CAPITOLO 15.
Pov
Sana.
Sentivo
il telefono squillare dalla cucina ma alzarmi era l'ultima cosa che
desideravo fare. In realtà, in cima alla mia lista dei
desideri,
c'era baciare le labbra di Akito che mi stavano a una distanza fin
troppo ridotta. Ero sveglia già da un po', lo avevo fissato
per
qualche minuto e tutto quello a cui riuscivo a pensare era
impossessarmi di quella bocca troppo perfetta per essere vera.
Quando avevo cominciato a pensare a lui in quei termini? A
notare quei dettagli che prima non notavo affatto?
Mi sembrava
di non averlo mai guardato veramente prima di quel momento, come se
mi fossi costretta ad evitarlo per non ritrovarmi nella posizione di
confusione in cui invece gli eventi mi avevano catapultato.
Ad
ogni modo, se non mi alzavo dal letto, si sarebbe svegliato e mi
avrebbe scoperto a guardarlo in quel modo insistente e, con mia
grande consapevolezza, anche piuttosto imbarazzante.
Mi
divincolai dal suo abbraccio e cercai di fare meno rumore possibile,
dirigendomi in cucina.
Presi il cellulare appena in tempo, era
un numero che non conoscevo. "Pronto?"
La voce
dall'altro lato del telefono mi sembrò familiare, ma non
capii
veramente finchè non si presentò.
"Finalmente sento la
sua voce, la famosa Sana Kurata! So che è molto strano
ricevere una
telefonata dal regista direttamente, sono il signor Miyazaki.".
Scattai, mettendomi in una posizione più composta, come se
potesse vedermi. "Oh, signor Miyazaki, non mi aspettavo una sua
telefonata. Sono davvero onorata di poter lavorare con lei, anche se
in queste settimane non ho mostrato molto interesse, ma non so se ha
saputo la piega che ha preso la mia vita e io...".
"La
smetta, per favore. So cosa le è successo, e mi dispiace
molto per
sua cognata, ma avrei bisogno di vederla personalmente il prima
possibile perchè, anche se è stata scelta
praticamente a scatola
chiusa, vorrei capire se lei è veramente adatta a questo
ruolo. Avrà
ormai letto il copione, sa che tipo di scene sono presenti
all'interno del film, quindi voglio testare la chimica col suo
partner e farmi un'idea di come renderla un sex symbol grazie a
questo personaggio.".
Ascoltai le sue parole con
attenzione, sapevo per quale tipo di film mi avevano scritturato ma
sapevo anche che il cinema è spesso portato ad esagerare
qualcosa
che in realtà non è così grave come
sembra. Eppure quelle frasi mi
preoccuparono, lui voleva creare un personaggio più sexy di
quanto
già non fosse quello che avevo letto nel copione e rendere
me un sex
symbol. Non sapevo se ridere o mettermi a piangere.
"Allora?
Cosa ne pensa?" incalzò subito dopo e io mi ridestai dai
miei
pensieri. Strinsi la mano in un pugno e lo sbattei leggermente sul
piano cottura. Ero nervosa.
"Si, mi scusi.. per me non è
assolutamente un problema, anzi non vedevo l'ora di cominciare a
familiarizzare con chi mi affiancherà. Voglio che questo
film sia
memorabile."
"E' un desiderio comune allora. Quando
potremo organizzare un incontro?".
Riflettei per un attimo
che non dovevo essere io a dirgli quando e dove potevamo vederci, ma
Rei, e che se gli avessi tolto anche il piacere del suo lavoro mi
avrebbe uccisa.
"La farò contattare dal mio manager,
credo sia la miglior cosa."
"Perfetto allora, aspetto
che il suo agente si faccia vivo. Non vedo l'ora di lavorare con lei,
Sana."
La conversazione terminò, ma i miei pensieri
avevano appena cominciato a farsi strada dentro di me. Girare il film
era un grosso rischio per me e per la mia relazione con Akito che era
praticamente appena iniziata. Inoltre, poteva essere un grosso danno
per la mia immagine. Di solito, i bambini prodigio rimangono - agli
occhi dei fans - sempre dei ragazzini estremamente talentuosi e non
riescono mai ad uscire dall'idea che siano puri e soprattutto non si
accetta il fatto che siano cresciuti. Nel mio caso, un minimo errore
poteva essermi fatale, perchè qualsiasi casa cinematografica
avrebbe
potuto sbarrarmi le porte e togliermi ogni possibilità di
lavoro.
Certo, sarebbe potuto succedere anche se avessi rifiutato un ruolo
così importante come quello che mi era stato offerto da
Miyazaki e
che Rei aveva accettato quasi senza consultarmi.
Avevo letto il
copione, e Miyazaki aveva ragione, c'erano delle scene abbastanza
spinte e prima di ritrovarmi sposata con Akito non ci avevo trovato
nulla di così sconcertante, ma adesso che il mio legame con
lui era
più che un rapporto di convenienza le cose erano sicuramente
cambiate. Cosa dovevo fare?
Tornai in camera da letto e mi
appoggiai alla porta, guardando Akito dormire. La sua schiena si
alzava e abbassava lentamente, aveva un braccio lungo il fianco e
l'altro sotto il cuscino. I muscoli della schiena erano rilassati, ma
la posizione in cui dormiva li metteva in risalto perfettamente.
Mi
sentivo in trappola, schiacciata dalla consapevolezza che quel film
avrebbe potuto distruggere la vita che mi ero costruita con fatica.
Quel barlume di stabilità che avevo aspettato si era
finalmente
fatto vedere, ma la mia vita non sembrava capace di lasciarmi un
attimo tranquilla.
Amavo il mio lavoro, ma Akito lo odiava. Era
felice di vedermi felice, di questo ne ero certa, ma quando la mia
felicità ledeva la sua sanità mentale - e vedermi
praticamente nuda
con un altro, sapevo che lo avrebbe fatto - allora forse non era
più
così tranquillo.
Allora ne valeva la pena? Non potevo vivere
senza lavorare, questo era ovvio, ma non potevo nemmeno chiedere ad
Akito di sopportare qualcosa che lo faceva stare male.
Ma io
potevo sopportare di lasciare il mio lavoro per lui? Amavo
più lui o
il mio lavoro?
Lo guardai muoversi sul letto. Come facevo a
scegliere? Non volevo farlo. Non potevo separarmi da nessuna delle
due cose e sarei stata distrutta nel farlo.
Akito mi aveva
detto che mi amava. Io no. Non riuscivo a dirlo, non riuscivo nemmeno
a pensarlo. Sapevo che lui se n'era accorto e mi rendevo conto anche
che non voleva forzarmi per lasciarmi libera di scegliere, ma non
potevo approfittarmi di tanta premura.
La mia questione
lavorativa non aiutava sicuramente in quella situazione,
perchè se
Akito mi avesse lasciato perchè non riusciva a gestire i
miei ruoli
al cinema, avrei perso non solo la persona che amavo, ma anche il mio
migliore amico e forse era quella la cosa che più mi
spaventava.
Sarei stata in grado di sopportare la mancanza di Akito ora che avevo
avuto un assaggio di ciò che sarebbe potuto essere il nostro
rapporto?
Come avrebbe reagito sapendo che sarei finita a
baciare un altro? Si era ormai abituato al mio rapporto lavorativo
con Naozumi, ma adesso avrei dovuto recitare con qualcun altro, che
lui non conosceva e che non sapeva come gestire.
Mi sentivo in
preda all'esasperazione. Riuscivo solo a figurarmi la sua faccia
quando gli avrei detto che mi aveva chiamato il regista e che voleva
vedermi. Avrebbe dato di matto.
Mi passai le mani sulla fronte,
mi sarebbero venute le rughe a forza di preoccuparmi in quel modo.
"Buon giorno, Kurata.". Le braccia di Akito mi
circondarono mentre io ero ancora presa dai miei pensieri. "Buon
giorno Hayama.". Mi fece voltare e in un secondo ci ritrovammo
occhi negli occhi, e lui mi posò un bacio leggero sulle
labbra. Il
mio corpo si accese come un fuoco e avrei voluto saltargli addosso,
ma mi trattenni perchè non potevo permettermi
quell'avventatezza.
Mi divincolai dal suo abbraccio, fingendo un sorriso, e andai
verso il frigo per prendere il latte.
Lui si appoggiò alla
cucina e mi guardò insistentemente mentre prendevo il
bicchiere e me
ne versavo un po'.
"Dobbiamo andare da Natsumi oggi, te lo
ricordi?". Lui annuì e cominciò a tamburellare le
dita sul
marmo.
"Si, e dopo passiamo a prendere Kaori da tua
madre.".
Finii di bere il mio latte e misi il bicchiere
nel lavandino. "Perfetto allora, vado a vestirmi.".
Non
ero pronta ad affrontare il discorso, non sapevo come dirglielo
nè
se volevo veramente dirglielo, perchè le conseguenze
sarebbero state
disastrose e lo sapevo fin troppo bene. Quando gli avevo detto di
capodanno non aveva battuto ciglio, ma sapevo che non era stato
felice di non passarlo con me tanto che poi si era inventato tutta la
faccenda del planetario.
Lo amavo così tanto. Aveva fatto
tutte quelle cose per me e io adesso lo stavo per deludere.
Quando
arrivai in camera da letto sentii i suoi passi dietro i miei, sapevo
che non sarei riuscita ad evitare l'argomento, quindi tanto valeva
smetterla di farlo e provare ad aprire la questione senza far
scatenare l'inferno.
Mi voltai verso di lui che era appoggiato
alla porta esattamente nella stessa posizione in cui ero io poco
prima, mentre lo guardavo dormire.
"Mi ha chiamato il
regista del film. Vuole vedermi.".
Lui chiuse gli occhi,
forse per calmarsi, e poi incrociò le braccia sul petto.
"Quindi?
Qual è il problema?".
Inspirai.
"Vuole capire
se sono la persona adatta a questo ruolo un po'...". Non
riuscivo a trovare la parola adatta per non farlo impazzire. "..
particolare.".
Non era proprio quello che intendevo, ma
sarebbe andato bene lo stesso.
"Particolare in che senso?
C'è qualcos'altro che non so, oltre quello che ho scoperto
dalla
famosa intervista?".
C'erano un sacco di cose che non
sapeva, che non gli avevo detto proprio per evitare discussioni
inutili, come il fatto che Rei mi aveva consegnato il copione e la
sceneggiatura dell'intero film per farmi un'idea del mio personaggio,
o anche che erano settimane che cercavo di costruire quel personaggio
e che mi riusciva anche piuttosto bene. Non sapeva tante cose, e mi
pentii immediatamente di avergliele nascoste.
