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Autore: Losiliel    05/01/2017    6 recensioni
Il salvataggio di Maedhros da parte di Fingon in chiave moderna.
Una Russingon modern-AU.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Celegorm, Curufin, Figli di Fëanor, Fingon, Maedhros
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'First Age Daydream'
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CAPITOLO 11

dove arriva un aiuto inaspettato

 

 

 

Scattò un allarme.

Fingon sentì i capelli che gli si rizzavano sulla nuca.

L’urlo della sirena proveniva dalla costruzione di centro: ecco il suo obiettivo.

Si era acquattato in attesa, dietro un bidone di metallo su cui era stampato il simbolo infiammabile, sperando che Maedhros fosse davvero alla fabbrica, che fosse vivo, che fosse in grado di dargli un segnale e, più di ogni altra cosa, che volesse farlo.

Ora che tutte le sue speranze si erano avverate, si sentiva elettrizzato, capace di affrontare qualunque cosa.

Cominciò a correre attorno all'edificio, mentre l'allarme incessante copriva il suono della canzone che lentamente finiva, guardando con attenzione le finestre buie. Ne cercava una che potesse dargli un indizio, come l'accendersi di una luce, o un movimento dietro i vetri.

All’improvviso tutto tacque: la musica giunta al suo termine, l'allarme disattivato. Ma Fingon era riuscito a cogliere un particolare: una finestra del quarto piano, sul lato ovest dell'edificio, col vetro infranto.

Sorrise, come sorrideva quando, affrontando una nuova parete, riusciva a individuare il percorso che l’avrebbe condotto alla cima. 

Si portò in corrispondenza della finestra, puntò la torcia contro l’edificio e valutò il muro con occhio esperto. L'intonaco era in pezzi, scrostato in più punti, a tratti interrotto da fori di aerazione. Le tubature del gas correvano esterne.

Un gioco da ragazzi.

Fingon si sistemò lo zaino sulle spalle, fece schioccare le dita e cominciò l'arrampicata più importante della sua vita.

Non pensava a cosa avrebbe trovato, non sperava di riuscire nell'impresa, non temeva l'insuccesso. Era concentrato solo sull'atto in sé, e su quella finestra dal vetro infranto che si faceva sempre più vicina.

Ad un tratto la vide illuminarsi e, nel silenzio che ora regnava assoluto, gli sembrò di percepire una voce che parlava concitata.

Un piede dopo l'altro, una mano dopo l’altra, teso allo spasimo non per la fatica ma per la paura di arrivare troppo tardi, raggiunse la finestra, che, da vicino, si rivelò essere una di quelle a ribalta, larga e bassa.

Il vetro era oscurato dalla sporcizia che si era accumulata in anni di abbandono, ma più o meno nel centro c'era il foro irregolare che aveva suscitato i suoi sospetti. Fingon si issò sullo stretto davanzale e guardò dentro la breccia.

Sulle prime vide, nel centro di una stanza di piccole dimensioni, la sagoma di una persona snella che parlava al cellulare presso una scrivania. La sua voce era tagliente, ma non troppo allarmata.

– Vieni subito. La situazione sembra sotto controllo, ma dev'esserci qualcosa in corso. Ha cercato di lanciare un segnale.

E ancora: – No, non preoccuparti, è vivo.

Infine, con un tono un po’ spazientito: – Sì, sì... sarà vivo anche al tuo arrivo. Tu sbrigati, temo che ci sia qualcuno qui fuori.

L'uomo interruppe la comunicazione e iniziò a girarsi verso la finestra, ma una voce lo fece desistere.

Fu allora che Fingon lo vide.

Maedhros.

Addossato alla parete adiacente a quella della finestra, in piedi a stento, un braccio vincolato a una specie di termosifone, l'altro piegato, con la mano che si premeva il collo.

Fingon soffocò un grido. C'era sangue da tutte le parti! Sul suo viso, sul collo, sulla camicia, sul pavimento!

Per un istante gli sembrò che l’amico guardasse verso di lui, poi lo vide rivolgersi all'uomo col cellulare.

– Penso che accetterò di parlare – disse Maedhros, con una voce appena percettibile.

– Penso che tu non sappia mentire – rispose l'altro, infilandosi il telefono in tasca, ma si diresse comunque nella sua direzione. – Anzi, penso che sia ora che tu mi dica cosa sta succedendo.

E con un calcio colpì le caviglie di Maedhros e lo fece crollare al suolo, poi si chinò su di lui.

Fingon colse l'attimo: si agganciò alla cornice superiore della finestra e la sfondò con un calcio. Frammenti di vetro gli lacerarono i pantaloni della tuta, e lo ferirono alle gambe. Non ebbe il tempo di preoccuparsene.

