L’Erede del Male.
L’Inferno è vuoto e tutti i demoni sono qui!
[Ariel
– La Tempesta (Atto I, Scena II) – William Shakespeare]
Atto II, Parte I – Visite
dall’Inferno.
L’incubo era stato molto più vivido di quanto non
fosse mai stato negli ultimi quattro anni1.
Voldemort lo osservava, placidamente accomodato
sulla sua poltrona d’ossa, gli occhi rossi come il sangue puntati su di lui
come se fosse stato la sua prossima preda. Era morto – Harry aveva avuto la cura di accertarsene, dopo la battaglia – eppure
lo fissava ed il gelo del suo sguardo gli faceva venire la pelle d’oca come se
fosse stato ancora lì, in carne ed ossa.
Aveva estratto la bacchetta con lentezza,
puntandogliela contro quasi con aria di scherno. Harry era disarmato, la sua
bacchetta di fenice era lontana, nascosta dove lui non poteva raggiungerla, e
non c’era nulla che potesse frapporsi a loro. Si trovavano in una stanza
piccola, con mura di pietra e soffitti molto alti, umida come se si fosse
trovata sottoterra.
L’antro di un serpente, naturalmente.
«Cosa vuoi da me, Tom?» gli chiese, cercando di
mostrarsi più spavaldo di quanto in realtà non si sentisse, raddrizzando le
spalle ed espirando dal naso una nuvoletta di vapore. Faceva freddo, i suoi
brividi però avevano tutt’altra origine. «Ti ho già ucciso una volta, sei certo
di voler ripetere l’esperienza?». La
miglior difesa era l’attacco, una tattica che Malocchio Moody
avrebbe certamente rinnegato e che il suo attuale Capo2 avrebbe
considerato come perfetto schema d’azione.
Voldemort non gli rispose, limitandosi a
sorridere. Le sue vesti scure sembravano diventare più sottili ai bordi,
dissolvendosi in quello che poteva sembrare un alone di morte. Non era reale,
non poteva esserlo, tuttavia era lì,
spaventoso com’era sempre stato. La sua bacchetta, identica a quella di Harry,
si mosse lentamente, illuminata da un bagliore verde che il Bambino Sopravvissuto conosceva fin
troppo bene e che aveva già affrontato e sconfitto due volte. Era possibile
morire in sogno? No, non in quel modo. Non a causa di un morto. Ma poteva
davvero rischiare? Poteva mettere da parte, ancora una volta, la paura?
«Tom!».
«Avada Kedavra».
Il tonfo di un corpo fece trasalire Harry e, solo
un attimo dopo, lui stesso si rese conto di essere ancora vivo – per quanto
potesse essere definita vita quella
strana realtà onirica – e di non essere stato il vero destinatario dell’anatema
che aveva appena lasciato la bacchetta del mostro. Preoccupato, si voltò,
ritrovandosi ad osservare lo sguardo vacuo di un uomo sulla sessantina, con
lunghi capelli bianchi ed il viso contratto in una smorfia d’orrore. Harry
l’aveva visto più di una volta in vari dossier dell’Ordine, ma non avendolo mai
incontrato di persona aveva dato per scontato che fosse semplicemente morto per
vecchiaia. Non conosceva il suo nome, era semplicemente uno dei tanti, ma aveva l’assoluta certezza che si trattasse di un
Mangiamorte. Uno dei più importanti3.
Perché
aveva sognato la sua morte? Quella non doveva essere una semplice
apparizione ma, piuttosto, una visione del passato. Nonostante la parte di
Horcrux in lui fosse morta da ben quattro anni, c’era ancora qualcosa, dei resti immortali, che lasciava la sua
tana nel cuore della notte, tormentando i suoi incubi come un bambino avrebbe
fatto con delle indifese formiche.
Perché
stava vedendo quella scena?
Parole incomprensibili lasciarono le labbra di
Voldemort4, incurante dell’inquietudine della sua nemesi e del
cadavere al suolo. Parole difficili, in una lingua ad Harry completamente
sconosciuta, parole che rievocavano immagini di un inferno sempre più vicino ed
inevitabile e che sembravano essere state liberate per prime dalle labbra della
Morte in persona.
