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Autore: TimeFlies    02/01/2017    2 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a paper moon- capitolo 37


                                                    

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37. Scarlett

Non ritenevo necessaria la presenza di tutto il branco. Anzi, per quanto mi riguardava anche Sean poteva andarsene a casa: potevo cavarmela benissimo da sola come avevo già fatto un sacco di volte. E invece ero stata bellamente ignorata e adesso mi ritrovavo imbarazzata e a disagio di fronte alle persone che, almeno secondo il modo di pensare dei lupi, avrei dovuto considerare un allargamento della famiglia.
Adam era in piedi vicino alla sua auto con le braccia incrociate al petto e l’espressione pensierosa. Indossava jeans e una maglietta blu con lo scollo a V che gli stava parecchio bene. Matthew, in camicia di flanella a quadri, era accanto a lui e cercava di sembrare sicuro di sé come lui tanto che aveva assunto la stessa posizione. E poi c’era Sean, altero e imperscrutabile nella sua giacca da aviatore - una variante di quella di pelle - e nei jeans neri. Dovevo ammettere che quei tre messi insieme formavano quello che Beth avrebbe definito il “trio delle meraviglie”. Soprattutto perché avevano tutti un’aria determinata e impassibile che li rendeva più affascinanti di quanto non fossero. Per una volta essere l’unica femmina del branco non mi sembrò poi così male.
Era quasi buio, il sole morente riempiva il cielo che si riusciva a scorgere sopra gli alberi di delicate sfumature rosate e arancioni che mi facevano venire in mente l’aurora boreale.
Mi strinsi nel mio giubbotto e feci scorrere lo sguardo sui tre ragazzi davanti a me. «Allora… che si fa adesso?»
La fatidica notte di plenilunio che avrei passato con il mio Alfa recentemente riapparso era giunta, e con lei l’ansia e la voglia di sprofondare. Sapevo che Sean mi stava offrendo la possibilità di imparare a gestire la mia licantropia e a non rappresentare più un pericolo per nessuno, ma non è che mi allettasse tanto l’idea di perdere il controllo di fronte a lui.
Sean fece qualche passo avanti. «Adesso andiamo così troviamo un posto tranquillo dove passare la notte.»
“Tranquillo finché non ci arrivo io”, pensai scoraggiata. «Okay…»
Lui mi fece un breve cenno d’intesa e spostò lo sguardo sugli alberi. Avevo notato una certa tensione tra lui e Adam, più intensa del solito, ma non avevo idea di come farla diminuire. Sapevo che Sean lo aveva minacciato intimandogli che, se l’avesse ritenuto necessario, avrebbe dovuto lasciare il branco.
Potevo sopportare rimproveri e richiami di ogni tipo da parte di quel lupo così scontroso, però non gli avrei lasciato allontanare Adam, avrei fatto tutto quello che era in mio potere per oppormi.
Mi strinsi le braccia al petto con un sospiro e diedi un calcio svogliato ad un sasso: perché non potevo essere un’adolescente qualunque che passa la serata a guardare le repliche di vecchie sit-com mangiando gelato? L’odore leggero di dopobarba e carta antica mi fece alzare lo sguardo finché non incontrai gli occhi blu tempesta di Adam. Erano preoccupati, ma anche limpidi.
«Andrà tutto bene, Scar.» Mormorò prendendomi delicatamente una mano.
Un sorriso incerto mi affiorò alle labbra. «Grazie.»
Ci abbracciamo per un attimo e io mi godetti il suo calore, la sensazione di sicurezza che mi trasmettevano le sue braccia intorno a me, il rumore regolare del suo cuore. Poi lui si scostò da me e mi diede un bacio sulla fronte sussurrando un altro incoraggiamento.
Fece un paio di passi indietro e lanciò un’occhiata veloce a Sean. La sua espressione non tradiva nessuna emozione, ma mi sembrò di scorgere un’ombra nei suoi occhi quando si posarono sul mio capobranco.
«Finito?» Chiese Sean in tono beffardo.
Adam serrò la mascella, però mantenne comunque il controllo, cosa che gli ammiravo. Matthew mi fece un timido sorriso che si spese molto in fretta. Sean invece sbuffò per attirare la mia attenzione.
Mi voltai verso di lui e feci un gesto vago con la mano. «D’accordo, d’accordo… Arrivo. Certo che sei impaziente, eh?»
Inarcò un sopracciglio, ma non si degnò di rispondermi. Dopo un’ultima occhiata ad Adam, mi decisi a raggiungere il mio Alfa.

«Quando hai detto che… che avremmo passato il plenilunio insieme… non pensavo intendessi… che avremmo fatto… una scampagnata nel bosco.» Ansimai cercando di stare dietro alle lunghe falcate di Sean.
