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Autore: JustAHeartBeat    16/01/2017    3 recensioni
Si ritrovò a sfiorare con uno sguardo curioso i lineamenti tondi, lattei, e gli occhi liquidi d’un argento limpido, ma allo stesso tempo inespressivi, si ritrovò a carezzare la linea imbronciata delle labbra sottili, ed al contempo visibilmente morbide, si ritrovò a perdere un battito del cuoricino nell’osservare la fossetta che in quel momento era comparsa al disopra del suo sopracciglio sinistro, inarcato, e si scoprì desiderosa di scoprire se un paio simili sarebbero comparse ai lati della bocca, se le avesse sorriso, si ritrovò ad osservare i capelli tanto biondi da sembrare bianchi, tirati indietro da qualcosa che sarebbe potuto assomigliare al gel babbano, pensando come sarebbero stati scompigliati . Ma come sarebbe tanta bellezza potuta essere nemica? Cos’era Scorpius Malfoy? Il giorno, forse? O la notte? Proprio non lo sapeva, ma Rose non era stupida, e sapeva che il giorno e la notte sono soltanto due facce della stessa medaglia, e Malfoy, era sicuramente entrambe.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Qualche Lentiggine Di Troppo'
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Introduzione stranamente IMPORTANTE:
Buonasera a tutti!
Dunque dunque, oggi, prima di tutto vorrei fare una piccola introduzione al capitolo, che spero leggiate. Questo è un capitolo un po’ particolare nel quale forse per la prima volta ho deciso di toccare un argomento molto delicato. Parlare dell’aborto, a mio parere, è praticamente come camminare su dei cocci ed io, per quanto mi riguarda, mi faccio voce del punto di vista di una ragazza di sedici anni, non di un adulto. Non che così dicendo abbia messo la ragione nella bocca di qualcuno in particolare, ognuno poi ha le sue esperienze e le sue opinioni, qui si rimane nel tema di una fanficion che riguarda adolescenti, che in quanto tali devono pensare come adolescenti. Così come molti altri argomenti che si sono aperti è un modo per caratterizzare un personaggio, e, perché no, portare magari a riflettere sull’argomento. Per quanto mi riguarda, ho deciso di non inserire il mio personale punto di vista, che, in quanto autrice, non può limitare i diversi personaggi (se tutti parlassero e pensassero come me non sarebbe una storia, quanto più un monologo piatto).
Dopo questa prima parte seria, passiamo un po’ al cazzeggio alleggeriamo un po’ l’atmosfera xD. Come state tutti quanti? Io abbastanza bene, nonostante sia ancora a letto con l’influenza (quando si dice partire col piede giusto *sorrisetto sarcastico*) ho avuto modo di uscire di casa questa mattina, mettendo un piede fuori dalla soglia mi sono accorta di essermi trasferita nel Nord della Groenlandia. Ho un pinguino come vicino (che fa anche rima *like a boss*).
Bene bene, come ultima cosa vorrei dirvi che mi farebbe molto piacere ricevere un piccolo commentino ovviamente anche critico, anche piccino piccino, purché riesca a capire se la storia vi piace o meno, se avete notato qualche errore o se a parere vostro qualcosa andrebbe rivisto.
Un grazie grandissimo a Fancy e AmyRoseScorpius che hanno recensito lo scorso capitolo! Davvero, grazie :).
A Lunedì!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

 
 
Chapter XX
 
Lontano da questa
frazione di mondo.

 
You’ve got a fast car,
I want a ticket to anywhere.
Maybe we can make a deal,
Maybe together we can get somewhere:
Any place is better.
-Fast Car, Tracy Chapman
 
Seguire Incantesimi le sembrava impossibile, rannicchiata all’ultimo banco dell’aula per la prima volta nella sua vita. Se settime prima le avessero detto che sarebbe successo di certo si sarebbe fatta una grande risata, eppure, all’ultima ora di quell’assolato Martedì, si trovava proprio lì. Era entrata in classe bianca come un cencio, i capelli stretti in una coda alta sul capo e la divisa perfetta a fasciarle il corpo frutto di ore a cercare di sistemarsi al meglio quella mattina. Ora che avrebbe dovuto passare a dormire.