Nessuno
avrebbe dovuto mai pronunciarle.
«Il dado è tratto, mia cara», conclusa la
cantilena, Voldemort sembrò esser tornato in se stesso: una creatura infermale,
ma non l’Inferno incarnato. Tornando a guardarlo, Harry lo ritrovò con un
ghigno stampato in viso, i denti affilati come tante zanne di serpente ben
scoperti in una parodia di sorriso gioioso. Era soddisfatto, mentre la sua bacchetta continuava a muoversi,
compiendo degli strani cerchi nell’aria, come per un incantesimo trappola, ma non c’era nulla che fosse
davvero trattenuto, nulla che fosse bloccato dalla magia. Nulla di visibile. «Tutto ciò che dobbiamo aspettare, adesso, è che
il ragazzo compia il suo destino».
Se c’era una cosa che Harry Potter aveva imparato
fin da bambino era che qualunque associazione dei termini ragazzo e destino fosse
generalmente riferita alla sua persona. Se quelle parole, poi, provenivano
dalla bocca del suo antagonista per eccellenza, non c’erano molti dubbi al
riguardo.
«Sì, Padrone». Una nuova voce, una voce strana, né
da uomo e né da donna, anticipò di un momento l’ingresso di una creatura
incappucciata e apparentemente molto fragile, con solo lunghi capelli color
topo che spuntavano da oltre le ombre del mantello. Le sue mani erano raccolte
e nascoste dalla tunica, il suo passo così leggero che, per un istante, Harry
si sorprese nel non vederla fluttuare. «Una volta che l’infante sarà
sacrificato e che il ragazzo avrà compiuto il suo destino, nulla impedirà la
nascita del suo Regno».
Non c’era stata alcuna emozione riconoscibile,
nella sua voce, eppure Harry riuscì a percepire la sua vittoria come se
qualcosa di estremamente gelido e viscido avesse iniziato a strisciargli sulla
pelle. Anche Voldemort dovette provare lo stesso – nonostante difficilmente una
creatura come lui avrebbe potuto provare terrore pure – perché fece una smorfia
ed accennò con il capo all’ingresso della stanza. C’era disgusto nei confronti
della creatura, nonostante sembrasse non poter fare a meno di questa per
realizzare il suo piano, qualunque questo fosse. «Non gingillarti, Tiresias. Prendi
l’Infante».
La sensazione di gelo si intensificò per un istante,
prima di sparire come se non fosse mai esistita. L’incappucciato si inchinò con
riverenza, sparendo poi oltre la porta. Con lui – o lei – sembrò sparire anche
parte dell’oscurità che aveva caratterizzato il sotterraneo da quando Harry si
era svegliato al suo interno. Era incredibile che qualcuno di cui non avesse
mai visto neppure il viso potesse ispirare più orrore di Voldemort stesso,
ancora immobile e circondato dalle sue spaventose vesti nere.
Harry iniziò a sentirsi strano, ancora preso nell’alternare
lo sguardo fra il suo acerrimo nemico ed il corpo del Mangiamorte sconosciuto
rimasto alle sue spalle, gli occhi spalancati e la bocca aperta in un urlo
d’orrore che non aveva mai lasciato la sua gola. Gli sembrava all’improvviso
d’esser finito sott’acqua, metri e metri sotto la superficie, e di esser tirato
verso l’alto da una forza molto più grande della sua, inarrestabile. Gli occhi
gli lacrimavano, la testa sembrava sul punto di scoppiargli, i polmoni
faticavano a reggere quella pressione che fino a pochi istanti prima non aveva
neppure percepito.
Si stava
svegliando, senza neppure capire il senso di quel sogno.
Come richiamato dalla sua disperazione, Tiresias l’incappucciato tornò nella piccola stanza del
sotterraneo, tenendo fra le braccia un ammasso di coperte dall’aria
incredibilmente costosa. Copertine di fine lana beige, con dei ricami fatti a
mano ed al cui interno qualcosa si muoveva, nervoso.