Riusciva a muoversi con agilità anche in mezzo agli alberi e i suoi passi erano quasi impercettibili nonostante i rametti, le foglie e il muschio che costituivano il sottobosco. Questa sua sicurezza mi ricordava molto un lupo, di quelli veri, che si muove scaltro e silenzioso nel cuore della foresta.
Si fermò e si girò verso di me. «Stiamo camminando solo da venti minuti.»
«Oh, certo. Solo venti minuti.» Sbottai premendomi una mano dove credevo ci fosse la milza. «Lo dici come se fossero pochi.»
Un mezzo sorriso gli incurvò le labbra. «Perché lo sono. Se reagisci così credo che dovrò iniziare ad allenarti.»
Lo guardai con gli occhi socchiusi, sospettosa, mentre raddrizzavo la schiena. «Che vuole dire allenare?»
«Fare ginnastica, sport, movimento… chiamalo come vuoi.» Replicò stringendosi nelle spalle.
«Non intendevo il significato.» Chiarii. «Volevo sapere cosa significa allenarsi per un licantropo.»
I suoi occhi verde-grigio mi studiavano attenti. «Esattamente quello che significa per gli umani: rafforzare i propri punti deboli a livello fisico e, in seguito, mantenere il livello raggiunto e magari migliorarsi.» Vedendomi confusa, aggiunse: «Per esempio, puoi allenarti per riuscire a mantenere il controllo con la luna piena, o per avere più resistenza.»
«Mmh. Io non credo che farò mai trekking o simili quindi la resistenza non mi serve, giusto?» Domandai incrociando mentalmente le dita.
Il luccichio nei suoi occhi mandò in fumo tutte le mie speranze. «In realtà la resistenza è sempre utile, non importa quello che fai. Se dovessi trovarti in mezzo ad uno scontro con un altro lupo devi essere in grado di reagire e difenderti e non puoi farlo se dopo un minuto ansimi così.»
Mi appoggiai ad un albero con la mano scoccandogli un'occhiataccia. «Ehi, non tutti qui siamo licantropi palestrati.» Mi schiarii la gola. «Comunque, immagino che vorrai… allenarmi?»
«Per adesso vediamo come va stanotte, poi decideremo.» Replicò con voce insolitamente gentile.
«Vedremo? Cioè, io e te?» Chiesi sorpresa.
«Sì. Io sono il tuo capobranco, ma non posso obbligarti a fare niente. O meglio, volendo potrei eccome, però non mi sembra giusto.» Spiegò.
Non riuscivo a crederci, e cercai di non darlo a vedere. «Oh… Okay.»
Fece un breve cenno d’assenso. «Possiamo andare?»
Mi guardai intorno: alberi a destra, alberi a sinistra, alberi davanti a me, alberi dietro… Non credevo che il paesaggio sarebbe cambiato di molto se ci fossimo spostati. «Perché, qui non va bene?»
Un accenno di sorriso gli sfiorò le labbra. «No. Dobbiamo camminare ancora un po’.»
Mi staccai al malincuore dal tronco a cui mi ero appoggiata e ricominciai ad arrancare sul terreno morbido e umido del bosco lasciandomi sfuggire un mugolio mirato a fargli venire i sensi di colpa. Sean lasciò che lo superassi prima di affiancarmi, e dopo neanche un secondo, passarmi avanti con quella sua fluidità silenziosa.

La luna, perfettamente rotonda, di un bianco pallido chiazzato di grigio, spiccava sul cielo tanto blu da sembrare nero. Lo squarcio che ne vedevo era incorniciato dalle fronde degli abeti, mosse da un vento leggero, e aveva un’atmosfera misteriosa, quasi poetica.
Sentivo lo sguardo di Sean addosso, ma cercavo di ignorarlo per concentrarmi sul mio stesso respiro: inconsapevolmente, stavo seguendo il consiglio che mi aveva dato Adam, durante il plenilunio che avevamo passato insieme, di focalizzarmi su qualcosa di costante e regolare.
Il mio lupo interiore cominciava ad agitarsi sotto l’influenza della luna, lo percepivo pulsante e, nello stesso tempo, impalpabile che si preparava a prendere il sopravvento. Chiusi gli occhi per un attimo e strinsi i pugni cercando di fare respiri profondi. “Non è niente di che, l’hai già fatto altre volte”, pensai nel tentativo di calmarmi. Quando aprii le mani, però, gli artigli scuri avevano già sostituito le mie povere unghie mangiucchiate e coperte dallo smalto nero scheggiato. Mi lasciai sfuggire un sospiro tremante e deglutii provando a calmarmi.