L’uomo portò una mano al petto, sotto la giacca, e tentò di voltarsi, ma Maedhros lo afferrò col braccio libero e ne rallentò il movimento.

Fingon gli si gettò addosso dall'alto e lo trascinò a terra con sé. L’uomo riuscì a estrarre la pistola dalla fondina ascellare, ma lui fu più veloce e gli afferrò il polso. Strinse.

Strinse con tutta la forza che gli permetteva di stare appeso a dieci metri da terra con una mano sola, strinse con le sue dita d’acciaio allenate da sempre. Batté il polso contro il pavimento e l'altro cedette e mollò l'arma. 

Gli salì cavalcioni e lo bloccò a terra con tutto il suo peso. Lanciò un’occhiata a Maedhros, ora accasciato al suolo, coperto di sangue, gli occhi spenti, il respiro che arrancava.

Una rabbia mai provata lo accecò, e insieme un piacere perverso nell'avere tra le mani il responsabile di tutta quella crudeltà. Per un attimo credette che l'avrebbe ucciso, che avrebbe afferrato quei capelli assurdi e avrebbe schiacciato la sua testa contro il pavimento. Poi sentì Maedhros che, in un sussurro spezzato, come fosse l'ultimo sforzo che poteva permettersi, pronunciò il suo nome.

– Fingon... 

Fingon tornò in sé, e sferrò alla mascella dell’uomo il pugno più forte che avesse mai tirato, lacerandosi le nocche e probabilmente incrinandosi qualche osso. L’altro picchiò la testa contro il pavimento e perse i sensi.

Ormai tornato, almeno in parte, in grado di ragionare, Fingon si sfilò lo zaino e ne estrasse la corda. Legò stretti i polsi e le caviglie della sua vittima, con la perizia di chi fa nodi da tutta una vita.

Si rimise lo zaino in spalla, allontanò con un calcio la pistola rimasta a terra e andò alla porta. La socchiuse e sbirciò fuori. Quando vide che dal corridoio non arrivava nessuno si precipitò da Maedhros.

– Ti porto via. Ci sono qui io, tutto andrà bene.

Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non prenderlo tra le braccia, per cercare di dare quanto più conforto poteva. E riceverne, perché si rendeva conto che anche lui stava per cedere, che non avrebbe retto ancora a lungo. Dannazione, era appena andato a tanto così dall’uccidere un uomo!

Lasciò l’amico a sé stesso per andare a frugare nelle tasche della sua vittima, che non aveva ancora ripreso i sensi. Trovò le chiavi delle manette e tornò a liberare il polso di Maedhros.

Ebbe la conferma di essere agli sgoccioli, perché gli tremavano le mani e numerosi tentativi andarono a vuoto prima che riuscisse a infilare la chiave. Sentì un rumore ai piani inferiori, come di un cancello che si apriva. Passi che salivano le scale. Numerosi.

Fece scattare la manetta e il braccio dell’amico ricadde lungo il suo corpo, come privo di vita. Maedhros gemette e sembrò recuperare un minimo di lucidità.

– Aspetta – sussurrò, mentre Fingon cercava il modo migliore per caricarselo addosso o per trascinarselo appresso senza fargli troppo male.

– Non c'è tempo, Mae, sta arrivando qualcuno...

– Aspetta, aspetta... devo dirti una cosa – insistette Maedhros, come se fosse questione di vita o di morte.

Lui lanciò un'occhiata all'uomo legato, che stava cominciando a riprendersi. – Dopo. Me la dici dopo.

– Non so se ci sarà un dopo – mormorò Maedhros, posando una mano sul suo polso. Una mano incrostata di sporcizia e di sangue, con alcune unghie spezzate.

Fingon sentì una stretta al cuore e lasciò perdere il tentativo di sollevarlo. Lo prese per le spalle e lo guardò in faccia. Doveva interrompere quel delirio, fargli capire che era fondamentale andarsene all’istante.

– Non ci sarà un dopo solo se resteremo qui a parlare invece di...

– Ti amo – lo interruppe Maedhros.

E lo guardava negli occhi.

– Non ho mai smesso per un solo minuto, dal giorno in cui ti ho preso per mano la prima volta. Perdonami. Perdonami per averti fatto credere il contrario.

Eccole lì. Le parole che aveva aspettato per anni. Per tutta la vita, gli sembrava.

Cosa avrebbe dovuto farsene, adesso?

Adesso che non c'era tempo per rispondere, nemmeno se avesse saputo cosa dire. 

Adesso che si sentivano passi che risalivano le scale di corsa.