Rose non ricordava più l’ultima volta che aveva chiuso occhio. Beh, non che non ci provasse: ogni sera si ritirava nel dormitorio subito dopo aver rosicchiato qualcosa nella Sala Grande, senza aspettare che Hanna finisse di cenare, chiudeva gli occhi e respirava profondamente sperando che il sonno la cogliesse di sorpresa. Non funzionava mai. Mai. Così era costretta a girarsi e rigirarsi nel letto. Supina, braccia lungo il corpo, le pareva di sentire il respiro di Dominique nel letto accanto al suo.  Distesa da un lato, braccio sotto il cuscino, ecco che le tornava in mente l’immagine di sua cugina stesa nel bagno. Verso le tre di mattina, sconfitta, puntuale come un orologio svizzero, si alzava dal letto e tornava nella sala comune a rileggere vuoi il tema di Pozioni, vuoi il procedimento per l’esatto svolgimento di un incantesimo d’appello o quant’altro.
Quel giorno poi era iniziato male dal principio. A colazione, dopo aver buttato giù un paio di biscotti, aveva ricevuto ben tre lettere da casa, una di Albus, una di sua madre ed una da Lily. Rose, per quanto fosse legata alla cuginetta proprio non si aspettava di ricevere notizie da lei. E soprattutto non si aspettava che Albus, Albus Severus Potter, avesse cercato in quel modo un litigio così serio con suo fratello. Insomma, non in quel momento, non in quel modo. Litigio che, tra l’altro, non era neppure accennato nella lettera del ragazzo.
Sua madre, per aggiungere la ciliegina sulla torta, le aveva comunicato, con tono cauto e preoccupato, che la sera precedente Dominique era stata nuovamente portata nel reparto rianimazione. Non riportava le motivazioni, non spiegava il motivo. Semplicemente Dominique non stava guarendo. Dominique non stava meglio.
Si passò una mano sul viso e gettò uno sguardo all’enorme lavagna sulla parete, sulla quale il professore stava scribacchiando, con piccoli colpi di polso, gli esatti passaggi per eseguire correttamente un ‘Confringo’[1].
L’incantesimo ‘Confringo’, che vedete alla lavagna, è esattamente l’ opposto dell’incantesimo che avete appreso durante il vostro primo anno..”. Il professor Vitious, arroccato s’una pila immensa di tomi, si schiarì la voce e Rose, battendo le palpebre, affaticata, cercò di mettere a fuoco la formula di gesso. Per lo meno doveva tentare. Merlino, come non era abituata a stare all’ultimo banco. “Vi chiederete perché, dunque, venga studiato così tanto tempo dopo..” continuò l’ometto, mentre qualche bisbiglio di assenso si levava all’interno della classe. “Si, si, ho capito, ho capito, ve lo siete chiesti”. Si schiarì di nuovo la voce che la vecchiaia aveva reso instabile e quasi sempre incrinata. “Nonostante sia un opposto, e come voi saprete se avete studiato le proprietà degli opposti, dovrebbe essere dato dallo stesso oscillamento della bacchetta di ‘Accio’ e da diversa formula, ma..”. Fece una pausa, quasi volesse ottenere un effetto suspense. “.. essendo quest’ultimo un incantesimo di appello, si apre per noi una nuova categoria di opposti: gli incantesimi di esilio” . Il brusio di voci contrariate convinse Rose che, per quanto avesse tentato, non sarebbe riuscita a concentrarsi, dunque, il capo tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto, si limitò ad aspettare la fine della lezione.