Avvertii una presenza subito dietro di me, ma non avevo bisogno di voltarmi a controllare chi fosse. L’odore di Sean era molto riconoscibile, come quello di Adam. Non avrei potuto confonderlo con nessun’altro: cuoio, pioggia e qualcosa che mi ricordava l’aroma dei pini.
«Come ti senti?» Chiese con un tono così basso da sembrare il fruscio degli alberi.
Strinsi di nuovo i pugni. «Per adesso bene. Ma non credo che durerà.»
Rimase in silenzio per qualche secondo, il suo respiro regolare in contrasto con il mio, più veloce e spezzato. Con rumore quasi impercettibile, si spostò al mio fianco. Sembrava che stesse attento a non fare movimenti bruschi per non turbarmi.
«Posso?» Chiese facendo un cenno verso la mia mano.
Aggrottai la fronte, confusa da quella sua richiesta, ma scrollai comunque le spalle dandogli il via libera. Le sue dita scivolarono leggere intorno al mio polso e mi stupii di quanto riuscisse ad essere delicato: avevo visto i lividi che aveva lasciato ai cacciatori e anche ad Adam e non avevo neanche preso in considerazione l’esistenza di un suo lato gentile.
Studiò attentamente i miei artigli arrivando addirittura a sfiorarli. Non eravamo mai stati così vicini, in tutti i sensi: stavamo condividendo un momento piuttosto importante per i licantropi, il plenilunio, e c’era un ulteriore legame tra noi visto che era stato lui a trasformarmi.
Sempre con quell’attenzione inaspettata, Sean mi riportò la mano all’altezza del fianco. Le sue dita scivolarono via dalla mia pelle lasciandosi dietro una leggera sensazione di freddo.
«Sei piuttosto forte pur non avendo ricevuto nessun insegnamento.» Commentò.
«Sì?» Domandai chiudendo gli occhi e conficcando gli artigli di una mano nel tronco dell’albero a cui ero appoggiata.
«Sì, Scarlett. Posso insegnarti molto e credo che otterremo grandi risultati.» Confermò.
«Sei serio o lo dici solo per non farmi arrabbiare?» Chiesi con voce leggermente tremula.
«Sono serio.» Rispose. «E so riconoscere del potenziale quando lo vedo.»
«Mmh.» Commentai senza prestargli troppa attenzione. «Siamo qui perché io impari, no? Quindi che ne dici di darmi qualche consiglio da licantropo a licantropo?»
«Non combatterlo, peggiorerai solo le cose.» Replicò stupendomi. «La licantropia adesso fa parte di te, nonostante ti sia stata imposta. Per questo devi imparare a conviverci e ad usarla a tuo favore.»
Strinsi i denti mentre le prime fitte cominciavano a farsi sentire. «Okay, grazie per la lezione teorica. Che ne dici di qualcosa di più pratico?»
«Incanala la forza del lupo, falla diventare qualcosa che puoi sfruttare. Falla diventare tua. Tu e il lupo siete una cosa sola, ricordalo. La sua forza è anche la tua, sta’ a te decidere come usarla.» La sua voce era morbida, mi ricordava il fruscio del vento tra le foglie.
Affondai ancora di più gli artigli nel legno morbido. «Immagino che adesso tocchi a me, quindi.»
«Esatto.» Convenne.
Spalancai gli occhi di colpo e lo guardai. «Non credo di farcela. È… è difficile. Non ho mai fatto niente del genere.»
«Io sono qui per questo, per insegnarti come fare, ma dipende tutto da te.» Ribatté. «Puoi arrenderti e lasciare che il tuo lupo ti controlli, oppure puoi essere tu a dettare le regole.»
Annuii e trassi un respiro profondo. «D’accordo. Proviamoci.»
Fece un breve ed autorevole cenno d’assenso e indietreggiò di un paio di passi per lasciarmi un po’ d’aria. Mi costrinsi a mollare il povero albero che stavo torturando e strinsi i pugni con forza. Chiusi gli occhi per favorire la concentrazione, provai a regolarizzare il respiro e lasciai che il mio lupo si espandesse dentro di me. Era forte, ardente, molto volubile, e si agitava nel tentativo di prendere il controllo. Mi sembrava di avere fuoco liquido nelle vene.
La sua presenza rendeva tutto più chiaro e limpido: sentivo ogni fruscio e mormorio nel bosco, percepivo l’aria frizzante della notte sulla pelle del viso; se avessi sollevato le palpebre sarei riuscita a scorgere i dettagli dei rami e del sottobosco. Da una parte era un bel vantaggio, soprattutto se avessi deciso di darmi alla caccia a mani nude o qualcosa del genere.
