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Autore: Shiren    27/05/2009    1 recensioni
“Bastò un momento per capire che in tutta la mia vita mi ero sbagliata. Non so cosa me lo fece pensare, non so se furono i suoi occhi a farmelo capire, o semplicemente il modo in cui mi guardava; ma capii che non ero più sola. Che c’era davvero qualcuno – solo lui sulla faccia della terra, ne ero certa – che poteva comprendermi.” (Storia scritta grazie all’ispirazione di Twilight- Stephenie Meyer, lo specifico nel caso qualcuno trovasse similitudini. Tuttavia ho messo la storia in Originali perché personaggi, luoghi ecc., del libro non coincidono né compaiono.)
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SETTIMO CAPITOLO

DOLORE E PAURA





Adam
Dopo un’ora di discussione siamo ancora qui, chi seduto e chi in piedi, immobile come una statua, senza aver concluso nulla.
William che insiste sul fatto che la ragazza sappia qualcosa di troppo, io che non faccio altro che adirarmi sempre di più e gli altri due che non hanno un’idea che sia una. Il risultato è che siamo in assoluta parità come se fosse un gioco. Un spaventoso gioco di vite umane…
Quando è ora di cena, non per noi, ma per i mortali, Elizabeth si dirige verso la cucina e le sento dire che per qualche strano motivo abbiamo qualcosa di commestibile in casa, che non sia sangue.
Dall’odore che sento qualche minuto più tardi sembrerebbe carne, maiale o qualcosa di simile.
Il mio sguardo la segue e la vedo salire le scale con un vassoio tra le mani e William che scatta seguendola. ‘Adam stai qui’ la voce di Henry mi rimbomba nella testa ‘Non credo che Elizabeth gli permetta di farle qualcosa, stai calmo’.
Tuttavia non sono affatto calmo.
Per quanto nostra madre sia una vampira equilibrata e pacata, chiude sempre un occhio per il suo vero figlio, il suo unico vero figlio. Più vecchio di noi, ma troppo fanatico.
Continuo a camminare avanti e indietro, senza riuscire a darmi pace. Non capisco questa assurda sensazione di ansia che mi soffoca, come un peso nel petto che non mi da tregua.
“Mi stai innervosendo” bisbiglia Arthur con il tono irritato.
“Sono contento, almeno scaturisco qualche reazione” rispondo quasi con rabbia.
Ora sono fermo, immobile tra i due divani sui quali, uno opposto all’altro, siedono i miei fratelli. Ci guardiamo e tengono testa al mio sguardo per un po’ finché non vedo Arthur abbassare lo sguardo e Henry voltarsi verso la finestra.
“Dovresti andare a caccia, Adam”
Scossi la testa “Non ho fame”.
“Ti farebbe bene, ti rilasseresti un po’…”
“No, farei solo una strage di animali…”


