quando Melinda si voltò a fissarlo, fece un nuovo sorriso gelido e se ne andò, sparendo nel corridoio.
« Bah » fece la donna, esasperata. « È davvero inutile capirci qualcosa, qua in mezzo. »
E se ne andò a sua volta, pronta a terminare quella giornata su un comodo letto.
 
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIN...
L'allarme svegliò Melinda di soprassalto. Guardò fuori dalla finestra: era appena l'alba. Perché aveva puntato la sveglia a quell'ora?
Ma non c'era nessuna sveglia da puntare. L'allarme proveniva infatti da fuori, e non prometteva nulla di buono.
« Melinda! » la chiamò subito Amidamaru. Il fantasma sembrava sconvolto oltre ogni dire... e ormai Melinda lo conosceva abbastanza da capire che solo un pericolo tremendo poteva allarmare un tipo come lui.
« Amidamaru, che succede? »
« Qualcosa di terribile sta per arrivare » spiegò lo spirito. « Non riesco a identificarlo, ma mi sento infastidito... è qualcosa di assolutamente malvagio! Colpirà questo posto molto presto... dobbiamo scappare! »
Melinda esitò per un attimo, ma alla fine fu costretta ad annuire. Raccolse i vestiti, li indossò e uscì dal corridoio, dove risuonava forte la voce del dottor House attraverso gli altoparlanti.
« Questa non è un'esercitazione. Tutti gli ospiti e i pazienti in buona salute sono pregati di raggiungere la hall immediatamente. Ripeto: questa non è un'esercitazione. Tutti gli ospiti e i pazienti in buona salute sono pregati di raggiungere la hall. Immediatamente. »
La donna obbedì automaticamente all’ordine, percorrendo il corridoio. Altri personaggi intorno a lei seguivano l’esempio, causando una gran confusione nei paraggi.
Poi qualcosa l’afferrò all’improvviso. Melinda fu scaraventata contro il muro più vicino, e per alcuni secondi vide le stelle. Si voltò e riconobbe gli aggressori: due Senzavolto, vestiti da inservienti dell’ospedale.
« Ma cosa... no! Fermi... Aaaaah! »
« Oh no, Melinda! »
Amidamaru cercò di intervenire, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa accadde qualcosa di nuovo: il pavimento sotto i piedi dei Senzavolto si deformò, spostandosi di lato, e li scaraventò lontano dalla loro vittima.
Il fantasma non capì subito come fosse accaduto, ma poi si accorse del nuovo gruppo di personaggi apparso sulla scena. Il più vicino, un ragazzino biondo, aveva le mani ancora appoggiate a terra. Che fosse stato lui?
« Stupeficium! » urlò un altro nel frattempo, un ragazzo occhialuto armato di bacchetta. Un getto di luce rossa colpì i Senzavolto, e i due crollarono a terra privi di sensi. Sotto lo sguardo incredulo di Amidamaru, i salvatori raggiunsero Melinda, sconvolta ma ancora illesa.
« Stai bene? » chiese un altro membro del gruppo, una donna formosa dai capelli castani, armata di pistole.
« Sì... sì » rispose Melinda, ansimando per la paura. « Non capisco... mi hanno aggredita all'improvviso, non ho potuto fare nulla. »
« Erano al servizio di House » osservò un terzo ragazzo. « Non doveva essere in grado di controllarli? »
Il dubbio fu confermato da nuove urla e rumori poco lontano. Melinda, Amidamaru e gli altri si voltarono: videro altri Senzavolto, intenti ad aggredire ogni ospite dell’edificio a portata di tiro; il gruppo di eroi si allontanò in tutta fretta, per impedire che altri innocenti venissero coinvolti in quell’improvvisa ondata di follia.
Melinda rimase indietro, insieme ad Amidamaru.
« Ho sentito parlare di loro » osservò il fantasma, mentre osservava quel gruppo allontanarsi. « Si fanno chiamare ‘I Valorosi’... pare che ne abbiano passate tante prima di arrivare qui. »
« Oh... pensa un po’ » si limitò a commentare Melinda, ancora sconvolta.
« Non è sicuro restare qui. Sono certo che questa improvvisa ribellione è opera del grande male che percepisco. »
« Va bene » dichiarò Melinda, ancora sconvolta. « Andiamocene. Solo... mi dispiace non poter fare la mia parte. »
« Che vuoi dire? »
« In questo posto, tra tutti questi eroi, almeno per una volta... mi piacerebbe saper combattere. »
Amidamaru restò in silenzio, come se fosse indeciso.
« Avrei preferito risparmiarti tutto questo » disse piano il samurai. « Però hai ragione... la cosa più giusta è combattere. Se davvero lo desideri, posso donarti la mia forza... ancora una volta. »
« La tua forza? E come? »
Il fantasma pose una mano sulla sua spalla.
« Tu puoi vedermi... perciò, anche se provieni da un altro mondo, sei una sciamana a tutti gli effetti. Ecco perché potrai unire il tuo corpo al mio spirito: in questo modo potrai usufruire delle mie abilità, della mia forza di samurai. »
« Una specie di possessione, vuoi dire? » domandò Melinda.
« Sì, ma in questo caso sarai cosciente. Sarai tu a controllare me, e combatterai come se fossi sempre stata una guerriera. Questa è la via che posso offrirti, se davvero desideri combattere in questa battaglia. Fa’ la tua scelta, Melinda Gordon. »
BUM!