Mezz’ora dopo, cartella in spalla, come al solito, ed un paio di tomi tra le braccia, era diretta nel cortile di Trasfigurazione. Camminava velocemente, lo sguardo basso, costeggiando il muro. Da quando Dominique era stata portata al San Mungo, ed i suoi cugini erano tornati a casa, sembrava che il passatempo preferito di tutti fosse osservarla passare per i corridoi. A Rose, quella situazione iniziava a stare stretta. Parecchio stretta. Tanto che, persino a quell’ora in cui i corridoi erano praticamente vuoti poiché ora di pranzo, non poteva fare a meno di sentirsi osservata.
Arrivò a destinazione qualche minuto dopo ed, in silenzio, si buttò ai piedi dell’albero solitario situato al centro del piccolo cortile. Sua madre le aveva raccontato che quando andava a scuola lei, al centro del cortile v’era un’enorme sfera armillare, poi distrutta durante l’ultima battaglia e mai ricostruita. La Quercia Crescente[2] sotto la quale era seduta, era stata piantata al suo posto, in onore di Albus Silente soltanto tre anni dopo. La ragazza immaginò che seminare una nuova vita dovesse essere stata l’unica maniera per la professoressa McGranitt di tornare a guardare quel piazzale verde senza vederci la morte.
L’erba era umida, probabilmente ancora pregna della brina notturna che quel sole timido non era riuscito a sciogliere completamente. Si gelava. La ragazza si strinse nel mantello scuro. Prima di uscire dall’aula aveva tirato fuori dalla cartella la sciarpa rosso-oro e se l’era arrotolata attorno al collo e questa, ora, ricadeva mogia lungo l’uniforme, che durante quelle settimane aveva imparato a calzarle sempre più larga, a proteggerla dal vento che s’era alzato. Trovarsi in un cortile interno, e quindi esposto all’ombra, di certo non aiutava. Fu  scossa da un brivido.
Merlino, Rossa, ma rintanati, che so, nella Biblioteca o in un qualche posto che non tocchi i meno trenta gradi centigradi ti sembrava brutto?”. A passo veloce, le braccia attorno al proprio corpo alla disperata ricerca di qualsiasi fonte di calore, Scorpius la stava raggiungendo, sotto braccio un piccolo parchetto informe. La ragazza s’imbronciò appena.
Non che non se lo aspettasse. Ultimamente lei ed il ragazzo avevano iniziato a passare quasi tutti i pomeriggi insieme, quasi come se il ragazzo si rifiutasse di lasciarla da sola per paura di nemmeno lei sapeva cosa, come se fosse una bambina piccola da tenere sott’occhio. Si era dimenticata le volte che aveva provato a cacciarlo via e tutte le volte in cui gli aveva ripetuto che non c’era bisogno di quell’assistenza morbosa, ma il ragazzo, ogni volta, si limitava a scuotere il capo e ripeterle le solite parole: “Ti sembro il tipo di persona che farebbe il cane da guardia?”, poi cambiava discorso. Rose dubitava si ostinasse a starle accanto perché gli andava ed, in cuor suo, sapeva che doveva averglielo chiesto Albus. Non aveva ancora capito se le facesse più piacere o più male averlo accanto.