"Il mio
personaggio è... molto, molto spinto. Si tratta di una
ragazza che
viene costretta a prostituirsi, e ci sono un sacco di scene che
presuppongono una certa componente fisica. Molto, fisica."
Sapevo cosa stava pensando, sapevo cosa stava immaginando
soprattutto.
"Fisica nel senso che dovrai fare scene in
cui vai a letto con qualcuno?".
Mi rabbuiai, perchè era
proprio quello che succedeva, ed era ovvio dal momento che il tema
principale del film era la prostituzione. Sarei stata praticamente
nuda per la maggior parte del tempo.
Annuii, non dissi una
parola.
"Non posso gestire una cosa del genere. Cazzo, no
che non posso!".
Mi fissò negli occhi con una tale
intensità che dovetti spostare lo sguardo, mi sentivo
piccola di
fronte alla sua rabbia perchè sapevo che in fondo aveva
ragione e
che non potevo chiedergli un tale sforzo. O forse si?
Diceva di
amarmi, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, e allora
perchè non
poteva accettare che io amassi il mio lavoro e che non ci volessi
rinunciare?
Cominciò a spostarsi per la camera, raccattando i
vestiti che c'erano per terra, nel frattempo sbuffava e teneva i
pugni stretti. Temevo che potesse mettersi a distruggere tutto da un
momento all'altro, solo per sfogare la sua frustrazione.
"Se
mi ami, imparerai a gestirla.".
I suoi occhi presero una
sfumatura che non avevo mai visto, sembrava accecato dalla rabbia,
dalla disperazione. Era triste. Era triste a causa mia.
Sapevo
cosa stava per succedere.
"Sai che ti dico? Non porterò
avanti questa conversazione. Il discorso è chiuso. Fai come
meglio
credi, non mi importa. Me ne vado in ospedale."
Rimasi
impietrita. Lui prese tutti i suoi vestiti, scelse una maglietta e un
paio di jeans, si vestì e in un minuto era furi dalla porta.
Sperai
che stavolta non passasse una settimana prima di rivederlo.
Pov
Akito.
"Non
voglio illudervi, ovviamente, ma c'è stato un leggero
margine di
miglioramento. Natsumi ha aperto gli occhi, ma è un riflesso
assolutamente momentaneo. In questa fase non si può notare
nessun
tipo di attività cognitiva, però credo che siamo
sulla buona
strada. Siamo alla fase due, spero tanto che in un paio di giorni ci
ritroveremo nella fase tre in cui ci sono tentativi di reazione con
l'esterno. Spesso i pazienti si fermano alla fase due, ma sono
fiducioso su Natsumi. Vediamo come va nei prossimi giorni."
Strinsi
la mano al medico di mia sorella e lo vidi allontanarsi per il
corridoio.
Mi sentivo una merda. Anzi, forse anche peggio. Mia
sorella stava lentamente migliorando e io ero felicissimo di sentire
quelle notizie, ma allo stesso tempo temevo molto il momento in cui
si sarebbe svegliata. Non che non lo volessi, era ovvio che lo volevo
più di ogni altra cosa al mondo, Nat mi mancava e non
sopportavo più
la mia vita senza di lei, ma quando si sarebbe svegliata avrebbe
preso con se Kaori, l'unico vero motivo per cui io e Sana avevamo la
fede al dito.
Mi sentii improvvisamente svuotato. Non era
servito a niente, tutto quello che avevo fatto per lei, le mie
paranoie, i miei mille complessi, erano stati inutili.
Sana
avrebbe comunque sempre preferito il suo lavoro a me, ormai l'avevo
capito, e la dimostrazione stava nel fatto che mi aveva nascosto il
fatto di aver già visionato il copione. Dovevo leggerlo
anch'io.
Dovevo capire. Ma solo l'idea di poter immaginare quelle scene mi
faceva venire il voltastomaco.
Lei mi distruggeva ogni volta.
Ogni giorno della mia vita era una fottuta tortura, cercando di
mettere ordine nei casini che Sana creava. Lei mi faceva del male, ma
io la perdonavo ogni volta, passavo oltre a tutto ciò che di
brutto
mi faceva provare, e lei non si rendeva conto di quanto potesse
ferirmi.
Quando Kaori sarebbe tornata da sua madre, lei cosa
avrebbe fatto? Mi avrebbe lasciato, chiesto il divorzio? E io
cos'avrei fatto a quel punto? Avrei distrutto la mia vita a furia di
distruggermi per lei. Non potevo continuare in quel modo.
Anche
stavolta ero scappato, invece di affrontare la situazione come fa un
uomo, ma non ero riuscito più a guardarla dopo che mi aveva
detto
quella frase.
Se
mi ami, imparerai a gestirla.
Parlava
come se fosse un maledetto dettaglio, come se quella situazione non
fosse chissà che, come se io non la amassi abbastanza da
sopportarla.
Cos'altro dovevo fare per farle capire che la
amavo davvero? Era proprio perchè la amavo che non riuscivo
a
tralasciare la cosa.
"Problemi in paradiso?".
Aprii
gli occhi e mi ritrovai davanti Occhiali da sole, con in mano un
mazzo di fiori.
"Cosa ci fai qui?". Si tolse gli
occhiali e accennò un sorriso. Sembrava più
giovane quando non li
portava.
"Sono venuto a trovare un amico che ha avuto un
piccolo intervento, poi mi sono ricordato che qui c'era anche tua
sorella, e allora... eccomi qui."
Annuii, gli ero grato,
per quanto non lo dessi a vedere. E, anche se a volte non lo
sopportavo, sapevo che tutto ciò che faceva lo faceva
pensando al
bene di Sana. Era la cosa più vicina a un padre che lei
avesse mai
avuto.
"Tu e Sana avete litigato?". Ma come diavolo
faceva a capirlo sempre?
"Mi ha chiamato il regista,
voleva fissare un appuntamento per provare con Sana. Poi sono andato
a casa vostra e dalla sua faccia ho dedotto tutto. Lei non mi ha
raccontato nulla, se è questo che stai pensando."
Non mi
interessava sapere se lei aveva spiattellato tutto al suo manager.
"Non importa. Tu come reagiresti se tua moglie dovesse
fare un film in cui è nuda il 99% del tempo?".
Lui
sorrise e mise gli occhiali sulla testa. "Akito, io sono sposato
con Asako Kurumi, te lo ricordi? Anche lei è un'attrice. Le
ho visto
fare decine di film in cui c'erano scene spinte, ma so che quella
è
la finzione."
"Ma non vai fuori di testa? Io
impazzisco solo a pensarci!".
Si appoggiò al muro accanto
a me, mettendo le mani in tasca. Sembrava preoccupato.
"Ho
passato i primi anni di matrimonio con Asako a litigare in
continuazione, fino a quando non abbiamo capito entrambi che era
inutile. Io ero e sono comunque geloso, ma è il suo lavoro.
Ti
capisco al cento per cento, ma se togliessimo loro il lavoro che
amano, sarebbero infelici per sempre."
Forse aveva
ragione, sapevo quanto Sana amasse ciò che faceva e il
pensiero di
toglierle ciò che la faceva sentire viva mi intristiva. Era
come se
qualcuno mi avesse tolto il karate: sarei impazzito, avrei perso il
controllo di tutto, e di certo avrei trovato ogni modo possibile per
rinfacciarlo a lei.
Non volevo che andasse così. Non volevo
che mi odiasse perchè le avevo tolto la sua passione. Non
volevo
ritrovarmi tra qualche anno a discutere perchè lei non ce la
faceva
più a sopportare quella situazione. Non potevo permetterlo.
"Forse
hai ragione."
Mi lasciò lì, entrando nella camera di mia
sorella e lasciando i fiori sul comodino, e quando uscì mi
saluto
per poi andarsene.
Pensai a lungo alle parole che mi aveva
detto, al fatto che lui si era trovato nella mia posizione e che dopo
un po' aveva realizzato che non poteva privare Asako del suo lavoro.
E io dovevo fare lo stesso con Sana.
Dovevo solo capire come
accettare che mia moglie sarebbe finita tra le mani di qualcun altro,
proprio sotto ai miei occhi.
Ma sarei mai riuscito a stare
tranquillo?
*
Non
ero ancora andato a prendere Kaori, preferivo che rimanesse dalla
signora Kurata visto che io e Sana non riuscivamo ad avere una
conversazione e non volevo dovermi preoccupare anche della bambina
mentre discutevamo. Perchè avremmo discusso, ne ero certo,
ma ormai
ero abituato a quella situazione, non eravamo in grado di passare un
bel momento e non rovinarlo un attimo dopo. Forse era il nostro
destino: trovare la serenità e poi buttarla nel cesso in un
secondo
e mezzo.
Ma io ero stanco. Stanco di sperare che le cose si
sarebbero sistemate, anche quando sapevo che non c'era nulla da fare.
La parola arrendersi non faceva parte del mio vocabolario, eppure per
un secondo, quando entrai in casa e non la trovai, pensai che sarebbe
stato il caso di mollare tutto e andare via. Lasciare quella casa,
dimenticarmi di lei e del nostro rapporto.
Ma se non me l'ero
tolta dalla mente per tutto il tempo in cui eravamo stati solo amici,
come avrei potuto farlo quando sapevo cosa provavamo l'uno per
l'altra?
Cazzo. Era un maledetto casino!
E poi dov'era
andata? Non aveva appuntamenti quel giorno, e Occhiali da sole non mi
aveva avvisato di nessun impegno mentre eravamo insieme in ospedale.
Che fosse da Aya?
Chiamai Tsuyoshi ma, dopo avermi fatto
triliardi di domande sul perchè la cercavo e sul
perchè non sapessi
dov'era, mi disse che Aya non ne sapeva nulla ma che avrebbero potuto
chiamarla e vedere se riuscivano a rintracciarla.
Dove poteva
essere? Se non era da Aya, magari era andata da Matsui, oppure da sua
madre. Chiamare Fuka non era una buona idea però, mi avrebbe
di
certo urlato dietro che la dovevo smettere di far soffrire la sua
amica, quando non sapeva proprio niente di quello che era successo
tra noi.
Dio... se il nostro rapporto era così complicato
quando ancora eravamo in una fase di stallo, figuriamoci se mai
fossimo andati oltre. Non potevo nemmeno pensarci che già mi
scoppiava la testa.
Dovevo distrarmi. Andai in camera a
prendere il sacco da box per appenderlo all'angolo del salotto e
cominciare a scaricare quella tensione che mi stava divorando.
Misi
le bende tra le dita, avvolgendole lentamente e respirando per
provare a calmarmi. Quando ormai le mie mani erano completamente
fasciate, strinsi i pugni per controllare che fossero abbastanza
strette.
Guardai il sacco da box. Immaginai miliardi di facce,
ma non riuscii a focalizzarne una in particolare, e mi infastidii
perchè non riuscivo a scaricarmi del tutto.