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Mi risvegliai dolorante perché mi ero addormentata sul pavimento e in una posizione scomodissima. Pochi secondi dopo udii la maniglia abbassarsi e mi allontanai strisciando all’indietro.
Alzando gli occhi rividi il bellissimo volto della donna dagli occhi blu che avevo visto la notte prima. Dietro di lei William Chadwick e in un secondo le mie teorie divennero fatti: mi trovavo nella casa dei Chadwick, prigioniera per motivi che ancora non avevo compreso.
Lei teneva un vassoio tra le mani e piano piano si avvicinò per poi accucciarsi di fronte a me tenendomi il vassoio. Guardai e vidi un piatto con una bistecca fumante e delle posate che sembravano fatte di puro argento.
Mi guardò intensamente negli occhi inclinando appena la testa prima di rialzarsi.
“William andiamo”.
“Rimango ad aspettare che finisca” rispose lui a bassa voce, ma abbastanza perché lo sentissi.
Poi li vidi avvicinarsi e parlottare velocemente ma non riuscii a capire le loro parole.
Infine vidi lei uscire e il ragazzo biondo appoggiarsi al muro dopo aver chiuso la porta. Continuava a guardarmi e io, in soggezione, cominciai a mangiare, masticando lentamente e lanciandogli qualche occhiata di tanto in tanto, sperando che avrebbe spostato lo sguardo altrove, ma così no fu. Mi fissò per tutto il tempo che ci misi per mangiare fin quando non ebbi finito di deglutire anche l’ultimo boccone, poi parlò.
“Chi sei?”
Rimasi interdetta dalla domanda e aprii e chiusi la bocca un paio di volte prima di rispondere.
“Ginevra Cain” risposi con un filo di voce, non molto convinta che volesse sapere quello.
Alzò un sopracciglio poi mi si avvicinò e con una forza che non sembrava possedere mi tirò su di peso facendomi male alle braccia.
Le sue mani non smisero di tenermi, ma si spostarono sulle spalle con una presa incredibilmente stretta. Mi si avvicinò al viso e mi sussurrò: “Cosa ci facevi nel nostro giardino la notte scorsa?”
“Io…nel vostro giardino? Io pensavo fosse il parco della città, non sapevo che…” poi mi tappò la bocca.
Non so bene cosa accadde, ma feci un salto indietro spaventata. Nel suo sguardo c’era qualcosa che mi aveva terrorizzata, non so bene come definirlo, inoltre i suoi occhi avevano preso una sfumatura violacea che mi ricordarono fin troppo gli occhi delle due donne dalle quali mi aveva portato via Adam.
“Vuoi dirmi che tu non sai niente di niente di noi? Me e la mia famiglia?”
“So solo che site quattro fratelli, tu, Adam, Henry e Arthur e che tu sei l’unico figlio di vostra madre, gli altri ragazzi sono adottati…”
“E chi ti ha detto queste cose?”
“A scuola…una mia compagna di classe”
Mi prese un polso e mi trascinò dall’altra parte della stanza sbattendomi contro al muro, poi mi mise una mano al collo tenendomi inchiodata contro la parete. Ero rimasta senza fiato, respiravo faticosamente e mi faceva male la schiena per l’urto violento.
“Ti ripeto la domanda e spero per te che tu risponda la verità: chi sei e chi ti manda?”.
Capivo sempre meno e cominciavo a sospettare che la famiglia Chadwick fosse in qualche giro strano, e che avevano paura che qualcuno li spiasse.
“Ascolta…” cercai di dire, ma la sua mano mi impediva di parlare correttamente. Fortunatamente lo capì e mi liberò il collo da quella presa di ferro, afferrandomi di nuovo le spalle.
“Non ho la minima idea di cosa tu stia parlando…davvero…sono venuta con i miei genitori in questa città da poco…” non so come riuscii a parlare lucidamente nonostante la paura e il dolore che ormai mi scorreva in quasi tutto il corpo, ma terminai il discorso: “Non mi importa chi siete, cosa fate…sono una persona curiosa e non sapevo assolutamente che fosse il vostro giardino…mi dispiace…”
E quando finii di dire anche l’ultima parola udii una voce senza tempo, bellissima e familiare, che già una volta mi aveva portato via.
“William, adesso basta”.
Il giovane biondo si spostò e riuscii a vedere in volto il mio perenne salvatore. Adam. Tuttavia il suo sguardo era ancora peggio della notte precedente.
Mi guardava con rabbia, come se avessi commesso qualcosa di grave, rimanendo fermo sul posto, con il corpo rivolto verso il fratello e gli occhi puntati nei miei.
Qualche secondo dopo arrivarono gli altri componenti della famiglia e Adam tornò a posare lo sguardo sul fratello minore così come tutti gli altri.
“Deve sapere tutto ora” disse minaccioso.
“Cosa?! Sei impazzito per caso?” esclamò William avvicinandosi di un passo.
“No. Grazie alle tue manie, al tuo fanatismo hai accidentalmente detto troppo. Deve sapere”
“Adam aspetta…” si avvicinò Arthur.
“Ora basta! Sono stanco di aspettare e di voi due che non vi schierate da nessuna parte…io voglio dirle la verità” insisté Adam.
A quel punto Elizabeth gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, con amore, guardandolo con occhi pieni di affetto.
“Sai che non è possibile dire ad una…come lei, la verità. Saremmo obbligati a farla diventare…una di noi…oppure…”
“Ucciderla” terminò William.
Io spalancai gli occhi e rabbrividii quando udii un ringhio spaventoso provenire da Adam, che cercò di lanciarsi contro William, ma fu prontamente fermato da Henry.
“Calmati….Elizabeth, aiutalo”
La donna si avvicinò e gli prese il viso fra le mani. “Guardami, tesoro…” gli sussurrò. E in pochi attimi il suo corpo si rilassò e quando lei staccò le mani dal suo viso Adam la prese fra le braccia.
Io ero immobile nella mia posizione talmente spaventata da non riuscire nemmeno a piangere e fui contenta quando uscirono tutti da quella stanza lasciandomi sola…lontana da quella gente inquietante.
Tuttavia qualche minuto dopo la porta si aprì di nuovo ed entrò Adam, solo, ed io mi ritrassi ancora di più, ora spaventata anche da lui.
Tra le mani teneva una valigetta e quando mi si avvicinò e si sedette al mio fianco capii che era lì per medicarmi.
“Sei spaventata?” mi chiese. Era la prima volta che lo sentivo parlare rivolgendosi direttamente a me.
Dal mio canto, riuscii soltanto ad annuire. Lui sorrise, prima di guardarmi negli occhi con uno sguardo carico di tristezza.
Mi prese la mano e sentii le sue dita fredde, poi mi tamponò il taglio con qualcosa che bruciava un po’, ma non troppo.
“Immagino che tu sia confusa…anche” riprese, sempre guardandomi negli occhi.
“Abbastanza” riuscii a bisbigliare. La sua presenza era come un calmante. Nonostante la sua pelle così fredda per qualche strana ragione, mi infondeva un senso di calore unico e, anche se poco prima mi aveva terrorizzata, non riuscivo ad averne paura.
“Ora voltati, devo guardare la tua schiena”
Rimanemmo insieme per un tempo che mi parve infinito e io mi beavo delle sue carezze gelide sulla mia pelle graffiata e coperta di lividi.
Infine mi tese la mano e io l’afferrai alzandomi, ma, nel momento in cui sembravo stabile su entrambi i piedi, le ginocchia mi cedettero e Adam mi prese al volo prima che cadessi a terra, prendendomi in braccio.

  
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