“Non mi sto rintanando” ribatté semplicemente, incrociando le braccia e portando le gambe al petto. Il ragazzo le si sedette vicino. Quel giorno doveva essersi svegliato tardi: i capelli biondi erano troppo in disordine perché lui avesse anche solo provato a metterli a posto, la cravatta era storta, nascosta alla bell’e meglio sotto la camicia e, come se non fosse abbastanza, il maglione era al contrario. Non se ne era nemmeno accorto. “Stavo scherzando, non ti scaldare” le sussurrò, per poi passarle l’involucro ocra che prima teneva sotto il braccio.  Ah, era vero! Quella era diventata un’altra specialità di Scorpius Malfoy, passato dall’essere l’essere più sarcastico e cinico della terra all’essere un perfetto Signor Tranquilla-Mi-Sposto-E-Se-Vuoi-Ti-Bacio-Le-Scarpe. Forse quella era la cosa che la ragazza sopportava di meno. Se c’era una cosa per la quale aveva sempre apprezzato Scorpius, probabilmente anche quando avrebbe apprezzato di più uno schiopodo a lui, era il suo trattarla senza alcun riguardo particolare. Era sempre stata un ‘dimostrami che puoi prendertelo da sola il riguardo’ la loro relazione, ed era la cosa che più teneva la ragazza viva. Era un mettersi in gioco continuo, un lottare continuo. Ora, invece, le sembrava che le avessero affiancato una badante. ‘Vuoi una zuppa calda, cara?’, ‘Attenta, non fare le scale o potresti scivolare sul nulla’, ‘Quidditch! Sei matta, ti pare che possa volare nelle tue condizioni, d’altronde non che sia uno sport che fai da sempre!’. Era come avere Madama Chips costantemente alle calcagna.
Rose srotolò dall’involucro quello che aveva tutte le arie di un panino col prosciutto. Guardò bieca il ragazzo. “Ora mi porti anche da mangiare, non ti sembra di star esagerando? Insomma, tranquillo, dirò ad Albus che mi  hai praticamente steso s’un letto di rose, tranquillo, però davvero, tutto questo si sta facendo ridicolo! So badare a me stessa, ho sedici anni, per l’amor di Merlino!” sbottò,brandendo il panino per sottolineare l’azione compiuta dal ragazzo. Si, le faceva decisamente più male che piacere. Non poteva semplicemente sopportare tutta quella messa in scena. Peggiorava la situazione, era come se ogni gesto di gentilezza rimarcasse la sua momentanea debolezza. E lei non era debole. Lei non aveva bisogno di nessuno.
“Non penso che Albus sarebbe felice di sapere che ti ho stesa s’un letto di rose” commentò il ragazzo portandosi l’indice sul mento in una sarcastica interpretazione di un’espressione pensosa. Rose si lasciò scappare un sorriso. Per lo meno ogni tanto il caro vecchio Scorpius spuntava fuori. Gli diede un cazzotto giocoso sulla spalla e scosse il capo, prima di incartare nuovamente il panino. “Rose. Guardami.”. La ragazza si voltò nella sua direzione, alzando gli occhi al cielo. Già immaginava la paternale sui pasti che stava saltando, su quanto fosse magra e bla, bla, bla, e non era proprio dell’umore giusto. “Non ho fame, ok? Più tardi lo mangerò, ti ringrazio ma non era nemmeno necessario”.  Il vento si era alzato ancora di più, tanto che i capelli della ragazza, prima solo leggermente mossi, iniziarono a svolazzarle sul viso. “Non è questo che volevo dire, sei capace di stare zitta o devo affatturarti perché tu mi senta?” gli chiese retorico, mettendosi a sedere davanti alla ragazza in modo tale da poterla guardare negli occhi. Lei deglutì a vuoto, dando silenziosamente il consenso al ragazzo di parlare. “Devi levarti dalla testa che io sia qui perché me lo ha chiesto Albus. Devi farlo ora.”. Il cipiglio severo del Serpeverde la stupì. Scoprì marcata la fossetta sopra il sopracciglio e lo rivide anni prima al binario nove e tre quarti. Così simile. Così diverso. Si concentrò sui lineamenti aggraziati del viso, sugli occhi del colore dell’argento fuso. Sorrise. “Barbie, se non ti conoscessi quasi penserei che tu tenga a me” gli bisbigliò a pochi centimetri dal viso. Il ragazzo incrinò le labbra in ghignetto. “Fortuna che mi conosci allora, Carota” le rispose solamente. Per poi avvicinarsi il necessario per stringerla in un abbraccio. Se qualcuno li avesse visti così, per prima cosa avrebbe pensato di certo avrebbe che ad Hogwarts circolasse la droga, poi sarebbero stati sulla bocca di tutti. Eppure a nessuno dei due, in quel momento, sembrava importare.
