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Autore: JustAHeartBeat    10/01/2017    2 recensioni
Si ritrovò a sfiorare con uno sguardo curioso i lineamenti tondi, lattei, e gli occhi liquidi d’un argento limpido, ma allo stesso tempo inespressivi, si ritrovò a carezzare la linea imbronciata delle labbra sottili, ed al contempo visibilmente morbide, si ritrovò a perdere un battito del cuoricino nell’osservare la fossetta che in quel momento era comparsa al disopra del suo sopracciglio sinistro, inarcato, e si scoprì desiderosa di scoprire se un paio simili sarebbero comparse ai lati della bocca, se le avesse sorriso, si ritrovò ad osservare i capelli tanto biondi da sembrare bianchi, tirati indietro da qualcosa che sarebbe potuto assomigliare al gel babbano, pensando come sarebbero stati scompigliati . Ma come sarebbe tanta bellezza potuta essere nemica? Cos’era Scorpius Malfoy? Il giorno, forse? O la notte? Proprio non lo sapeva, ma Rose non era stupida, e sapeva che il giorno e la notte sono soltanto due facce della stessa medaglia, e Malfoy, era sicuramente entrambe.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Qualche Lentiggine Di Troppo'
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BOOOOM!
Ditemi la verità, non vi aspettavate che avrei continuato la storia, eh? Come state? Oddio, è passato talmente tanto tempo che non mi ricordo nemmeno più come si fa un’introduzione! Speriamo che questa vada bene comunque J. Okay, sinceramente non so se ci sia più qualcuno a seguirmi, né se qualcuno ormai sia disposto a continuare la storia di Rose e Scoprius. Però questa è una promessa che avevo fatto, vi avevo fatto: vi avevo detto che non avrei mai abbandonato questa storia perché troppo importante per me ed è così. Lo era un anno fa, lo è adesso.
Partirò col dirvi che uno dei motivi principali per cui questa storia è importante per me siete voi. Voi che mi seguite da sempre e che mi avete dato un’occasione meravigliosa, qui su EFP. Con alcuni di voi ho ormai stabilito un amicizia, ad altri sono molto affezionata e per dirvi la sincera verità, mi mancate tutti. Quindi, in onore del diciottesimo compleanno di Fancy_fondente, una delle autrici a me più vicine ed una mia grande amica,  ecco oggi il diciannovesimo capitolo di Qualche Lentiggine di Troppo, che spero vi piaccia e possiate apprezzare come i precedenti capitoli! Tantissimi auguri, Fancy, spero che ti piaccia la sorpresa! Ti voglio bene.J
Per quanto riguarda le pubblicazioni e l’account in generale: duuunque, ho intenzione di riprendere ufficialmente di riprendere in mano l’account e quindi le mie storie in sospeso (Qualche lentiggine di Troppo è l’unica, però faceva più professional e quindi.. BD), con una pubblicazione di una volta ogni due settimane di Lunedì (chissà, magari riprendendo la mano anche prima) nella speranza che non solo qualcuno di voi ancora mi segua, ma che vi vada di continuare con me quest’avventura.
Ora, vi starete chiedendo: ma perché sei stata un anno intero via da EFP? Diciamo che per tutto questo tempo (ed anche ora) ho coltivato (e sto coltivando ahah) il progetto di un romanzo tutto mio, come voi sapete, con il quale ho avuto un po’ di difficoltà, ma che spero cresca sempre di più. Ho passato molto tempo tra ricerche ed informazioni e tra una cosa e l’altra non avevo voglia di presentarmi qui con storie veloci e prive di cuore. Ho preferito invece che tornasse quella scintilla che mi ha permesso di iniziare Qualche Lentiggine di Troppo per poterla continuare al massimo delle mie capacità.
Beeeene, non penso di avere nulla in più da aggiungere, quindi passo a ringraziare tantissimissimo: la mia Occhialutina, AmyRoseScorpius, rebecca Potter, Chiara, Fancy, Elena e LizzieLu che hanno recensito lo scorso capitolo ed alle quali risponderò a brevissimo perché sapere bene quanto odio non rispondere alle recensioni meravigliose che mi lasciate.
Oggi ragazzuoli niente note sotto perché spero che il capitolo parli da sé!
A presto!
Bacionissimi(?)

JustAHeartBeat

 
Chapter XIX
Amnesia.
