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Autore: RiceGrain    29/05/2009    1 recensioni
Janine non ricorda niente del suo passato. Il terrore per una donna dai capelli rossi, l'odio per il caramello e un sogno che la perseguita sono le uniche cose rimastele di quel passato dimenticato. Ma chi è in realtà Janine?
Ambientata durante Twilight, ma con la storia principale ha poco a che fare, è più che altro un background per contestualizzare la mia storia.

Cercando di non dare peso alla sensazione di nausea alla bocca dello stomaco, presi la barretta e la gettai nel cestino. L’odore del caramello mi faceva venire da vomitare.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Incompiuta
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Non so dire esattamente quanti minuti effettivamente trascorsero prima che mi facessi da parte e lasciassi entrare quella sple

Non so dire esattamente quanti minuti effettivamente trascorsero prima che mi facessi da parte e lasciassi entrare quella splendida creatura nel mio ingresso, il quale adesso mi pareva più scialbo che mai confrontato allo splendore allucinante di quel ragazzo.

Mi sarei quasi aspettata di vedermi crollare sul pavimento dalla tensione, tanto i miei nervi erano tirati a quel punto mentre il mio sguardo si prendeva la libertà di girovagare su di lui e di assaporare ogni più piccola sfumatura di quel viso d’angelo d’altri tempi.

“Forse vuoi chiudere la porta?” mi fece notare ad un tratto, parlando con una melodia tale nel tono della voce da indurmi a credere di essere finita direttamente in paradiso e di stare parlando con uno dei suoi messaggeri angelici.

Io rimasi semplicemente pietrificata a fissarlo ancora e fu a quel punto credo che capì la portata dell’effetto che aveva prodotto su me, perché sorridendomi si affrettò a chiuderla lui la porta, prima di ritornare a guardarmi con un calore insolito in quegli occhi dorati.

“Io…ti conosco?” farfugliai finalmente, sostenendo a malapena il suo sguardo. C’era un non so che di familiare in lui. Come se qualcosa fosse finalmente tornata al suo posto semplicemente guardandolo.

Rimase per un poco in silenzio, soppesando le mie parole e poi finalmente sorrise e scosse la testa “No, non mi conosci. Sono nuovo in città.” Si passò una mano fra i capelli fradici d’acqua “Mi si è fermata la macchina proprio qui davanti e speravo di poter usare il telefono…posso?”

Di nuovo un brivido solo a fissarlo.

“Sì..certo che puoi” con non so bene quale parte di me stessa riuscii a fargli strada verso il salotto e a indicargli il telefono, poi mi dileguai in cucina.

 

Dire che il mio cervello fosse in tilt in quei momenti sarebbe proprio minimizzare la cosa perché mi ritrovai ben presto ad aprire e chiudere i cassetti senza un obiettivo preciso, a controllare la dispensa almeno 3 volte e ad accendere per poi rispegnere subito la tv senza nessun motivo apparente.

In poche parole sragionavo.

“Ok, allora passa a prendermi mio zio. È un problema se lo aspetto qui?”

Al suono della sua voce accanto a me, saltai in aria dallo spavento e mi voltai a guardarlo terrorizzata.

“Scusa, non volevo spaventarti.”

“No figurati” farfugliai io, tentando di riprendere a respirare normalmente. “Tuo zio hai detto?” mi voltai a guardarlo e provai una fitta allo stomaco.

Dio se era bello.

“Sì, non abita proprio qui in città. Forse lo conosci, è il Dr. Cullen”

Ma come avevo fatto a non pensarci prima? Naturale che fosse uno dei Cullen. La bellezza devastante era come un marchio di fabbrica per quella famiglia.

“Sì certo che lo conosco. Tu sei imparentato proprio con lui? Perché voglio dire, sì insomma…Emmett, Edward e gli altri…loro non sono davvero figli…” mi bloccai prima che la situazione potesse diventare ancora più imbarazzante.

Ma che cosa stavo dicendo? Grandioso Janine. Mettersi a parlare dei problemi di famiglia di un perfetto sconosciuto, davvero non potresti fare di meglio.