Il panico prese il giovane Auror,
costretto in ginocchio dal peso di quella pressione che sembrava volerlo
schiacciare, mozzandogli il fiato. L’infante
era un bambino, ovviamente. Un bambino fra le braccia della creatura di cui
anche Voldemort sembrava aver timore. Un bambino verso cui venne puntata la
bacchetta del Signore Oscuro e che all’improvviso iniziò ad urlare, disperato,
dimenandosi nella presa terribile dell’Incappucciato mentre qualcosa – qualcosa che non c’era stata,
fino a quel momento, qualcosa di inconsistente eppure visibile, qualcosa di
orribile ed innocuo al tempo stesso, qualcosa che era pura malvagità – vorticava furiosamente verso il suo piccolo petto,
attraversandolo come il più affilato dei pugnali e scomparendo al suo interno,
mischiandosi con ciò che già l’aveva occupato e creando qualcosa di nuovo.
Qualcosa
di orribile.
L’urlo di Harry risultò muto, mentre si sentiva
violentemente tirare verso l’alto e, al tempo stesso, spingere con più forza al
suolo, ed il ghigno di Lord Voldemort lo accompagnò nel suo ritorno alla
coscienza, mentre una terrorizzata Ginny tentava
disperatamente di impedirgli di strapparsi la cicatrice con le unghie.
L’Infante.
«Harry! Harry, calmati» provò a calmarlo la
giovane, accarezzandogli il viso come avrebbe fatto sua madre, se solo lui
l’avesse conosciuta. «Va tutto bene, siamo al sicuro, va tutto bene» continuò a
dirgli, passandogli le braccia intorno al busto, nono appena lui smise di
tentare di farsi del male, e tenendolo stretto a sé, quasi soffocandolo. Il fatto
che lui non volesse risponderle, nonostante la violenza di quella stretta,
sembrava non far altro che preoccuparla di più.
Tiresias.
«Maledizione, Potter!» sbraitò allora, mollando la
presa da una mano solo per poterlo schiaffeggiare, riuscendo finalmente ad
attirare il suo sguardo su di lei. L’orrore che dovette leggervi sembrò
paralizzarla per un istante, ma si riprese abbastanza velocemente. «Cosa
succede? Cos’hai sognato? È Hermione?».
Hermione, la sua
amica scomparsa ormai due anni prima. Hermione, che doveva raggiungerli alla
Tana ma che non era mai arrivata. No, non era Hermione che aveva sognato, ma
non sapeva se dirsene sollevato o spaventato.
Un
Horcrux5.
«Ce n’è un altro».
***
Draco Malfoy era sempre stato un giovane uomo
posato, soprattutto quando la guerra era finita e lui si era ritrovato a dover
gettare le basi per la sua fortuna.
Non c’era più stato un buon nome da difendere, ma un pessimo nome da ripristinare. Non c’era più stata la ricchezza
della sua famiglia a sostenere delle scelte di vita discutibili, ma solo il suo
fiuto per gli affari – miracolosamente ereditato da sua madre e, con buone
probabilità, dal suo prozio Orsolon Malfoy, fondatore
della più grande compagnia di assicurazioni del mondo magico e fautore di buona
parte di quello che era stato il contenuto della sua camera blindata – ed
un’ambizione che Salazar avrebbe approvato concedendogli un applauso ed una
pacca sulla spalla.
Tuttavia, quando Draco tornò a casa sua – una
deliziosa casetta su due piani vicino Piccadilly
Street – e si ritrovò davanti quello che ai suoi occhi dovette sembrare un
fantasma, perse tutto il suo contegno e fece un urlo a dir poco infantile, lasciando cadere le buste
della spesa ed arretrando fino a ritrovarsi con le spalle alla porta ed il
cuore fuggito via dal suo petto, probabilmente giunto in pochi secondi
dall’altra parte del globo.
