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Autore: LadyCrow07_    11/01/2017    3 recensioni
Le cose iniziano a peggiorare nel momento in cui inizia ad avere paura anche della luce. In particolare, odia guardarsi allo specchio e notare tutti i difetti che lo rendono ciò che è e che vorrebbe cancellare per sempre. Detesta le sue lentiggini, che sono decisamente troppe e che ormai hanno iniziato a ricoprirgli tutto il corpo; odia i suoi capelli, perennemente in disordine, che gli ricadono sugli occhi spenti per la mancanza di sonno. I mostri hanno lasciato il buio, e ora gli fanno compagnia ogni attimo, sia quando è sveglio che quando dorme.
Solo Tsukishima riesce a spaventarli, in qualche modo. Yamaguchi non sa perché, ma quando vede il proprio riflesso negli occhi dorati di Kei, pensa che, dopotutto, non è tanto male.
Vi consiglio di leggerla ascoltando la canzone "Asleep" degli Smiths.
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Asleep
 
“Sing me to sleep
sing me to sleep…
I’m tired, and I want to go to bed.
Sing me to sleep
Sing me to sleep…
I don’t want to wake up on my own anymore.”

 
 
Tadashi ha paura del buio. E’ sempre stato così, da quando ha memoria: non riesce a sopportare l’oscurità che ricopre ogni cosa, che sommerge d’inchiostro nero ogni anfratto della sua stanza, che trasforma i mobili in mostri, i pensieri in urla.
Quando era piccolo, sua madre pensava che fosse normale avere paura del buio: si limitava a poggiargli un bacetto sulla fronte e controllare che sotto al letto non ci fossero mostri, prima di spegnere con noncuranza la lampadina sul comodino e sussurrargli “buonanotte, tesoro”.
Eppure, con il passare degli anni, l’oscurità non ha smesso di terrorizzare Yamaguchi, che ormai non ha più paura dei mostri sotto il letto, ma di quelli che si insediano nella sua mente, crudeli, pronti a ricordargli che non sarà mai abbastanza bello, o intelligente, o simpatico. Pronti a sibilargli che non sarà mai abbastanza e basta.
Yamaguchi ha provato di tutto, per o metterli a tacere. Prima di andare a dormire, incastra la testa nel cuscino, si tira le coperte fino a sopra gli occhi e mormora qualche parola sconnessa di una canzone; si concentra sulle note, sull’intonazione, e il buio sparisce per un po’.
E’ come una lotta, si ritrova spesso a pensare: Tadashi si sente come un guerriero dimenticato dai suoi compagni sul campo di battaglia, ferito e inerme, che aspetta la morte ed è troppo orgoglioso per ammettere di esserne terrorizzato.
Col passare del tempo, Yamaguchi ha iniziato ad odiare dormire. Passa le notti in bianco, le occhiaie che gli asfaltano il volto di grigio, la luce sul comodino accesa e il desiderio che tutto finisca presto. Vorrebbe essere più coraggioso di così, ma non ci riesce: il coraggio è per le persone forti, si dice, come Tsukishima e lui è solo un soldato dimenticato sul campo di battaglia.
Lo invidia, a volte, quel suo sarcasmo pungente e quella sua totale indifferenza che lo rende intoccabile. Si dice che è solo questione di tempo, prima che lo lasci indietro, da solo con tutte le sue paure e tutte le voci. Non riesce nemmeno a spiegarsi per quale assurdo motivo gli stia ancora vicino, a dire la verità: Kei è un bel ragazzo, intelligente e sveglio, mentre Tadashi … Be’, Tadashi è Tadashi.
Le cose iniziano a peggiorare nel momento in cui inizia ad avere paura anche della luce. In particolare, odia guardarsi allo specchio e notare tutti i difetti che  lo rendono ciò che è e che vorrebbe cancellare per sempre. Detesta le sue lentiggini, che sono decisamente troppe e che ormai hanno iniziato a ricoprirgli tutto il corpo; odia i suoi capelli, perennemente in disordine, che gli ricadono sugli occhi spenti per la mancanza di sonno. I mostri hanno lasciato il buio, e ora gli fanno compagnia ogni attimo, sia quando è sveglio che quando dorme.