I wish that I could wake up with amnesia
And forget about the stupid little things
Like the way it felt to fall asleep next to you
And the memories I never can escape
'Cause I'm not fine at all
-Amnesia, 5 Second of Summer
 
Il filtro della sigaretta gli tremolava a scatti tra le dita, stretto in una presa precaria, mentre James se lo portava alle labbra, per racchiuderlo tra le labbra e inspirare quanto più gli fosse possibile il fumo grigiastro e risoffiarlo nuovamente fuori da queste in un sospiro spezzato ed interrotto da qualche singhiozzo mal celato.
Il balcone del numero dodici di Grimmauld Place si affacciava sulla quella giornata bianca. James, in piedi, era proprio lì, appoggiato alla balaustra. Stava terminando il secondo pacchetto di sigarette della giornata, lo sguardo perso in tutto quella pace candida che lo circondava, il guardo perso in quella desolazione vitrea.
Un tiro. Un altro tiro. E così da un paio di ore. Terminava la sigaretta e ne afferrava un’altra.
 
“Mi sembrava di averti detto che quella merda non la devi più toccare”
“Mi sembrava di averti detto di non cercarmi”
 
Lui aveva perso il conto delle sigarette fumate. Lei non lo aveva più cercato.
James si lasciò sfuggire le labbra un singhiozzo. Quante lacrime aveva pianto? Nemmeno aveva provato a quantificarle. Quanto dolore è capace di provare un uomo? Questa domanda lo spaventava ogni giorno di più: la risposta gli sembrava così lontana.
Si chinò sulla balausta e vi ci poggiò stancamente, il capo basso, e la sigaretta ancora in mano. Non era un dolore statico come sarebbe potuta essere una coltellata nel petto, era più che altro un annegare progressivo: più passava il tempo e più la superficie dell’acqua pareva lontana; più passava il tempo e più il respiro gli mancava, la morte si faceva vicina ma, come una tortura lenta, rimaneva inesorabilmente lontana; più passava il tempo e più i ricordi lo soffocavano, come acqua a fendergli le membra, i rimpianti a spingerlo in basso, verso un fondale irraggiungibile.
Un’altra sigaretta a sostituire la vecchia, mentre James spingeva lo sguardo al di fuori della propria coltre di fumo, invano.
La strada era completamente bianca, quella stessa notte aveva nevicato. Al bordo dei marciapiedi ne era stata ammonticchiata quanto bastava per rendere la via libera ai pedoni. Il ragazzo non poteva far a meno di concentrarsi su tutti quei piccoli stupidi particolari. Aveva bisogno  di pensare ad altro, aveva bisogno di scappare. Non da Dominique. Non dal fantasma di suo figlio. Aveva bisogno di scappare da James, da quel riflesso che non sopportava la mattina, dall’essere se stesso. Si faceva così schifo. 
Prese un’altra abbondante boccata di fumo. Immaginò Dominique in quel bagno, ancora sveglia. La immaginò piangere, stringere le dita attorno alla bacchetta in preda al panico. Immaginò ora di esserle accanto, di prenderle le mani tra le sue e buttare a terra la bacchetta. Quello che sarebbe dovuto accadere. Quello che non era successo.  Ed ecco dov’era ora: s’uno schifoso lettino d’ospedale, a lottare per vivere.
Avrebbe dato tutto per tornare indietro, per urlare al se stesso di due mesi prima quanto avrebbe perso. Avrebbe dato tutto semplicemente per cadere all’interno del pensatoio con la possibilità, però, di resettare tutto. Non aveva mai provato quel rimpianto opprimente, mai provato quel dolore congelante, quel dolore perpetuo che lo accompagnava, ancora più soffocante dei ricordi, più soffocante di tutto il resto.
Quella barella.. quella barella che veniva trascinata fuori dalla sala rianimazione dai medi maghi lo seguiva ovunque, così coma la risata cristallina della ragazza ed il timido pianto  di un neonato che non avrebbe mai tenuto in braccio.
“James”. Ginny, gli occhi rossi e due pesanti occhiaie, avvolta in una vestaglia verde pallido, lo aspettava sulla soglia della portafinestra che faceva da intermediaria tra il balcone e lo stretto corridoio cupo.