Assestai un calcio
sul fondo e pugni a serie di quattro finchè le mani non mi
bruciarono.
Ero un fascio di nervi. Non riuscivo a pensare, a
concentrarmi, e quello che stavo facendo era inutile se non avevo un
obiettivo. Chi volevo distruggere? Cos'era, tra tutte, la cosa che
odiavo di più?
Improvvisamente un'immagine si fece strada nella
mia testa, e per un'istante mi sentii anche a disagio.
Ero io.
Davanti ai miei occhi c'era la mia faccia, c'era l'Akito che
faceva del male a Sana, l'Akito geloso che non smetteva mai di creare
problemi, l'Akito insicuro che per anni non aveva fatto altro che
lasciarsi sfuggire le mille occasioni in cui arrivare al cuore di
Sana, l'Akito che tratta male tutti, anche il suo migliore amico.
Non lo sopportavo più. Lo odiavo.
E sapevo che anche
Sana lo odiava.
Forse non eravamo giusti, forse eravamo solo
due anime gemelle che non possono stare insieme, come tante altre al
mondo.
Ma se la questione dell'anima gemella fosse stata una
grande cazzata? Come la mettiamo?
Il cervello mi stava
scoppiando. Pugno dopo pugno le cose si facevano sempre più
chiare,
la mia mente allontanava la nebbia e lasciava spazio alla
razionalità.
Se non volevo perdere Sana dovevo darmi una
regolata. E l'avrei fatto.
Pov
Sana.
Non
avevo idea di che cosa stesse parlando Rei, sentivo la sua voce ma
non ero attenta e non capivo assolutamente una parola. Borbottava
qualcosa che riguardava il modo di comportarmi con il regista e
soprattutto con l'attore che mi avrebbe affiancato, di cui ancora non
sapevo l'identità. Speravo che fosse bravo,
perchè le scene erano
già particolari, e se avessi dovuto girarle con qualche
incompetente
sarebbe stato solo peggio.
Lo zittii con un gesto della mano, e
per la prima volta in vita mia riuscii nel mio intento,
perchè non
disse più una parola finchè non arrivammo davanti
all'ufficio del
regista. Aveva deciso di incontrarmi alla sua agenzia in centro, era
un lussuoso palazzo che indubbiamente gli era costato parecchio, ma
era un regista abbastanza famoso e richiesto, quindi era anche
piuttosto ovvio.
Quando bussammo alla porta strinsi la mano a
Rei, come sempre, ormai era un rito che avevamo da un paio di anni,
da quando mi avevano praticamente chiuso tutte le porte dopo essermi
rifiutata di dire una battuta, ai tempi delle medie. Quando avevo
ricominciato a lavorare ero così nervosa che Rei mi aveva
stretto la
mano per tranquillizzarmi e io mi ero sentita al sicuro. Con lui mi
sentivo sempre protetta, in fondo era come un padre per me.
"Ma
buongiorno, Sana, finalmente la conosco!".
La voce del
regista mi riportò alla realtà e, dopo aver
lasciato la mano di
Rei, strinsi la sua con forza, perchè una volta Akito mi
aveva detto
che le persone si definiscono dalla loro stretta di mano. Era una
cavolata, lo sapevo anch'io, ma mi piaceva pensare che mi avrebbe
vista in maniera diversa se mi fossi mostrata forte e decisa.
"E'
un piacere incontrarla, signor Miyazaki." mi limitai a dire io,
per poi accomodarmi nella sedia di pelle davanti alla sua scrivania.
Rei si mise proprio accanto a me.
Lui era un uomo sulla
quarantina, brizzolato, ma la scrivania lo copriva quasi tutto quindi
non lo vidi dal busto in giù. Comunque, nelle foto che si
potevano
trovare su internet, non era mai fuori forma. Era un bell'uomo, ma
aveva una lunga cicatrice sul sopracciglio sinistro che lo rendeva un
po' minaccioso a vedersi.
Mi guardai attorno e l'ufficio era
esattamente come tutte le altre stanze: pareti di legno scuro,
lucidissimo, e gli scaffali dietro la sua testa erano pieni di
riconoscimenti e premi. Mi venne da sorridere, ero elettrizzata di
lavorare con una persona così famosa e soprattutto ero fiera
di
essere stata scelta da lui, che poteva sicuramente insegnarmi tanto.
Inoltre, il fatto che avesse voluto incontrarmi con così
poco
preavviso mi dava modo di pensare che anche lui fosse contento di
lavorare con me.
"Anche per me, Sana. Non ti dispiace se
ti chiamo Sana, vero? Tu puoi chiamarmi Hiroji, odio tutte quelle
problematiche che alcuni registi si pongono. Non è che
perchè ti
dirigo, significa che non possiamo essere amici.".
Già mi
piaceva, e aveva ragione. Mi era capitato spesso di lavorare con
certi registi che mantenevano le distanze e si preoccupavano solo di
far bene il loro lavoro. Era una cosa stressante, e a volte anche
frustrante, perchè non ricevevo mai uno sguardo di
comprensione
quando ne avrei avuto bisogno, visto che ero una ragazzina. Quindi,
gli sorrisi e annuii. "Certo che può chiamarmi Sana, signor
Miyazaki."
"Hiroji, per favore."
Non me
n'ero neanche accorta, ma poi annuii di nuovo. "Hiroji." mi
corressi.
"Perfetto, ora che abbiamo fatto le dovute
presentazioni, voglio sperare che tu abbia letto bene il copione e
che abbia cercato di entrare nel personaggio. Non sarà un
film
facile, psicologicamente e fisicamente, ma io sono certo che tu possa
farcela."
"Si, ho letto il copione e il personaggio di
Miya mi affascina molto. Il fatto che inganni Mark, che lo voglia
uccidere, perchè crede che la sua famiglia sia morta per
causa
sua... è sfiancante, per tutto il copione. Vorrei che
capisse prima
che lui non c'entra nulla. E' un personaggio pieno di rancore."
Lui
mi guardò con stupore, come se non si aspettasse che
riuscissi a
fare un'analisi del genere del mio personaggio ma la prima cosa che
mi avevano insegnato alla scuola di arte drammatica era che se non
trovi qualcosa che ti accomuna al tuo personaggio, non riuscirai mai
a portarlo alla vita al meglio. Avevano ragione, io e Miya avevamo in
comune la paura. Per tutta la sua vita lei aveva creduto che i suoi
genitori e il suo fratellino fossero stati uccisi da un facoltoso
americano che era stato il mandante della loro morte per via di una
testimonianza scomoda. Fin dall'adolescenza si era documentata, lo
aveva cercato, e all'età di 22 anni lo aveva trovato: Mark
Reynolds,
un uomo che probabilmente sarebbe anche stato capace di farlo, ma che
non aveva alcuna colpa. Capirlo per lei sarebbe stato difficile,
accettare che l'assassino che per anni aveva cercato era un semplice
ragazzo che aveva ereditato tutto ciò che aveva e,
purtroppo, anche
il nome dal nonno paterno, il vero mandante dell'omicidio.
"E'
molto interessante la tua visione delle cose. Io non l'avrei definita
proprio piena di rancore, piuttosto piena di odio, che è un
po'
diverso. E' l'odio ciò che l'ha mossa per la sua intera vita
e..."
"E quando perderà anche quello non avrà
più
nulla." terminai la frase per lui.
Il suo sguardo ripagò
ogni litigata con Akito per quel film, perchè in fin dei
conti io
amavo il mio lavoro e non ci avrei rinunciato per nulla al mondo,
perchè era ciò che faceva di me ciò
che ero. Se da bambina non
avessi trovato sfogo nella recitazione, se non fossi stata una
principessa rapita da un drago, se non avessi accompagnato Dante in
Paradiso, se non avessi detto Rinuncia
al tuo nome, Romeo, e per quel nome che non è parte di te,
prendi me
stessa,
non avrei mai superato tanti dei drammi della mia vita. Era il teatro
che mi aveva salvata da me stessa e non avrei potuto buttare tutto
all'aria perchè Akito non riusciva a sopportare che io
baciassi
qualcun altro. Io non gli avrei mai chiesto di abbandonare il karate.
"Sei davvero impressionante, devo dirtelo. E' raro che un
attrice così giovane abbia una così grande dote
interpretativa."
Sorrisi e vidi Rei che rideva insieme a
me, soddisfatto della buona impressione che avevo fatto su Miyazaki.
"La ringrazio... cioè, volevo dire ti ringrazio. Ho la
tendenza a immedesimarmi un po' troppo in realtà."
Si alzò
dalla scrivania e venne a mettersi in mezzo a me e Rei,
incrociò le
braccia e i muscoli si tesero sotto la camicia. Sembrava meno alto da
dietro alla scrivania, invece da quella prospettiva sembrava almeno
più di un metro e ottanta.
"Sai, Sana... quando entri
dentro un personaggio non è mai troppo. E' sempre troppo
poco."
Probabilmente aveva ragione, ma io non volevo farmi coinvolgere
troppo dal personaggio che avrei interpretato di lì a poco,
perchè
aveva troppe emozioni negative, troppi sentimenti contrastanti e a me
già bastavano i miei, di sentimenti contrastanti.
Annuii e lui
tornò a sedersi alla scrivania, porgendomi una scheda
dell'attore
che mi avrebbe affiancato. La presi e cominciai a leggere.
"Si
chiama Shuzo Goro, ha la tua età ed è poco
conosciuto rispetto a
te. Ha preso parte però a molte opere teatrali, ad alcune di
loro ho
anche assistito e devo dire che ha un gran talento."
Cominciai
a scorrere tra i nomi delle rappresentazioni per vedere se ne avevamo
qualcuna in comune. Era stato Mercuzio in Romeo e Giulietta, e aveva
avuto anche molti ruoli minori in spettacoli in cui anche io avevo
preso parte.
"Sono sicura che lavoreremo al
meglio."
Miyazaki mi sorrise, alzandosi di nuovo dalla
poltrona.
"Allora andiamo a provare questa chimica."
Avevo il cuore che mi stava per scoppiare, speravo solo che
fosse veramente professionale, non volevo nessun problema nè
all'interno del set nè fuori, con Akito.
Chissà cosa stava
facendo, mentre camminavo per i corridoi di quel palazzo pensavo
solamente a come avrei fatto a nascondere l'entusiasmo per quel film
alla persona che avrebbe dovuto sostenermi più di tutte.
Scacciai
quei pensieri dalla mente quando, aperta una porta, mi ritrovai in
una stanza dove ci stava aspettando il mio coprotagonista. Sospirai,
cercando di calmarmi, e gli strinsi la mano sorridendogli.
Che
tragedia che quel lavoro mi piacesse così tanto!
