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Autore: Sharon_SassyVampire    07/01/2017    5 recensioni
Priest!Gerard
UniversityStudent!Frank
«Teneva entrambe le mani del ragazzo nelle sue, accarezzandole delicatamente e con fare premuroso.
Frank guardò il dipinto sopra di loro, e credette di vedere una dolce compassione anche nello sguardo delle Vergine.
Una parte di lui sperava che Lei stesse cercando di dirgli, tramite quei Suoi misericordiosi occhi pennellati, che non c’era nulla di sbagliato nel suo amore.
Gerard, invece, ammirava ancora le sue mani e giocava con le dita intorno ad esse, e tutto quel doloroso peso, che si era trascinato fin lì, sembrava sciogliersi ad ogni carezza.
Frank aveva da sempre notato, talvolta con una certa punta di gelosia, quanto al sacerdote piacesse avere le mani altrui tra le sue, stringerle, punzecchiarle, torturarle.
Mikey non riusciva proprio a sopportarlo e si lamentava di quanto, sin da piccoli, sentisse questa necessità di prendergli le mani ogni volta che doveva dirgli qualcosa.
Quello che invece non sapeva, era quanto il sacerdote amasse custodire le sue, quanto ci indugiasse, quanto avesse il bisogno di insistere su ogni singolo solco e per ogni avvallamento delle dita, e non per semplice abitudine o fissazione.
Guardò ancora la Vergine dipinta.»
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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2. Our Lady of Sorrows
 
Ogni affresco dava l’impressione di inseguirli, con i loro volti alti e intoccabili, incorniciati da tutte quelle insegne in latino che ricordavano a Frank gli anni del liceo e delle versioni copiate all’ultimo minuto.
Camminavano mano nella mano lentamente, e il ragazzo si lasciava guidare dalla presa delicata e calda di Gerard lungo la navata.
Lo condusse in una delle cappelline laterali, quella dove c’era uno dei quadri preferiti di Frank e nella quale, di tanto in tanto, amava rifugiarsi quando era un po’ giù o quando in Chiesa non c’era più nessuno.
Era particolarmente affezionato, si potrebbe dire, a quel suo angolo, forse per caso, senza che vi fosse un motivo, forse perché fu lì che lui e il sacerdote ebbero per la prima volta una vera discussione, forse perché da quel ritratto riusciva a ricevere quella comprensione che non sembrava mai arrivare da nessuno.
Non che Frank volessi farsi comprendere o compatire, tuttavia.
Probabilmente erano quei toni tenui ma in qualche modo vividi, distesi sullo sfondo scuro e impenetrabile, per come Maria sembrava essere teneramente consolata da tutto il suo dolore, e da come, con le braccia spiegate simili ad ali d’angelo, lasciava che quelle sette spade le trapuntassero il cuore immacolato, guardando verso il cielo, verso Dio, con gli occhi dell’amore, così addolorati, così colmi di fede, così calmi.
Guardava però anche Frank, non avrebbe saputo spiegare come ciò fosse possibile, ma sapeva che poteva vederlo, e, soprattutto, poteva ascoltarlo, in ogni momento.
Anche Gerard amava quel quadro, e quante volte lo aveva ascoltato parlare lì sotto.
Sedendosi non aveva lasciato la sua mano, anzi, si affrettò a prendere possesso dell’altra, ammirandole entrambe.
Teneva entrambe le mani del ragazzo nelle sue, accarezzandole delicatamente e con fare premuroso.
Frank guardò il dipinto sopra di loro, e credette di vedere una dolce compassione anche nello sguardo delle Vergine.
Una parte di lui sperava che Lei stesse cercando di dirgli, tramite quei Suoi misericordiosi occhi pennellati, che non c’era nulla di sbagliato nel suo amore.
Gerard, invece, ammirava ancora le sue mani e giocava con le dita intorno ad esse, e tutto quel doloroso peso, che si era trascinato fin lì, sembrava sciogliersi ad ogni carezza.
Frank aveva da sempre notato, talvolta con una certa punta di gelosia, quanto al sacerdote piacesse avere le mani altrui tra le sue, stringerle, punzecchiarle, torturarle.
Mikey non riusciva proprio a sopportarlo e si lamentava di quanto, sin da piccoli, sentisse questa necessità di prendergli le mani ogni volta che doveva dirgli qualcosa.
Quello che invece non sapeva, era quanto il sacerdote amasse custodire le sue, quanto ci indugiasse, quanto avesse il bisogno di insistere su ogni singolo solco e per ogni avvallamento delle dita, e non per semplice abitudine o fissazione.
Guardò ancora la Vergine dipinta.
Aveva le braccia aperte e ancora quello sguardo intenerito.
Sembrava voler abbracciare entrambi.
Col capo reclinato leggermente all’indietro, guardando sia il Signore che Frank, sperò che stesse intercedendo per lui.
 