Sua madre non aveva dormito per nulla, quella settimana, eppure il suo portamento era ancora fiero e retto, mentre gli porgeva la mano destra, un sorriso tremolante sulle labbra. “È pronto il pranzo” gli disse solamente, muovendo qualche passo verso di lui. Il ragazzo non si voltò neppure.  Avrebbe dovuto nascondere le sigarette o qualcosa del genere, supponeva, eppure non si mosse. Era come se stesse fluttuando mille metri dal terreno, lontano da tutti, lontano da sua madre. Non aveva fame. Non aveva fame da giorni.
La donna ormai gli era alle spalle e seppur avesse notato le sigarette posate sulla balaustra, non lo diede a vedere. “James..”. Ruppe la frase con un grande sospiro, probabilmente temendo che le si sarebbe rotta comunque con un accenno di singhiozzo.
 Da che ne aveva memoria, James non aveva mai visto sua madre piangere. L’aveva vista incollerita, furiosa, depressa ed irrimediabilmente felice. Ma mai  uno di queste volte una lacrima le era scivolata via dallo sguardo azzurro. “James, tuo padre ed io siamo..”. Un altro sospiro. “..siamo molto preoccupati”. Snocciolò la frase velocemente, rabbrividendo un po’ per il freddo, un po’ perché evidentemente quelle parole erano pesate per troppo tempo silenziose. Un po’ perché era sull’orlo delle lacrime.
Era invecchiata, sua madre. James se ne accorse solo in quel momento, voltando il capo per guardarla negli occhi. Tra i capelli rosso scottante, qualche piccolo filo bianco era mosso dalla brezza, il viso sembrava più grigio di quando ricordasse, mentre ai lati delle labbra ed a coronare la fronte candida v’erano più rughe di quante ne avesse notate mai. Sembrava che il tempo avesse fatto un balzo in avanti senza avvertirlo, oppure, il ragazzo pensò, quella era un’altra delle cose di cui, nel suo infinito egoismo, non si era accorto.
Non rispose. Spense la sigaretta e s’infilò i pacchetti nelle tasche, per poi entrare in casa. Il calduccio dei camini, in contrasto con il gelo al quale sia era abituato stando in balcone, lo sorprese come un’onda ad increspare la superficie di un mare placido. Scese gli scalini alla fine del corridoio, e superate le teste di ciascuno degli elfi domestici della vecchia casa Black, entrò in cucina, dove suo padre, Lily ed Albus lo stavano aspettando seduti a tavola. Si sedette.
Lily  teneva i capelli arroccati sul capo ed era avvolta da una larga tuta nera. Era molto pallida, convenne, incrociando il suo sguardo, e sicuramente lo stufato di patate nel suo piatto non era la ragione per cui stava dondolando sulla sedia della cucina. Albus, invece, sembrava che fosse stato preso a cazzotti per tutta la notte: aveva il volto cereo e sotto gli occhi due marcate borse violacee. Stava immobile sula punta della sedia, come se si fosse seduto la prima volta nella sua vita, e fissava il piatto.
“James, siediti, tua madre ha impiegato così tanto a preparare questo buon pranzetto” commentò Harry, seduto a capotavola, sulle labbra un sorriso così forzato che James dubitò davvero che lui stesso fosse conscio di non dover sorridere per forza.
Suo padre aveva passato tutti i pomeriggi di quella settimana a Villa Conchiglia, insieme a sua madre e probabilmente sua zia Hermione, suo zio Ron, un po’ per dare il cambio a Bill e Fleur in modo tale che potessero star tranquilli di non aver lasciato Luis incustodito, un po’ per far loro compagnia in quel dolore. Anche se James non era sicuro che si avessero bisogno di compagnia nel soffrire.
Harry era semplicemente ancora sconvolto. Spesso e volentieri Lily lo ritrovava a guardare il fuoco scoppiettante, canticchiando qualche motivetto a bassa voce con un bicchiere di Whiskey Incendiario in una mano tremante. Un paio di giorni prima,  la ragazza, entrando in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua, lo aveva sentito piangere nel grembo di Ginny, mentre scosso le sussurrava: “Questa famiglia non può superarne un’altra”.
Lily sapeva bene cosa volesse dire. Non sarebbe potuto morire un altro ragazzo Weasley. Non dopo tutte le disgrazie che avevano superato. Non dopo Fred.