La
posizione in cui mi trovavo era alquanto scomoda. Shuzo mi teneva per
i fianchi un po' troppo forte, le sue unghia mi stavano affondando
nella pelle, e vedevo che il mio telefono continuava a lampeggiare
tra le mani di Rei. Sapevo che era Akito e la consapevolezza che mi
stesse cercando mentre io ero tra le braccia di un altro uomo mi
infastidiva più di quanto desiderassi.
Comunque, dovevo
entrare velocemente nella testa di Miya, sentire quello che lei
sentiva e provare quello che lei provava. Sentirmi una prostituta non
era facile, tantomeno lo era sentirmi una psicopatica serial killer
che cerca vendetta, ma dovevo riuscirci se volevo fare una buona
impressione non solo per la mia capacità d'interpretazione
della
storia.
Dovevo concentrarmi.
Cosa pensa una prostituta?
Una prostituta che vuole uccidere. Shuzo continuava a stringermi i
fianchi, mi stava facendo davvero male. "Cosa pensi di
fare, Miya? Pensi che uccidermi sia la soluzione?". La sua voce
era roca, quasi strozzata, e sentivo il suo alito a pochi centimetri
da me. Alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi e non mi piacque
quello che vidi. C'era uno strano misto di perversione e
concentrazione nei suoi occhi, che mi prosciugò dentro.
Sembrava di
essere soffocata da quello sguardo.
Provammo altre scene, una
dopo l'altra, e in ognuna di quelle la sua mano stringeva sempre di
più.
"Non vedo l'ora di girare la scena in albergo!".
Eravamo in un momento di pausa, Miyazaki aveva ricevuto una
telefonata e non voleva che provassimo senza la sua supervisione,
quindi ne approfittai per staccarmi da quelle mani. Volevo andare da
Rei, ma lui mi teneva lì a conversare, mentre io volevo
scappare da
quella situazione. Sapevo benissimo a quale scena si riferiva e io
rabbrividivo al solo pensiero. Avremmo dovuto fare sesso in una
camera d'hotel, tra lenzuola di seta nera e champagne, e la scena era
piuttosto esplicita e con battute davvero spinte.
Miyazaki
entrò di nuovo nella stanza, seguito da Rei che non mi ero
accorta
fosse uscito.
"Ok, ragazzi, proviamo la scena in albergo,
vi va? Voglio vedere come ve la cavate con una delle scene
più
difficili del copione."
Mi veniva da vomitare.
Non
potendo usufruire di un letto ci posizionammo sul divano e, quando
guardai Rei negli occhi, notai il suo imbarazzo. Una ragazza della
troupe che era entrata nella camera da poco mi porse un lenzuolo,
quindi la ringraziai e mi sdraiai accanto a Shuzo.
Chiusi gli
occhi per concentrarmi. Per essere Miya.
Quando li riaprii, ero
lei. Sentivo tutto il suo odio. Tutto il suo rancore. Sentivo anche
tutto l'amore che provava per Mark e che tentava disperatamente di
nascondere. Sentivo il suo desiderio.
"Continueremo a
vederci come due amanti, in questa strana relazione clandestina?".
Mi avvicinai all'orecchio di Shuzo e respirai così vicino a
lui che
quasi pensai che i nostri respiri si fossero uniti.
Fingevo di
amarlo, in quel momento. Dovevo conoscerlo. Dovevo sapere tutto di
lui, per distruggerlo. Dovevo arrivare alla sua famiglia.
Shuzo
cominciò a toccarmi. Era strano, ma inizialmente non
spiacevole,
semplicemente non provavo niente. Mi accarezzò la coscia,
facendo un
lento movimento con le dita, poi prese a sfiorarmi le labbra con le
dita.
"Vorresti diventare più di un'amante, Miya?".
Quelle parole nella sua bocca suonavano disgustose, non sapevo
perchè, e inizialmente diedi la colpa alla sua inesperienza.
"Si
dice fidanzata. Amplia il tuo vocabolario, signor Reynolds.".
Cercai di far vedere la mia finta sincerità, e ci riuscii a
pieno,
perchè mi infastidivo da sola, quindi era un buon segno.
Improvvisamente mi baciò. Inevitabilmente comparai i suoi
baci
con quelli di Akito, e non c'è nessun paragone. Quelli di
Akito
erano sensuali, appassionati, dolci... erano veri. I suoi mi
sembravano forzati, e lo erano, e soprattutto mi facevano venire il
voltastomaco. Allungai una mano tra le sue gambe, come da copione, ma
non lo toccai. Feci finta di massaggiarlo, mossi la mano lentamente,
ma non lo sfiorai nemmeno per un secondo.
Sentivo gli occhi di
Miyazaki addosso, quelli di Rei un po' meno perchè sapevo
che
vedermi in quelle vesti lo infastidiva sempre un po'.
"Sei
intraprendente, Miya. Mi piace."
Gli sorrisi, un sorriso
sghembo che doveva essere sensuale, ma forse non ero riuscita a pieno
a renderlo tale. Dovevo concentrarmi.
"La vita mi ha reso
intraprendente."
Lui mi sorrise di rimando, il suo invece
era un sorriso che sembrava sincero, ma dietro c'era un po' di
malinconia. E sempre quel tratto di perversione che non mi faceva
stare tranquilla. Il copione prevedeva che mi spogliassi in quel
momento, ma avevamo concordato che per la prova avremmo evitato.
Quando mi accorsi di ciò che stava facendo, era troppo
tardi.
Con una velocità per cui non mi resi conto di nulla,
infilò la mano
in mezzo alle mie gambe e, invece di fare come me, cominciò
a
toccarmi davvero e, mentre mi guardava con gli occhi infuocati, fece
pressione per far entrare un dito dentro di me. Una scossa di dolore
mi attraversò da capo a piedi. Non avevo mai provato niente
del
genere.
Mi allontanai immediatamente.
"Ma cosa stai
facendo?" urlai. Rei si avvicinò immediatamente, per capire
se
stavo bene. Scesi subito da sopra di lui e mi sistemai la gonna.
Mi
veniva da vomitare. Dovevo andarmene. Dovevo uscire da quella
maledetta stanza. Dovevo andarmene da quel maledetto edificio. Dovevo
dimenticare quel film, quel ragazzo che mi era sembrato tanto educato
a primo sguardo e quel regista che, invece, mi aveva compresa come
mai nessun altro.
Dovevo prendere aria.
Feci l'unica cosa
che sapevo fare: scappare. Non mi resi nemmeno conto che avevo le
scarpe in mano e che tra l'asfalto e i miei piedi non c'era alcuna
barriera.
La confusione di Tokyo mi invase le orecchie. Il caos
mi catturò l'anima e pensai che mi sarebbe scoppiata la
testa da un
momento all'altro.
Mi sentivo spaesata, avevo perso
l'orientamento, non riuscivo a ritrovare la strada di casa ed ero
senza soldi e senza cellulare. Avevo solo un paio di scarpe e il mio
nome.
Sana Kurata.
A volte mi sembrava che quel nome
fosse una maledizione, che avrebbe condotto alla mia fine in poco
tempo. Da piccola credevo che avrei potuto usarlo per fare
praticamente qualsiasi cosa, ma poi mi ero resa conto che non valeva
nulla, che non potevo vivere solo col mio nome e soprattutto che non
mi avrebbe dato la felicità solo perchè era mio.
Nessuno mi avrebbe
voluto veramente bene solo perchè mi chiamavo Sana Kurata.
Camminavo. I piedi mi facevano male. Non sapevo nemmeno
perchè
non mi rimettevo le scarpe, le persone cominciavano a guardarmi come
se fossi pazza. Alcuni mi avevano riconosciuta, ma non mi ero fermata
a parlare con nessuno di loro. Non riuscivo nemmeno a parlare.
Nessuno mi aveva mai toccata. Ci avevo appena pensato. Nessuno,
nemmeno Akito, nemmeno mio marito. E in quel momento si era distrutta
anche quella prima esperienza che avrei potuto avere con lui.
Il
ricordo del dolore che avevo provato mi invase improvvisamente la
testa. Non pensavo si provasse un dolore del genere, sapevo che non
era piacevole all'inizio, ma addirittura quella fitta
così... non
sapevo nemmeno che parola avrei dovuto usare. Come era stato, oltre
che doloroso?
Mi sentivo così umiliata. Avevo rovinato tutto,
solo per una stupida ambizione! Cosa avrebbe pensato Akito? Si
sarebbe arrabbiato? Dovevo dirglielo?
Ero confusa. Mi sentivo
stordita, come se il mio cervello stesse galleggiando.
Come
potevo spiegare ad Akito che quel ragazzo mi aveva toccata, mentre
con lui ci eravamo imposti di andare con i piedi di piombo? Quando
Akito mi avesse toccato, avrei provato la stessa sensazione? Avrei
ricordato immediatamente quel dolore e lo avrei allontanato?
Non
volevo pensare ad Akito. Non volevo pensare e basta.
I miei
passi mi condussero nell'unico luogo in cui mi sentivo davvero me
stessa, a mio agio, in pace. Davanti a me il mio, il nostro,
gazebo mi aspettava in silenzio.
Faceva freddo, i piedi mi si
stavano congelando, ma l'intorpidimento non mi spaventava
più,
volevo sentire proprio quello.
Fissai le gocce d'acqua che
cadevano prima lentamente e poi sempre più forti. La pioggia
faceva
un rumore rilassante, una melodia che serviva al mio cervello per
tornare alla normalità.
Mi rendevo conto di non aver subito
una vera e propria violenza, ma faceva male lo stesso, era disgustoso
lo stesso. Quel contatto... quelle dita. Il mio stomaco mi stava
dando il tormento.
Quando capii di non riuscire più a
trattenermi mi spostai verso l'aiuola e buttai fuori tutto quello che
potevo.
Era ufficialmente il peggior provino della mia vita.
Pov Akito.
Avrei
dovuto accompagnare Sana a quel cazzo di provino. Erano cinque ore
che non rispondeva al telefono, Rei non sapeva dove fosse finita dopo
che era scappata dall'audizione senza un apparente motivo e il mio
cervello cominciava a farmi brutti scherzi.
L'avevo già
cercata per mezza città: a casa di sua madre, a casa di mio
padre,
nel cortile della nostra scuola elementare dove ogni tanto ci
rifugiavamo, al gazebo addirittura. Niente. Di Sana neanche l'ombra,
e quella sensazione di impotenza mi stava divorando. Non potevo
trovarla. Non potevo fare niente per lei, se non aspettare che
tornasse a casa.
Capivo perchè a volte le persone mi temevano,
in quei momenti - quando Sana non riusciva a far altro che farmi
impazzire - la mia mente produceva pensieri che spaventavano anche
me.