«Non hai mai brillato per coraggio, Draco, ma così
mi sembra un po’ troppo anche per i tuoi standard» commentò Hermione Granger,
osservandolo con un sorriso nascosto sotto un’espressione falsamente
preoccupata, le braccia incrociate e la tranquillità di chi fosse perfettamente
a suo agio in casa d’estranei. Era profondamente cambiata dal loro ultimo incontro,
al funerale di Ronald Weasley, e non solo fisicamente. Era cresciuta, era
diventata una donna ormai ben fuori dall’adolescenza, i suoi capelli non erano
più lunghi e cespugliosi ma cortissimi ed ordinati, il viso coperto da un
leggerissimo strato di trucco per armonizzarsi con le labbra tinte di un rosso
intenso. A sorprendere Draco, tuttavia, non era stato tanto l’aspetto fisico
quanto, piuttosto, il suo atteggiamento.
Era seduta sulla sua poltrona preferita come se ne
fosse stata la padrona, lo osservava con un certo divertimento e con
superiorità – cosa che aveva sempre fatto, anche ai tempi della scuola – ma non
per fargli capire che lei fosse
migliore, piuttosto poiché era impossibile affermare che non lo fosse. Era
sicura, ferma, non più pronta a correre dietro il primo libro disponibile per
cercare delle risposte.
Difficile capire come Draco avesse fatto a leggere
così tanto di lei al solo guardarla – lui che non le era mai stato davvero
amico - ma c’era riuscito e dubitava
fortemente che qualcosa avrebbe smentito le sue deduzioni. Forse avrebbe potuto
scoprire qualcosa in più,
addirittura.
«Non sono mai stato coraggioso, no, ma concorderai
con me nel dire che non sia cosa di tutti i giorni trovarsi davanti qualcuno
che si riteneva… beh, morto» le fece
notare, accigliandosi e tirando fuori la bacchetta per riordinare la spesa
tragicamente sparsa sul pavimento. Doveva davvero impiegare un elfo domestico,
quelli che erano appartenuti alla famiglia erano stati trasferiti altrove nel
momento in cui il Ministero si era appropriato di buona parte delle sue
sostanze. «A proposito, hai un colorito eccellente per qualcuno che è stato
nell’aldilà per due anni. Poiché, ovviamente, quella è l’unica spiegazione che
potrebbe razionalmente giustificare la tua scomparsa
ed il modo indecente in cui Potter ha
perso la testa per cercarti».
Per un istante, lo sguardo tranquillo della donna
sembrò oscurarsi per la preoccupazione. Fu un battito di ciglia, nulla di più,
eppure Draco riuscì a cogliere tutto il senso di colpa che doveva averla
attanagliata nel tempo trascorso lontano da Londra. Lei sapeva cos’era successo al suo migliore amico, durante la sua
sparizione. Sapeva quanto orribile
era stata la sua reazione e quanto aveva sofferto, quando il Ministero si era
rifiutato di perpetrare le ricerche. Lo
sapeva eppure non era tornata.
«Sono stata impossibilitata a comunicare la mia
posizione» spiegò allora lei, tentennando ed iniziando a guardarsi intorno con
aria ansiosa, quasi i mobili di Draco avessero potuto darle una risposta che
fosse soddisfacente e che non la facesse passare per l’egoista che, in effetti,
Draco stesso riteneva fosse. Sparire senza lasciare traccia sarebbe stato
giustificabile per lui, non per lei.
Non per l’eroina di guerra.
«Non potevi mandare un gufo e far sapere a Potter
che eri viva?». Naturalmente, Malfoy non era intenzionato ad accettare quella
becera imitazione di una giustificazione come se fosse buona. Era un Serpeverde, aveva imparato molto presto che le
informazioni più succose erano quelle che un soggetto non poteva divulgare. E
la Granger doveva avere delle informazioni parecchio importanti, per
comportarsi in quel modo tanto strano. «Andiamo, Mezzosangue! Ho appena visto
il tuo amichetto correre per il Ministero con la faccia di un indemoniato,
dubito fortemente tu sia già stata da lui. Se sei qui da me deve esserci una
ragione ben più che valida». Assottigliò lo sguardo, fissandola con preoccupata
curiosità. «Cosa vuoi?».
Il momento di silenzio che seguì alla sua
esortazione gli fece venire i brividi. Per un istante, Draco pensò che avrebbe
fatto bene a voltarle le spalle e andarsene molto
lontano, se restò fu soltanto perché quella era casa sua e perché aveva
promesso a se stesso che non si sarebbe mai più comportato come un bambino
spaventato, nonostante quanto, effettivamente, fosse pietrificato.