Un boato assordante echeggiò dappertutto, mentre il pavimento vibrava con una tale forza che Melinda faticò a reggersi in piedi. Tutto tacque dopo pochi secondi. Era come se qualcosa di enorme fosse esploso nelle vicinanze, ma l’ospedale non sembrava aver subito danni strutturali.
Melinda capì che non c’era più tempo da perdere, dunque accettò la proposta di Amidamaru.
« Unione! » esclamò lo spirito: un attimo dopo penetrò nel corpo della donna, la quale emanò per qualche secondo un bagliore argentato. Strinse la presa sulla katana che aveva portato con sé: all’improvviso sapeva come maneggiarla, perché la conoscenza del bushido era penetrata nella sua mente.
La forza del samurai era la sua, adesso. Non restava che unirsi alla battaglia.
Il silenzio fu spezzato da un nuovo boato proveniente dall’esterno. Il pavimento tremò ancora, ma stavolta Melinda non perse l’equilibrio.
« Dobbiamo capire che succede » disse la voce di Amidamaru, echeggiando nella sua testa. « Da qui non è possibile vedere nulla. Proviamo a raggiungere il tetto! »
Melinda annuì e prese a correre, dirigendosi verso la rampa di scale più vicina. Strada facendo vide altri eroi procedere nella stessa direzione, che evidentemente avevano avuto la sua stessa idea.
Raggiunsero il tetto dell’ospedale dopo pochi minuti. Esso era già affollato da un folto di gruppo di personaggi: riconobbe il dottor House, Luigi e il gruppo che l’aveva salvata poco prima, i Valorosi. Guardavano tutti la stessa cosa: una torre gigantesca, più alta di ogni grattacielo di Oblivion, si stagliava in lontananza di fronte all’ospedale. Melinda vide cinte e bastioni, pietra nera e tetra, incommensurabilmente forte, montagna di ferro... così oscura e terribile alla vista da mettere a dura prova ogni speranza di coloro la guardassero. E sulla sua cima vi era un grande occhio infuocato, senza palpebra e con la pupilla verticale, puntato come un faro sinistro verso l’ospedale.
Attraverso gli occhi di Melinda, Amidamaru scoprì dunque la fonte del terribile male che aveva percepito. L’oscurità, il potere di un ignoto nemico che stava per fare la sua mossa contro quella manciata di eroi sopravvissuti.
Entrambi rimasero a guardare in silenzio, increduli di fronte al male che sembrava incombere sul mondo intero.
« Il Nemico. Il Nemico è pronto, e sta arrivando » annunciò una voce nelle vicinanze. Melinda abbassò lo sguardo: era di nuovo quel ragazzo dai capelli argentati, visibilmente sconvolto. Udì altre voci, quelle degli eroi più vicini al parapetto; valutavano la situazione, prendevano decisioni, si organizzavano. Si ritenevano pronti ad affrontare qualsiasi minaccia, anche questa.
Melinda voleva davvero unirsi a loro? Non era mai stata una guerriera: prima di finire su Oblivion, fantasmi a parte, aveva sempre condotto una vita ai limiti della normalità; era stata una casalinga, una venditrice d’antiquariato, una moglie... una madre. Aveva sempre tralasciato l’azione, in un modo o nell’altro; aveva sempre agito con le parole, non con le mani. Perché allora aveva impugnato una spada? Credeva davvero di poterla usare, nonostante il potere appena ricevuto?
Le voci degli altri eroi parvero abbassarsi di volume, mentre quella di Amidamaru risuonava forte nella sua testa.
« Non aver paura, Melinda » le disse con gentilezza. « È normale aver paura... ma questo è il momento per essere coraggiosi. Forti. È il momento di scegliere come affrontare ciò che ci attende. »
« Io... »
« Non vuoi rivedere tuo marito e tuo figlio? »
« Sì. Con tutto il cuore. Non mi importa più di morire... vorrei solo poterli riabbracciare, ancora una volta. »
« Vale lo stesso per me. In un modo o nell’altro, mi ricongiungerò con i miei cari. Forse andremo incontro alla fine... ma questi eroi che ci accompagnano hanno ragione. Uniamoci a loro! »
Melinda tornò ad ascoltare le altre voci. Quegli eroi esultavano con coraggio, spronati dalle parole dei Valorosi. Alzavano i pugni e le armi al cielo, pronti a combattere; Melinda sorrise e fece altrettanto con la sua katana.
« Grazie, Amidamaru. »
« Grazie a te, Melinda Gordon. »
« Resterai al mio fianco? »
Il sorriso fiero dello spirito parve brillare nell’oscurità.
« Fino alla fine. »
Avrebbe fatto la sua parte, con l’aiuto di Amidamaru. Sarebbe scesa in campo al loro fianco con rinnovata speranza. Per la prima volta avrebbe combattuto: non per vincere, né per proteggere... ma per mantenere viva una speranza. La speranza di rivedere i suoi cari alla fine di tutto.
Perché morire non era la fine, lo sapeva ormai fin troppo bene. Era solo la prima tappa di un nuovo viaggio, verso un mondo fatto di luce: forse la stessa luce che le nuvole di Oblivion celavano alla vista, impedendole di brillare sul mondo.
Voleva crederci, nonostante tutto. E se era pronta a morire per ciò in cui credeva, allora era fatta. Melinda Gordon era un’eroina.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Odinforce