In quell'istante immaginai come potesse sentirsi chi brucia
una casa. Ero così furioso che avrei voluto dare fuoco a
quel
maledetto posto!
Rigiravo il cellulare tra le mani, aspettando
che mi chiamasse o che si facesse viva in qualche modo. Non ce la
facevo più, la sensazione di oppressione al centro del petto
mi
stava torturando.
Credetti di sognare quando una sagoma
completamente zuppa si presentò davanti a me.
Sana era un
fantasma. Non sembrava lei. Non poteva essere lei, perchè la
mia
Sana non avrebbe mai avuto quell'espressione.
Le corsi incontro
allargando le braccia e stringendola al petto. Me ne fregavo della
discussione, dei nostri problemi, del fatto che forse eravamo la
peggior cosa l'uno per l'altro, sapere che stava bene mi sembrava la
cosa più importante in quel momento.
"Dove sei stata
Sana?! Cazzo, ti ho cercata ovunque!".
Tirò su col naso,
dovevo sapere cosa diavolo era successo a quel provino
perchè se
aveva pianto significava che c'era davvero qualcosa di serio.
Le
portai indietro i capelli completamente fradici e le sfiorai la
guancia. Con mio grande stupore lei non si ritrasse, ma non mi
guardò
negli occhi nemmeno quando la costrinsi ad alzare il viso verso di
me.
"In giro. Ho fatto una passeggiata nella zona del
parco."
Non aprì gli occhi, forse perchè sapeva che non
appena avrebbe incrociato il mio sguardo avrei capito qualcosa che, a
suo parere, non dovevo capire.
"Che cosa è successo
Kurata? Parla, non dirmi che non è successo nulla
perchè è ovvio
che non è così!".
La mia voce salì di tono e lei si
coprì le orecchie con le mani. Quel gesto mi
spiazzò, non voleva
sentire la mia voce e le mie domande.
"Akito ti prego, non
ne voglio parlare. Domani."
Si accovacciò di nuovo sul mio
petto, stringendosi a me come mai l'avevo vista fare nella sua vita.
Non l'avevo mai vista così fragile, così piccola,
così
vulnerabile.
Non era la mia Sana quella.
La sollevai da
terra lentamente, il suo viso si sistemò nell'incavo del mio
collo e
mi sembrò di non poter sopportare la vista della mia Sana
così
distrutta.
A letto si appoggiò sul mio petto, tenendo gli
occhi chiusi e respirando affannosamente. Quella sua inquietudine mi
innervosiva, volevo aiutarla, tranquillizzarla, ma non potevo fare
niente se lei non voleva.
Non puoi aiutare chi non vuole essere
aiutato.
Non
sapevo se l'avevo sognato o se era successo per davvero: Sana che mi
supplicava di lasciar perdere, di non chiedere, di farla dormire e
basta. Mi rigirai nel letto e non la trovai, ma il solco sul
materasso mi fece capire che non si era alzata da molto. Guardai
l'ora nel telefono ed era abbastanza presto, ci eravamo addormentati
tardi la sera prima. Sana non riusciva a prendere sonno, tremava,
anche se le avevo tolto quei vestiti zuppi e asciugato un po' i
capelli, ma non riusciva a fermarsi.
L'avevo abbracciata ma il
tremore non si era arrestato finchè non si era addormentata.
Mi
tornò in mente il suo gesto di coprirsi le orecchie,
rabbrividii
solo a pensarci. Era stata la cosa più brutta che avesse mai
fatto
contro di me.
Ma c'era stato qualcosa a scatenarla, quella
reazione, quindi dovevo scoprire cosa era successo. Dopo che si era
addormentata avevo chiamato Rei per informarlo che era tornata a
casa, e lui mi disse che l'aveva avvertito prima di me, dicendogli
anche che non voleva più partecipare al film.
Non ero falso,
sentire quella notizia mi rese felice, più felice di quanto
avrebbe
dovuto, ma non potevo non ammettere che quel film mi avrebbe fatto
impazzire.
Mi alzai dal letto, cercandola in casa, ma di lei
nessuna traccia. Che fosse uscita di nuovo?
Dovevo andare a
prendere Kaori. Ormai erano giorni che era a casa della signora
Kurata, però lasciarla lì mi era sembrata la
soluzione migliore
vista la situazione precaria con Sana.
Ma lei dov'era?
Prima
di aprire la porta della camera della bambina la sentii parlare,
singhiozzare nel frattempo, e mi trattenni dall'entrare di colpo per
pretendere una spiegazione.
"Non voglio. Non ho intenzione
di lavorare ancora con quel lurido...". Le lacrime le bloccarono
la voce e io strinsi i pugni tanto che le nocche mi diventarono
bianche.
"Rei tu non hai visto cosa ha fatto, quindi non
dirmi di pensarci, non voglio fare questo film. Non mi interessa se
perderò tutti quei soldi, non me ne frega niente nemmeno
della
carriera. Non lavorerò con quelle persone!".
Rei stava
sicuramente insistendo, perchè la sentivo sbuffare e battere
nervosamente i piedi sul pavimento. Riusciva sempre a farla star
male, con quel lavoro del cazzo.
"Non credo che tu voglia
sapere cosa è successo, ti basta sapere che si è
avvicinato troppo,
ti basta sapere che non voglio avere più nulla a che fare
con lui,
con tutti loro."
Avevo capito. Ma non volevo crederci.
Spalancai la porta nello stesso istante in cui Sana chiuse il
telefono. Mi sembrava di stare per scoppiare, l'adrenalina che
sentivo dentro e la voglia che avevo di distruggere qualcosa mi
stavano divorando. Ero a pezzi.
Cosa le avevano fatto? Chi?
"Devi dirmi cosa cazzo è successo Sana!! Devi dirmelo, o
giuro su Dio che distruggo questa casa!".
La voglia che
avevo di radere al suolo tutto, persino me stesso, mi fece paura. Lo
sguardo di Sana mi fece altrettanta paura, perchè le lacrime
le
rigavano il viso ancora e ancora, come un fiume in piena che non
accennava a fermarsi.
Volevo avvicinarmi a lei e asciugare
quelle lacrime, ma se l'avessi toccata per un solo istante avrei
perso la capacità di intendere e di volere, quindi dovevo
starle
lontana. Dovevo essere padrone di me.
Vedendo che continuava a
non rispondermi la incalzai. "Devi dirmelo. Adesso."
ripetei, passandomi una mano tra i capelli e portandoli indietro.
Sana si spostò all'indietro, come se avesse pensato
ciò che
avevo pensato anche io, come se non volesse toccarmi, e un po' mi
sentii ferito. Ero un incoerente.
"Non parteciperò al
film. Non voglio, e Rei mi assilla perchè vuole che lo
faccia, ma io
non lo farò. E non devi chiedermi il perchè,
visto che non te lo
dirò."
Rimasi lì a fissarla, mentre con gli occhi bassi
e il fiato corto mi diceva attraverso le righe che non si fidava
abbastanza di me da rivelarmi cosa le era capitato.
La rabbia
montò dentro di me come un fuoco incontrollabile, sentivo la
mia
pelle ardere. Avrei potuto uccidere qualcuno in quel momento ma, non
appena stavo aprendo bocca per dirle qualcosa di sicuramente
offensivo, il mio cervello si illuminò.
Lei voleva
proteggermi. Non voleva che sapessi perchè, se fosse
successo, avrei
potuto commettere una pazzia e lei lo sapeva. Mi conosceva abbastanza
bene da sapere che non avrei dovuto scoprire davvero cosa era
successo, o mi sarei rovinato. Ma non m'importava.
La sentii
sospirare, come se aspettasse una mia brutta risposta, ma io non
volevo farla stare male, non volevo più farla soffrire.
Ero un
egoista, me ne resi conto solo in quel momento. Lei aveva sempre
fatto tutto per me, per tutta la sua vita, e io non l'avevo mai
ringraziata.
Lei mi aveva ridato la mia famiglia, mi aveva
supportato nella mia passione, mi aveva sposato, addirittura, per far
si che mia nipote non finisse in adozione, e adesso non mi diceva
qualcosa che le era successo perchè avrei potuto soffrirne.
Ma
quando avrebbe cominciato a pensare a se stessa?
Dovevo pensare
io a lei. Dovevo proteggerla, e lei doveva smetterla di sacrificarsi
per me.
"Vieni qui". Allargai le braccia e non dissi
nient'altro. Non ero bravo con le parole, potevo confortarla
nell'unico modo che conoscevo: standole vicino, in silenzio.
Si
avvicinò timidamente a me e si strinse sul mio petto come la
sera
prima, cingendomi la schiena con le braccia. La circondai con le
braccia e lei si perse in mezzo a me, avrei voluto non riconoscere
più le mie e le sue mani, perchè eravamo ormai
troppo l'uno parte
dell'altro.
Dovevo dedicarmi completamente a lei, farle capire
che non era da sola. Le accarezzai i capelli e le loro sfumature
rosse mi ipnotizzarono, quindi continuai per non so quanto tempo.
Sarebbero stati giorni difficili, Sana doveva riprendersi e
tornare ad essere se stessa, altrimenti non sapevo come avremmo
potuto sopravvivere ad un periodo di stallo così lungo. Il
nostro
rapporto era già in equilibrio precario, e lei lo era
altrettanto. E
io non volevo perdere ciò che avevamo ma, soprattutto, in
quel
momento volevo che lei stesse bene perchè mi sarei distrutto
se lei
non fosse tornata quella che era.
La amavo troppo per vederla
in quello stato, singhiozzare come una bambina per qualcuno che
l'aveva messa in difficoltà. Chiunque fosse stato, sarebbe
stato
meglio per lui che io non arrivassi mai al suo nome, o si sarebbe
trovato chiuso in una bara e coperto di terra in meno di cinque
minuti.
Nei
giorni successivi non andai a lavoro, nè
all'università, quasi non
misi piede fuori casa anche perchè i giornalisti erano
appostati
ovunque e non facevano altro che rompere i coglioni con le loro
domande.
Odiavo quell'aspetto della popolarità, odiavo essere
il marito di una star, essere seguito e disturbato in ogni mio
spostamento. Ma, se la star in questione era Sana, la mia migliore
amica da sempre e l'unica donna che avrei mai amato, allora ne valeva
la pena. Le corse per arrivare in auto, i piccoli travestimenti, lo
scappare non appena un flash attirava la mia attenzione. Ne valeva la
pena.
L'avevo coccolata e protetta in ogni modo possibile,
rispondevo al suo telefono per evitare che Rei la torturasse
più del
dovuto, e soprattutto non le avevo più chiesto di spiegarmi
cosa
fosse successo.
Non pensavo che me l'avrebbe detto, ma ormai
non mi importava più, l'unica cosa che mi interessava era
che lei
stesse bene, che tornasse a sorridere e ad arrabbiarsi con me, come
al solito.