“Devo solo staccare un po’, Scorpius, devo solo tornare un attimo alla normalità. Non ce la faccio più a sopportare la pena negli occhi delle persone, non la tollero! Insomma, non farà tornare le cose come prima! Mi fa solo sentire irrimediabilmente esposta. Ecco tutto.”. Aprirsi al ragazzo, in quel momento, era dannatamente semplice. Stretta al suo petto non sentiva freddo, stretta al suo petto nessuno la guardava, nessuno bisbigliava. Aveva sempre trovato difficile parlare con qualcuno che non fosse Dominique, senza di lei si sentiva persa, senza la sua migliore amica non si sentiva Rose. Eppure lì, stretta al suo petto, si sentiva incredibilmente se stessa. Portami via da questa frazione di mondo. Così lo fece. “Non credo supererò mai tutto questo sai, non credo nessuno di noi lo farà mai. Tutta questa situazione.. Dominique, l’aborto.. è semplicemente troppo grande per essere superata”. “Parli come se fosse morta” la rimbeccò il ragazzo, portando una mano a scioglierle la coda. La ragazza non sembrò farci caso. “Lo è, Scorpius! Una parte di lei non c’è più, nonostante si alzerà da quel letto, perché mi rifiuto di pensare che non lo farà,  una parte di lei è morta. Morta assieme al …”. Lasciò la frase in sospeso, incapace di pronunciare ad alta voce quel pensiero. Dare voce ai pensieri li rende reali. “Dillo, qualsiasi cosa tu debba dire, dilla. Più ti terrai dentro più tutto questo continuerà a perseguitarti.. io.. non so se sono la persona più adatta, magari preferisci parlare con qualcun altro, non so.. vado a chiamare la Harvey?” le chiese a bassa voce. Rose apprezzava quei sussurri. Era come se il ragazzo volesse dirle che tutto quello sarebbe rimasto solo lì, nella distanza tra un sussurro e l’altro, nella distanza di un abbraccio. “No.. Hanna ha i suoi problemi ora e poi io.. io.. io mi fido di te”.
Ci volle qualche secondo prima che il ragazzo realizzasse ciò che gli era appena stato detto. ‘Io mi fido di te’. Era più di quanto avesse voluto, molto più di quanto si aspettasse. Insomma, sapeva che Albus si fidava di lui ed era abbastanza sicuro che anche Hilary lo facesse, ma mai nessuno glielo aveva detto. Mai nessuno aveva avuto il bisogno di dirglielo. Rose avrebbe potuto semplicemente dirgli che le sarebbe andato bene anche parlare con lui, o qualsiasi cosa, invece, aveva scelto di mormorare quelle cinque parole. Non era una confessione fatta alla prima persona che l’avesse ascoltata. Non era stata una scelta futile. Era semplicemente fiducia. Scorpius si morse il labbro inferiore per impedirsi di sorridere in un momento decisamente poco consono.
“Vieni” le bisbigliò all’orecchio, poi, una volta recuperato l’involucro del panino, si alzò da terra e le tese la mano perché lo imitasse. La rossa, ormai in piedi, lo guardò interrogativa. In risposta lui indicò il corridoio a fiancheggiava il cortile. Tanto presa dal discorso, la ragazza non si era neppure accorta di quanto tempo fosse passato, né che la maggior parte degli studenti avessero finito di pranzare. Annuì brevemente per poi seguirlo all’interno del castello.
“Dove stiamo andando?” gli chiese, ansimando un po’ per via della camminata veloce. “Nella mia camera da letto”. Scorpius voltò leggermente il capo in modo tale da poter osservare la reazione della ragazza che arrossì e si fermò in mezzo al corridoio con uno sguardo di disappunto sul viso. “Dai, scherzavo. Vieni.”. Sotto lo sguardo attonito di tutti la prese per mano, e, con passo deciso, la scortò di nuovo all’aperto, nel capo da Quidditch.