Non l’aveva mai conosciuto, eppure sentiva di conoscerlo come se lo conoscesse da sempre. Per loro, per i ragazzi, era sempre stato il fantasma di casa. Era orribile a dirsi, ma era così. Era il nome che faceva piangere nonna Molly a Natale, che faceva litigare zio George e zio Percy e costringeva zia Hermione a quegli infiniti discorsi sull’unione della famiglia. Ed in quel momento, con Dominique in ospedale, Lily sentiva la presenza di zio Fred ovunque. Era come se tutti lo pensassero e nessuno lo dicesse: un altro lutto come quello  li avrebbe frantumati tutti. Non che l’aborto avesse fatto qualcosa di diverso.
Quando l’aveva saputo, la ragazza si era sentita gelare il sangue nelle vene. Aveva passato così tanto tempo ad essere invidiosa della cugina che non si era accorta di quanto la sua vita non fosse perfetta. Si sentiva così stupida, la piccola Potter. Non avrebbe mai creduto che Dominique le fosse potuta mancare come le mancava ora. Ora. Con tutte le parole che avrebbe voluto dirle e che forse lei non avrebbe mai l’occasione di sentire. Con le basi di un rapporto poco coltivato solamente per colpa della sua superficialità a gravarle sulle spalle come macigni. Quanto avrebbe voluto stringerla in un abbraccio e, per la prima volta, essere sincera. Con lei. Con se stessa. Le sembrava di non conoscere più Dominique, le perfetta cugina che le aveva sempre avute tutte vinte, incinta di un bambino. Era fidanzata? Lily si accorse di non saperlo, si accorse di sapere meno di nulla della cugina. Si accorse di non aver mai voluto sapere nulla che le avesse fatto cambiare idea, tanto ossessionata da quell’odio innato.
Afferrò la forchetta e la pigiò s’una patata finché questa non s’arrese alla pressione e si schiacciò contro il piatto di ceramica bianca. Le sembravano passati anni dall’ultima volta che l’aveva vista nei corridoi di scuola.
“Lils, tesoro …” iniziò Ginny, che, esattamente come gli altri Potter  non sembrava avesse toccato minimamente il piatto. “Non ti piace lo stufato? Vuoi un po’ di zuppa, magari qualcosa di caldo è preferibile: la stufato si è raffreddato, ormai”. Fece per alzarsi da tavolo e fu Harry, poggiando la mano sulla sua a fermarla, poi, come se quel gesto non fosse già abbastanza scosse il capo lievemente. Lily gliene fu grata. Di certo il problema non era lo stufato freddo e far alzare sua madre per prenderle un’altra pietanza che non avrebbe mangiato l’avrebbe solo fatta sentire in colpa.
“No, ma’, lo stufato è buonissimo” mentì, portando il tovagliolo alle labbra per pulire via un cibo che non vi s’era nemmeno lontanamente avvicinato. “Quando possiamo fare visita a Dominique?” chiese, dunque, per spezzare il silenzio con qualcosa di meno ridicolo di ‘Ci vorrebbe un po’ di sale sullo stufato’ o ‘Giornata incantevole, non trovate?’. James fu scosso da un brivido. Ginny si schiarì la gola e, dopo aver scambiato una rapita occhiata col marito, voce roca, rispose: “A breve, non appena sarà fuori pericolo potrete andarla a trovare”.
Una risata scettica scosse la tavola. James stava scuotendo la testa ripetitivamente. “Sono certo che a breve Dominique starà  a casa, sotto le coperte del suo letto a sputare arcobaleni. Ne sono sicuro. Non ho fame, vado in camera”. Detto questo si alzò dalla sedia e senza aggiungere altro fece per lasciare la cucina.
“Oh, un inchino tutti: il signore del dolore supremo si è sentito ferito e sta facendo la sua uscita scenica!”. L’avanzata di James si bloccò di colpo. Tutto si sarebbe aspettato, meno che questa frase provenisse da Albus, ora in piedi per fronteggiarlo. “Albus!” aveva esclamato Ginny, gli occhi spalancati, posandogli una mano sulla spalla come se questa avesse potuto calmarlo. James proprio non era in vena di battibecchi. “Si, mi sono alzato. Hai problemi, Severus?” gli sputò, velenoso, facendo qualche passo indietro nella cucina. “Smettila, James” aveva ribattuto il fratello, avvicinandosi con un mezzo sorriso amareggiato a colorargli il volto. “Smettila? Ma ti senti? Ma chi ti credi di essere, ma cosa vuoi da me?”. Mentre la voce del Serpeverde rimaneva bassa, quasi fosse una sfida comprendere le sue parole, quasi partisse da lì la provocazione, quella di James rimbombava nella cucina nervosa, agitata, in un mezzo urlo. “Smettila di fare come se fossi l’unico a stare male! Smettila e basta, cazzo!”. Stavolta anche Albus aveva alzato la voce. “Ma che cazzo stai dicendo?”. Le parole del fratello l’avevano sferzato talmente forte che gli era sembrato di aver ricevuto un colpo alla testa. Quello stupido ragazzino, che ne volva sapere? Che voleva? Non poteva provare un terzo di quello che sentiva James. Se solo avesse saputo..