Andai in camera da letto, dove la trovai
addormentata.
Si teneva le ginocchia vicino al petto, perchè
in un film una volta avevano detto che quella posizione aiutava a
calmare i nervi. Era dolce quando si soffermava su quelle piccole
cose, come se avessero potuto davvero essere importanti. Mi avvicinai
e mi sdraiai accanto a lei, ma non la toccai. Non volevo svegliarla,
era ancora troppo presto, io mi ero alzato semplicemente
perchè non
riuscivo a dormire.
Guardarla dormire mi era sempre piaciuto,
anche quando dormivo a casa sua nel weekend mi soffermavo ad
osservarla quando lei non se ne accorgeva.
Ogni tanto mi
piaceva anche giocherellare con i suoi capelli, ma lo facevo quando
volevo disturbarla e in quel momento non mi andava di svegliarla,
sarebbe stata di malumore tutto il giorno.
"No. Per favore
no. Smettila!". Scattai a sedere immediatamente, pensavo si
fosse svegliata, invece quando la guardai vidi che teneva ancora gli
occhi chiusi e che aveva un'espressione corrucciata sul volto.
"Non
mi toccare, ti prego." Continuava a lamentarsi nel sonno e io
sentii un vuoto allo stomaco che mi fece venire la nausea. Qualcuno,
a quel maledetto provino, le aveva messo le mani addosso e io non
potevo sopportare una cosa del genere. Non volevo che provasse un
dolore come quello, non volevo che si sentisse sporca come tutte le
ragazze a cui accade una cosa come quella.
Se avessi scoperto
chi era stato, lo avrei ucciso con le mie mani. Immaginai di
prendergli la testa e sbatterla a terra fino a che non avrei sentito
il rumore delle ossa che si sbriciolano, fino a che il sangue non mi
avesse imbrattato le mani e i vestiti.
Ma che diavolo mi stava
succedendo? Quando mai avevo pensato in quei termini? Stavo
impazzendo.
"NO! NO! LASCIAMI!!". Le sue urla mi
stavano straziando l'anima, quindi mi fiondai a cavalcioni su di lei
e le bloccai le mani sopra la testa.
"Sana! Sana
svegliati! Svegliati, ti prego!" urlai anch'io, cercando di
coprire le sue grida.
I suoi occhi si spalancarono e
incrociarono immediatamente i miei, era terrorizzata e allo stesso
tempo sollevata di vedere me dall'altra parte e sicuramente non
l'oggetto della sua paura.
Con un gesto fulmineo mi attirò a
se'.
"Sana cosa..."
"Sto bene, non dire
nulla. Solo... abbracciami."
Anche se sapevo che non stava
bene, che dietro quell'abbraccio c'era molto di più, che il
dolore
che stava provando era irrealizzabile a parole, non me lo feci
ripetere due volte e la strinsi più forte che potevo.
Avrei
voluto prendermi tutta quella sofferenza, ma non potevo, potevo
solamente darle tutto il mio sostegno, tutto il mio amore. Ero
consapevole che non sarebbe servito a niente, ma era l'unico modo per
non sentirmi inutile di fronte alla sua tristezza.
Pov
Sana.
Quell'incubo era stato orrendo, ma ormai erano
giorni che i brutti sogni mi tormentavano appena chiudevo gli occhi.
Ero stanca, non dormivo bene da troppo tempo, e ogni volta che
sentivo quelle mani sfiorarmi la pelle mi veniva voglia di urlare.
Avevo temuto che anche il tocco di Akito mi avrebbe fatto provare
quelle cose, invece era tutto il contrario: ogni volta che lui si
avvicinava a me e la sua pelle arrivava alla mia, mi sembrava sempre
come ritornare a respirare, mentre prima ero in apnea.
Era come
riprendere fiato.
Per questo, quando mi aveva svegliato, lo
avevo pregato di abbracciarmi, di stringermi, perchè mi
sentivo bene
solo quando lui mi era vicino.
"Dai Akito, fammi
entrare!". Scoppiai a ridere, tamburellando le dita sulla porta
della camera da letto, dove lui si era chiuso da un'ora come minimo.
Mi aveva tassativamente vietato di disturbarlo, ma la mia indole di
inguaribile rompiscatole aveva preso il sopravvento ed era da almeno
un quarto d'ora che lo pregavo di farmi entrare.
"Smettila
e vattene, entrerai quando lo dirò io!".
Non c'era nulla
da fare, non mi avrebbe fatto entrare nemmeno se mi fossi fatta
venire una crisi di nervi. Però provare non costava nulla...
No!
Ero una cretina, non sapevo godermi le sorprese.
Akito era
stato così dolce con me negli ultimi giorni, e io mi ero
resa conto
di amarlo ancora di più di quanto avrei mai immaginato.
Cominciai
a camminare avanti e indietro per il corridoio, sperando che si
decidesse ad aprire quella porta perchè la mia
curiosità mi stava
dando il tormento.
Doveva smetterla di preoccuparsi per me, non
volevo che condividesse con me le cose che stavo provando, volevo
solo che mi abbracciasse quando ne avevo bisogno e che stesse in
silenzio con me.
Non volevo che mi capisse. Non volevo che mi
consolasse. Volevo solo che ci fosse.
*
Le
mani di Akito mi tenevano chiusi gli occhi. Lui mi camminava dietro e
mi guidava verso la camera da letto da cui, finalmente, era uscito
pochi minuti prima.
Mi aveva fatta aspettare un'altra ora e poi
si era presentato da me, con la maglietta sporca di qualche strana
salsa, chiedendomi di chiudere gli occhi e di seguirlo.
Lo
avevo fatto senza protestare, anche se volevo rimproverarlo per
quella macchia che c'avrei messo una vita a togliere, ma mi trattenni
perchè ero troppo curiosa di sapere cosa aveva combinato
lì dentro
per tutto il pomeriggio.
Era uno stupido se pensava che una
sorpresa mi avrebbe stupita. Era lui che continuava a stupirmi: il
modo in cui era cambiato, in cui aveva scelto di migliorare per me e
per Kaori e, sicuramente, per sua sorella. Mi venne quasi da piangere
ma scacciai indietro le lacrime, volevo godermi il momento e non era
proprio quello adatto per fare la piagnucolona.
"Ok, ci
siamo. Adesso puoi aprire gli occhi.".
Ci bloccammo in
mezzo alla stanza, o almeno così mi sembrava e, quando Akito
tolse
le mani dalla mia faccia, aprii gli occhi e trovai il camino acceso
davanti a me e il tavolino vicino apparecchiato di tutto punto.
Era
dolcissimo. Era la persona migliore che potessi avere accanto in quel
momento, e lo avevo respinto così tante volte, lo avevo
allontanato
senza motivo.
Mi voltai e gli cinsi il collo con le braccia.
Lui mi sollevò da terra e ci trovammo faccia a faccia,
troppo vicini
per allontanarci e troppo lontani per toccarci veramente.
Era
una tortura il nostro rapporto. Eravamo costantemente preoccupati di
non far degenerare la cosa, e più ci preoccupavamo
più le cose
andavano male.
Io mi ero soffermata così tanto su quel
maledetto film che non avevo notato quanto potesse farlo soffrire, o
quanto potesse far soffrire me. Ero stata accecata dalla voglia di
migliorarmi, di portare avanti la mia carriera, e non mi ero neanche
accorta di quanto mi rendesse già molto felice la mia vita
con
Akito.
"Grazie... davvero, grazie. Non so che dire."
Mi sfiorò la guancia con il pollice, accarezzandola
dolcemente
e io mi sentii improvvisamente avvampare.
Speravo che non
smettesse mai di farmi quell'effetto.
Akito mi sorrise e io
vidi le porte del paradiso.
"Grazie
va benissimo, non preoccuparti."
Rimanemmo abbracciati
ancora per un po', fino a che non mi fece scendere perchè la
cena si
stava raffreddando.
"Non ho passato tre ore a cucinare per
poi dover buttare tutto.".
Gli feci una linguaccia.
"Quindi preferisci i cavoletti di Bruxelles a me?". Ne
afferrai uno e lo morsi, scoppiando a ridere e dimenticandomi per un
istante che dovevo dirgli cosa era successo se volevo che le cose tra
noi funzionassero.
Ma come facevo a dirglielo?
Conoscevo
Akito e non era di certo la persona più semplice con cui
parlare e,
soprattutto, di qualcosa che riguardava me e che, quindi, avrebbe
acceso la sua gelosia.
Tremavo al solo pensiero, ma dovevo
farlo.
La
cena era squisita, cosa che non mi aspettavo, visto che Akito non
cucinava mai e, quando cucinava, c'era sempre qualcosa che si
bruciava e andava a finire nella pattumiera.
"Lo confesso:
ho chiamato Aya per farmi aiutare!" disse come leggendomi nel
pensiero. Scoppiai a ridere, immaginandolo alle prese con i fornelli
e Aya, che non era di certo semplice da accontentare, tutti in una
volta.
"Non fa nulla...". Mi alzai e feci il giro del
tavolino per ritrovarmi davanti a lui che aprì le gambe e mi
fece
sdraiare in mezzo.
Quando mi abbracciò non era più il calore
del camino a ristorarmi, la sensazione delle sue braccia attorno a me
era qualcosa di... paradisiaco.
Akito fece scivolare lentamente
le sue mani verso i miei fianchi e pensai che stesse per baciarmi.
Non sapevo se sarei stata in grado di reggere una situazione
così
intima dopo quello che era successo.
Spiazzandomi del tutto
cominciò a farmi il solletico e io a ridere e urlare come
una
squilibrata.
"Akito, smettila!!" continuavo ad
urlare, ma lui non accennava a fermarsi. Ero terrorizzata. Se avesse
visto quello che cercavo disperatamente di nascondergli. Avrebbe dato
di matto.
Ridevo, ma la mia risata era finta, perchè ero
troppo preoccupata a non far salire il maglione e a non lasciare
scoperti i fianchi.
Come se mi avesse letto nel pensiero
cominciò a solleticarmi proprio sulla pancia e sui fianchi e
feci
una smorfia di dolore in mezzo a tutte le risate. Lui non
sembrò
accorgersene, per fortuna.
Ma non sarei stata sempre così
fortunata, perchè un secondo dopo il maglione si
alzò del tutto e
mi lasciò scoperti i lividi.
Vidi lo sguardo di Akito cambiare
immediatamente. Leggevo la furia nei suoi occhi e il mio mondo
andò
in pezzi in un istante.
"Cosa diavolo sono questi?".
Rimasi in silenzio, non sapevo davvero cosa rispondere. Mi ero
accorta di averli solo il giorno prima e avevo ringraziato il cielo
che lui non li avesse visti di sfuggita mentre mi vestivo. Ma non
potevo di certo sperare di scamparla così facilmente, nella
mia vita
non ci poteva essere nulla di semplice.