“Perché mi hai portata qui?”. Ferma esattamente alla metà del campo, Rose stava aspettando che il ragazzo la raggiungesse, mai questi, invece, si era addentrato nello sgabuzzino dove i giocatori custodivano i manici di scopa. “Per giocare a scacchi!”  fu la risposta del ragazzo, urlata dall’interno della stanza. La ragazza sbuffò sonoramente mentre Scorpius le si avvicinava con in mano due scope ed una Pluffa. Quando le passò il suo manico di scopa, Rose lo guardò alquanto perplessa. “Come hai fatto a tirarlo fuori dall’armadietto? Sono incantati, solo io avrei potuto prenderlo!”. Lui face spallucce. “Suppongo abbia capito che te l’avrei portato” rispose semplicemente, poi inforcò la sua scopa e si librò in aria. “Beh, hai intenzione di volare o resti tutto il giorno lì a goderti lo spettacolo?”. Dieci secondi dopo la ragazza stava fluttuando attorno all’anello centrale.
“Bene, adesso, subito dopo aver parato ogni tiro voglio che tu urli una delle cose che più ti opprime, chiaro?”. La ragazza scosse il capo, a metà tra lo scettico ed il curioso. “Cos’è una specie di giochetto psicologico?”. Scorpius, che stava facendo un paio di giri di campo, le si avvicinò tanto da sfiorarle la gamba con la sua. “Vedila come vuoi, Carota”, poi si allontanò per preparare il primo tiro.
Rose socchiuse gli occhi cercando di scacciare tutti i pensieri che non riguardassero la Pluffa e gli anelli.  Il ragazzo scattò. Accorciava le distanze sempre di più, la Pluffa sotto il braccio, destra, sinistra, piccolo slalom nel vuoto, anello di destra, tiro. La ragazza si buttò subito di lato, pronta ad afferrare con entrambe le mani la palla scarlatta, i capelli sciolti nel vento e le cosce strette attorno alla Nimbus per evitare di scivolare rovinosamente a terra. Aveva dimenticato l’ebbrezza del Quidditch. Non appena riuscì a bloccare l’avanzata della palla le parole le fluirono dalle labbra da sole. “Sono terrorizzata, terrorizzata come la merda da tutto quello che mi sta succedendo. Non posso fare nulla e niente dipende da me. Sono succube di qualcosa che non posso gestire. Sento la mia vita scivolarmi come acqua tra le dita e non posso bloccarla. Sono terrorizzata dal poter perdere Dominique, perché senza di lei sono persa, perché è una delle persone più importanti della mia vita e non ce la faccio a sopportare anche solo il pensiero che non si svegli”. Lo aveva urlato nell’aria, poteva sentire quelle parole rimbombarle nella testa come se se avesse urlate al suo interno. Le aveva confidate a Scorpius ma allo stesso tempo le aveva confidate a se stessa. Passò di nuovo la palla al ragazzo.
Scorpius si allontanò di nuovo, neutro in volto, poi di nuovo, si lanciò verso gli anelli. Sinistra destra, slalom anello centrale, tiro. Parare questo tiro non fu particolarmente complicato, la ragazza sospettava che fosse parte di un suo piano specifico che lei parasse tutti i tiri. Che lei parasse tutti quei pensieri. “La notte non dormo perché più ci provo più mi assale la consapevolezza che la maggior parte di ciò che è accaduto è dovuto al mio egoismo. Continuo a vedermi sul molo della rimessa delle barche, facendomi i cazzi miei e contemporaneamente vedo Dominique sola, a lottare contro se stessa. Semplicemente non riesco a capacitarmi di quanto un solo attimo possa effettivamente cambiare la vita di venti persone. Possa determinare la morte di un’altra.”. Le si stava di nuovo incrinando la voce.
