MALATA D’AMORE
“La stagione dell’amore viene e va,
i desideri non invecchiano quasi mai con l’età.
Se penso a come ho speso male il mio tempo,
che non tornerà, non ritornerà più.
La stagione dell’amore viene e va,
all’improvviso senza accorgerti, la vivrai, ti sorprenderà.
Ne abbiamo avute di occasioni perdendole;
non rimpiangerle, non rimpiangerle mai.
Ancora un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore.
Nuove possibilità per conoscersi.
E gli orizzonti perduti non ritornano mai.
La stagione dell’amore tornerà
Con le paure e le scommesse, questa volta, quanto durerà…”
“La
stagione dell’amore”
di
Franco Battiato.
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È inutile mentire.
Penso questo, mentre guardo il fazzoletto
macchiato, stretto nella mia mano.
Sto male, sto davvero molto male.
Nonostante questo, devo assolvere con impegno uno
degli incarichi più importanti che abbia ricevuto in tutta la mia vita. Devo
proteggere i rappresentanti di questo paese, borghesi, nobili e clero che si
sono riuniti per discutere le sorti della Francia.
Penso di doverlo fare, è giusto. È un dovere e un
onore per me e per i miei soldati.
In realtà, il clero e l’aristocrazia a cui
appartengo anch’io, pensano solo a tutelare se stessi.
Sono giorni che si scontrano dentro questa sala di
Versailles e non arrivano a nessun accordo. Nessuno vuole perdere i suoi
privilegi acquisiti senza merito, ma unicamente per diritto di nascita e
mantenuti a scapito della povera gente, e io mi chiedo da qualche tempo, se non
sto difendendo le persone sbagliate; non sono più sicura di essere dalla parte
giusta.
È una mattinata limpida oggi. Non c’è una nuvola a
solcare questo cielo azzurro che quasi acceca.
Osservo dalla finestra del mio ufficio le manovre
che si svolgono sulla piazza. I soldati a cavallo disposti in file ordinate si
preparano ad affrontare l’ennesima dura giornata di servizio.
Indugio con lo sguardo sulle loro facce; ne cerco
una in particolare.
Vedo Alain che si aggiusta la visiera del cappello
e Gerard che sistema un bottone dell’uniforme.
I miei soldati sono stanchi. Anch’io continuo a
reggere a fatica. Il caldo arrivato dopo la pioggia è opprimente.
Nel momento in cui dovrei essere più forte, sono
estremamente debole, il mio corpo vacilla.
Spesso la febbre mi assale, tossisco
violentemente, mentre il mio corpo è attraversato da fitte dolorose, e sento
che sto peggiorando.
Lentamente, inesorabilmente.
Un giorno, davanti alla sala dell’assemblea, ne ho
avuto la conferma: un colpo di tosse sotto la pioggia e i miei guanti bianchi
si sono macchiati di sangue. Solo qualche traccia all’inizio, ma passano questi
giorni attraversati dalla pioggia e i miei polmoni bruciano sempre di più, il
sangue mi sale alla bocca, mentre cerco di nascondere a tutti, soprattutto a
lui, la verità.
Lui non deve sapere quanto sono malata. Sarebbe
l’ennesimo dolore che gli infliggo e non voglio che soffra ancora per me.
Rabbia e paura mi assalgono, e un orribile
sospetto a cui non voglio dare nome. Non riesco ad accettare che il mio corpo
mi tradisca in questo modo vergognoso; è stato temprato per resistere ad ogni
colpo possibile, e scopro che potrebbe cedere facilmente, schiantarsi da un
momento all’altro e ho paura di non essere in grado di reggere questa prova. E
non è solo la paura del dolore fisico; oh, quello potrei anche sopportarlo,
suppongo.
C’è anche il timore delle angosce inevitabili che
piombano su chi ti sta accanto e vive con te la tua agonia.
C’è la paura di restare sola ad affrontare tutto.
E mi accorgo che tutto diventa pesante, anche la cosa più banale.
La notte è anche peggio.
La notte non posso fingere; i miei pensieri più
cupi mi accompagnano, mentre mi addormento, s’insinuano nei miei sogni
trasformandoli in incubi e li ritrovo al risveglio.