Con lentezza estenuante, Hermione si alzò in
piedi, lisciando le pieghe dei pantaloni del tailleur che stava indossando.
Sembrava non volerlo guardare negli occhi, cosa che lo terrorizzava anche più
di prima. «Sono qui perché devo darti una notizia» mormorò, facendogli cenno di
accomodarsi nella poltrona che fronteggiava la sua preferita, su cui era stata
seduta lei fino a quel momento. Il suo sguardo la diceva lunga su quanto belle dovessero essere le notizie che
era stata incaricata di dargli.
«Mezzosangue?».
«Siediti, Draco» insistette, con tono che non
ammetteva repliche, osservandolo fisso finché lui non la accontentò. C’era
qualcosa, nel modo in cui si muoveva, che lo stava riempiendo d’angoscia. Una
volta sistemato lui, Hermione tornò ad accomodarsi, allungando la mano nella
interna della giacca e tirandone fuori un distintivo. Il Pentacolo di Lilith. «Come credo tu abbia intuito, adesso sono
una Banshee, ma no, non sono venuta
qui per arrestarti».
Banshee6, nome in
codice per la sezione speciale dei Corpi di Sicurezza della Confederazione
magica Internazionale, un gruppo di streghe – nei tempi recenti erano stati
assunti anche maghi, in realtà, ma la denominazione era rimasta femminile – il
cui compito era sempre stato quello di assistere i vari Stati parte della
Confederazione nelle questioni che avrebbero potuto mettere a rischio
l’equilibrio dell’intero Mondo Magico. Le chiamavano Banshee perché, fin dai
tempi della strage di Salem – quando il Corpo era stato fondato – il loro
compito era stato sostanzialmente assimilabile a quello di sicari altamente
specializzati. Una volta vista una Banshee, nessuno aveva mai avuto la
possibilità di tornare in libertà per raccontarlo o, addirittura, di
sopravvivere abbastanza a lungo per pensarci.
Hermione Granger era una diventata una Banshee,
per quel motivo era sparita nel nulla, due anni prima.
Le
Banshee non esistevano.
Hermione Granger era tornata per lui.
«Cos’è successo? Cosa vuoi da me?».
«Mi dispiace, Draco. Durante una missione per il
recupero di informazioni abbiamo trovato…» si fermò, abbassando lo sguardo e
perdendo qualche istante per riporre il distintivo nella tasca interna. Prese
fiato, poi, raddrizzando le spalle come a volersi dare coraggio. «Eravamo in
Germania per seguire una pista, ma abbiamo trovato una stanza piena di cadaveri
di vecchi Mangiamorte pentiti ed emigrati».
L’orrore che provò in quell’istante gli fece
stringere lo stomaco in una presa gelida. «Granger…».
«I tuoi genitori erano fra questi, Draco. A nome
della Confederazione Magica Internazionale, ti pongo le nostre sentite
condoglianze».
Gli erano servite un paio d’ore, prima di poter
articolare un discorso che fosse finito e sensato. Hermione non si era mossa
dal suo fianco e gli aveva riempito il bicchiere ogni volta che lui l’aveva
svuotato d’un colpo solo. Fortunatamente era sempre stato bravo a gestire
l’alcool, altrimenti non avrebbe potuto interrogarla come realmente voleva fare
o, comunque, non sarebbe stato abbastanza lucido da comprendere le risposte.
«Sei diventata una banshee due anni fa?» le
chiese, poggiando la testa al bracciolo del divano, dopo essersi disteso senza
prima preoccuparsi di fare gli onori di casa. C’erano ottime possibilità che
quella donna avesse già fatto il giro di tutte le stanze, cercando anche nel
suo cassetto segreto. «Immagino sia
stato il giorno del funerale di Weasley, stando a Potter è stata l’ultima volta
in cui ti hanno vista».
La osservò annuire con un occhio solo, poiché
aprire anche l’altro avrebbe significato cedere ad un mal di testa a dir poco
spaventoso. Si era accomodata nuovamente nella sua poltrona preferita, ma sembrava molto meno tranquilla e sicura
di sé, in quel momento. Erano arrivati alla resa dei conti, infine.