Fortunatamente il ragazzo sorrise e impercettibilmente si avvicinò.

“Sì è davvero mio zio. Fratello di mio padre per l’esattezza. Anche se i miei sono morti…beh un po’ di tempo fa ormai…” vagò un attimo con lo sguardo in cerca di chissà quale memoria lontana. “Quando stai troppo tempo da solo, puoi iniziare a stancarti e così eccomi qui. Voglio dire, qui a Forks. Certo non prevedevo che la mia macchina si mettesse a fare i capricci.”

Annuii, sono sicura come la più idiota delle idiote, a quel punto avrebbe benissimo potuto parlare di cose senza senso che avrei annuito lo stesso, e lui tentò un’altra volta di avvicinarsi.

“A proposito, non mi sono neanche presentato.”

Sorridendo, mi tese la mano. “Benjamin Cullen.”

Quasi non caddi a terra morta quando le nostre mani entrarono a contatto. Non c’era niente, niente di normale in quella stretta. Era forte, decisa ma soprattutto fredda come la neve, anzi molto di più. Esattamente come se avessi infilato la mano dentro al freezer.

Ma non era solo questo.

C’era anche un calore strano che ero sicura si fosse sprigionato nel momento stesso in cui la nostra pelle si era toccata. Un’energia forse. O qualcosa di infinitamente più complicato.

Ero sicura che anche lui avesse provato le stesse sensazioni, ma nonostante questo, quando alzai lo sguardo lo trovai a fissarmi come se niente fosse successo.

“Non vuoi dirmi il tuo?” esclamò invece, con un tono canzonatorio.

Solo allora mi resi conto di essere rimasta a guardarlo sbigottita per tutto il tempo della presentazione.

“Janine Leaving” balbettai e poi tolsi velocemente la mano dalla sua e la infilai in tasca, come se volessi cancellare quello che era appena successo, come se la scarica di adrenalina che avevo provato fosse sbagliata, o comunque impossibile e volessi semplicemente dimenticarla.

Forse non potevo semplicemente credere a quello che ogni singola parte di me stessa mi stava gridando di credere.

Quel ragazzo non era umano.

E ad una come me, abituata a stare con i piedi per terra, credere a spettri e cose simili non era consentito.

“Credo che mio zio sia arrivato” esclamò poi, nonostante nessuno avesse suonato il campanello.

Non feci neanche in tempo a stupirmi dell’assurdità di quell’affermazione, che davvero suonarono alla porta e a quel punto avevo letteralmente esaurito la mia scorta di incredulità che non riuscii nemmeno a scandalizzarmi più di tanto.

Andai ad aprire credendo di trovarmi in un sogno impazzito e salutai il Dr. Cullen, alla meno peggio, cercando quantomeno di formulare una frase corretta.

Aveva smesso di piovere, notai.

Brava, focalizzati sulle cose normali, ti aiuterà a non impazzire.

“Salve Janine. Credo che mio nipote sia qui.”

“Zio” lo salutò una voce alle mie spalle e voltandomi feci giusto in tempo a scorgere la sfumatura di qualcosa sul volto glaciale di Benjamin.

Come una sorta di messaggio nascosto trasmesso allo zio nel giro di un nanosecondo.

Volevo rinunciare a capire i Cullen, ma per qualche strana ragione sembrava che ciò mi fosse impossibile.

“Scusa per il disturbo Janine. Manderò qualcuno a portare via la macchina dal tuo vialetto.”

“Non preoccuparti”

“Allora ci vediamo”

Annuii e chiusi la porta dietro di loro.

Volevo solo addormentarmi e far cessare quella pazzia per sempre. Sogno, realtà, era come se tutto si fosse mescolato e non ci fosse più niente di vero, di autentico, nessuna certezza.

Ripensandoci, neanche io ero una certezza dal momento che neanche sapevo chi fossero i miei veri genitori, la mia vera identità.

 

Onestamente, come si faceva a restare sani mentalmente con un contorno del genere?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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