«Quando imparerai a controllarlo sarà tutto più semplice. Forse arriverai addirittura ad apprezzarlo.» Commentò Sean studiandomi con attenzione.
Una scossa di dolore mi risalì le braccia quando conficcai gli artigli nei palmi delle mani per non perdere la lucidità. «Tu dici?»
«Non ti senti più forte? Improvvisamente consapevole di tutto?» Chiese con una certa enfasi nella voce. «Se tu fossi un umano faticheresti a sentire quello che dico, invece adesso capisci benissimo, vero?»
Dovetti ammettere che aveva ragione. Mi ritrovai ad annuire fissando gli alberi davanti a me. «Sì, ma mi sembra sempre che la mia testa sia sul punto di esplodere: è come se ci fossero due personalità distinte in lotta tra loro.»
«Perché continui ad opporti.» Replicò prima di sospirare. «Scarlett, non devi aver paura del tuo lato soprannaturale. La paura ti rende nervosa.»
Strinsi le labbra e, contemporaneamente, i pugni. «Io… non voglio perdere il controllo. È una cosa che odio perché vedo e sento quello che faccio, ma non posso fermarmi. Non voglio che succeda.»
Un leggero fruscio accompagnò il passo che fece verso di me. «Ti fermerò io se sarà necessario.»
Trassi un respiro tremante. «Puoi farlo davvero?»
«Ho qualche anno d’esperienza, sia con la luna piena sia con i giovani lupi.» Spiegò e fui quasi certa di aver percepito una punta d’orgoglio nella sua voce, che poi si addolcì quando aggiunse: «Davvero Scarlett, io sono qui per aiutarti. Avrei dovuto esserci fin dall’inizio, me ne rendo conto, ma adesso sono qui e non ti lascerò affrontare la luna piena da sola.»
Rimasi sorpresa dalla sue parole, ma soprattutto dal tono con cui le aveva pronunciate. «Okay.» Sussurrai con un fil di voce. «Quindi devo lasciarmi andare, abbracciare il mio lato soprannaturale?»
Annuì un’unica volta. «Esatto.»
Mi riempii i polmoni d’aria fresca e umida e spostai lo sguardo davanti a me. «Bene, facciamolo.»

Sean si spostò un attimo prima che lo infilzassi. Una piccola parte della mia mente, quella ancora lucida, si stupì di quanto fosse veloce. Il mio lupo interiore, invece, reagì irritandosi ancora di più e facendo nascere un ringhio nella mia gola.
Aveva preso completamente il controllo e io glielo avevo lasciato fare nella speranza di riuscire a renderlo parte di me più di quanto non fosse già. Solo che non era per niente semplice imbrigliarlo. E chi ne faceva le spese era Sean.
Schivava ogni mio goffo tentativo di colpirlo e non contrattaccava, si limitava a mantenere una distanza di sicurezza tra me e lui. Non aveva detto una parola, ma avevo visto i suoi occhi lampeggiare d’oro. Ansimavo mentre mi guardavo intorno cercando quello che al mio lupo sembrava una minaccia: un altro licantropo rapido e silenzioso che, almeno secondo lui, stava cercando di uccidermi. Avevo gli artigli sguainati e le zanne snudate, ero pronta ad un combattimento anche se non avevo la benché minima esperienza. 
Qualcuno, anche se non era difficile immaginare chi visto che eravamo solo in due, mi afferrò un braccio e me lo portò dietro la schiena prima di spingermi contro un albero. Mi lasciai sfuggire un gemito infastidito quando mi ritrovai premuta contro la dura corteccia di un abete che mi graffiò la guancia. Provai a divincolarmi, ancora una volta sotto l’influsso del mio lupo, ma la forza di Sean era molto superiore alla mia.
«Non ci stai provando veramente.» Mi ringhiò all’orecchio. «Lo vedo. Andiamo Scarlett, puoi fare di meglio.»
«È troppo forte!» Sbottai esasperata.
Rafforzò la presa, sentivo il suo respiro sul collo. «No, sei tu che gli permetti di essere troppo forte. Devi essere tu a guidarlo in modo che vada dove vuoi.»
Strinsi il pungo della mano libera. «Come?»
«Pensa a qualcosa che ti ha fatto sentire impotente, qualcosa che ti brucia ancora, e convoglia lì la tua forza, sia umana che animale.» Spiegò. «Una volta insieme puoi prendere il comando.»
«D’accordo, ma adesso mi serve un attimo di pausa. Per favore.» Replicai cercando di prendere aria.
Esitò per un attimo, combattuto, poi lo sentii sospirare. «Va bene. Insistere adesso non serve. Sei controllata?»