Sbuffai
automaticamente, adesso non mi sarebbe più mancato il suo
broncio,
perchè l'avrei visto per il resto della mia vita.
"Non
sono nulla." minimizzai mettendomi a sedere e abbassando il
maglione per coprirmi.
"Devi dirmi cosa sono, Sana."
Volevo andarmene, volevo scappare. Feci per alzarmi ma lui me
lo impedì afferrandomi per le spalle e tenendomi ferma.
"Solo...
ascoltami! Non voglio saperlo per forza, non voglio costringerti.
Voglio solo che tu sappia che, quando si tratta di te, voglio tutto.
Non voglio solo le cose belle o le cose felici, voglio anche il
marcio. E sono sicuro che questa sarà una cosa molto marcia,
ma
voglio saperla, perchè voglio aiutarti. Perchè
tengo a te. Perchè
ti amo. E questo non cambia, qualsiasi cosa sia accaduta."
Quella improvvisa dichiarazione mi strinse il cuore come mai mi
era capitato. Era la seconda volta che mi diceva che mi amava, avrei
dovuto ormai esserci abituata - o almeno tentare di abituarmici -
eppure quando lo sentii dire quelle due parole il mio cuore mi aveva
giocato un brutto tiro.
Scoppiai a piangere e strinsi ancora di
più il suo braccio, cercando il coraggio che mi serviva per
raccontargli cosa era successo. Sapevo che non era niente di
veramente grave, ma per me lo era, per me era stata la mia prima
esperienza intima e mi era stata rovinata. Mi ero sentita
così
umiliata... ma dovevo provare a parlare, dovevo almeno tentare di
dirglielo perchè mi sarei sentita meglio.
Ma lui si sarebbe
sentito peggio.
Comunque cominciai, cercando di controllare le
lacrime.
Pov Akito.
Sana
si asciugò la lacrima che le era scesa sulla guancia
sinistra e si
tirò i capelli indietro. Cercava di trattenere le lacrime,
ma io lo
notavo e non volevo che lo facesse, volevo che si lasciasse andare,
che si sfogasse con me.
Quando cominciò a parlare chiusi gli
occhi, sperando e pregando per un solo istante che avesse esagerato
la sua reazione, che non fosse ciò che avevo immaginato per
tutti
quei giorni.
"Quando sono andata a fare il provino il
regista è stato molto carino con me, mi ha fatto un sacco di
complimenti lavorativamente parlando e io pensavo di aver trovato il
film della mia carriera, che mi avrebbe cambiato la vita. "
Si
fermò e prese un grosso respiro, io ritornai ad abbracciarla
e lei a
guardare il fuoco che scoppiettava davanti a noi.
"Abbiamo
fatto l'analisi del mio personaggio insieme, lui è rimasto
molto
colpito da me e dalle mie capacità, ma poi mi ha presentato
il mio
cooprotagonista.".
Strinsi i pugni, perchè sapevo dove
voleva andare a parare. Mi soffermai a guardare le mie vene del
braccio, per trovare qualcosa su cui concentrarmi mentre aspettavo
l'inevitabile.
"Dovevamo provare una scena un po'...
spinta e, approfittando del fatto che eravamo coperti da un maledetto
lenzuolo, lui..." Si fermò e si portò una mano al
viso,
coprendosi gli occhi. Non potevo essere più furioso, ma
continuai a
trattenermi. Era come se dentro avessi una molla, una gigantesca
molla, che stava per scattare. Da un momento all'altro mi sarei
ritrovato a distruggere qualcosa, e neanche Sana sarebbe riuscita a
fermarmi.
"Continua, Sana." le ordinai. Capii di aver
avuto un tono troppo autoritario. "Per favore." dissi
infine.
Fece come le avevo detto. "Lui mi ha..."
Non
riusciva proprio a dirlo quindi, anche se significava darmi una
pugnalata dritta al cuore, lo feci io per lei. Volevo risparmiarle
qualsiasi dolore. "Lui ti ha toccata."
Al sentire
quelle parole Sana andò in pezzi, in minuscoli pezzi che non
ero
capace di rimettere insieme. Volevo farlo, con tutto me stesso, ma
non potevo: lei era l'unica in grado di rialzarsi e dire addio allo
schifo che aveva dentro.
In compenso, lo schifo che avevo
dentro io, non se ne sarebbe mai andato. Non lo dissi a Sana, non
battei ciglio, la abbracciai e basta, ma avrei trovato quel maledetto
bastardo e l'avrei ucciso.
Tra le lacrime la vidi girarsi,
guardarmi come se mi stesse supplicando, ma supplicarmi di cosa?
"Ti
prego, perdonami..." disse mentre i singhiozzi la scuotevano.
"Mi dispiace così tanto!".
Inorridii capendo cosa mi
stava dicendo, pensava davvero che fosse colpa sua? E che per quello
non l'avrei più voluta?
Io non ero arrabbiato con lei, non lo
sarei mai stato, ma non ero capace di gestire una cosa come quella.
Mi sembrava di sprofondare sempre più lentamente in un
abisso in cui
Sana mi chiedeva aiuto. Un aiuto che io non sapevo darle.
"Ma
di cosa stai parlando?! Pensi che io ce l'abbia con te? E per cosa
poi, perchè un coglione, che morirà a breve, ti
ha messo le mani
addosso? Tu sei matta, Kurata! Non c'è niente, assolutamente
niente,
che possa farmi cambiare idea su di te o che possa cambiare i miei
sentimenti! Ficcatelo in testa!!".
Mi resi conto di stare
urlando e mi schiarii la voce, cercando di tornare al mio tono
normale ma probabilmente dovevo sembrare veramente esasperato,
perchè
Sana mi guardò come se avesse sentito chissà
quale cosa
sconvolgente. Era una stupida se anche solo pensava di allontanarsi
da me per quello.
Senza neanche che me ne accorgessi lei si
gettò su di me e appoggiò le sue labbra sul mio
collo, poi le
schiuse indugiando un po' sul bacio. Ero sorpreso e spaventato da
cosa significasse quel bacio, perchè con Sana tutto poteva
esere
imprevedibile. Pensavo che il mondo mi sarebbe crollato addosso da un
momento all'altro.
"Che cosa stai facendo? Hai capito
quello che ti ho detto?".
Non volevo che mi distraesse per
sviare il discorso, la conoscevo fin troppo bene.
Abbassai lo
sguardo, colto totalmente alla sprovvista, e nel suo sguardo vidi
distruzione ma soprattutto decisione e fermezza. Sapeva cosa stava
facendo e quello mi terrorizzava perchè io invece non ne
avevo idea.
Sana mi attirò di più a sè e
più si avvicinava più io mi
sentivo morire. Mi baciò freneticamente, e con la lingua
tentò di
schiudere le mie labbra. Volevo allontanarla, volevo che smettesse e
che non smettesse mai.
Mi guardò con aria ancora più decisa,
il mio autocontrollo stava già cominciando a vacillare.
"Fammi
dimenticare quella sensazione. Fammi dimenticare. Ti prego."
Sapeva come portarmi oltre il limite, se non potevo dire nulla
per farla stare bene avrei potuto fare qualcosa per farle dimenticare
quelle mani, almeno finchè non le avrei sbriciolate con le
mie.
La
baciai piano, con delicatezza, lei mi infilò le mani tra i
capelli e
io sentii vacillare sempre di più il mio autocontrollo.
Cominciai a
baciarla con più passione, facendola mettere a cavalcioni su
di me,
provando a darle ciò che mi aveva chiesto.
Con un gesto che mi
spiazzò, si tolse la maglietta e il mio cuore si
fermò per un
secondo perchè, anche se l'avevo vista tantissime volte in
reggiseno
quella volta era come se lei mi stesse dando tutta la fiducia del
mondo. Tutta per me, tra le mie dita.
Le mie mani scivolarono
dai suoi fianchi al suo seno, una tortura silenziosa e lenta che mi
stava distruggendo.
"Fammi dimenticare..." sussurrò
di nuovo, e quelle parole segnarono la mia disfatta. Non volevo che
lei soffrisse, volevo farle dimenticare anche il suo nome.
Cominciai
a posarle una serie di baci lungo la mandibola e poi dietro
l'orecchio, avevo imparato che quello era un punto in cui era
particolarmente sensibile.
Quando riuscii a riprendere, almeno
in parte, il controllo di me stesso mi avvicinai piano alle sue
mutandine, ma ero terrorizzato di farla stare male o che mi
allontanasse.
Spostai l'orlo della sua biancheria e,
improvvisamente, mi resi conto che Sana aveva cominciato a tremare e
che si era irrigidita in un istante. Spostai subito la mano.
Capii
immediatamente cosa era successo durante quella cazzo di prova.
Volevo ucciderlo. Gli avrei spaccato la testa sull'asfalto prima
ancora che potesse dire una parola.
"Sana..". Le
lacrime cominciarono a rigarle il viso e di scatto l'abbracciai,
sperando che si calmasse, o avrei dato di matto. Ma in quel momento
non si trattava di me, ne della mia gelosia, o del fatto che sarei
andato in prigione per omicidio. Si trattava di Sana e del fatto che
era distrutta e si stava lentamente sbriciolando davanti ai miei
occhi.
"Ti prego... ti prego, non dire niente.".
Stava per spostarsi, me ne accorgevo dal fatto che faceva pressione
sul mio petto per farmi alzare. Lo feci, ma con uno scatto la
afferrai per i fianchi e la feci sedere nella stessa posizione in cui
eravamo prima che il solletico mi rivelasse tutto quello che lei
tentava di nascondermi.
Presi la coperta che avevo messo vicino
a noi e la avvolsi tra le mie braccia, coprendoci entrambi.
Rimanemmo in quella posizione per molto tempo, io la cullavo e
non dicevo una parola, perchè temevo che mi respingesse ed
era
l'ultima cosa che volevo.
La sentivo lentamente rilassarsi,
dopo aver pianto probabilmente tutte le lacrime che aveva in corpo, e
speravo che mi parlasse.
Volevo solo aiutarla.
Improvvisamente, quando meno me l'aspettavo, la vidi alzarsi e
andare verso la porta.
"Dove vai?" chiesi
terrorizzato che mi lasciasse lì, da solo, dopo che avevo
tentato di
reprimere la mia peggiore reazione per farla stare meglio. Avevo
fatto qualcosa che non andava? Eppure non sembrava turbata mentre la
stavo abbracciando.
"Spengo la luce." disse infine, e
io feci un respiro di sollievo. Risi di me stesso, ormai ero
completamente dipendente da quella ragazza e se mesi prima mi
avessero detto che sarei stato spaventato all'idea di rimanere da
solo non ci avrei mai creduto.
