Non so dire esattamente quanti minuti effettivamente
trascorsero prima che mi facessi da parte e lasciassi entrare quella splendida
creatura nel mio ingresso, il quale adesso mi pareva più scialbo che mai
confrontato allo splendore allucinante di quel ragazzo.
Mi sarei quasi aspettata di vedermi crollare sul
pavimento dalla tensione, tanto i miei nervi erano tirati a quel punto mentre
il mio sguardo si prendeva la libertà di girovagare su di lui e di assaporare
ogni più piccola sfumatura di quel viso d’angelo d’altri tempi.
“Forse vuoi chiudere la
porta?” mi fece notare ad un tratto, parlando con una melodia tale nel tono
della voce da indurmi a credere di essere finita direttamente in paradiso e di
stare parlando con uno dei suoi messaggeri angelici.
Io rimasi semplicemente
pietrificata a fissarlo ancora e fu a quel punto credo che capì la portata
dell’effetto che aveva prodotto su me, perché sorridendomi si affrettò a
chiuderla lui la porta, prima di ritornare a guardarmi con un calore insolito
in quegli occhi dorati.
“Io…ti conosco?”
farfugliai finalmente, sostenendo a malapena il suo sguardo. C’era un non so
che di familiare in lui. Come se qualcosa fosse finalmente tornata al suo posto
semplicemente guardandolo.
Rimase per un poco in
silenzio, soppesando le mie parole e poi finalmente sorrise e scosse la testa
“No, non mi conosci. Sono nuovo in città.” Si passò una mano fra i capelli
fradici d’acqua “Mi si è fermata la macchina proprio qui davanti e speravo di
poter usare il telefono…posso?”
Di nuovo un brivido solo
a fissarlo.
“Sì..certo che puoi” con
non so bene quale parte di me stessa riuscii a fargli strada verso il salotto e
a indicargli il telefono, poi mi dileguai in cucina.
Dire che il mio cervello
fosse in tilt in quei momenti sarebbe proprio minimizzare la cosa perché mi
ritrovai ben presto ad aprire e chiudere i cassetti senza un obiettivo preciso,
a controllare la dispensa almeno 3 volte e ad accendere per poi rispegnere
subito la tv senza nessun motivo apparente.
In poche parole
sragionavo.
“Ok, allora passa a
prendermi mio zio. È un problema se lo aspetto qui?”
Al suono della sua voce
accanto a me, saltai in aria dallo spavento e mi voltai a guardarlo
terrorizzata.
“Scusa, non volevo
spaventarti.”
“No figurati” farfugliai
io, tentando di riprendere a respirare normalmente. “Tuo zio hai detto?” mi
voltai a guardarlo e provai una fitta allo stomaco.
Dio se era bello.
“Sì, non abita proprio
qui in città. Forse lo conosci, è il Dr. Cullen”
Ma come avevo fatto a non
pensarci prima? Naturale che fosse uno dei Cullen. La bellezza devastante era
come un marchio di fabbrica per quella famiglia.
“Sì certo che lo conosco.
Tu sei imparentato proprio con lui? Perché voglio dire, sì insomma…Emmett,
Edward e gli altri…loro non sono davvero figli…” mi bloccai prima che la
situazione potesse diventare ancora più imbarazzante.
Ma che cosa stavo
dicendo? Grandioso Janine. Mettersi a parlare dei problemi di famiglia di un
perfetto sconosciuto, davvero non potresti fare di meglio.
Fortunatamente il ragazzo
sorrise e impercettibilmente si avvicinò.
“Sì è davvero mio zio.
Fratello di mio padre per l’esattezza. Anche se i miei sono morti…beh un po’ di
tempo fa ormai…” vagò un attimo con lo sguardo in cerca di chissà quale memoria
lontana. “Quando stai troppo tempo da solo, puoi iniziare a stancarti e così
eccomi qui. Voglio dire, qui a Forks. Certo non prevedevo che la mia macchina
si mettesse a fare i capricci.”
Annuii, sono sicura come
la più idiota delle idiote, a quel punto avrebbe benissimo potuto parlare di
cose senza senso che avrei annuito lo stesso, e lui tentò un’altra volta di
avvicinarsi.
“A proposito, non mi sono
neanche presentato.”
Sorridendo, mi tese la
mano. “Benjamin Cullen.”
Quasi non caddi a terra
morta quando le nostre mani entrarono a contatto. Non c’era niente, niente di
normale in quella stretta. Era forte, decisa ma soprattutto fredda come la
neve, anzi molto di più. Esattamente come se avessi infilato la mano dentro al
freezer.
Ma non era solo questo.
C’era anche un calore
strano che ero sicura si fosse sprigionato nel momento stesso in cui la nostra
pelle si era toccata. Un’energia forse. O qualcosa di infinitamente più
complicato.
Ero sicura che anche lui
avesse provato le stesse sensazioni, ma nonostante questo, quando alzai lo
sguardo lo trovai a fissarmi come se niente fosse successo.
“Non vuoi dirmi il tuo?”
esclamò invece, con un tono canzonatorio.
Solo allora mi resi conto
di essere rimasta a guardarlo sbigottita per tutto il tempo della
presentazione.
“Janine Leaving”
balbettai e poi tolsi velocemente la mano dalla sua e la infilai in tasca, come
se volessi cancellare quello che era appena successo, come se la scarica di
adrenalina che avevo provato fosse sbagliata, o comunque impossibile e volessi
semplicemente dimenticarla.
Forse non potevo
semplicemente credere a quello che ogni singola parte di me stessa mi stava
gridando di credere.
Quel ragazzo non era
umano.
E ad una come me,
abituata a stare con i piedi per terra, credere a spettri e cose simili non era
consentito.
“Credo che mio zio sia
arrivato” esclamò poi, nonostante nessuno avesse suonato il campanello.
Non feci neanche in tempo
a stupirmi dell’assurdità di quell’affermazione, che davvero suonarono alla
porta e a quel punto avevo letteralmente esaurito la mia scorta di incredulità
che non riuscii nemmeno a scandalizzarmi più di tanto.
Andai ad aprire credendo
di trovarmi in un sogno impazzito e salutai il Dr. Cullen, alla meno peggio,
cercando quantomeno di formulare una frase corretta.
Aveva smesso di piovere,
notai.
Brava, focalizzati
sulle cose normali, ti aiuterà a non impazzire.
“Salve Janine. Credo che
mio nipote sia qui.”
“Zio” lo salutò una voce
alle mie spalle e voltandomi feci giusto in tempo a scorgere la sfumatura di
qualcosa sul volto glaciale di Benjamin.
Come una sorta di
messaggio nascosto trasmesso allo zio nel giro di un nanosecondo.
Volevo rinunciare a
capire i Cullen, ma per qualche strana ragione sembrava che ciò mi fosse
impossibile.
“Scusa per il disturbo
Janine. Manderò qualcuno a portare via la macchina dal tuo vialetto.”
“Non preoccuparti”
“Allora ci vediamo”
Annuii e chiusi la porta
dietro di loro.
Volevo solo addormentarmi
e far cessare quella pazzia per sempre. Sogno, realtà, era come se tutto si
fosse mescolato e non ci fosse più niente di vero, di autentico, nessuna
certezza.
Ripensandoci, neanche io
ero una certezza dal momento che neanche sapevo chi fossero i miei veri
genitori, la mia vera identità.
Onestamente, come si
faceva a restare sani mentalmente con un contorno del genere?