Mi trattenni all’ultimo momento dall’annuire per evitare di graffiarmi di nuovo. In realtà sarei guarita nel giro di un secondo, ma non mi andava di strofinarmi contro un albero. «Sì. Finché non torna un’altra fitta sì.»
Era così che al mio lupo piaceva presentarsi, con improvvise scosse di dolore, come se avesse voluto cambiarmi il corpo e trasformarlo in quello di un lupo vero e proprio. Chissà se era possibile… In fondo, le leggende parlavano di uomini per metà animali, con tanto di coda e pelliccia, che si muovevano a quattro zampe. Doveva essere piuttosto scomodo.
Sean allentò lentamente la presa sul mio braccio, attento al minimo segnale dall’allarme. Quando fu sicuro che non mi sarei ribellata per saltargli alla gola, mi lasciò definitivamente e fece qualche passo indietro. Mi voltai e appoggiai la schiena all’albero con un respiro tremante. Dopo un attimo, riuscii a metterlo a fuoco anche senza l’intervento poco discreto del mio lupo: si era tolto la giacca, lasciandola chissà dove, ed era rimasto in maglietta a maniche corte di un colore scuro che non riuscivo ad identificare e che si confondeva con il nero dei jeans.
I suoi capelli, di un biondo cenere, sembravano argentati alla luce soffusa della luna. Il suo viso era tutto un gioco di ombre tracciate dagli zigomi, dalle ciglia, dai rami degli abeti.
«Non sta andando bene, eh?» Chiesi abbassando lo sguardo.
Mi studiò per un attimo. «Hai ancora paura, e questo ti blocca. Una volta che l’avrai superato andrà meglio.»
Una parte di me voleva urlare che era un po’ impossibile non aver paura di trasformarsi in un mostro assassino, che eravamo in mezzo ad un bosco nel cuore della notte, che ero ad un passo da un esaurimento nervoso. L’altra parte, invece, pensò che, quando non aveva il suo solito cipiglio cupo, Sean era decisamente bello. 
«Comunque, è la prima volta quindi non puoi aspettarti chissà quale risultato.» Aggiunse come se quella pausa non ci fosse stata.
Annuii fissando un tronco caduto a pochi metri da noi. «Già.»
Un altro silenzio imbarazzante scese tra di noi. Non era vero e proprio silenzio, però, perché si sentivano i fruscii del vento e degli animaletti del bosco, il mio respiro irregolare e quello calmo di Sean, il battito del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie.
«Ti ho sentito parlare in francese un paio di volte.» Dissi all’improvviso. «O meglio, imprecare. Com’è che lo sai?»
Con quei capelli biondi e gli occhi chiari, Sean sembrava più nordico che del centro Europa. E poi, era piuttosto freddo a livello di carattere, non aveva niente a che fare con l’atteggiamento raffinato e un po’ snob che associavo ai francesi.
Sospirò, ma non capii perché. «Sono nato a Toronto.»
«Davvero?» Domandai ritrovando l’interesse. «E com’è?»
Aggrottò appena la fronte e spostò lo sguardo su qualcosa alla sua destra. «Tranquilla, grande ma non troppo caotica.»
«E il Canada?» Insistetti.
«Verde, piuttosto disabitato a dir la verità. Le città si concentrano a sud, a nord ci sono solo foreste.» Replicò.
Annuii e appoggiai meglio la schiena contro l’albero. «Toronto è una delle cento città che voglio visitare prima di morire.»
Qualcosa che sembrava l’accenno di un sorriso gli sfiorò le labbra illuminando per un attimo il suo viso in ombra. «Hai una lista?»
«Più o meno. Avevo cominciato a scriverla, ma poi l’ho persa insieme all’abbonamento dell’autobus.» Confessai stringendomi nelle spalle.
Scosse appena la testa e incrociò le braccia al petto facendo guizzare i muscoli. Non mi ero mai soffermata ad osservarlo e adesso che ne avevo l’occasione mi rendevo conto di quanto sembrasse giovane quando non era impegnato a chiudersi al resto del mondo. Venticinque anni? No, io gliene davo ventidue, forse venti quando sorrideva, cosa molto rara.
«Come sei finito a Seattle? È praticamente dall’altra parte del continente.» Commentai. «Non ti piaceva il Canada?»
Chinò appena la testa. «Provo sentimenti contrastanti per il Canada e per Toronto. E anche per Seattle. Ma da qualche parte dovevo stare.»