Sana tornò da me, ma stavolta
si sdraiò su di me costringendomi a sdraiarmi a mia volta
sul
pavimento.
"Non so come ringraziarti per questa serata. E'
stato tutto perfetto, a parte la mia piccola crisi di nervi. Tu sei
stato perfetto."
Al buio era tutto più suggestivo,
riuscivo a vedere le nostre ombre che si muovevano sul muro. Le
avvolsi i fianchi con le mani, facendo attenzione a non premere
troppo per non farle male.
"Mi dispiace se...". Sana
mi mise un dito sulla bocca, zittendomi. Volevo disperatamente
baciarla... ma lei era così lontana da me. O almeno io la
percepivo
così.
"Adesso sta' zitto. Devo dirti una cosa e se ti
metti a parlare non riuscirò a farlo.".
Mimai il gesto di
chiudermi la bocca a chiave e la invitai a proseguire. Il fatto che
fosse coricata sopra di me e che il suo seno premesse sul mio metto
non mi aiutava a concentrarmi ma feci del mio meglio.
"Io
ti amo, Akito Hayama."
In quel momento catturò tutta la
mia attenzione. Lei sorrise, vedendo la mia espressione stupita.
"Lo
so che non te l'ho mai detto e che tu invece hai continuato a
ripetermelo da Capodanno ma... ero terrorizzata dall'idea che potesse
finire da un momento all'altro. Non siamo mai stati bravi a capire i
sentimenti l'uno dell'altro, tanto meno a dimostrarli, quindi avevo
paura. Ma ora... ora so che ti amo con tutta me stessa e che non
può
finire. Non potremmo lasciarci nemmeno se lo volessimo."
Aveva
ragione, non avrei potuto lasciarla nemmeno se tutto il mio corpo mi
avesse urlato di farlo. La amavo troppo e sentire dalla sua bocca che
anche lei amava me, dopo tutti quegli anni passati ad aspettare, a
guardarla di sottecchi, a nutrirmi di un sorriso e un abbraccio ogni
tanto, mi rendeva la persona più felice del mondo. Mi
rendeva vivo,
come non mi ero mai sentito.
"Pensavo che non l'avresti mai
detto.". Chiusi gli occhi, beandomi della sensazione che l'amare
e l'essere corrisposti dava. Era la cosa più bella che
avessi mai
provato, era l'unica motivazione per cui sopportavo tutta la merda
che comportava il suo lavoro e la sua popolarità. Il fatto
che la
ragazza che era con me in quel momento non era Sana Kurata, l'attrice
di fama internazione, ma Sana: la bambina che avevo conosciuto alle
elementari e che si stava trasformando in una splendida giovane
donna. La bambina di cui mi ero innamorato perchè mi aveva
tirato
fuori dal baratro e mi aveva trascinato con forza per tutto il
percorso della mia vita. La bambina che era diventata mia moglie.
Mi
veniva quasi da piangere.
Sana mi strinse a sè, posandomi un
leggero bacio sul collo.
"Meglio tardi che mai, no?".
Annuii vigorosamente e poi l'abbracciai, sperando che quel
momento non finisse mai.
Lei, invece, era di tutt'altro avviso.
Prese a baciarmi piano il collo, lasciando una scia che scendeva
verso il mio petto.
"Sana no... non voglio vederti
piangere di nuovo."
Lei mi sorrise e scosse la testa, e
quell'immagine era forse la cosa più eccitante che avevo mai
visto
nella vita.
"Non te lo chiederò un'altra volta: fammi
dimenticare.". Non riuscii ad oppormi, perchè anche se
sapevo
che era sbagliato, che lei non era pronta, io la volevo più
di
quanto avessi mai voluto qualsiasi cosa o persona nella mia vita. Ero
egoista, si, ma la amavo... e mi sentivo strappare le viscere
dall'interno ogni volta che mi allontanavo da lei.
Invertii le
posizioni e la feci mettere sotto, per poi spingermi ancora di
più
in mezzo alle sue gambe. Era meraviglioso essere così vicino
a lei.
Portai le mani dietro la sua schiena e indugiai per un secondo
sui gancetti del reggiseno, come per chiederle il permesso. Lei mi
sorrise e io lo tolsi, ritrovandomi con il suo seno nudo davanti agli
occhi. Pensai che sarei morto da un momento all'altro.
La
sentii mugolare sotto i miei baci e le mie mani, e cercai di
imprimermi quel suono nella testa, per non scordarlo mai.
Scesi
per baciarle il collo, e lei chiuse gli occhi. Vederla in quello
stato mi faceva impazzire.
Le mani di Sana arrivarono fino
all'orlo dei miei jeans, da cui si intravedevano i boxer, e io
abbassai lo sguardo sorpreso. Con un gesto repentino la
infilò
dentro e il contatto con la sua mano fredda mi fece sussultare.
Mentre mi toccava, mentre la sua mano andava su e giù dentro
i
miei boxer la mia forza di volontà venne spezzata del tutto.
Entrai
in un mondo che non avevo mai veramente conosciuto, Sana mi faceva
sentire come mai mi ero sentito nella mia vita.
Volevo
ricambiare il piacere che mi stava dando, ma sentivo le braccia molli
e il cervello che mi scoppiava, riuscivo solamente a baciarla. Il
calore delle sue labbra e della sua lingua attorno alla mia mi faceva
eccitare ancora di più. Avrei mai potuto amarla
più di così?
Scesi
un'altra volta verso le sue mutandine, sperando che stavolta non mi
avrebbe fermato.
Vedendo il dubbio nei miei occhi Sana circondò
la mia mano con la sua e la portò sotto la stoffa dell
mutandine.
Quel gesto mi spiazzò, ma lei mi aveva ripetuto in
continuazione che voleva dimenticare, che non voleva più
ricordare
quella sensazione. Lei voleva che fossi io il primo e io lo volevo
più di chiunque altro. Mi sembrava di impazzire mentre la
accarezzavo piano e sentivo i suoi gemiti.
"Akito..."
La
curva perfetta della sua bocca mentre pronunciava il mio nome mi fece
irriggidire ancora di più. Stavo per sentirmi male.
"Che
c'è? Ti ho.. ti ho fatto male?". Avevo paura di farla
soffrire,
che avrebbe provato disgusto per il mio tocco, che non avrei mai
potuto farle dimenticare la sensazione di essere toccata da qualcun
altro. Decisi di non pensare a cosa le era successo o avrei finito
per rovinare il momento.
Era calda, umida, e pensare che fino a
qualche mese prima eravamo così lontani che non immaginavamo
nemmeno
che saremmo finiti l'uno con le mani dentro le mutande dell'altro era
davveo surreale. Quell'immagine mi fece sorridere, ma aspettavo
ancora che lei rispondesse, perchè non sapevo se continuare
o
fermarmi e lasciarla andare.
"No... posso... continua!"
disse infine. Con l'altra mano cominciai a sfiorarle il seno prima
piano e poi con più forza, e la sentivo gemere sotto il mio
tocco.
Quello, e le mani di Sana che non smettevano di torturarmi,
bastarono a portarmi oltre il limite. I boxer divennero fradici e
avrei potuto giurare di aver visto Sana sorridere, soddisfatta del
suo lavoro. Risi a mia volta e mi godetti il momento. Non mi ero mai
sentito così, il fatto che fosse stata lei a procurarmi
quella
sensazione era più che sufficente per amplificare il
piacere.
Continuai a toccarla lentamente, volevo che la sua tortura
durasse di più, volevo che si imprimesse nel cervello
l'emozione del
fatto che fossero state le mie mani a farla stare così bene.
Continuava a stringere i pugni, cercando qualcosa a cui
aggrapparsi, qualcosa da stringere. Si mordeva le labbra per
contenere il piacere e io mi avvicinai e feci altrettanto,
perchè
volevo rivendicare tutto di lei. La sua bocca, il suo seno, la sua
schiena, le sue mani che sapevano fare magie, il suo essere
più
intimo.
Era mia.
Saperlo mi faceva sentire l'uomo più
fortunato della terra.
Affondai le dita nella pelle morbida dei
suoi fianchi, e con l'altra mano affondai ancora di più in
lei,
cercando di portarla nel luogo meraviglioso dove ero stato io pochi
minuti prima.
Mi resi conto che stava accadendo quando sentii
le sue gambe irriggidirsi. Aumentai il ritmo, prima lento e poi
furioso e, quando la sentii pronunciare di nuovo il mio nome con
quella voce spezzata, capii che era fatta.
Teneva gli occhi
chiusi e continuava a mordersi il labbro, e io volevo solo
possederla. Volevo che lei fosse mia, veramente, senza più
barriere
tra di noi.
Ma era ancora presto e, dopo aver aspettato per
oltre otto anni, quello che avevamo appena fatto mi sarebbe bastato
per un po'.
Mi sarebbe bastato davvero? Ora che avevo avuto un
assaggio di cosa poteva darmi il rapporto con Sana, forse non mi
sarei più accontentato di niente.
Dopo qualche minuto la
bellissima ragazza che avevo tra le mani riprese a respirare in modo
normale e i suoi occhi color nocciola mi fissarono per qualche
istante.
"Credo che dovresti dire qualcosa..."
sussurrai io, senza distogliere lo sguardo dal suo.
Volevo
sentirmelo dire, anche se sapevo che era sbagliato costringerla,
anche se mi rendevo conto che forse la nostra prima esperienza intima
sarebbe dovuta andare diversamente, ma per me nessuna fantasia
sarebbe mai stata migliore della realtà.
Quando avevo sentito
la sua pelle morbida tra le dita... avrei potuto ricominciare
all'istante. Ma aspettavo ancora che lei parlasse, che mi dicesse che
andava tutto bene, perchè temevo che sarebbe crollata tra le
mie
mani e non volevo vedere la ragazza che amavo sbriciolarsi davanti a
me.
Infine
parlò. "Grazie per avermi fatto dimenticare."
Era
tutto ciò che volevo sentirmi dire. La strinsi fortissimo e
presi un
cuscino dal divano per appoggiarci la testa, poi la feci appoggiare
sul mio petto. Aveva i capelli tutti scompigliati e negli occhi una
scintilla che non aveva mai avuto, eppure non credevo di averla mai
vista più bella di così.
La
mia Sana... distrutta, spezzata,
fatta a pezzi. E io li avevo rimessi insieme.
La
guardai per un
ultimo istante prima di sentirla crollare nel sonno. Volevo solo che
fosse felice. Con me, con nessun altro.
Sana
poteva salvarmi
dall'abisso in cui mi ero sempre trovato, o buttarmici dentro con
tutta la sua forza. Ma, se il suo piano era cadere nell'abisso con
me, non mi sarei di certo lamentato.