Solo Tsukishima riesce a spaventarli, in qualche modo. Yamaguchi non sa perché, ma quando vede il proprio riflesso negli occhi dorati di Kei, pensa che, dopotutto, non è tanto male.
 Si accorge di essere innamorato del suo migliore amico durante il primo anno di liceo, quando le ragazze iniziano a tempestarlo di domande su Tsukki e lui si sente stranamente geloso. Una parte di lui ne è sempre stata consapevole, ad ogni modo, però ammetterlo e accettarlo lo riempie di altre paure.
Ormai, nemmeno riflettersi negli occhi di Tsukishima lo conforta: si sente nudo davanti allo sguardo indagatore di Kei, come se ogni poro della sua pelle urlasse i suoi segreti. 
Ora, il suo nemico principale non sono più i mostri, ma se stesso.
Così, la prima volta che Tsukishima resta a dormire a casa sua, Tadashi è terrorizzato. E’ una cosa un po’ improvvisata: è scoppiato a piovere all’improvviso e la casa di Kei è davvero lontana, perciò, quando arrivano a casa di Yamaguchi, Tadashi non può evitare di chiedergli se vuole restare per la notte, per poi pentirsene qualche secondo dopo. Tuttavia, Kei ha accettato, e non può di certo tirarsi indietro.
I suoi occhi sono fissi sull’amico, su ogni suo movimento, anche quello più impercettibile: Tadashi osserva in silenzio la pacatezza con  cui Tsukki entra in casa sua e si sfila le scarpe da ginnastica, incapace di distogliere lo sguardo, fino a quando non si accorge che anche Kei lo sta fissando, e allora abbassa gli occhi sul pavimento.
Finiscono per guardare un film, dopo mangiato. Dovrebbero studiare, ma nessuno dei due ha troppa voglia di concentrarsi su formule geometriche o sui kanji, perciò Tsukishima si limita a scegliere uno dei film dall’immensa collezione di Tadashi e a inserirlo nel videoregistratore. Quando si siede vicino a lui, le ginocchia che si sfiorano, il volto così vicino da poter osservare l’ombra che le lunghe ciglia gettano sugli occhi dorati di Kei, Yamaguchi sente la tensione divorargli lo stomaco. Inizia a picchiettare le dita sul bracciolo del divano, e vorrebbe davvero canticchiare una delle sue canzoni, una di quelle che gli riempiono la mente quando è buio e ha paura. Eppure non può, perché sarebbe veramente strano se iniziasse a cantare proprio nel mezzo di Pulp Fiction. Così, proprio mentre Mia Wallace poggia le labbra sulla cannuccia e inizia a bere il suo frappè da cinque dollari, Yamaguchi schiude le sue e ne fa uscire aria che ha lo stesso sapore di note mai suonate.
E’ così impegnato a concentrare la sua attenzione su tutto fuorché la realtà da non accorgersi che Kei lo sta fissando, gli occhi d’ambra indecifrabili.
“Non stai seguendo. Se ti annoia puoi dirlo, lo sai”, dice. Kei sussurra, il timbro di voce basso, eppure Tadashi per poco non salta, richiamato bruscamente alla realtà. Avvampa di colpo, le guance rosse d’imbarazzo, come un bimbo colto con le mani nella marmellata. Quando prova a parlare, dalla sua gola non scaturisce che un borbottio.
“N-non è così, Tsukki!”, farfuglia, il cuore che batte troppo forte in petto. Vorrebbe schiaffeggiarsi, urlarsi di smetterla di essere nervoso, eppure si limita a deglutire a vuoto e ad umettarsi le labbra. Kei lo squadra con un’espressione colma di rimprovero, e Tadashi si sente così vulnerabile che prova l’insensato desiderio di nascondersi, di raggomitolarsi su se stesso e affondare il volto tra le proprie ginocchia.
“Sono solo un po’… stanco, ecco tutto. Oggi gli allenamenti sono stati veramente sfiancanti”, conclude, infine, costringendo le proprie labbra a distendersi in un sorriso nervoso.
Gli basta un’occhiata a Tsukki, per rendersi conto che non gli crede nemmeno un po’.
 