Fui sul punto di chiedergli da cosa derivassero, ma mi trattenni quando mi ricordai di Isaiah, il figlio di sua sorella, e di come era morto. E poi, l’espressione tormentata che riuscivo a scorgere sul suo viso mi fece demordere da qualunque indagine. Chissà cosa si nascondeva nel suo passato… Per essere arrivato a diventare così imperturbabile, freddo e cupo doveva essergli successo qualcosa di molto grosso. Anche il suo fisico rispecchiava quell'impressione: sembrava qualcuno che si aspettava un attacco da un momento all’altro, era slanciato, con muscoli asciutti e scattanti, abbastanza forte da neutralizzare un intero gruppo di cacciatori. In più controllava alla perfezione la sua licantropia.
Era un guerriero forgiato da un passato oscuro che si era adattato per riuscire a sopravvivere, anche se questo aveva significato rinunciare a delle parti di sé.
«Posso farti una domanda io?» Chiese rompendo l’ennesimo silenzio scomodo.
Mi stupii di quel piccolo atto di gentilezza: avrebbe potuto porre la sua domanda in modo diretto e senza scrupoli, invece si era trattenuto.
Annuii. «Sì, certo.»
Sollevò lo sguardo su di me studiandomi con aria critica. «Perché ho l’impressione che Adam sappia più di quanto dovrebbe riguardo la luna piena?»
Mi bloccai, sorpresa. Mi aveva messo all’angolo e non avevo vie d’uscita, se non la verità. «Perché sei troppo sospettoso…?»
«Scarlett.» Mi ammonì con un tono che non prometteva niente di buono.
Chinai la testa e diedi un calcio ad un rametto. «Potrei avergli… fatto scoprire qualcosa.»
«Immagino che tu non gliel’abbia spiegato, l’ha proprio visto, dico bene?» Indovinò lui inarcando un sopracciglio.
«Forse.» Risposi evasiva.
Sospirò. «Sai che vuol dire? Se fossi stata sotto il mio comando avrei dovuto punirti. Far partecipare un umano al plenilunio è… pericoloso oltre che deplorevole. È un momento importante per i licantropi, non devi prenderlo così alla leggera.»
Mi strinsi le braccia al petto sentendomi come una bambina di fronte ai rimproveri dei genitori. «Lo so…» Gli lanciai una timida occhiata. «Mi punirai?»
I suoi occhi verde-grigio erano impassibili. «No. Non ci sono stato per te e non ti ho insegnato niente quindi non ne ho il diritto.»
Inconsapevolmente, tirai un sospiro di sollievo. Lui si passò una mano tra i capelli e sospirò di nuovo, ma mi sembrò di vedere un po’ della sua tensione sciogliersi.
«Come è successo?» Domandò con voce calma. «Conosci i rischi del plenilunio, quindi perché l’hai coinvolto?»
Mi torturai le mani per tenermi impegnata e per sottrarmi al suo sguardo severo. «Beh… Non era programmato. È successo e basta. Stavo cercando un posto tranquillo, lui era nel cottage e… ci siamo incontrati.»
«E tu sei rimasta lì.» Concluse prima di voltarsi verso qualcosa alla sua destra.
«Già. Lo sai com’è lui, non ha voluto lasciarmi da sola.» Mormorai.
Sembrò incupirsi appena, ma fu solo per un attimo perché poi riportò tutta la sua attenzione su di me e mi parve di scorgere un accenno di sorriso sulle sue labbra. «Sta funzionando.»
«Cosa?» Chiesi confusa.
«Non te ne sei accorta? I tuoi occhi… brillano.» Spiegò. «Ma non come quando non hai il controllo del tuo lupo. Penso che tu l’abbia già fatto in passato, comandarli a tuo piacimento perché diventassero color oro, giusto?» Al mio cenno d’assenso aggiunse: «A quanto pare ho toccato un tasto delicato per te perché ho scatenato la reazione che volevo raggiungessi da sola. La tua forza umana e quella animale stanno cominciando a fondersi.»
Spalancai gli occhi, incredula. «Ci sto riuscendo sul serio?»
Il suo sorriso si fece più ampio. «Sì. Te l’avevo detto che non era impossibile. Adesso devi solo continuare a lavorarci.»
Nonostante il suo ottimismo, io ero ancora un po’ scettica. «Come posso farlo se neanche me ne accorgo quando succede?»
Nelle sue iridi passò un luccichio che definirei malizioso. «Forse ti serve un piccolo incentivo. Andiamo ragazzina, è ora di arrabbiarsi sul serio.»

Non so dire quante ore passai in balia del mio lupo. Probabilmente più di quanto non avessi mai fatto. Era una sensazione strana, come se di colpo tutte le barriere e i limiti morali fossero crollati lasciando il posto all’istinto più selvaggio e primordiale. Non sentivo nemmeno la stanchezza da quanto ero presa da quella strana frenesia provocata da mio lupo.