«Sono stata avvicinata dopo aver parlato con te.
So che Harry ti ha fatto mettere sotto inchiesta, mi dispiace» gli rispose,
osservando con particolare attenzione il quadro appeso alla sua sinistra: si
trattava del ritratto che Lucius aveva fatto fare al
suo fidato levriero irlandese, Fido,
che in quel momento dormicchiava felice poggiato contro la cornice. «Il
Ministro è intervenuto per calmare le acque, immagino. L’ultima volta che l’ho
visto mi ha assicurato che non ci fossero state gravi conseguenze alla mia
scomparsa. Purtroppo l’addestramento ha come presupposto fondamentale l’aver tagliato
tutti i ponti. Nessuno deve sapere di noi, non durante la preparazione».
Le tempie di Draco sembravano aver iniziato a
pulsare furiosamente. L’unica certezza, in quel momento, era che la Granger
fosse parecchio nervosa all’idea di parlare con il suo vecchio amico. «Potter
mi è rimasto alle calcagna per mesi.
Credo sia solo grazie alla Piattola Weasley se non ha continuato a tallonarmi
per tutti i due anni» insistette allora lui, serio. «L’intervento di
Shacklebolt è stato l’unica ragione per cui le ricerche si sono concluse,
Mezzosangue. Lui era disperato». Aprì
entrambi gli occhi, per poter sottolineare di più quanto esasperato si sentisse
in quel momento. «Se sei venuta qui, significa che il tuo periodo
d’addestramento è concluso e che puoi riprendere i rapporti umani. Mi auguro tu
abbia il buonsenso di andare da lui ad implorare il suo perdono. Il Ministro
aveva ragione, non ci sono state conseguenze gravi a livello politico e sociale, ma…» strinse per un istante le
labbra, tornando a coprirsi gli occhi con il braccio. «Per quanto io detesti
prendere le parti di Potter, l’hai ridotto un vero straccio. Una spiegazione è il minimo».
Nervosa, Hermione si rialzò, camminando qualche
istante per la stanza. Sembrava combattuta, ma, sinceramente, a lui non poteva
importare di meno.
«Sono venuta qui solo perché l’Indagine è affidata
alla mia squadra ed ho ritenuto fosse preferibile che fosse un viso conosciuto
a darti la notizia. Noi non siamo amici, Malfoy» precisò, con una premura
alquanto fuori luogo. «Non puoi permetterti di darmi consigli su come gestire
la mia vita».
«Ehi, ehi» sempre senza guardarla, Draco sollevò
il braccio libero in un cenno di resa. «Non scaldarti, Mezzosangue, io non
voglio darti alcun consiglio e sicuramente
non voglio essere tuo amico. Ti sto solo facendo capire che non potrai tornare
a sparire e lasciare quel disgraziato in preda ai suoi demoni. Io non ho
intenzione di tenere alcun segreto, non appena mi passerà questa sbronza
colossale andrò dritto da Potterino e gli sbatterò in
faccia i ricordi di questa conversazione. Mi ha tormentato per settimane ed ancora oggi mi parla alle
spalle, da bravo Grifondoro. Io non ho la minima intenzione di sopportare altri soprusi da parte sua. Dirgli quanto
crudele tu sia stata, sparendo nel nulla nel momento di massimo bisogno, sarà
la più grande soddisfazione della mia esistenza».
Draco non la vide estrarre la bacchetta,
semplicemente se la trovò puntata contro il naso, mentre la proprietaria fumava
rabbia da qualsiasi orifizio del viso e lo fissava come se fosse stato la più
orribile caccola di troll mai passata per il Regno Unito.
Orgoglio
Grifondoro, era ancora ben presente.
«Tu non dirai una parola di tutto questo ad Harry.
Non una parola».
«Credevo che le Banshee fossero famose per il loro
sangue freddo. Basta una semplice provocazione a farti scattare così, Granger?