Le cose peggiorano quando arriva il momento di andare a dormire.
Tadashi cerca di perdere tempo mettendosi il pigiama, lavandosi i denti con estrema cura, pettinandosi i capelli più e più volte, mentre la mente continua a propinargli un’immagine di Tsukishima che ride di lui, che lo addita e lo chiama patetico. Yamaguchi riesce quasi a sentirlo, il suono di quella risata, e non può fare a meno di pensare che questa volta Tsukishima lo lascerà definitivamente indietro.
Così, quando esce dal bagno, chiudendo la porta alle sue spalle, ha quasi le lacrime agli occhi. Evita accuratamente lo sguardo di Kei, come ha fatto per tutta la sera, e si stende sul letto, rannicchiandosi sul lato destro del materasso e maledicendo il corpo dell’amico troppo vicino al suo. Mentre cerca invano di ignorare il calore di Tsukki e le dita che quasi si sfiorano, si appunta mentalmente di comprare un futon per gli ospiti, perché la prospettiva di passare la notte rannicchiato in un angolo del letto non è delle migliori.
Mormora un “buonanotte, Tsukki” con un filo di voce, senza aspettare nemmeno una risposta, prima di tirare le coperte fin sopra agli occhi.
Pian piano, inizia a sentirsi risucchiato in quella sensazione di totale smarrimento, che lo assale ogni notte, dopo aver spento la lucina sul comodino. Tsukishima è scomparso: ora ci sono soltanto Yamaguchi e i suoi mostri, come sempre, solo che stavolta non può nemmeno permettersi di essere terrorizzato. Tadashi si sente rinchiuso in una prigione di buio, le mani legate strette, da solo con le proprie paure, e l’aria inizia a farsi sempre più pesante, tanto che è costretto ad annaspare per recuperare un po’ d’ossigeno. Le sue labbra si coprono di borbottii mai pronunciati, mentre continua a ripetersi che non c’è motivo di avere paura, che nel buio non c’è davvero nessun mostro. Il silenzio che pervade l’aria lo uccide: Tadashi non può sopportarlo, vuole essere distratto, vuole qualcosa che gli faccia capire che non è solo, anche se dubita ci sia una via di scampo a quella prigione, la cui chiave è stata gettata via da troppo tempo.
Poi, d’improvviso, proprio mentre le lacrime iniziano a bruciare gli occhi stanchi, una mano gli avvolge un polso, salda. Quasi sobbalza, Tadashi, il corpo tremante e la mente che urla ancora. Eppure, ha ancora conservato un briciolo di coraggio per fronteggiare gli occhi severi di Tsukki.
Lo sguardo di Kei è indecifrabile, come al solito. Yamaguchi si perde in quell’oro colato a tal punto da non rendersi conto che le dita dell’amico gli fasciano ancora il polso con delicatezza. Poi Tsukishima rompe il silenzio, e la sua voce si macchia di una sfumatura che Tadashi non è in grado di interpretare.
“Se c’è qualcosa che non va”, bisbiglia, e finalmente gli libera il polso, “Dovresti dirmelo, invece di continuare a comportarti in maniera strana”.
Tadashi abbassa lo sguardo, il polso freddo nel punto in cui le dita di Kei lo hanno stretto. Si illude di poterlo ingannare ancora per un po’, ancora per un giorno, anche se trovare le parole per dire che non è niente, che va tutto bene, è così difficile che, a un certo punto, inizia a temere di restare in silenzio per sempre.
Tsukki, però, non gli crede nemmeno per un istante: schiocca la lingua, e Yamaguchi capisce che è infuriato dal modo veloce in cui schiude ripetutamente le labbra, il petto che si alza e abbassa troppo in fretta.
Quando finalmente si decide a parlare, la sua voce è ghiaccio.
“Mi hai preso per un idiota?”, sibila e Tadashi non ha idea di dove trovi la forza per mentirgli ancora. Farfuglia un “no, Tsukki, sto bene” che sa di tutto fuorché lo star bene, le lettere che gli si bloccano sulla punta della lingua, gli si incastrano tra i denti.
Il silenzio si intrufola nell’aria, spennellandola di vuoto e di parole non dette, ma Yamaguchi non ci fa troppo caso, impegnato com’è a controllare il proprio volto, a imporsi di non tradirsi con le sue stesse mani. Controlla tutto: la bocca, piegata in una linea rigida, gli occhi, che parlano davvero troppo, e persino il respiro.
Deve solo superare quella notte, si conforta debolmente. Dopotutto, ne ha superate tante: è un soldato abbandonato sul campo di battaglia da troppo tempo, ormai, per lasciarsi spaventare da un’altra alba, si ripete, ma non ci crede nemmeno un po’. Sente le lacrime bruciargli di nuovo gli occhi e vorrebbe urlare, perché lo sguardo di Kei è ancora su di lui, e non può permettersi che lo veda così.
Eppure, quando la prima lacrima gli sfiora il volto, lasciando una scia umida sulle guance e annidandosi nell’incurvatura delle labbra, Tsukishima non ride né lo chiama patetico, anzi, si limita a passare delicatamente i polpastrelli sulla sua pelle, e Tadashi si sente fatto di cristallo.
Kei non dice nulla, per un po’, come se vedere il proprio migliore amico piangere sia una cosa del tutto normale, quasi programmata.
Tadashi non sa come interpretare quel silenzio, almeno fino a quando Tsukki schiocca la lingua. Gli basta un’occhiata, per rendersi conto che Kei sa tutto da tempo, e il terrore si impadronisce nuovamente di lui.
Aspetta la sua risata crudele, quella che popola i suoi incubi da un po’, gli occhi spalancati.
Eppure, Tsukishima non dice nulla, ancora, ma lo stringe in un abbraccio strano, un po’ impacciato e goffo, e Yamaguchi freme, il cuore impazzito.
Kei non è bravo con le parole: non trova mai quelle giuste, o il momento adatto per pronunciarle, quindi si limita ad utilizzarle il meno possibile.
Tuttavia, il timbro di voce di Kei è caldo, un po’ roco, piacevole, ed è davvero bellissimo. Quando pervade l’aria inchiostrata di nero, Yamaguchi trattiene a stento un gemito di sorpresa e, per la prima volta in vita sua, si sente abbastanza tutto, perché Tsukishima Kei sta cantando per lui, ed è più rassicurante di qualsiasi parola di conforto.
Ha scelto una canzone degli Smiths, una di quelle che ascolta a ripetizione, che fa ripartire mille e mille volte, così tante che Tadashi la conosce praticamente a memoria.
La voce di Kei è tremante, all’inizio, come se stesse confessando qualcosa di estremamente complicato. Tadashi stenta quasi a credere che stia ripetendo parole scritte da qualcun altro: quella canzone è di Kei, impregnata di frasi non dette.
 Si fa cullare da quei pensieri mascherati da note e, prima di crollare nell’oblio, Tadashi non può fare a meno di pensare che il buio, dopotutto, non sia così male.


 
 
 
“There is another world-
there is a better world
well, there must be…”

 
 
Angolino della pseudo autrice:
Ciao a tutti! Prima di tutto, grazie di essere arrivati fino alla fine di questa… cosa. Mentirei se dicessi di esserne convinta: questa one shot è, più che altro, una sorta di esperimento. La verità è che avevo veramente voglia di scrivere qualcosa al presente e, soprattutto, era da un po’ che desideravo scrivere di Yamaguchi in questo modo. So che è decisamente OOC, ma spero che vi piaccia. Sebbene sia, appunto, un esperimento, mi sento estremamente legata a questa storia: scriverla è stata una liberazione, come se avessi impresso su carta ( o su pagina Word, decidete voi) alcune cose che hanno fatto troppo a lungo parte della mia vita.
Spero che vi piaccia almeno un pochino!
Mi raccomando, lasciatemi una recensione! Sto cercando di migliorare e le critiche costruttive mi sarebbero veramente utili.
Grazie ancora, un bacio!
   
 
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