“James. Albus. Basta.”. Harry Potter si era alzato in piedi, aveva superato una Lily potenzialmente sconvolta, ed ora era in mezzo ai due ragazzi. “Litigare proprio non serve, in questo momento”. Albus scoppiò in una risata gelida. “Litigare? Io vorrei sfracellargli la testa sul muro, a quell’egoista. Papà spostati. Deve sapere come stanno le cose, e siccome siete tutti troppo buoni per parlare parlerò io” aveva continuato il fratello minore, spostandosi di lato per potere guardare James negli occhi. “Ma non te ne accorgi, eh? Che mamma ha passato tutta la notte a trattenere i singhiozzi e cercare di riparare la fottuta lampada che hai rotto perché sei un emerito coglione? Non ti accorgi che papà fa i notturni perché di giorno è con zio Bill e nonna Molly? Che Dominique è anche nostra cugina?”. Aveva iniziato ad urlare anche lui, cercando di sgusciare fuori dalle braccia del padre che lo reggevano.
“Albus adesso basta o ti affatturo io stessa, nonostante sia tua madre”. Ginny, stavolta non più timida o  scossa, aveva tirato fuori la bacchetta e la stava puntando addosso al figlio.
Lily chiuse i pugni, impietrita. La madre non avrebbe mai affatturato Albus, ma la situazione stava decisamente sfuggendo di mano.
Fu un attimo. James scattò addosso al fratello. Lily cacciò un urlo. “Ma che cazzo ne sai tu? Che..”  Una volta atterrato Albus, riuscendo ad eludere la presa di Harry, gli tirò un pungo in faccia. “..cazzo pensi di sapere di tutto questo?” gli stava urlando, pronto a caricare un altro colpo. Il padre riuscì ad impedirlo, afferrando il ragazzo per entrambe le spalle. “Fatti i cazzi tuoi, Severus! Tu non sai un cazzo! Tu non sai proprio un cazzo!”.
Albus, dal quale naso stava uscendo un rivolo di sangue scarlatto, ribattè: “Se non so un cazzo spiegami, spiegami ti prego perché non capisco! Dominique è anche mia cugina! È anche la cugina di Rose! Eppure lei non si è buttata dalla Torre di Astronomia ed io non sto facendo il pazzo! Ed indovina un po’: rispondere male a mamma non riporterà quel bambino qui!”. Il ragazzo ansimava. Aveva portato distrattamente una mano al naso, senza però distogliere lo sguardo da quello di James. “Stai zitto, cazzo! Zitto!”. James, che stava cercando di sgusciare via dalle braccia del padre per poter continuare ciò che aveva iniziato, sentì la voce rompersi improvvisamente. Nessuno, nemmeno una persona durante tutto quel lasso di tempo aveva mai nominato il bambino. C’era chi parlava di Dominique, Roxanne, che non sopportava quel taboo così stupido, aveva persino accennato l’incidente. Ma nessuno aveva parlato dell’aborto. Era una specie di regola non scritta, una promessa segreta all’interno della famiglia Potter-Weasley.
Ginny trattenne il fiato. Harry, per lo stupore, mollò la presa sul ragazzo, Lily, nel suo angolo iniziò a piangere sommessamente. James, libero dalla presa, però, si accasciò semplicemente sulla sedia. Persino Albus sembrava stupito delle sue stesse parole, dunque, invece di continuare ad infierire urlando, fu solo una la frese che pronunciò: “Devi solo capire che siamo tutti sconvolti, tutti. Ma siamo una famiglia, e questa cosa non si supera fumando da solo, si supera insieme. Ed è ciò che mamma e papà stanno cercando di fare e tu non fai che trattarli male. Trattarci male. Così rischi solo di spezzare la famiglia più di quanto già non lo sia”. Poi se ne andò in camera, silenzioso.
   
 
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