Diciamola la verità: ho paura della morte, anche
se sono un soldato, anche se mi hanno insegnato a non temerla.
Mi hanno fatto credere che avrei potuto affrontare
il passaggio a testa alta, ho creduto in passato di poter arrivare qui armata
di coraggio ed esperienza, ma in realtà, scopro che non siamo mai abbastanza
preparati al nostro ultimo viaggio.
Non è vero niente di ciò che mi hanno insegnato.
Tutti gli uomini hanno paura della signora con la
falce. Ed ho ancor più paura delle mie colpe.
Ho paura del castigo di un Dio che ho sempre
pregato per i motivi sbagliati.
Per l’amore e la gloria di una regina che ha
dimenticato i doveri verso il suo popolo, che mi ha delusa e sento ogni giorno
sempre più distante e lontana; parla come non ha mai parlato ed è ostile verso
le istanze della gente che governa. È stata accolta dentro quella sala
nell’unico modo possibile, in un freddo silenzio maligno.
Un tempo sperai ingenuamente potesse diventare una
grande regina.
Credevo nel suo cuore generoso, ma si sta
dimostrando incapace di comprendere.
Ho chiesto a Dio un uomo che non potevo avere, in
cambio di un amore che ho respinto e negato fino all’inverosimile.
Forse è troppo tardi anche per chiedere perdono
almeno a lui.
È in questi momenti di sconforto che mi manca di
più la sua presenza.
Anni fa, quando mi capitava di stare male, lui
vegliava le mie notti, sincerandosi che al mattino la febbre mi avesse
abbandonata.
La sua presenza mi rassicurava, è sempre stato
così, fin da bambina. Se c’era lui, io ero al sicuro da qualsiasi male. Se c’era
lui, io non temevo nulla e nessuno, neppure mio padre. In passato mi capitava
di svegliarmi nel cuore della notte in preda alle mie ansie, allora andavo
nella sua stanza, lo svegliavo, obbligandolo a parlare con me, finché il sonno
non mi vinceva. E lui mi assecondava sempre, con infinita pazienza, anche se
era stanco.
Lui ha sempre fatto di tutto per me; ha
soddisfatto ogni mio capriccio, mi ha seguito in ogni dove, si è preso i miei
cazzotti, sopportato i miei silenzi e la mia malagrazia.
Tutta la vita così e non l’ho mai ripagato di
nulla.
Ora non dorme più nella mia casa, ma in caserma,
dentro una baracca fatiscente, umida e fredda.
E io non posso andare a svegliarlo. Non posso
buttarlo giù dalla branda come facevo da ragazza.
Si è arruolato nei Soldati della Guardia per
restarmi accanto, ma da quando è andato via, io mi sento più sola. Non ho mai
sentito la solitudine come ora, anzi non l’avevo mai sentita in passato perché
lui era con me.
Solo ora me ne rendo conto.
Mi torna in mente una frase che dissi molti anni
fa a Fersen, in risposta ad una sua domanda: gli
dissi che in tutta la mia vita, non mi ero mai sentita sola o a disagio per il
mio modo di vivere ed era vero, ma solo adesso ne capisco la ragione. Quella
ragione era André.
André, il mio bene più grande e prezioso, compreso
solo nel momento in cui ho rischiato di perderlo, da poco tempo ho scoperto in
me un amore profondo e immenso per lui.
Sono follemente e perdutamente innamorata del mio
vecchio amico d’infanzia e ciò mi stupisce e mi fa quasi sorridere.
E non si tratta di un sentimento appena sbocciato,
in realtà ha radici possenti ancorate alla mia anima da anni, non so neppure
dire quanti, perché se torno indietro nella memoria, non trovo il seme che le
ha generate.
Mi sorprendo a pensare che forse l’ho sempre
amato, a modo mio certamente, solo che l’abitudine ci addormenta e nasconde al
nostro cuore ciò che è ovvio. Forse lo amavo già allora, quando Fersen non era ancora entrato nei miei pensieri. Forse lo
amavo già, quando mi diceva senza mezzi termini quello che pensava, perché
riusciva a controllare i miei gesti impulsivi dettati dalla rabbia che mi
montava dentro nelle più svariate occasioni.
Adesso sono qui in piedi davanti alla finestra,
sola nella mia stanza; non ho neppure voglia di suonare il mio piano, chi mi
ascolterebbe? Una volta suonavo anche per lui, perché sapevo che ovunque fosse,
si fermava attento ad ascoltare le note della musica per ore. Sapevo che a
volte passava davanti alla mia porta e si bloccava in ascolto per lunghi
minuti; poi sentivo i suoi passi che si allontanavano, mentre tornava alle sue
mansioni.
E non sapevo quanto mi piaceva avvertire la sua
presenza nella mia vita.
Forte e discreta, ma comunque presente.
Osservo il cielo farsi cupo e vorrei che fosse già
mattino solo per rientrare in caserma, ma non per attaccamento al dovere.
In caserma c’è lui e io voglio stargli accanto più
che posso, perché il suo sguardo mi dà forza e coraggio.
Lo cerco in mezzo agli altri soldati e sono attimi
rubati in mezzo alle urla del mercato, durante l’adunata, o nel mio ufficio per
questioni di servizio.
Lo mando a chiamare più spesso di quanto sia
necessario; attendo impaziente che bussi alla porta e appena sento i suoi
colpi, il mio cuore sussulta e accelera per un istante. Oh, ma io sono brava e
mantengo il controllo, trattengo il respiro un secondo e mi rilasso lentamente,
mentre lui entra nella stanza.
Non si accorge di niente. Poi m’invento mille
espedienti per trattenerlo più del dovuto; faccio le domande più assurde, se ha
mangiato, chiedo se il rancio era abbondante, gli chiedo dei suoi compagni di
camerata di cui in realtà in quel momento non m’importa.
Tutto solo per lui, perché non si allontani da me
per troppo tempo.
La sera, alla fine della giornata, mi pesa tornare
nel mio grande e vuoto palazzo da sola.
Spesso devo combattere contro la tentazione di
mandarlo a chiamare per farlo venire a casa insieme a me, e poter fare la
strada insieme, come ai vecchi tempi, quando mi accompagnava a Versailles dalla
regina, a Parigi per bere in qualche locanda, o dovunque volessi andare. Sono
il suo comandante e basterebbe un mio ordine, un privilegio che potrei
concedermi senza dover dare spiegazioni a nessuno.
Un capriccio senza un perché.
Ho il potere per farlo, ma mi ostino a soffocare i
miei desideri. Come sempre.
In realtà sono cambiate troppe cose, io ho voluto
che cambiassero e lui mi ha assecondato.
Oggi che vorrei averlo più vicino, lo sento più
distante e sono stata io col mio atteggiamento testardo ad allontanarlo. E
fingo che non m’importi, ma la realtà è ben diversa.
E lui, per l’amore che mi porta, continua a
rispettare questa nuova barriera che si è creata tra noi.
In realtà vorrei solo essere dove c’è lui, fosse
in caserma o di ronda a Parigi. Ora vorrei abbattere tutto quello che ancora ci
tiene divisi. Dopo quella terribile notte in cui siamo stati attaccati a Sant Antoine, dalla folla che voleva le nostre vite, ho
paura anche solo di perderlo di vista. Come se la mia presenza bastasse a
scongiurare ogni pericolo, per lui. Eppure, in quell’occasione non riuscii a
proteggerlo e la folla me lo strappò dal fianco; quando nell’armeria fu
picchiato dai suoi compagni non ero lì a difenderlo. Adesso faccio sempre in
modo che sia con me, in qualunque circostanza e non m’importa se gli altri
soldati lo capiscono.
Non me ne curo, in fondo loro sanno che per molti
anni è stato il mio attendente, penseranno che è un’abitudine per me. Ma non è
più così.
Voglio solo stare vicino all’uomo che amo. È solo
questo; è soltanto amore.
Così semplice e così ovvio.
Così sconvolgente e così inebriante.
L’unico che potrebbe sospettare qualcosa è Alain e
forse non si tratta solo di sospetti.
Non è uno stupido ed è troppo furbo per non capire
la verità.
Io continuo a far finta di nulla, non mi sbilancio
mai e a volte mi odio per questo, perché non so sbloccare questa situazione che
porta entrambi alla deriva. Prego Dio di darmi coraggio per farlo, perché
l’unica cosa che vorrei davvero con tutta l’anima, è gettarmi tra le sue
braccia e gridargli che sì, aveva ragione lui; io sono una donna innamorata di
un uomo che mi ama ancora, tanto da frapporsi tra me e la spada di mio padre.
Già, mio padre…
Sì, in fondo, quella era l’unica reazione che
potevo aspettarmi da un uomo come lui.
Egli è così ancorato al suo mondo, che sarebbe
stato disposto a uccidermi, incapace di sopportare la vergogna della mia
scelta. Potevo accettare tranquillamente il suo castigo e dispiacermi solo di
essere la causa della sua morte; in fondo da mio padre ho sempre accettato
tutto, anche la vita che mi ha imposto.
Ma la cosa più bella che lui ha fatto per me è
stata quella di mettere quel bambino triste al mio fianco e vederlo
trasformarsi attraverso gli anni, nell’uomo meraviglioso che è oggi.
Quella sera, quando l’ho sentito confessare i suoi
sentimenti senza alcun timore, non so dire la gioia segreta che ha provato il
mio cuore. L’ho visto arrendersi al suo destino con calma e lucida rassegnazione,
posare la sua pistola ai piedi di mio padre, consegnargli la sua vita… per me.
Ero totalmente sopraffatta dall’emozione e terrorizzata all’idea che mio padre
potesse abbattere la sua spada su di lui. Se lo avesse fatto davvero, credo che
avrei potuto odiarlo, e allora, mai sarei riuscita a perdonarlo. Poteva
uccidermi, diseredarmi, togliermi tutto, ma non Andrè.
L’ammirazione sconfinata per le sue parole piene
d’orgoglio e forza, quella forza che veniva dalla verità del suo stesso
sentimento, assaliva il mio cuore.
Ho capito la sua grandezza in quel momento.
Davvero io non sapevo cosa fare; volevo farmi
avanti per proteggerlo, obbligarlo ad andare via, non potevo sopportare di
vederlo sacrificare sé stesso per questa donna che non sapeva dirgli quanto lo
amasse.
Cosa significa essere nobili? Cosa significa
rango?
Parole di cui mi sono sempre ornata e fatta scudo,
come fossero verità assolute ed esclusive riservate a pochi che si distinguono
dagli uomini comuni. Mi sono mai interrogata veramente su questo?
Non siamo tutti uguali, forse? Saperlo in teoria
non è come esserne consapevoli.
André me lo ha insegnato in quel preciso istante.
Lui è più nobile di me e io forse non merito di
essere amata così, ma sento che ne ho un estremo bisogno, come dell’aria che
respiro e se lui mi ama, il mio cuore batte più forte, mi sento viva.
Per un attimo, quella sera fui così presa dal mio
trasporto che mi venne la tentazione fortissima di confessargli tutto l’amore
che portavo segretamente nel cuore.
Ho esitato un attimo di troppo e il mio maledetto
coraggio è scivolato via insieme alle lacrime di mio padre, sollevato dal
perdono reale e felice di poter risparmiare la vita alla figlia traditrice.
Non avevo paura di morire per mano di mio padre,
anzi avrei preferito quella morte rapida al lento e umiliante deperimento del
mio corpo offeso dalla malattia.
Avevo tutto il coraggio che mi serviva per
affrontare la sua furia, ma nemmeno un’oncia ne era rimasta per parlare con
André.
E dopo, quando la burrasca si era placata, pur
volendolo, non ho saputo rispondere al suo richiamo d’amore. Un’altra magnifica
occasione sprecata.
******
La mia febbre continua a salire, giorno dopo
giorno.
Ugualmente in proporzione cresce la febbre dell’anima.
E se possibile, brucia ancora di più di quella del
corpo.
È come un fuoco inestinguibile e implacabile che
scalda e arde il mio spirito tormentato.
Non è solo la febbre della mia malattia a tenermi
sveglia la notte, è anche quella del mio desiderio.
Ne sono consumata, come la tosse consuma i miei
polmoni.
Sola nel mio letto, certe notti immagino le sue
mani grandi e calde che percorrono la pelle del mio corpo in punti
innominabili, lo vedo scivolare sopra di me, mentre mi scruta, e mi sfioro le
labbra con dita tremanti.
Lo chiamo nel buio della mia stanza nel silenzio
saturo delle mie grida trattenute.
Io voglio Andrè, è
inutile negarlo, non avrò pace finché non sarà così. E lo voglio tanto quanto
so che non ho più tempo, e quello che avevo l’ho già sprecato tutto.
Forse è un bene che lui non sia qui, perché non so
dove potrei arrivare. Immagino senza vergogna cosa potrei fare per averlo e so
che cederebbe.
Non ho mai avuto simili pensieri in passato
neppure per Fersen.
In questi momenti mi sento come un gatto che
attende la sua preda. Ma in realtà la preda sono io.
Sono vittima di questo dolce tormento e più ne
cerco più ne vorrei. Mi compiaccio e godo dei miei pensieri impudichi. Mi
basterebbe un gesto, il più semplice, sfiorare per caso il tessuto della sua
camicia che si apre sul suo petto e indugiare con le dita sulla sua pelle… oh
Dio, per fortuna che sono sola adesso, altrimenti un testimone ignaro vedrebbe
il rossore salire alle mie guance pallide, mentre i battiti del cuore accelerano
incontrollati.
Vorrei che lui avesse il coraggio che manca a me,
prego per quello a volte.
Ma so che non lo farà e i miei desideri restano
sogni.
Sogni che vorrei tradurre in realtà. Ma dove
trovare il coraggio?
Le mie emozioni sono così violente che non le so
gestire, e mi chiedo se lui abbia capito qualcosa, perché so quanto è capace di
leggermi dentro. Eppure so che non farà niente, non ne approfitterà mai.
Mentre penso a lui, ricomincio a sputare sangue,
allora mi assale la paura; ho orrore che lui possa vedermi star male, non
voglio assolutamente che mi veda così. Sarebbe come fargli del male per
l’ennesima volta.
Soffoco quasi nel tentativo di ricacciare indietro
il sangue. No, devo sopportare tutto da sola.
Anche ora che potrei sciogliere le mie lacrime sul
suo petto, e trovare conforto, consolazione e gioia nel donarmi a lui e farmi
scaldare dal suo amore, non oso farlo per paura di mostrare la mia fragilità.
Ma solo Dio sa quanto vorrei rompere le catene che
mi bloccano.
****
Non è più un sospetto, ma un’orribile certezza.
Ho rimandato il confronto con la verità finché ho
potuto, ma è inutile fingere che quello che mi sta accadendo non sia vero. I
miei sintomi sono inconfondibili. Una sera sono uscita dalla caserma, ma non ho
preso la direzione di casa. Ho bussato alla porta del buon vecchio medico che
mi conosce da una vita, che tante volte ha curato le mie ferite, che mi ha
sempre rimesso in piedi.
Non potrà farlo questa volta.
Il dottore ha confermato la mia malattia, la tisi.
Questo è il nome del terribile male, che entro sei
mesi mi separerà da questo mondo… e da te.
Il dottore dice che ho qualche speranza di
guarigione, ma dovrei abbandonare il servizio militare e tante altre cose.
Allontanare le emozioni… è una vita che lo faccio e sono stanca di soffocare me
stessa.
No dottore, non potrebbe esistere momento più
inadatto di questo, ora che tutti i cuori di Francia stanno esplodendo. Se devo
morire voglio vivere pienamente quello che mi resta.
Tu inizi a sospettare qualcosa e mi chiedi cosa ti
nascondo. Ti rispondo con una bugia.
E tu, perché mi hai ingannata per tanto tempo?
Tutto si sta spegnendo, anche la luce dei tuoi occhi.
Tenti di nascondere l’evidenza, ma il dottore mi
ha confermato anche questo; stai diventando cieco.
Non sai quanto dolore prova il mio cuore per te.
Oh, Andrè, quasi non riesci a vedere me.
Non te lo posso dire amore mio, non posso dirti
che sto morendo. Come potrei confessarti una cosa simile e sopportare
l’angoscia che leggerei nel tuo sguardo?
È per questo che ho deciso di posare per un
ritratto, in passato avevo sempre rifiutato quando era mio padre a chiedermelo,
mi sembrava uno spreco, un peccato di vanità che non poteva appartenermi, ma
ora voglio lasciare un ricordo per quando non ci sarò più.
E a te che cosa lascio?
L’ennesimo dolore, il più crudele, quello che non
avrei mai voluto darti. Eppure non dipende dalla mia volontà, perché io vorrei
vivere, ora più che mai, anche se tutto sta morendo attorno a me, oppure è già
morto.
Il figlio della regina, un bambino buono e dolce
che non vedrà mai sorgere questa nuova Francia di cui tutti parlano, la sorella
di Alain, la povera Diane si è tolta la vita per un uomo che ha preferito un
po’ di soldi a lei. Forse anche questo paese sta morendo, è agonizzante e
nessuno sembra in grado di salvarlo.
Aveva ragione Robespierre, anni fa, quando mi
disse la stessa cosa in una locanda di Arras. E io non avevo voluto credergli,
incapace come sempre di vedere le cose più ovvie. Incapace di vedere il tuo amore,
già allora.
Arras, i luoghi dove noi andavamo da ragazzi, dove
eravamo felici, e tu non avevi ancora scoperto il male che potevo farti. Vorrei
tornare laggiù con te e amarti e lasciarmi amare. Lo desidero dal profondo del
cuore, l’ultimo desiderio di un condannato a morte. Tu hai il potere di
esaudirlo.
Non voglio morire, ho troppe cose importanti da
fare, ho detto così al dottore.
Non posso morire senza averti detto che ti amo. È
l’unica cosa che mi rimane da fare, la cosa più importante. Cosa sono le mie
mansioni di comandante di fronte a questo? Assolutamente nulla.
Eppure mi sforzo di fare ancora il mio dovere, di
rispettare gli ordini, anche quando sono assurdi.
Fingo davanti ai soldati, fingo davanti a te, ma
ho ceduto davanti alle lacrime sincere del colonnello De Guye,
che ricordava l’agonia della moglie uccisa da questo male.
Così ti ho chiesto di venire a casa con me, perché
oggi non so ancora come, ti dirò quello che desidero dirti da tempo. Eppure tu
cerchi ancora di resistere al mio richiamo.
Non me lo aspettavo, ma lo capisco… ti ho già
respinto una volta e forse hai smesso di sperare che il mio cuore si ridesti
dal suo torpore.
Mi hai detto che preferisci restare con i tuoi
compagni… no Andrè, questa volta tu verrai con me.
Mi è bastato prendere le tue mani tra le mie e le
tue difese sono crollate, non hai opposto altra resistenza.
Oggi spezzerò le catene che mi bloccano e tu
aprirai per me le tue braccia.
Così è stato.
Niente poteva fermare il mio cuore irrefrenabile.
L’impulso ad averti mi ha guidata in qualche modo
misterioso e quasi incredibile.
Sola nella mia stanza pensavo a te. Non faccio
altro da un po’.
Ho pensato a tutta la nostra vita insieme, a come
avrei voluto che fosse, a come poteva essere e non è stata.
Ho cercato di pensare solo ai momenti lieti e
allora una strana leggerezza mi è entrata nel cuore; è incredibile come io
riesca ad essere felice solo pensandoti, come possa essere facile.
Sarebbe stato così sempre.
Mi sono messa a suonare il mio piano; volevo
attirarti e speravo ardentemente che tu venissi.
Hai ascoltato il suono dei miei pensieri; li hai
sentiti.
Un imperativo, come un incantesimo a cui neppure
tu potevi resistere, tu che hai resistito per una vita.
Sei venuto da me.
Eri perplesso; non sapevi esattamente perché ti
trovassi lì, nella mia stanza.
Ho smesso di suonare e mi sono alzata per
avvicinarmi a te.
Mi hai chiesto se avevo bisogno di qualcosa… solo
di te, amore mio.
Voglio essere tua, André. Voglio essere tua moglie
questa notte.
Te l’ho detto così, semplicemente.
Tu quasi non ci credevi, era l’ultima cosa che ti
saresti aspettato da me.
Non devi essere sorpreso, anima mia.
È un fatto che noi ci apparteniamo.
Da sempre.
Dalla prima ora del primo giorno; ci siamo
incontrati per questo.
Una verità assoluta sigillata dal destino, che ci
ha uniti dall’inizio, dal primo momento in cui i nostri sguardi di fanciulli si
sono incrociati e il nostro legame è diventato indissolubile. Chi poteva
spezzarlo?
Neppure il male che ci siamo fatti è riuscito in
questo.
In quello sguardo di tanto tempo fa, c’era già la
promessa del nostro amore. L’ho capito troppo tardi e ho lasciato passare gli
anni e le stagioni inutilmente, mentre inseguivo inutili chimere.
Ma oggi con audacia inaudita ti ho invitato nel
mio letto, mi sono data a te e tu hai preso tutto; pensieri, parole e sospiri.
Non so esattamente chi è questa donna che quasi non conosco, ma lei conosce te
e tu conosci lei.
Corpo e anima; solo nella tua io vedo me stessa
come in uno specchio, perché i nostri spiriti parlano la stessa lingua, hanno
saggiato lo stesso dolore e guariscono nella stessa gioia.
Questo, nessun altro l’ha mai vissuto, e capisco
che nessuno oltre noi poteva superarlo.
Solo tu, André.
Hai cancellato ogni mio imbarazzo, rispettato il
mio pudore e non so dire esattamente come tu ci sia riuscito. Quale strana
alchimia si è creata tra noi, io non saprei dirlo.
Era perfetto ogni gesto e ogni carezza, non
importa se lieve o deliziosamente peccaminosa, mi ha fatto desiderare di più.
Ho trovato la felicità completa sotto le tue dita
che entravano nelle mie pieghe più segrete, e mi sono sentita viva al fremito
del tuo desiderio.
Per la prima volta ho potuto sentire il tuo cuore
traboccare per la gioia che scoprivi tra le mie braccia e io ero felice di
quello che potevo darti e sarò felice di nuovo, in questa dolce notte.
Per la prima volta ho sentito la vita infusa nel
mio essere.
La gioia invadeva il mio cuore, tu invadevi il mio
corpo, schiavo del delirio dei sensi.
Ancora e ancora…
Mani nelle mani, dita intrecciate, braccia aperte,
arrese e quasi senza forza.
Le nostre bocche che si cercano… le tue labbra
sono come le immaginavo, febbricitanti e tenere coprono le mie.
Queste labbra che io conosco… anche il tuo corpo
lo conosco.
È forte e saldo e io mi aggrappo ad esso come ad
un appiglio sicuro.
E voglio questo delirio, sempre di più, è
l’annullamento d’ogni resistenza.
Cedo sempre di più e lo voglio. Come una lotta al
contrario.
E com’è bello arrendersi così… totalmente… e
affondare sotto l’onda che ti travolge e ti stronca le membra esauste. Come
potrei rinunciare a tutto questo ora?
Adesso capisco perché si dice che fare l’amore è
un po’ come morire.
E allora lasciatemi vivere finché potrò ancora,
così…
Da qui vedo la finestra aperta della mia stanza,
un alito di vento fa ondeggiare le tende, sembra che una mano invisibile le
sfiori; è l’aria della notte.
Tu riposi al mio fianco… perdonami se non ti
lascerò dormire…
Non lascerò finire questa notte.
Non lascerò finire questo amore.
Fuochi lontani come bagliori preannunciano la
tempesta, ma ora non mi fanno paura.
Verrà la nostra stagione… non so quanto durerà, ma
sarà bellissima, calda e travolgente come l’estate.
Tu non lo sai, ma forse il tuo amore mi guarirà…
voglio credere solo a questo.
Ora c’è silenzio, interrotto solo dal rumore dolce
del tuo respiro che accompagna il mio…
Ti sveglierò tra poco… sembra che tutto sia
scomparso.
Sembra tutto sospeso, in attesa; non so di cosa,
ma non m’ importa ora.
Noi stiamo vivendo adesso.
Non esiste il mondo fuori di qui, m’ illudo che
forse anche la morte ha perso il suo potere.
Non esiste niente tranne i nostri corpi nudi e
bianchi, nel buio di questa notte memorabile.
Fine
La canzone che introduce il mio racconto l’ho
scelta perché mi sembrava che spiegasse bene il sentimento che volevo
suggerire.
La prima notte d’amore tra Oscar e Andrè concepita come fosse l’inizio di una speranza, una
specie di finale aperto alle libere interpretazioni del lettore.