Fingon si passò la manica sugli occhi, e cercò di mandar giù il nodo che gli serrava la gola. Si mise il braccio sinistro dell’amico sulle spalle e gli circondò la vita. Lo sollevò, sperando che riuscisse a reggersi in piedi col suo aiuto.

Maedhros barcollò all’inizio, poi riuscì a rimanere in equilibrio. Era più alto, ma Fingon lo superava di gran lunga in quanto a forza, e non ebbe difficoltà a sostenerlo.

Così allacciati l'uno all'altro, tornarono alla porta e uscirono nel corridoio. Il rumore proveniva dall’estremità di sinistra, non c'erano alternative sulla direzione da prendere. Fingon girò a destra e procedette il più velocemente possibile. Appena trovò una stanza vi si infilò, chiuse la porta dietro di sé e fece scattare la serratura. A giudicare dall’improvviso silenzio, i loro inseguitori avevano raggiunto il locale da cui erano usciti. Un grido di sorpresa, smorzato dalle pareti, gli confermò che avevano trovato il loro complice.

Presto sarebbero stati lì!

Fingon trovò l'interruttore e accese le luci. Si accorse con orrore che il pavimento era coperto di polvere e che loro avevano lasciato una traccia molto visibile. Guardò la stanza dove si trovavano. Doveva essere stata una sala riunioni, nel centro c'era un grande tavolo ovale, con molte sedie intorno, la parete di fondo era costituita da un’enorme vetrata.

Trascinando con sé Maedhros, che non aveva più parlato, come se avendo detto quello che doveva ora non gli importasse più di nulla, Fingon la raggiunse e vi si affacciò. Il vetro sporco e l'oscurità all'esterno rendevano la visuale difficile, ma lui riuscì a distinguere un panorama che dava su prati e colline che rilucevano spettrali alla luce della luna e, sotto di sé, le carcasse dei camion e il distributore di benzina che aveva intravisto quando era arrivato alla fabbrica.

I loro inseguitori erano nel corridoio ora, a giudicare dal rumore e dalle imprecazioni che si sentivano forti e chiare. Mancava poco perché venissero scoperti.

Fingon percorse la vetrata alla ricerca di una finestra, chiedendosi se sarebbe riuscito a calarsi tenendo l’amico sulle spalle.

Era appena arrivato all’amara conclusione che non c’erano vie d’uscita, quando una fiammata si alzò dalla pompa di benzina. 

Con la coda dell’occhio Fingon vide qualcuno a bordo di un inconfondibile scooter rosso acceso che si allontanava a tutto gas, poi, intuendo ciò che stava per accadere, si gettò a terra riparando Maedhros sotto il proprio corpo.

Un istante più tardi l’esplosione infranse la vetrata.

Grida nel corridoio e passi che, questa volta, si allontanavano dalla loro porta. 

Fingon non attese oltre, e appena i rumori si affievolirono portò fuori l’amico. Trovò il vano scale, si precipitò giù un piano dopo l'altro e raggiunse un’uscita. Dava sull’edificio di sinistra. Da lì si riusciva a scorgere soltanto il riverbero rossastro dell’incendio e un gruppetto di quattro o cinque persone che si precipitava in quella direzione.

Un diversivo.

Quel bastardo di Curufin, pensò Fingon, ma un sorriso gli increspò le labbra. “Conto su di te, Nolofinwion”, aveva detto. Mai una volta che raccontasse tutta la verità!

Fingon corse, con Maedhros per metà caricato sulle spalle quasi sollevato da terra, aggirò l’edificio e arrivò alla sua macchina. Era come l’aveva lasciata, con le portiere ancora aperte. Adagiò Maedhros sul sedile del passeggero, gli allacciò la cintura e chiuse la porta, poi girò attorno all’auto, chiudendo al volo il bagagliaio, e si mise alla guida. Sgommò nella notte, a fari spenti.

Li riaccese solo quando imboccarono la superstrada. Giunti in città si infilò nel primo vicolo buio e spense il motore. Non sembrava fossero stati inseguiti, ma non si poteva mai sapere.

Azionò la luce dell'abitacolo e guardò l’amico. Sembrava privo di sensi. Gli mise una mano sul collo a cercare il battito. Debole, ma presente. Fingon ricominciò a respirare. Prese la bottiglietta d'acqua e ne versò un goccio sulle sue labbra secche.

Maedhros aprì gli occhi.

– Mae – disse Fingon con voce roca, – resisti, adesso andiamo in ospedale, ce la farai.

– No – sussurrò l’altro, – adesso andiamo a recuperare l'hard-disk.

 

 

 

___________

Note

Appuntamento a mercoledì prossimo, 11 gennaio!

  
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