-“Frankie, ne abbiamo già parlato. Sai come la penso.”
 
-“Mmmh…”
 
“Mmmh cosa?”
 
-“Mmmh lo so!”
 
-“Qualcuno…ti ha detto qualcosa?”
 
-“…no.”
 
-“E allora? Si può sapere come ti sono venute in mente tutte queste stupidaggini all’improvviso?”
 
Gerard si sforzò di emettere una risata.
 
-“Non ne voglio parlare…per favore.”
 
Il parroco smise di accarezzargli le mani e le strinse fermamente.
 
-“No. Tu invece me ne devi parlare. Non ti puoi trattenere sempre tutto dentro, altrimenti…guarda cosa succede. Esplodi. E poi stai peggio. Dimmi, ti prego, dimmi cosa davvero ti fa stare così male. Dio ci ha creati per amare come Lui, e allo stesso modo in cui Lui ci ama tutti allo stesso modo e indistintamente, anche noi possiamo amare chiunque, senza alcuna distinzione…nemmeno di sesso.”
 
-“Dici così perché sono io. E perché sono tuo amico. E perché tu sei tu. Se fosse il caso di qualcun altro e ci fosse un altro prete al tuo posto, avrebbe già iniziato a fargli un sermone su come l’omosessualità sia contro natura, su come sia un male di Satana, e…non devo certo venire a spiegartelo io la posizione della Chiesa riguardo l’argomento gay, bisex, lesbo e quant’altro.”
 
-“Ma io non sono un altro prete e tu sei tu, e anche se fossi un altro ragazzo, ti direi esattamente la stessa cosa. Da quando poi queste storielle tratte fin troppo letteralmente da qualche passo sperduto nella Bibbia sono così importanti per te?”
 
Frank non rispose, spostò lo sguardo sulle loro mani unite e cominciò a sentirsi nervoso.
 
-“Frank…” fece un grande sospiro. “se non mi dici la verità, io non potrò fare nulla per aiutarti.”
 
-“Senti, possiamo lasciar perdere e basta? Non è niente, mi passerà, non è qualcosa a cui do importanza come hai appena detto, mi sono soltanto fatto prendere dalla soggezione per qualche strano motivo.”
 
Gerard riprese lentamente a passare le dita sulle sue mani, con la frotte aggrottata e un’espressione poco convinta ma rassegnata.
Sospirò ancora.
 
-“L’importante è che tu sappia che non c’è nulla di male nell’amore, in tutte le sue forme. Anche quello di Mikey per la sua chitarra.” rise un po’ un’altra volta. “…e che assolutamente, in nessun modo, quello che ho detto era riferito a te o anche solo potenzialmente riferibile a te.”
 
-“Ma che ne sai tu?”
 
Frank si tirò indietro di scatto, ritraendo le mani e stringendole entrambe in due pugni premuti contro il proprio petto.
Chi dei due ci fosse rimasto più male da quella reazione è impossibile dirlo.
Gerard sembrò sul punto di dire qualcosa per un paio di volte, ma finì  con l’abbassare lo sguardo e col flagellarsi il labbro.
 
-“Tu sei così perfetto e impeccabile e…e giusto. Sai sempre cosa fare…non sai come ci si sente a…non puoi capire.”
 
Riabbassò le mani e se le intrecciò tra le ginocchia, ma stavolta l’altro non osò sfiorarle.
Aveva tentato di rimediare al suo gesto di prima addolcendo il tono della voce e cercando di spiegare meglio cosa realmente intendesse con quella frase pronunciata così rudemente, ma il danno ormai era fatto.
Gerard sorrise appena, era più una piccola smorfia che un sorriso, e fu come se fosse tornato a sopportare il fardello di dolore sulle spalle.
 
-“Pensi che io sia perfetto, Frank?”
 
Arrossì talmente tanto da riuscir a seguire con il tatto della propria pelle la scia che il calore aveva percorso dal collo agli zigomi, e dovette guardare altrove per paura che la risposta gli si leggesse negli occhi.
Tornò speranzoso a cercare conforto tra le braccia spiegate della Vergine, mantenendo lo sguardo fisso su quel cuore trafitto nel trovare il coraggio di rispondere.
 
-“In un certo senso…”
 
-“Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima. Luca 2, 34-35…”
 
Fu allora che Frank si accorso che anche Gerard stava ammirando il dipinto.
La profezia di Simeone.
 
-“Sai Frankie, a volte si soffre, si soffre molto. Si può sempre scegliere nella vita, certo, ma qualsiasi scelta farai, porterà a del dolore prima o poi. Io…provo a fare ciò che sembra più giusto. E anche se spesso so che una spada mi trafiggerà l’anima…so anche che quel dolore è…necessario. Vedi, potrà anche sembrare che io non sbagli mai, o che sappia tutto, o che io sia tutto quello che vuoi…”
 
Rimase con la frase in bilico tra le labbra per un po’, sembrava voler trovare anche lui un po’ di calore e di comprensione da quella languida Madre intenerita.
Poi tornò a Frank, con un’espressione così seria e vulnerabile da far venir voglia di piangere al solo vederlo.
 
“ma anche io, quando sono solo e non è rimasto più nessuno all’infuori di me stesso, tante volte sento di essere nient’altro che un completo disastro. E mi vergogno soltanto al pensiero di mostrarmi a Dio.”
 
Frank ricambiò quello sguardo e, se possibile, parve quasi più serio e vulnerabile di Gerard.
 
“Tu non ti devi vergognare di nulla, Gerard.”
 
Lo prese per le mani lui ora, senza stringere, né accarezzare, le teneva soltanto protette nelle sue, quelle grandi mani che davano l’impressione di essere ancora più grandi così raccolte in quelle più minute di Frank.
 
-“Non è vero che non mi riferivo a nessuno prima, durante l’omelia. Sai?”
 
Fece un sorrisino dei suoi, tutto timido e storto.
 
-“A chi ti riferivi?”
 
-“Mi riferivo a me.”
 
Capovolse le loro dita per riprendere possesso delle mani di Frank.
Quanto amava giocherellarci, anche da neonato, gli raccontava sempre sua madre, aveva l’abitudine di afferrarle le dita, sempre.
Era un’abitudine che aveva preso piede durante la crescita, lo faceva sentire egoisticamente dominante e custode dell’altro, ma lo faceva con troppa tenerezza perché qualcuno se ne volesse lamentare.
 
-“è come ricordare anche a se stessi la strada giusta. Sono soltanto un uomo, anche un sacerdote, ma pur sempre un uomo. Ho tentazioni a cui resistere, posizioni da prendere, devo essere trasparente e chiaro e in grado di aiutare più persone possibili, e per questo devo guidare me stesso per primo. Ed è…dura. A volte.”
 
-“Sei molto convincente quando parli, lo sai?”
 
-“Grazie.”
 
Ridacchiarono entrambi.
 
-“Scusami, Gee.”
 
-“Non ti preoccupare. Stai meglio ora?”
 
-“Sì.”
 
‡†‡
 
 
Per quanto odiasse impolverarsi e sporcarsi di robaccia densa e appiccicosa, fu più che felice di abbandonare per qualche ora lo studio e di infilarsi i primi vecchi stracci che aveva trovato nel cassetto degli indumenti per questo genere di cose.
Andò a piedi, per godersi un po’ l’aria di fine primavera, per rallegrarsi dei parchi sempre più affollati e di quei pochi alberi verdi della città.
Chissà se Mikey aveva la più pallida idea di quello che avrebbero dovuto fare.
L’oratorio non era lontanissimo da dove abitava, ma ci metteva sempre un po’ per arrivare, forse perché se la prendeva comoda quando andava a piedi, forse perché, anche se non lo avrebbe mai ammesso, perdeva ancora tempo a fingere di essere inseguito, per quei vicoli intrecciati, da un cecchino pronto ad ucciderlo e a rubargli l’importantissimo segreto di Stato che custodiva nella tasca interna dell’impermeabile.
Impermeabile che non aveva mai avuto, ma questo era poco importante per il suo pedinatore, che continuava a seguirlo dalla quarta elementare senza mai riuscire a sparargli.
Entrando fu leggermente dispiaciuto di dover dire ai ragazzi di non poter giocare con loro.
 
-“Devo aiutare Mikey e Bob, mi dispiace.”
 
Sospirò esageratamente prendendo le scale, come giustificandosi ancora e come fingendo che anche lui non sarebbe voluto andare, ma poco dopo cominciò a salire facendo due scale per volta e quasi correndo.
 
“Ciao brutti stronzi.”
 
Mikey era già imbrattato di azzurro senza che nemmeno avessero cominciato a dipingere e stava manovrando confusamente con due pennelli insieme, mentre Bob era impegnato ad assicurarsi che il pavimento fosse ben tappezzato di giornali e i mobili ben coperti dai teli che vi avevano posto sopra ad impedire che la vernice vi gocciolasse per sbaglio.
 
-“Ciao nano.”
 
Dissero pressappoco all’unisono.
 
“Calmi qua, solo io posso chiamarlo nano.”
 
Gerard sbucò dal ripostiglio spalancando la porta con la gamba e tenendo un enorme scatolone in braccio come se fosse stato fatto d’oro.
 
-“Perché sei ancora più brutto e ancora più stronzo.”
 
Frank si avvicinò ad aiutarlo con lo scatolone e una volta poggiato a terra vide che esso era pieno di tubetti di vernice di ogni colore possibile e di pennelli di tutte le misure esistenti probabilmente.
 
-“Non pensavo ci fossi anche tu.”
 
Disse sempre rivolto al sacerdote e parlando come se la cosa in fondo gli fosse indifferente.
 
-“Mi sono liberato all’ultimo. Che c’è non mi ci vuoi?”
 
Fece una di quelle smorfie serie che talvolta sembravano vere, con le mani sui fianchi e del tutto immobile aspettando la risposta di Frank.
 
-“Eeeeh mi adeguerò, Padre.”
 
Risero un po’ e a Frank sembrò improvvisamente che la giornata fosse un po’ più tiepida, il sole un po’ più luminoso e l’aria un po’ più profumata, e respirò tutto allegro a pieni polmoni cominciando a canticchiare, anche se l’unico sentore che riuscì a inalare fu quello chimico e nocivo della vernice.
Gerard non indossava i suoi usuali pantaloni e camicia neri, né tanto meno il collarino quindi, ma un paio di jeans logori che rimandavano a qualcosa di grunge e una maglia sul verde scuro che più volte in passato aveva visto addosso a Mikey, un verde che combaciava col colore dei suoi occhi e che difatti spingevano tutta l’attenzione su di essi.
Era bello, pensò Frank.
Bellissimo.
Sembrava un qualsiasi ragazzo in jeans e maglietta insieme ai suoi amici, con i capelli scompigliati come al solito che vestito in quel modo lo facevano sembrare uno di quei poeti maledetti da ventunesimo secolo, ribelle e forse un po’ anarchico, nessuno avrebbe mai detto che invece fosse un sacerdote.
Ma un ragazzo qualsiasi d’altronde non lo sarebbe sembrato comunque, perché Gerard, qualunque cosa fosse stato, sarebbe stato sempre unico.
Lo vide prendere la scala e salirvi per avere una panoramica della stanza, come se fosse immensa e dagli orizzonti incerti, col viso in alto e lo sguardo curioso, per poi scendere poco dopo e prendere uno dei pennelli più grandi.
 
†‡†
 
-“Frank, hai presente quella ragazza con cui mi sto sentendo?”
 
-“Quella che mi sta sul cazzo?”
 
-“Sì, proprio quella.”
 
-“Mh, allora?”
 
-“Ha mandato il mio profilo facebook ad una sua amica per farle vedere le mie foto, e siccome in alcune mie foto ci sei anche tu, questa sua amica ha detto che sembri molto carino e che vorrebbe conoscerti.”
 
-“Ripeto. Mh, allora?”
 
-“Allora, ti sto chiedendo se potresti essere interessato a conoscerla.”
 
-“Nah.”
 
-“Ma non ti ho ancora nemmeno detto come si chiama!”
 
-“Ma non mi interessa.”
 
-“Ma che ne sai?”
 
-“Mikey. Mi stai davvero chiedendo di conoscere l’amica di una tipa che mi sta sul cazzo e con cui stai uscendo tu? Immagino che amiche ha.”
 
-“Beh…è carina.”
 
-“Non poi così tanto ad essere sinceri. E non cambia il fatto che mi sta sul cazzo.”
 
-“Non stavo parlando di Alicia. Intendevo l’amica: Jenny, Janet, Jamia…una cosa così. E Alicia è carina davvero.”
 
-“Come ti pare.”
 
-“Dai Frankie, per una sera, così. Una cosa tipo cinema e via.”
 
-“Mikey, sei veramente stressante. Ti ha detto che non gli va!”
Mikey smise per un attimo di spennellare la parete e si voltò con fare tra il finto offeso e il sarcastico.
 
-“Che c’è, temi che se Frankie trovi un po’ di passera smetterà di farti da chierichetto, Gerard?”
 
Gerard si voltò di scatto e schizzò col pennello impregnato di vernice in direzione di Mikey, compiacendosi con soddisfazione nel vedere di essere riuscito a colpirlo con qualche goccia.
 
-“Non essere volgare.”
 
Bob non aveva proferito parola ma aveva continuato nel suo lavoro senza smettere di ridacchiare tra se sé e Frank si limitò a sospirare e a scuotere la testa ridendo anche lui.
Povero ingenuo Mikey, pensò, altro che volgare.
 
-“Non te la prendere, è che non mi interessano flirt e…relazioni? Queste cose insomma.”
 
-“Potreste essere soltanto amici.”
 
Mikey fece spallucce ma in fondo sapeva che Frank non sarebbe mai uscito con quella ragazza.
 
-“Hai appena detto che lo trova molto carino e che vuole conoscerlo e pensi che lei voglia uscirci per fare la sua amichetta del cuore?”
 
-“Discutere di queste cose con uno che ha preso i voti è come parlare di bistecche con Frank mentre si mangia il suo hamburger vegano.”
 
Sì beccò altra vernice addosso da parte del fratello.
 
-“Oh sì, quanto vorrei un hamburger vegano in questo momento. Con tutte quella verdura, e quelle salsette a base di verdura, e l’impasto di legumi e patate lesse. Adoro.”
 
Mikey esagerò un brivido mentre Gerard sembrò pensarci su.
 
-“Non sono male effettivamente dopo tutto.”
 
Bob scosse la testa e finalmente disse la sua.
 
-“Voi siete tutti pazzi. Tutti e tre.”
 
Tornò il silenzio nella stanza e i ragazzi ripreso meticolosamente a dare pennellate di vernice azzurra sulle pareti.
 
-“Frank…”
 
Gerard non smise di fare quello che stava facendo, ma aveva assunto un’espressione seria e solenne.
 
-“Mh?”
 
Il prete, si girò, il pennello stretto nella mano abbandonata lungo il fianco.
 
-“È da un po’ che avrei voluto dirtelo e penso che ora sia arrivato il momento giusto. Mikey, Bob, voi sarete testimoni.”
 
Inspirò a fondo e cercò di rilassarsi.
Avanzò lentamente verso il ragazzo guardandolo negli occhi, intensamente.
Gli si mise in ginocchio davanti e, ovviamente, dovette prendergli una mano.
 
-“Frank. Vuoi essere il mio chierichetto per il resto della tua vita?”
 
Frank si portò una mano al cuore, sorpreso.
 
-“Oh, Gee. Non posso crederci. Non ci speravo più. Certo che sì.”
 
Gerard intinse la punta del dito nel secchio di vernice accanto alla gambe del ragazzo davanti a lui e disegnò quello che avrebbe dovuto essere un anello intorno all’anulare sinistro di Frank.
Mikey e Bob finsero di asciugarsi una lacrima.
 
-“È…è bellissimo.”
 
Si portò la mano davanti agli occhi e se la girò e rigirò mille volte ammirando, per così dire, l’anello.
 
-“oh, Mikey guarda. È stupendo.”
 
-“Ora siamo chierichettocognati Frankie, sono troppo emozionato.”
 
-“CHIERICHETTOCOGNATI! Questa era bella!”
 
Bob cominciò a ridere convulsamente e in poco tempo tutti quanti lo seguirono, con Gerard che si era lasciato andare per il troppo ridere, disteso sulla schiena sopra il pavimento tappezzato di giornali e Frank che non sapeva dove appoggiarsi per tenersi in piedi, rischiando un paio di volte di accasciarsi contro il muro fresco di vernice.
E gli sembrò ancora più bello, sdraiato a terra, felice, sporco di tintura azzurra un po’ ovunque, anche tra il buio disordinato dei capelli sparsi sulla carta stampata da giornale, e il sorriso così ampio da contenere tutto il cuore di Frank e oltre.
Lo guardò, con le iridi che brillavano per le risate anch’esse, ridotte a due fessure smeraldine che lo scrutavano dal basso.
Frank, gli sorrise, complice, e sorrideva solo per lui.
 
‡†‡
 
-“Ci si vede!”
 
-“Ciao ragazzi. Ehm, Gee, non dimenticarti di chiamare mamma stasera perché non ho voglia di ascoltare le sue paranoie su quanto tu non ti faccia mai sentire.”
 
-“Okay okay, ciao.”
 
La stanza, nonostante il grigio disordine di giornali accartocciati e mobili ammassati al centro, respirava già una nuova vita d’azzurro e celeste.
 
-“Non vieni via?”
 
Frank aspettò che l’altro rispondesse appoggiandosi all’arco della porta.
 
-“Uhm, sì. Sistemò un attimo lo scatolone.”
 
Risollevò il grande scatolone che Frank lo aveva visto portare fuori dallo sgabuzzino quando era appena arrivato.
Lo aiutò a sorreggerlo camminando a ritroso, temendo di inciampare nelle cianfrusaglie del ripostiglio.
 
-“Prima di rimettere a posto i mobili dovremmo dare una sistemata anche qua.”
 
-“È nella lista delle cose da fare.”
 
Più che dirlo, Gerard lo sbuffò.
Non era mai stato troppo incline all’ordine.
Una volta posto delicatamente a terra, uscirono e si chiusero la porta alle spalle.
 
-“Adesso mi spieghi perché l’hai voluto tirare fuori se tanto non avresti niente di quello che c’era dentro.”
 
Il sacerdote fece spallucce.
 
-“Mi piaceva averlo lì.”
 
Frank alzò lo sguardo al soffitto, sorridendo sotto i baffi.
Si guardò intorno e pensò che quello era proprio un bell’azzurro.
Era quel tipo di azzurro che faceva pensare sia al cielo che al mare, ma che avrebbe potuto benissimo far pensare a qualsiasi altra cosa meno scontata e meno banale.
Però a Frank faceva venire in mente quando da piccolo andava in spiaggia insieme a sua madre e facevano colazione insieme, in quel piccolo bar ristorante di legno bianco un po’ scrostato che era stato costruito simile ad una palafitta, solo che invece di emergere dall’acqua era sospeso sopra a degli scogli, a qualche metro dal mare.
Era molto tempo che non andavano più in vacanza.
Si concentrò poi sulla parete che era toccata a Gerard, una delle due più ampie, quella opposta alla portafinestra che dava sul terrazzo, che aveva voluto verniciare di una tonalità cerulea che sembrava essere stata privata della sua brillantezza dalle altre tre pareti.
Avevano passato un intero pomeriggio a spennellare e a ridere, finendo di ridipingere solo i muri, e forse se non avessero perso così tanto tempo in scherzi e battute avrebbero potuto fare molto altro.
A nessuno dei ragazzi sembrò importare comunque.
Gerard stava ammirando assorto proprio la sua parete, avvicinandosi e riallontanandosi con le braccia distese in avanti e le mani aperte.
 
-“Dai, Gee. Dimmi cosa vuoi farci.”
 
-“È una sorpresa.”
 
-“Per favore.”
 
Lo supplicò facendo il broncio.
-“Non saprei come spiegartelo a parole senza rovinare l’effetto finale.”
 
-“Ahah! Sapevo che era un disegno.”
 
-“Disegni.”
 
Rispose il prete con aria vaga e di chi sa un segreto.
 
-“Dimmi almeno di cosa.”
 
-“Na-ah. Lo vedrai quando l’avrò finito.”
 
-“Vuoi disegnare tutta la parete?”
 
-“Certo.”
 
-“Da solo?”
 
-“Esattamente.”
 
-“Ma io volevo aiutarti.”
 
-“Mmmh…”
 
-“Hai fatto già il disegno da qualche parte?”
 
-“Beh, sì.”
 
-“Allora fammi vedere quello, così resta lo stesso una sorpresa.”
 
-“Vuoi vederlo?”
 
-“Siiiiiii!”
 
Frank roteò gli occhi per l’ennesima volta e sorrise.
 
-“Vieni allora.”
 
†‡†
 
L’appartamento di Gerard vicino alla Chiesa poteva sembrare più un mercatino dell’usato a prima vista.
Per quanto Frank stesso fosse disordinato, mai avrebbe raggiunto tali livelli, e né avrebbe mai potuto conoscere qualcuno che vivesse in un disordine peggiore di quello.
Lo spazio era piuttosto ristretto di suo, giusto una piccola cucina, un salottino occupato quasi interamente da un unico divano, un bagno, e una camera da letto che in sostanza conteneva un altro appartamento al suo interno e dalla quale Gerard non usciva quasi mai una volta tornato a casa.
Se nelle altre stanze la confusione era stata contenuta dal limitato numero di oggetti in esse contenuti, lì ogni legge della fisica e ogni regola del bon ton casalingo avevano trovato la loro eccezione in natura.
Almeno quattro libri erano sempre abbandonati da qualche parte e lasciati aperti su qualche pagina in particolare, pronti ad essere presi e letti in ogni momento, il letto era perennemente sfatto e cosparso di altri libri ancora.
Sia Frank che Mikey erano certi che dormisse con essi e che li coccolasse pure durante la notte.
Nonostante il diffusore di olii essenziali che se ne stava esasperato sul mobile della libreria, l’odore era sempre quello caldo e accogliente di caffé espresso, per tutte quelle tazzine di plastica che giocavano a nascondino un po’ ovunque per la stanza e vecchie di circa due settimane, considerando poi che a cinque caffé al giorno, nei giorni in cui si dava una regolata, non glieli toglieva mai nessuno.
Aveva tra l’altro una passione per i taccuini, di tutti i tipi, e ogni tanto Frank ne vedeva uno nuovo appoggiato provvisoriamente, come diceva Gerard, da qualche parte.
Ne aveva uno in pelle preso alla visita ad un castello medievale, uno intagliato in legno della Mappa del Malandrino di Harry Potter, uno con il rivestimento rigido e dorato, fitto di incisioni di geroglifici, preso al museo egizio, uno con delle sagome in rilievo che gli era stato regalato da Mikey, uno preso ad Atene tutto contornato da ghirigori e con scritto “All I know is that I know nothing” e la faccia di Socrate disegnata, e  tanti altri di ogni tipo e colore, veramente troppi.
Senza che ci scrivesse nulla.
Erano troppo belli per poterli scribacchiare a caso qualsiasi cosa, voleva aspettare di avere qualcosa di davvero bello da poterci  scrivere.
Di grande importanza inoltre era il suo tavolo, quel tavolo, che già era considerato un mistero il come fosse riuscito a farlo passare per tutte le porte e il come avesse trovato lo spazio in quella minuscola camera.
Bianco, quadrato, un po’ traballante quando qualcuno ci si appoggiava, in effetti piuttosto piccolo come tavolo, ma dava l’illusione di essere parecchio più grande in mezzo a tutto quel pandemonio.
Gerard se ne era innamorato, diceva che finalmente avrebbe avuto un posto per fare tutto in camera, dove scrivere, disegnare, leggere, pensare, secondo Mikey ci ballava anche salendoci sopra.
Ci aveva messo una tovaglia blu con delle margherite disegnate che diceva di odiare e di voler cambiare, ma ancora non si decideva a prenderne una come la voleva lui.
Se lo aveva voluto portare lì a tutti i costi, regalandogli praticamente il poco spazio rimasto, e costringendolo a dover sfogare la sua dromomania* nel bagno e nella cucina, gli unici luoghi dell’appartamento che avevano ancora un po’ di spazio disponibile da concedergli per il suo andare vanti e indietro e che avevano una forma un po’ stretta e allungata, perfetta per passeggiare.
Ma a lui andava bene così, e aveva detto che era stato un compromesso necessario e che il suo tavolo ne valeva la pena.
Frank pensò scherzosamente che forse lasciava i libri sul letto perché ormai dormiva lì.
Servirebbe una settimana intera a descrivere accuratamente quella camera.
Sembrava impossibile come quel luogo riuscisse ad essere così caotico ma allo stesso tempo più o meno pulito e in qualche modo curato, se si escludono i cadaveri dissanguati di caffé delle tazzine di plastica e un po’ di polvere, che però Gerard non lasciava mai accumulare eccessivamente.
Spostava alla meno peggio le cose e puliva, e alla fine rimetteva tutto al suo solito posto, ogni volta un po’ più disordinatamente dell’altra.
Come detto, c’era comunque una meticolosa e affettuosa accortezza in quel posto tutto sottosopra, un suo ordine nel disordine.
Gerard aveva preso un raccoglitore che era stato lasciato ovviamente sopra l’amato tavolo, spostò un po’ di libri e si mise a sedere sul letto, facendo cenno a Frank di sedersi accanto a lui.
Non che ci fosse altro luogo in cui poter stare in quella stanza, eccetto la sedia che però era al momento occupata da alcuni volumi, stranamente.
Frank si scostò dall’entrata e si sedette.
Il letto, uno di quei lettini semplici accostati al muro, aveva le lenzuola e le coperte accartocciate a caso su un lato, e il ragazzo si trovò a doversi accomodare proprio sul coprimaterasso, da cui proveniva un intenso odore di Gerard, come condensato, che fece intrecciare lo stomaco di Frank e che lo fece inspirare profondamente più volte.
Si accorse di trovarsi dove il corpo del sacerdote si posava la notte, in mutande e maglietta, come lo aveva visto tutte le volte che erano andati a dormire fuori per qualche motivo e nello stesso modo in cui dormiva anche il fratello.
Pensò a quante volte quel letto avesse toccato quella pelle e, senza volerlo, rabbrividì.
 
 
*dromomania: tendenza nevrotica ossessiva a camminare senza una meta precisa.
 

Parte seconda del tuo regalo di compleanno Fantasmina♥
Okay, non ho nulla da aggiungere stranamente, quindi ciaooo e vi voglio bene.
I vostri giudizi sono sempre ben accetti ovviamente.♥♥♥
   
 
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