Al contrario di prima, anche Sean si era unito a me, ma era più sobrio: i suoi ringhi erano bassi, cupi e venivano dal profondo della gola, non come i miei più sguaiati ed esibizionisti. Lui mostrava di rado le zanne e si spostava sempre in modo da non essere sulla mia linea di tiro. Anche se cercava di mostrarsi impassibile, potrei giurare di aver colto l’ombra di un sorriso sfiorargli le labbra in più di un’occasione.
Mi ricordava continuamente di incanalare la forza del mio lupo insieme alla mia, di concentrarmi su quello e, nello stesso tempo, di pensare che se ci fossi riuscita sarei stata più difficile da ferire, da sopraffare.
Quando le prime luci dell’alba cominciarono a schiarire il cielo tingendolo di rosa, mi accasciai conto un albero ansimando. Chiusi gli occhi mentre mi sforzavo di riprendere fiato. Imprecai tra i denti stringendo e rilasciando i pugni. Dopo qualche secondo, mi decisi a sollevare le palpebre.
Sean era in piedi davanti a me e si stava infilando la giacca da aviatore. Mi si avvicinò e mi tese una mano inclinando appena la testa di lato. La presi e lui mi aiutò ad alzarmi. Il problema sorse subito dopo, quando sentii le gambe cedermi. Mi immaginavo già distesa scompostamente sul morbido terreno coperto di muschio, quando Sean mi afferrò al volo. Ringraziai mentalmente i suoi riflessi così pronti.
«Come ti senti?» Chiese osservandomi preoccupato.
«Stanca.» Ammisi. «Ma credo di farcela.»
I suoi occhi erano resi più luminosi dai primi raggi del sole. «Sicura?»
«Sì, certo.» Sorrisi nel tentativo di sdrammatizzare. «Insomma, ormai sono un tutt’uno con il mio lupo, non ho bisogno di un cavaliere.»
Inarcò un sopracciglio e scosse appena la testa. «Come vuoi.»
Sciolse quello strano abbraccio facendo un passo indietro senza togliermi gli occhi di dosso come per assicurarsi che non avessi un altro incontro ravvicinato con il sottobosco. Mi strinsi nel giubbotto reprimendo un brivido e mi stiracchiai, assonata.
«D’accordo ragazzina, andiamo prima che ti addormenti.» Borbottò con un mezzo sorriso.
Scacciai quella possibilità con un gesto vago della mano anche se in realtà ero piuttosto sicura che sarebbe potuto succedere. Ci incamminammo fianco a fianco e, per una volta, lui mantenne il mio passo.

Durante l’ora che impiegammo per raggiungere il cottage cercai di scucire a Sean quante più informazioni possibili sul suo passato tentando di farlo sembrare il meno possibile un terzo grado. Buttavo lì qualche informazione su di me e poi gli chiedevo se anche lui aveva avuto esperienze simili. Le uniche risposte che ottenni furono monosillabi e occhiate sospettose che poi divennero d’ammonimento quando la sua pazienza si avvicinò al limite.
«È la stanchezza che ti fa parlare a raffica o è proprio una cosa tua?» Sbottò mentre entravamo nella radura dove si trovava la casa.
Arricciai le labbra in una smorfia mentre mi sfilavo l’ennesimo rametto dai capelli. «Sinceramente? Dovresti chiedere ad Elisabeth, lei…»
Mi interruppi bruscamente quando lui si fermò di botto e tese un braccio verso di me come a volermi fermare. All’improvviso, tutto il suo corpo era entrato in tensione, una molla che viene caricata. Scandagliò il bosco intorno a noi, gli occhi verdi attenti ad ogni minimo dettaglio.
Non osavo fiatare, soprattutto perché anche il mio lupo si era agitato, come in risposta a quello del mio Alfa, che se ne stava lì, appena sotto la superficie, pronto ad emergere se fosse stato necessario.
«Cacciatori» Sussurrò Sean, la voce bassa, quasi inudibile, ma comunque tagliente.
Dovetti mordermi la lingua per non emettere un acuto “cosa?” che con ogni probabilità avrebbe attirato attenzioni indesiderate. Lui mi fece cenno di seguirlo prima di muoversi verso il cottage nel più completo silenzio. Gli andai dietro fiutando l’aria in cerca di quello che l’aveva fatto scattare sull’attenti: se i cacciatori ci avessero teso un altro attacco volevo essere in grado di accorgermene. Individuai l’odore di metallo, polvere e una nota aspra che mi venne spontaneo associare all’argento.
Quando girammo l’angolo della casa percepii un ringhio basso e cupo prendere forma nella gola di Sean, il suo lupo che si faceva ancora più teso. Dovetti allungare il collo oltre le sue spalle ampie per capire il perché di quella reazione: Nathan se ne stava in piedi vicino alle scale che portavano al portico, le mani nelle tasche dei jeans, l’atteggiamento rilassato ma non troppo di chi sa essere letale e affabile allo stesso tempo.
«Resta dietro di me.» Mi sibilò Sean, la rabbia che gli venava la voce.
Rimasi perplessa di fronte a quella reazione. Era Nathan, non uno di quei fanatici dal grilletto facile, lui era diverso. Eppure Sean si comportava come se fosse una minaccia, qualcosa di micidiale e pericoloso.
Avanzò ancora, i passi silenziosi sul terreno coperto dal muschio morbido. Lo seguii con i battiti frenetici del mio cuore che mi rimbombavano nelle orecchie.
«Che ci fai qui, cacciatore?» Ringhiò Sean.
Nathan si voltò di scatto verso di noi, le sopracciglia chiare inarcate in un’espressione di sorpresa. «Cercavo voi.» Spostò lo sguardo su di me e mi rivolse un sorrisetto. «Direi che vi ho trovati.»
Sean raddrizzò le spalle e lo scrutò in silenzio per qualche secondo. «Sei da solo?»
Il ragazzo allargò le braccia mostrando le mani. «Sono solo io, sì. E no, non è un’imboscata.»
«Questo lascialo decidere a me.» Borbottò il mio Alfa senza accennare ad abbassare la guardia.
«Andiamo, pensi davvero che sia qui per uccidervi? Non sono neanche armato.» Replicò Nathan.
Sean inarcò un sopracciglio. «Sì, lo sei.»
Come per riflesso, lui si portò una mano dietro la schiena prima di rendersi conto dell’errore. Piegò le labbra in una smorfia lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. «Okay, sì, lo sono.»
Il licantropo sollevò il mento. «Cominciare con una bugia è il modo migliore per farsi ammazzare. E ancora non hai detto perché sei qui.»
In quel momento un’auto scura sbucò dal bosco e si fermò poco prima del cottage. L’attenzione di tutti si spostò sulla macchina e sul suo conducente. Quando lo sportello sul lato del guidatore si aprì e ne uscì Adam, Sean sembrò allentare appena la tensione. Era un alleato, non importava se fino a qualche ora prima a stento si rivolgevano la parola.
Nel più completo silenzio, Adam attraversò la radura e affiancò Sean. Anche se era del tutto fuori luogo considerato il nervosismo che riempiva l’aria, non riuscii a non sentirmi orgogliosa nel vedere loro due, così diversi eppure uniti nella stessa battaglia, fronteggiare insieme un pericolo. Che in realtà non era un pericolo, ma almeno li aveva fatti riappacificare, almeno per il momento.
Sean non fece domande sull’improvviso arrivo di Adam, né mostro sorpresa, si comportò come se fosse stato programmato. «Allora, cacciatore, vuoi dirci perché sei qui o no?»
Sotto il giubbotto, le spalle di Adam erano tese, ma il suo volto era perfettamente calmo. Avanzai in silenzio fino ad essere un passo dietro di lui e mi spostai un po’ di lato per avere una visuale migliore. Tra tutti, ero quella che tradiva di più l’agitazione.
Nathan sollevò appena un angolo della bocca annuendo una sola volta. «Ora che siamo al completo direi che posso anche svelare il mistero.» Rimase in silenzio per un attimo, forse aspettando una reazione da parte nostra. L’unica che ottenne fu un’occhiata spazientita da parte di Sean che lo spinse a continuare: «Ho un messaggio.» Disse quindi, la voce di colpo seria, quasi cupa. «Da parte di Colin.»




SPAZIO AUTRICE: Con un ritardo davvero vergognoso, finalmente riesco ad aggiornare. Mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto, purtroppo ho avuto una sorta di blocco dello scrittore riguardo a questa storia, ma credo che adesso sia passato.
In questo capitolo ho voluto dare più spazio alla licantropia di Scarlett e anche al rapporto tra lei e Sean. E' una delle relazioni che preferisco all'interno di UAPM perché mette insieme ad una persona chiusa e taciturna come Sean una ragazza curiosa e un po' confusionaria come Scarlett, mette in luce le loro differenze ma anche la loro volontà di far funzionare questo branco molto particolare.
Poi abbiamo Nathan, un cacciatore che sembra essersi convertito, ma è davvero così? E quale sarà il messaggio di Colin?
La smetto di farvi venire l'ansia e concludo augurandovi buon anno <3 (anche se un po' in ritardo...)

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