Wow, dev’essere vero che ormai accettano qualunque tipo di plebaglia. E pensare
che delle grandissime streghe di ottima famiglia sono state rifiutate perché non in possesso dei requisiti» le disse,
sarcastico, ottenendo solo che la bacchetta fosse premuta con maggiore forza
contro il suo naso. Qualche altro millimetro e gliel’avrebbe rotto, rovinando
per sempre il suo perfetto profilo Black.
Non poteva fare un torto tanto grande a sua madre.
E non poteva neppure pensare a sua
madre, perché altrimenti l’effetto anestetico degli alcolici sarebbe finito e
si sarebbe ritrovato piegato in due per gli spasmi del pianto e della nausea.
Concentrazione.
«So bene di dover affrontare il mio migliore
amico, Malfoy» riprese la Granger, la voce ridotta ad un sibilo furioso. «Non
ti permetterò di rovinare quel po’ che ancora mi resta da salvare. Credi sia
stato facile, per me, superare un terribile addestramento pur avendo la
consapevolezza che ogni ora fosse un
chiodo in più nel cuore di Harry? Ho temuto di averlo ucciso per almeno un mese
e probabilmente avrei rinunciato a tutto, se il mio Superiore non mi avesse
rassicurata sulla sua salute, quantomeno fisica». Arretrò di un paio di passi,
passandosi la mano libera fra i corti capelli corti. «Ho concluso il periodo
d’addestramento una settimana fa e sono subito partita in missione. Quando il
Superiore mi ha comunicato che la mia squadra avrebbe collaborato con gli Auror, ho chiesto il permesso di uscire allo scoperto».
«Se non ti avessero dato il permesso ti saresti
attenuta alle regole, da brava ragazza?» le chiese, osservandola con aria
curiosa. La Granger era sempre stata un tipo un po’ particolare, quando si
arrivava alle regole. Poteva passare dall’esserne una fan sfegatata al
diventare ben peggiore dei gemelli Weasley nel giro di un battito di ciglia.
Lui era stato uno spettatore di prima fila, durante il suo conflittuale
rapporto con Dolores Umbridge, quando i doveri da
prefetto si mischiavano alle pulsioni ribelli.
Il sorriso che lei gli dedicò lo fece
rabbrividire. «Oh, ho imparato un po’ di cose, nel corso del mio addestramento.
Avrei trovato il modo di sgattaiolare via per un paio di ore e scambiare
quattro chiacchiere con lui. Fortunatamente, comunque, il mio Superiore ha
riconosciuto quanto assurdo fosse l’idea di mantenere questo segreto e mi ha
concesso di tornare a casa. Dopotutto, dovrò lavorare a stretto contatto con
tutto l’Ufficio Auror ed Harry è ormai un pezzo
grosso».
«Non esserne tanto sicura di te, Granger. Stai
dando per scontato che lui voglia collaborare.
O che addirittura voglia parlarti. Al suo posto, io ti lancerei una bella
maledizione ed intimerei a chi di dovere di cambiare squadra. Ti ritieni così
brava da poter sfuggire al Bambino Sopravvissuto? Lui ha fatto fuori il Signore
Oscuro» le fece notare, divertito. «Fammi sapere come va a finire, poi. E
scattagli una foto nel momento in cui ti vedrà, voglio provare ad individuare
l’istante esatto in cui il suo cuore smetterà del tutto di funzionare». Il peso
delicato di una piccola ampolla gli cadde sullo stomaco, facendogli aprire gli
occhi con parecchia riluttanza. Era una pozione ambrata, dall’aria
apparentemente invitante ma che lui sapeva
essere più amara del veleno. «Una pozione contro il post-sbronza?».
«Mi sono permessa di prenderla dalle tue scorte
personali. Bevila e datti una sistemata, Harry ed altri ci stanno aspettando al
Ministero. Sì, tu vieni con me».
Le sopracciglia di Malfoy si corrugarono, mentre
osservava la strega con la migliore fra le sue espressioni poco convinte. «Di
grazia, perché dovrei venire in un luogo in cui non sono il benvenuto, con persone che mi odiano ed insieme a te, che sei stata considerata morta per due
anni?» le chiese, tentato di buttare via la fialetta e darle le spalle per
farsi un più che meritato riposino.