“Buttali fuori, Rose! Butta fuori tutto!” le urlò Scorpius, vicino agli anelli dalla parte opposta del campo per un altro tiro. Puntò l’anello di sinistra. Banale. Scontato. Rose tirò via la palla dall’anello colpendola con il braccio destro. “Ogni volta mi fermo a pensare all’aborto. Sai, ogni tanto ci pensavo anche prima. Era un gesto abominevole, un assassinio, ma adesso.. adesso non è così semplice scriverci sopra un’etichetta, Scorpius! Dominique.. Dominique non è un’assassina, Dominique non lo è!”. Nell’urlare quelle parole, scoppiò a piangere, senza però smettere di parlare. Stava liberando tutto. Tutto. “È difficile giudicare quando ci sei dentro. Quando guardi una situazione da fuori puoi sbizzarrirti e dire tutto ciò che vuoi, sei certo che non toccherà mai a te.. ma.. ma quando ci sei dentro le cose cambiano, il gioco cambia!”. Singhiozzò rumorosamente. La pelle del volto le si era arrossata per colpa del vento che le stava sferzando addosso. Le lacrime le percorrevano le gote seguendo tutte la stessa scia di quella che le aveva precedute.
Un altro tiro. Rose acchiappò la Pluffa appena in tempo. “Se fosse capitato a me? Cosa avrei fatto? Come lo avrei detto ai miei genitori? E più ci penso, più capisco la paura che ha provato Dominique, più ci penso, più capisco quanto deve aver avuto bisogno di me. Se fosse capitato a me, cosa avrei potuto dare ad un bambino quando non so neppure cosa farò da due anni a questa parte? Come crescerei un bambino senza aver la benché minima idea di come stirare una camicia alla babbana? Merlino, non ne ho idea di cosa avrei fatto se fosse capitato a me. Ma più ci penso più la paura mi assilla di nuovo perché temo ch’avrei fatto la stessa cosa, Scorpius. La stessa cosa aberrante e disgustosa. Perché il terrore fa fare qualsiasi cosa. Ed io non posso nemmeno immaginare il terrore che deve aver provato Dominique”. Ci fu una pausa, la ragazza, dietro tutte le lacrime, sorrise. “E solo ora so perché mia cugina è stata smistata in Grifondoro: ci vuole coraggio, tanto coraggio per affrontare tutto questo da sola. E lei ci ha provato.  Mi manca da morire. Mi manca da morire.” 
Scorpius, dopo un breve istante, inclinò il manico quanto bastava perché avesse un atterraggio lento e pulito. Una volta giunto a terra non dovette aspettare molto perché anche la rossa lo seguisse e gli ripassasse la Pluffa. Lui, per tutta risposta la buttò per terra e le si avvicinò fino a che la distanza tra i loro visi non si fosse potuta misurare in respiri. “Come stai?” le chiese, semplicemente. Rose fese spallucce. “Leggera.”. Lui sorrise e fece per allontanarsi ma fu subito bloccato dalla presa della ragazza sul suo polso. Si voltò a guardarla ancora. Aveva il viso segnato dalle lacrime, ormai asciugate dal vento. Lo trasse a sé con una piccola pressione e, lentamente, le loro fronti combaciarono. Poteva avvertirne il profumo delicato. Si avvicinò ancora, alzandosi sulle punte per posare le labbra sulle sue. Non chiusero gli occhi fino al contatto. Continuarono a guardarsi fino a quando le loro labbra non s’incastonarono come un piccolo puzzle. Come il gesto più naturale del mondo. Il gesto più giusto.  “Grazie”.
 
 
 
[1] Incantesimo utilizzato nella saga solo nel settimo libro, non sono riuscita a trovare nessuna informazione che possa collegare il suo insegnamento nell’arco degli anni, così ho fatto un po’ di testa mia :)).

[2] Albero simile ad una quercia inventato da me (notare l’originalità del nome ahahah) capace di una crescita quasi istantanea (2-5 mesi per raggiungere la sua massima altezza).
   
 
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