«Perché, nonostante possa sembrare che tu non
abbia realizzato, in realtà sei pieno di rabbia al pensiero di cos’è successo
ai tuoi genitori e muori dalla voglia di scoprire perché e, soprattutto, chi
è stato».
L’imprecazione che gli sfuggì, mentre apriva
l’ampollina, la fece sorridere.
Maledetta
vipera.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati,
cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Eccomi di nuovo con
il primo, vero capitolo della storia.
Qui avete incontrato il vero cattivo e ci sono stati dei ritorni decisamente
inaspettati. Hermione era sparita nel nulla, Harry ha dato di matto e Malfoy ha
dovuto patire in relativo silenzio per due interi anni.
Cosa succederà?
Punti importanti:
» 1
– Indicazioni temporali: ci troviamo a quattro anni di distanza dalla
battaglia di Hogwarts, nell’ottobre del 2002. Sono passati quasi due anni dalla
morte di Ron e dalla scomparsa di Hermione. Lei, infatti, dopo essere stata
avvicinata da Ophelia il giorno del funerale, è sparita nel nulla, fino a
questo momento. Perché? Si scoprirà strada facendo, non temete.
» 2
– L’attuale Capo di Harry è Marius Tanner, un Auror della vecchia guardia che aveva lavorato per anni con
Malocchio Moody. Si era ritirato prematuramente dal
lavoro durante l’ultimo anno di Caramell, non
concordando con le visioni del Ministero, ma è ritornato durante la guerra per
partecipare alle azioni dell’Ordine. Avendo una certa età, ha già programmato
di andare in pensione entro giugno seguente e lasciare il suo posto al
signorino Sopravvissuto. Proprio grazie a Tanner, Harry
ha potuto limitare a due anni la durata dell’Accademia, diventando Auror poco prima che Ron morisse.
» 3
– Chi è? Non è ancora il momento di saperlo. Si tratta di qualcuno che non ha
partecipato alla Battaglia di Hogwarts e che si è perso buona parte degli
avvenimenti del settimo libro, ma non posso dare dettagli. Sappiate che, come
credo si sia capito, questo scorcio del passato è ambientato più o meno sei
mesi prima della morte di Silente.
» 4
- Non sappiamo nulla su come si creano gli Horcrux, quindi ho ipotizzato
ci sia un qualche incantesimo in una lingua sconosciuta capace di “intrappolare”
un pezzo d’anima fuori dal corpo, così che possa essere trasferita. In questo
caso, naturalmente, nel corpo “dell’Infante”
» 5
– Sì, un altro Horcrux. In teoria non sarebbe possibile, Voldemort era già
particolarmente instabile, ma in questo caso ci sono state circostanze speciali
che hanno consentito che si potesse svolgere la procedura, cosa che,
naturalmente, giustifica il fatto che Voldemort sia effettivamente morto durante
la battaglia di Hogwarts. Si capirà tutto col tempo, tranquilli.
» 6 –
Cosa sono le Banshee? La tradizione irlandese le considera spiriti di donne
morte di parto che urlano nel cuore della notte quando un membro della loro
famiglia muore o sta per morire. Sono cattivi presagi, naturalmente, perché chi
le ascolta sa per certo che lui o uno dei suoi cari sono destinati alla tomba.
Durante la “Purga di Salem” – ancora, ci saranno nuovi dettagli più avanti – la
Confederazione Magica Internazionale ha creato questo Corpo Speciale
inizialmente formato solo da cinque streghe (per gruppo, ovviamente) con lo
scopo di eliminare alla radice qualunque minaccia per l’esistenza del mondo
magico. Il nome originale era diverso, ma nessuno riesce a ricordarlo poiché
sostituito quasi subito con Banshee. Le squadre in questione sono intervenute,
in segreto, nei maggiori conflitti internazionali, anche nello scontro con il
caro Gellert (Queenie era una Banshee, shhh) e nella Battaglia di Hogwarts (nel prossimo capitolo
vedrete).
» Tiresias. Per adesso dico solo: la mitologia greca torna di
prepotenza.
Grazie mille a tutti
coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e
che continuerete a seguirmi!
A lunedì prossimo con l’aggiornamento!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie