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Autore: Betta7    23/01/2017    2 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 15.

DIMENTICARE.

Pov Sana.
Sentivo il telefono squillare dalla cucina ma alzarmi era l'ultima cosa che desideravo fare. In realtà, in cima alla mia lista dei desideri, c'era baciare le labbra di Akito che mi stavano a una distanza fin troppo ridotta. Ero sveglia già da un po', lo avevo fissato per qualche minuto e tutto quello a cui riuscivo a pensare era impossessarmi di quella bocca troppo perfetta per essere vera.
Quando avevo cominciato a pensare a lui in quei termini? A notare quei dettagli che prima non notavo affatto?
Mi sembrava di non averlo mai guardato veramente prima di quel momento, come se mi fossi costretta ad evitarlo per non ritrovarmi nella posizione di confusione in cui invece gli eventi mi avevano catapultato.
Ad ogni modo, se non mi alzavo dal letto, si sarebbe svegliato e mi avrebbe scoperto a guardarlo in quel modo insistente e, con mia grande consapevolezza, anche piuttosto imbarazzante.
Mi divincolai dal suo abbraccio e cercai di fare meno rumore possibile, dirigendomi in cucina.
Presi il cellulare appena in tempo, era un numero che non conoscevo. "Pronto?"
La voce dall'altro lato del telefono mi sembrò familiare, ma non capii veramente finchè non si presentò.
"Finalmente sento la sua voce, la famosa Sana Kurata! So che è molto strano ricevere una telefonata dal regista direttamente, sono il signor Miyazaki.".
Scattai, mettendomi in una posizione più composta, come se potesse vedermi. "Oh, signor Miyazaki, non mi aspettavo una sua telefonata. Sono davvero onorata di poter lavorare con lei, anche se in queste settimane non ho mostrato molto interesse, ma non so se ha saputo la piega che ha preso la mia vita e io...".
"La smetta, per favore. So cosa le è successo, e mi dispiace molto per sua cognata, ma avrei bisogno di vederla personalmente il prima possibile perchè, anche se è stata scelta praticamente a scatola chiusa, vorrei capire se lei è veramente adatta a questo ruolo. Avrà ormai letto il copione, sa che tipo di scene sono presenti all'interno del film, quindi voglio testare la chimica col suo partner e farmi un'idea di come renderla un sex symbol grazie a questo personaggio.".
Ascoltai le sue parole con attenzione, sapevo per quale tipo di film mi avevano scritturato ma sapevo anche che il cinema è spesso portato ad esagerare qualcosa che in realtà non è così grave come sembra. Eppure quelle frasi mi preoccuparono, lui voleva creare un personaggio più sexy di quanto già non fosse quello che avevo letto nel copione e rendere me un sex symbol. Non sapevo se ridere o mettermi a piangere.
"Allora? Cosa ne pensa?" incalzò subito dopo e io mi ridestai dai miei pensieri. Strinsi la mano in un pugno e lo sbattei leggermente sul piano cottura. Ero nervosa.
"Si, mi scusi.. per me non è assolutamente un problema, anzi non vedevo l'ora di cominciare a familiarizzare con chi mi affiancherà. Voglio che questo film sia memorabile."
"E' un desiderio comune allora. Quando potremo organizzare un incontro?".
Riflettei per un attimo che non dovevo essere io a dirgli quando e dove potevamo vederci, ma Rei, e che se gli avessi tolto anche il piacere del suo lavoro mi avrebbe uccisa.
"La farò contattare dal mio manager, credo sia la miglior cosa."
"Perfetto allora, aspetto che il suo agente si faccia vivo. Non vedo l'ora di lavorare con lei, Sana."
La conversazione terminò, ma i miei pensieri avevano appena cominciato a farsi strada dentro di me. Girare il film era un grosso rischio per me e per la mia relazione con Akito che era praticamente appena iniziata. Inoltre, poteva essere un grosso danno per la mia immagine. Di solito, i bambini prodigio rimangono - agli occhi dei fans - sempre dei ragazzini estremamente talentuosi e non riescono mai ad uscire dall'idea che siano puri e soprattutto non si accetta il fatto che siano cresciuti. Nel mio caso, un minimo errore poteva essermi fatale, perchè qualsiasi casa cinematografica avrebbe potuto sbarrarmi le porte e togliermi ogni possibilità di lavoro. Certo, sarebbe potuto succedere anche se avessi rifiutato un ruolo così importante come quello che mi era stato offerto da Miyazaki e che Rei aveva accettato quasi senza consultarmi.
Avevo letto il copione, e Miyazaki aveva ragione, c'erano delle scene abbastanza spinte e prima di ritrovarmi sposata con Akito non ci avevo trovato nulla di così sconcertante, ma adesso che il mio legame con lui era più che un rapporto di convenienza le cose erano sicuramente cambiate. Cosa dovevo fare?
Tornai in camera da letto e mi appoggiai alla porta, guardando Akito dormire. La sua schiena si alzava e abbassava lentamente, aveva un braccio lungo il fianco e l'altro sotto il cuscino. I muscoli della schiena erano rilassati, ma la posizione in cui dormiva li metteva in risalto perfettamente.
Mi sentivo in trappola, schiacciata dalla consapevolezza che quel film avrebbe potuto distruggere la vita che mi ero costruita con fatica. Quel barlume di stabilità che avevo aspettato si era finalmente fatto vedere, ma la mia vita non sembrava capace di lasciarmi un attimo tranquilla.
Amavo il mio lavoro, ma Akito lo odiava. Era felice di vedermi felice, di questo ne ero certa, ma quando la mia felicità ledeva la sua sanità mentale - e vedermi praticamente nuda con un altro, sapevo che lo avrebbe fatto - allora forse non era più così tranquillo.
Allora ne valeva la pena? Non potevo vivere senza lavorare, questo era ovvio, ma non potevo nemmeno chiedere ad Akito di sopportare qualcosa che lo faceva stare male.
Ma io potevo sopportare di lasciare il mio lavoro per lui? Amavo più lui o il mio lavoro?
Lo guardai muoversi sul letto. Come facevo a scegliere? Non volevo farlo. Non potevo separarmi da nessuna delle due cose e sarei stata distrutta nel farlo.
Akito mi aveva detto che mi amava. Io no. Non riuscivo a dirlo, non riuscivo nemmeno a pensarlo. Sapevo che lui se n'era accorto e mi rendevo conto anche che non voleva forzarmi per lasciarmi libera di scegliere, ma non potevo approfittarmi di tanta premura.
La mia questione lavorativa non aiutava sicuramente in quella situazione, perchè se Akito mi avesse lasciato perchè non riusciva a gestire i miei ruoli al cinema, avrei perso non solo la persona che amavo, ma anche il mio migliore amico e forse era quella la cosa che più mi spaventava. Sarei stata in grado di sopportare la mancanza di Akito ora che avevo avuto un assaggio di ciò che sarebbe potuto essere il nostro rapporto?
Come avrebbe reagito sapendo che sarei finita a baciare un altro? Si era ormai abituato al mio rapporto lavorativo con Naozumi, ma adesso avrei dovuto recitare con qualcun altro, che lui non conosceva e che non sapeva come gestire.
Mi sentivo in preda all'esasperazione. Riuscivo solo a figurarmi la sua faccia quando gli avrei detto che mi aveva chiamato il regista e che voleva vedermi. Avrebbe dato di matto.
Mi passai le mani sulla fronte, mi sarebbero venute le rughe a forza di preoccuparmi in quel modo.
"Buon giorno, Kurata.". Le braccia di Akito mi circondarono mentre io ero ancora presa dai miei pensieri. "Buon giorno Hayama.". Mi fece voltare e in un secondo ci ritrovammo occhi negli occhi, e lui mi posò un bacio leggero sulle labbra. Il mio corpo si accese come un fuoco e avrei voluto saltargli addosso, ma mi trattenni perchè non potevo permettermi quell'avventatezza.
Mi divincolai dal suo abbraccio, fingendo un sorriso, e andai verso il frigo per prendere il latte.
Lui si appoggiò alla cucina e mi guardò insistentemente mentre prendevo il bicchiere e me ne versavo un po'.
"Dobbiamo andare da Natsumi oggi, te lo ricordi?". Lui annuì e cominciò a tamburellare le dita sul marmo.
"Si, e dopo passiamo a prendere Kaori da tua madre.".
Finii di bere il mio latte e misi il bicchiere nel lavandino. "Perfetto allora, vado a vestirmi.".
Non ero pronta ad affrontare il discorso, non sapevo come dirglielo nè se volevo veramente dirglielo, perchè le conseguenze sarebbero state disastrose e lo sapevo fin troppo bene. Quando gli avevo detto di capodanno non aveva battuto ciglio, ma sapevo che non era stato felice di non passarlo con me tanto che poi si era inventato tutta la faccenda del planetario.
Lo amavo così tanto. Aveva fatto tutte quelle cose per me e io adesso lo stavo per deludere.
Quando arrivai in camera da letto sentii i suoi passi dietro i miei, sapevo che non sarei riuscita ad evitare l'argomento, quindi tanto valeva smetterla di farlo e provare ad aprire la questione senza far scatenare l'inferno.
Mi voltai verso di lui che era appoggiato alla porta esattamente nella stessa posizione in cui ero io poco prima, mentre lo guardavo dormire.
"Mi ha chiamato il regista del film. Vuole vedermi.".
Lui chiuse gli occhi, forse per calmarsi, e poi incrociò le braccia sul petto.
"Quindi? Qual è il problema?".
Inspirai.
"Vuole capire se sono la persona adatta a questo ruolo un po'...". Non riuscivo a trovare la parola adatta per non farlo impazzire. ".. particolare.".
Non era proprio quello che intendevo, ma sarebbe andato bene lo stesso.
"Particolare in che senso? C'è qualcos'altro che non so, oltre quello che ho scoperto dalla famosa intervista?".
C'erano un sacco di cose che non sapeva, che non gli avevo detto proprio per evitare discussioni inutili, come il fatto che Rei mi aveva consegnato il copione e la sceneggiatura dell'intero film per farmi un'idea del mio personaggio, o anche che erano settimane che cercavo di costruire quel personaggio e che mi riusciva anche piuttosto bene. Non sapeva tante cose, e mi pentii immediatamente di avergliele nascoste.
"Il mio personaggio è... molto, molto spinto. Si tratta di una ragazza che viene costretta a prostituirsi, e ci sono un sacco di scene che presuppongono una certa componente fisica. Molto, fisica."
Sapevo cosa stava pensando, sapevo cosa stava immaginando soprattutto.
"Fisica nel senso che dovrai fare scene in cui vai a letto con qualcuno?".
Mi rabbuiai, perchè era proprio quello che succedeva, ed era ovvio dal momento che il tema principale del film era la prostituzione. Sarei stata praticamente nuda per la maggior parte del tempo.
Annuii, non dissi una parola.
"Non posso gestire una cosa del genere. Cazzo, no che non posso!".
Mi fissò negli occhi con una tale intensità che dovetti spostare lo sguardo, mi sentivo piccola di fronte alla sua rabbia perchè sapevo che in fondo aveva ragione e che non potevo chiedergli un tale sforzo. O forse si?
Diceva di amarmi, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, e allora perchè non poteva accettare che io amassi il mio lavoro e che non ci volessi rinunciare?
Cominciò a spostarsi per la camera, raccattando i vestiti che c'erano per terra, nel frattempo sbuffava e teneva i pugni stretti. Temevo che potesse mettersi a distruggere tutto da un momento all'altro, solo per sfogare la sua frustrazione.
"Se mi ami, imparerai a gestirla.".
I suoi occhi presero una sfumatura che non avevo mai visto, sembrava accecato dalla rabbia, dalla disperazione. Era triste. Era triste a causa mia.
Sapevo cosa stava per succedere.
"Sai che ti dico? Non porterò avanti questa conversazione. Il discorso è chiuso. Fai come meglio credi, non mi importa. Me ne vado in ospedale."
Rimasi impietrita. Lui prese tutti i suoi vestiti, scelse una maglietta e un paio di jeans, si vestì e in un minuto era furi dalla porta.
Sperai che stavolta non passasse una settimana prima di rivederlo.


Pov Akito.

"Non voglio illudervi, ovviamente, ma c'è stato un leggero margine di miglioramento. Natsumi ha aperto gli occhi, ma è un riflesso assolutamente momentaneo. In questa fase non si può notare nessun tipo di attività cognitiva, però credo che siamo sulla buona strada. Siamo alla fase due, spero tanto che in un paio di giorni ci ritroveremo nella fase tre in cui ci sono tentativi di reazione con l'esterno. Spesso i pazienti si fermano alla fase due, ma sono fiducioso su Natsumi. Vediamo come va nei prossimi giorni."
Strinsi la mano al medico di mia sorella e lo vidi allontanarsi per il corridoio.
Mi sentivo una merda. Anzi, forse anche peggio. Mia sorella stava lentamente migliorando e io ero felicissimo di sentire quelle notizie, ma allo stesso tempo temevo molto il momento in cui si sarebbe svegliata. Non che non lo volessi, era ovvio che lo volevo più di ogni altra cosa al mondo, Nat mi mancava e non sopportavo più la mia vita senza di lei, ma quando si sarebbe svegliata avrebbe preso con se Kaori, l'unico vero motivo per cui io e Sana avevamo la fede al dito.
Mi sentii improvvisamente svuotato. Non era servito a niente, tutto quello che avevo fatto per lei, le mie paranoie, i miei mille complessi, erano stati inutili.
Sana avrebbe comunque sempre preferito il suo lavoro a me, ormai l'avevo capito, e la dimostrazione stava nel fatto che mi aveva nascosto il fatto di aver già visionato il copione. Dovevo leggerlo anch'io. Dovevo capire. Ma solo l'idea di poter immaginare quelle scene mi faceva venire il voltastomaco.
Lei mi distruggeva ogni volta. Ogni giorno della mia vita era una fottuta tortura, cercando di mettere ordine nei casini che Sana creava. Lei mi faceva del male, ma io la perdonavo ogni volta, passavo oltre a tutto ciò che di brutto mi faceva provare, e lei non si rendeva conto di quanto potesse ferirmi.
Quando Kaori sarebbe tornata da sua madre, lei cosa avrebbe fatto? Mi avrebbe lasciato, chiesto il divorzio? E io cos'avrei fatto a quel punto? Avrei distrutto la mia vita a furia di distruggermi per lei. Non potevo continuare in quel modo.
Anche stavolta ero scappato, invece di affrontare la situazione come fa un uomo, ma non ero riuscito più a guardarla dopo che mi aveva detto quella frase.
Se mi ami, imparerai a gestirla.
Parlava come se fosse un maledetto dettaglio, come se quella situazione non fosse chissà che, come se io non la amassi abbastanza da sopportarla.
Cos'altro dovevo fare per farle capire che la amavo davvero? Era proprio perchè la amavo che non riuscivo a tralasciare la cosa.
"Problemi in paradiso?".
Aprii gli occhi e mi ritrovai davanti Occhiali da sole, con in mano un mazzo di fiori.
"Cosa ci fai qui?". Si tolse gli occhiali e accennò un sorriso. Sembrava più giovane quando non li portava.
"Sono venuto a trovare un amico che ha avuto un piccolo intervento, poi mi sono ricordato che qui c'era anche tua sorella, e allora... eccomi qui."
Annuii, gli ero grato, per quanto non lo dessi a vedere. E, anche se a volte non lo sopportavo, sapevo che tutto ciò che faceva lo faceva pensando al bene di Sana. Era la cosa più vicina a un padre che lei avesse mai avuto.
"Tu e Sana avete litigato?". Ma come diavolo faceva a capirlo sempre?
"Mi ha chiamato il regista, voleva fissare un appuntamento per provare con Sana. Poi sono andato a casa vostra e dalla sua faccia ho dedotto tutto. Lei non mi ha raccontato nulla, se è questo che stai pensando."
Non mi interessava sapere se lei aveva spiattellato tutto al suo manager.
"Non importa. Tu come reagiresti se tua moglie dovesse fare un film in cui è nuda il 99% del tempo?".
Lui sorrise e mise gli occhiali sulla testa. "Akito, io sono sposato con Asako Kurumi, te lo ricordi? Anche lei è un'attrice. Le ho visto fare decine di film in cui c'erano scene spinte, ma so che quella è la finzione."
"Ma non vai fuori di testa? Io impazzisco solo a pensarci!".
Si appoggiò al muro accanto a me, mettendo le mani in tasca. Sembrava preoccupato.
"Ho passato i primi anni di matrimonio con Asako a litigare in continuazione, fino a quando non abbiamo capito entrambi che era inutile. Io ero e sono comunque geloso, ma è il suo lavoro. Ti capisco al cento per cento, ma se togliessimo loro il lavoro che amano, sarebbero infelici per sempre."
Forse aveva ragione, sapevo quanto Sana amasse ciò che faceva e il pensiero di toglierle ciò che la faceva sentire viva mi intristiva. Era come se qualcuno mi avesse tolto il karate: sarei impazzito, avrei perso il controllo di tutto, e di certo avrei trovato ogni modo possibile per rinfacciarlo a lei.
Non volevo che andasse così. Non volevo che mi odiasse perchè le avevo tolto la sua passione. Non volevo ritrovarmi tra qualche anno a discutere perchè lei non ce la faceva più a sopportare quella situazione. Non potevo permetterlo.
"Forse hai ragione."
Mi lasciò lì, entrando nella camera di mia sorella e lasciando i fiori sul comodino, e quando uscì mi saluto per poi andarsene.
Pensai a lungo alle parole che mi aveva detto, al fatto che lui si era trovato nella mia posizione e che dopo un po' aveva realizzato che non poteva privare Asako del suo lavoro. E io dovevo fare lo stesso con Sana.
Dovevo solo capire come accettare che mia moglie sarebbe finita tra le mani di qualcun altro, proprio sotto ai miei occhi.
Ma sarei mai riuscito a stare tranquillo?



*

Non ero ancora andato a prendere Kaori, preferivo che rimanesse dalla signora Kurata visto che io e Sana non riuscivamo ad avere una conversazione e non volevo dovermi preoccupare anche della bambina mentre discutevamo. Perchè avremmo discusso, ne ero certo, ma ormai ero abituato a quella situazione, non eravamo in grado di passare un bel momento e non rovinarlo un attimo dopo. Forse era il nostro destino: trovare la serenità e poi buttarla nel cesso in un secondo e mezzo.
Ma io ero stanco. Stanco di sperare che le cose si sarebbero sistemate, anche quando sapevo che non c'era nulla da fare. La parola arrendersi non faceva parte del mio vocabolario, eppure per un secondo, quando entrai in casa e non la trovai, pensai che sarebbe stato il caso di mollare tutto e andare via. Lasciare quella casa, dimenticarmi di lei e del nostro rapporto.
Ma se non me l'ero tolta dalla mente per tutto il tempo in cui eravamo stati solo amici, come avrei potuto farlo quando sapevo cosa provavamo l'uno per l'altra?
Cazzo. Era un maledetto casino!
E poi dov'era andata? Non aveva appuntamenti quel giorno, e Occhiali da sole non mi aveva avvisato di nessun impegno mentre eravamo insieme in ospedale. Che fosse da Aya?
Chiamai Tsuyoshi ma, dopo avermi fatto triliardi di domande sul perchè la cercavo e sul perchè non sapessi dov'era, mi disse che Aya non ne sapeva nulla ma che avrebbero potuto chiamarla e vedere se riuscivano a rintracciarla.
Dove poteva essere? Se non era da Aya, magari era andata da Matsui, oppure da sua madre. Chiamare Fuka non era una buona idea però, mi avrebbe di certo urlato dietro che la dovevo smettere di far soffrire la sua amica, quando non sapeva proprio niente di quello che era successo tra noi.
Dio... se il nostro rapporto era così complicato quando ancora eravamo in una fase di stallo, figuriamoci se mai fossimo andati oltre. Non potevo nemmeno pensarci che già mi scoppiava la testa.
Dovevo distrarmi. Andai in camera a prendere il sacco da box per appenderlo all'angolo del salotto e cominciare a scaricare quella tensione che mi stava divorando.
Misi le bende tra le dita, avvolgendole lentamente e respirando per provare a calmarmi. Quando ormai le mie mani erano completamente fasciate, strinsi i pugni per controllare che fossero abbastanza strette.
Guardai il sacco da box. Immaginai miliardi di facce, ma non riuscii a focalizzarne una in particolare, e mi infastidii perchè non riuscivo a scaricarmi del tutto.
Assestai un calcio sul fondo e pugni a serie di quattro finchè le mani non mi bruciarono.
Ero un fascio di nervi. Non riuscivo a pensare, a concentrarmi, e quello che stavo facendo era inutile se non avevo un obiettivo. Chi volevo distruggere? Cos'era, tra tutte, la cosa che odiavo di più?
Improvvisamente un'immagine si fece strada nella mia testa, e per un'istante mi sentii anche a disagio.
Ero io.
Davanti ai miei occhi c'era la mia faccia, c'era l'Akito che faceva del male a Sana, l'Akito geloso che non smetteva mai di creare problemi, l'Akito insicuro che per anni non aveva fatto altro che lasciarsi sfuggire le mille occasioni in cui arrivare al cuore di Sana, l'Akito che tratta male tutti, anche il suo migliore amico.
Non lo sopportavo più. Lo odiavo.
E sapevo che anche Sana lo odiava.
Forse non eravamo giusti, forse eravamo solo due anime gemelle che non possono stare insieme, come tante altre al mondo.
Ma se la questione dell'anima gemella fosse stata una grande cazzata? Come la mettiamo?
Il cervello mi stava scoppiando. Pugno dopo pugno le cose si facevano sempre più chiare, la mia mente allontanava la nebbia e lasciava spazio alla razionalità.
Se non volevo perdere Sana dovevo darmi una regolata. E l'avrei fatto.

Pov Sana.

Non avevo idea di che cosa stesse parlando Rei, sentivo la sua voce ma non ero attenta e non capivo assolutamente una parola. Borbottava qualcosa che riguardava il modo di comportarmi con il regista e soprattutto con l'attore che mi avrebbe affiancato, di cui ancora non sapevo l'identità. Speravo che fosse bravo, perchè le scene erano già particolari, e se avessi dovuto girarle con qualche incompetente sarebbe stato solo peggio.
Lo zittii con un gesto della mano, e per la prima volta in vita mia riuscii nel mio intento, perchè non disse più una parola finchè non arrivammo davanti all'ufficio del regista. Aveva deciso di incontrarmi alla sua agenzia in centro, era un lussuoso palazzo che indubbiamente gli era costato parecchio, ma era un regista abbastanza famoso e richiesto, quindi era anche piuttosto ovvio.
Quando bussammo alla porta strinsi la mano a Rei, come sempre, ormai era un rito che avevamo da un paio di anni, da quando mi avevano praticamente chiuso tutte le porte dopo essermi rifiutata di dire una battuta, ai tempi delle medie. Quando avevo ricominciato a lavorare ero così nervosa che Rei mi aveva stretto la mano per tranquillizzarmi e io mi ero sentita al sicuro. Con lui mi sentivo sempre protetta, in fondo era come un padre per me.
"Ma buongiorno, Sana, finalmente la conosco!".
La voce del regista mi riportò alla realtà e, dopo aver lasciato la mano di Rei, strinsi la sua con forza, perchè una volta Akito mi aveva detto che le persone si definiscono dalla loro stretta di mano. Era una cavolata, lo sapevo anch'io, ma mi piaceva pensare che mi avrebbe vista in maniera diversa se mi fossi mostrata forte e decisa.
"E' un piacere incontrarla, signor Miyazaki." mi limitai a dire io, per poi accomodarmi nella sedia di pelle davanti alla sua scrivania. Rei si mise proprio accanto a me.
Lui era un uomo sulla quarantina, brizzolato, ma la scrivania lo copriva quasi tutto quindi non lo vidi dal busto in giù. Comunque, nelle foto che si potevano trovare su internet, non era mai fuori forma. Era un bell'uomo, ma aveva una lunga cicatrice sul sopracciglio sinistro che lo rendeva un po' minaccioso a vedersi.
Mi guardai attorno e l'ufficio era esattamente come tutte le altre stanze: pareti di legno scuro, lucidissimo, e gli scaffali dietro la sua testa erano pieni di riconoscimenti e premi. Mi venne da sorridere, ero elettrizzata di lavorare con una persona così famosa e soprattutto ero fiera di essere stata scelta da lui, che poteva sicuramente insegnarmi tanto. Inoltre, il fatto che avesse voluto incontrarmi con così poco preavviso mi dava modo di pensare che anche lui fosse contento di lavorare con me.
"Anche per me, Sana. Non ti dispiace se ti chiamo Sana, vero? Tu puoi chiamarmi Hiroji, odio tutte quelle problematiche che alcuni registi si pongono. Non è che perchè ti dirigo, significa che non possiamo essere amici.".
Già mi piaceva, e aveva ragione. Mi era capitato spesso di lavorare con certi registi che mantenevano le distanze e si preoccupavano solo di far bene il loro lavoro. Era una cosa stressante, e a volte anche frustrante, perchè non ricevevo mai uno sguardo di comprensione quando ne avrei avuto bisogno, visto che ero una ragazzina. Quindi, gli sorrisi e annuii. "Certo che può chiamarmi Sana, signor Miyazaki."
"Hiroji, per favore."
Non me n'ero neanche accorta, ma poi annuii di nuovo. "Hiroji." mi corressi.
"Perfetto, ora che abbiamo fatto le dovute presentazioni, voglio sperare che tu abbia letto bene il copione e che abbia cercato di entrare nel personaggio. Non sarà un film facile, psicologicamente e fisicamente, ma io sono certo che tu possa farcela."
"Si, ho letto il copione e il personaggio di Miya mi affascina molto. Il fatto che inganni Mark, che lo voglia uccidere, perchè crede che la sua famiglia sia morta per causa sua... è sfiancante, per tutto il copione. Vorrei che capisse prima che lui non c'entra nulla. E' un personaggio pieno di rancore."
Lui mi guardò con stupore, come se non si aspettasse che riuscissi a fare un'analisi del genere del mio personaggio ma la prima cosa che mi avevano insegnato alla scuola di arte drammatica era che se non trovi qualcosa che ti accomuna al tuo personaggio, non riuscirai mai a portarlo alla vita al meglio. Avevano ragione, io e Miya avevamo in comune la paura. Per tutta la sua vita lei aveva creduto che i suoi genitori e il suo fratellino fossero stati uccisi da un facoltoso americano che era stato il mandante della loro morte per via di una testimonianza scomoda. Fin dall'adolescenza si era documentata, lo aveva cercato, e all'età di 22 anni lo aveva trovato: Mark Reynolds, un uomo che probabilmente sarebbe anche stato capace di farlo, ma che non aveva alcuna colpa. Capirlo per lei sarebbe stato difficile, accettare che l'assassino che per anni aveva cercato era un semplice ragazzo che aveva ereditato tutto ciò che aveva e, purtroppo, anche il nome dal nonno paterno, il vero mandante dell'omicidio.
"E' molto interessante la tua visione delle cose. Io non l'avrei definita proprio piena di rancore, piuttosto piena di odio, che è un po' diverso. E' l'odio ciò che l'ha mossa per la sua intera vita e..."
"E quando perderà anche quello non avrà più nulla." terminai la frase per lui.
Il suo sguardo ripagò ogni litigata con Akito per quel film, perchè in fin dei conti io amavo il mio lavoro e non ci avrei rinunciato per nulla al mondo, perchè era ciò che faceva di me ciò che ero. Se da bambina non avessi trovato sfogo nella recitazione, se non fossi stata una principessa rapita da un drago, se non avessi accompagnato Dante in Paradiso, se non avessi detto
Rinuncia al tuo nome, Romeo, e per quel nome che non è parte di te, prendi me stessa, non avrei mai superato tanti dei drammi della mia vita. Era il teatro che mi aveva salvata da me stessa e non avrei potuto buttare tutto all'aria perchè Akito non riusciva a sopportare che io baciassi qualcun altro. Io non gli avrei mai chiesto di abbandonare il karate.
"Sei davvero impressionante, devo dirtelo. E' raro che un attrice così giovane abbia una così grande dote interpretativa."
Sorrisi e vidi Rei che rideva insieme a me, soddisfatto della buona impressione che avevo fatto su Miyazaki.
"La ringrazio... cioè, volevo dire ti ringrazio. Ho la tendenza a immedesimarmi un po' troppo in realtà."
Si alzò dalla scrivania e venne a mettersi in mezzo a me e Rei, incrociò le braccia e i muscoli si tesero sotto la camicia. Sembrava meno alto da dietro alla scrivania, invece da quella prospettiva sembrava almeno più di un metro e ottanta.
"Sai, Sana... quando entri dentro un personaggio non è mai troppo. E' sempre troppo poco."
Probabilmente aveva ragione, ma io non volevo farmi coinvolgere troppo dal personaggio che avrei interpretato di lì a poco, perchè aveva troppe emozioni negative, troppi sentimenti contrastanti e a me già bastavano i miei, di sentimenti contrastanti.
Annuii e lui tornò a sedersi alla scrivania, porgendomi una scheda dell'attore che mi avrebbe affiancato. La presi e cominciai a leggere.
"Si chiama Shuzo Goro, ha la tua età ed è poco conosciuto rispetto a te. Ha preso parte però a molte opere teatrali, ad alcune di loro ho anche assistito e devo dire che ha un gran talento."
Cominciai a scorrere tra i nomi delle rappresentazioni per vedere se ne avevamo qualcuna in comune. Era stato Mercuzio in Romeo e Giulietta, e aveva avuto anche molti ruoli minori in spettacoli in cui anche io avevo preso parte.
"Sono sicura che lavoreremo al meglio."
Miyazaki mi sorrise, alzandosi di nuovo dalla poltrona.
"Allora andiamo a provare questa chimica."
Avevo il cuore che mi stava per scoppiare, speravo solo che fosse veramente professionale, non volevo nessun problema nè all'interno del set nè fuori, con Akito.
Chissà cosa stava facendo, mentre camminavo per i corridoi di quel palazzo pensavo solamente a come avrei fatto a nascondere l'entusiasmo per quel film alla persona che avrebbe dovuto sostenermi più di tutte.
Scacciai quei pensieri dalla mente quando, aperta una porta, mi ritrovai in una stanza dove ci stava aspettando il mio coprotagonista. Sospirai, cercando di calmarmi, e gli strinsi la mano sorridendogli.
Che tragedia che quel lavoro mi piacesse così tanto!

*


La posizione in cui mi trovavo era alquanto scomoda. Shuzo mi teneva per i fianchi un po' troppo forte, le sue unghia mi stavano affondando nella pelle, e vedevo che il mio telefono continuava a lampeggiare tra le mani di Rei. Sapevo che era Akito e la consapevolezza che mi stesse cercando mentre io ero tra le braccia di un altro uomo mi infastidiva più di quanto desiderassi.
Comunque, dovevo entrare velocemente nella testa di Miya, sentire quello che lei sentiva e provare quello che lei provava. Sentirmi una prostituta non era facile, tantomeno lo era sentirmi una psicopatica serial killer che cerca vendetta, ma dovevo riuscirci se volevo fare una buona impressione non solo per la mia capacità d'interpretazione della storia.
Dovevo concentrarmi.
Cosa pensa una prostituta? Una prostituta che vuole uccidere. Shuzo continuava a stringermi i fianchi, mi stava facendo davvero male. "Cosa pensi di fare, Miya? Pensi che uccidermi sia la soluzione?". La sua voce era roca, quasi strozzata, e sentivo il suo alito a pochi centimetri da me. Alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi e non mi piacque quello che vidi. C'era uno strano misto di perversione e concentrazione nei suoi occhi, che mi prosciugò dentro. Sembrava di essere soffocata da quello sguardo.
Provammo altre scene, una dopo l'altra, e in ognuna di quelle la sua mano stringeva sempre di più.
"Non vedo l'ora di girare la scena in albergo!".
Eravamo in un momento di pausa, Miyazaki aveva ricevuto una telefonata e non voleva che provassimo senza la sua supervisione, quindi ne approfittai per staccarmi da quelle mani. Volevo andare da Rei, ma lui mi teneva lì a conversare, mentre io volevo scappare da quella situazione. Sapevo benissimo a quale scena si riferiva e io rabbrividivo al solo pensiero. Avremmo dovuto fare sesso in una camera d'hotel, tra lenzuola di seta nera e champagne, e la scena era piuttosto esplicita e con battute davvero spinte.
Miyazaki entrò di nuovo nella stanza, seguito da Rei che non mi ero accorta fosse uscito.
"Ok, ragazzi, proviamo la scena in albergo, vi va? Voglio vedere come ve la cavate con una delle scene più difficili del copione."
Mi veniva da vomitare.
Non potendo usufruire di un letto ci posizionammo sul divano e, quando guardai Rei negli occhi, notai il suo imbarazzo. Una ragazza della troupe che era entrata nella camera da poco mi porse un lenzuolo, quindi la ringraziai e mi sdraiai accanto a Shuzo.
Chiusi gli occhi per concentrarmi. Per essere Miya.
Quando li riaprii, ero lei. Sentivo tutto il suo odio. Tutto il suo rancore. Sentivo anche tutto l'amore che provava per Mark e che tentava disperatamente di nascondere. Sentivo il suo desiderio.
"Continueremo a vederci come due amanti, in questa strana relazione clandestina?". Mi avvicinai all'orecchio di Shuzo e respirai così vicino a lui che quasi pensai che i nostri respiri si fossero uniti.
Fingevo di amarlo, in quel momento. Dovevo conoscerlo. Dovevo sapere tutto di lui, per distruggerlo. Dovevo arrivare alla sua famiglia.
Shuzo cominciò a toccarmi. Era strano, ma inizialmente non spiacevole, semplicemente non provavo niente. Mi accarezzò la coscia, facendo un lento movimento con le dita, poi prese a sfiorarmi le labbra con le dita.
"Vorresti diventare più di un'amante, Miya?". Quelle parole nella sua bocca suonavano disgustose, non sapevo perchè, e inizialmente diedi la colpa alla sua inesperienza.
"Si dice fidanzata. Amplia il tuo vocabolario, signor Reynolds.". Cercai di far vedere la mia finta sincerità, e ci riuscii a pieno, perchè mi infastidivo da sola, quindi era un buon segno.
Improvvisamente mi baciò. Inevitabilmente comparai i suoi baci con quelli di Akito, e non c'è nessun paragone. Quelli di Akito erano sensuali, appassionati, dolci... erano veri. I suoi mi sembravano forzati, e lo erano, e soprattutto mi facevano venire il voltastomaco. Allungai una mano tra le sue gambe, come da copione, ma non lo toccai. Feci finta di massaggiarlo, mossi la mano lentamente, ma non lo sfiorai nemmeno per un secondo.
Sentivo gli occhi di Miyazaki addosso, quelli di Rei un po' meno perchè sapevo che vedermi in quelle vesti lo infastidiva sempre un po'.
"Sei intraprendente, Miya. Mi piace."
Gli sorrisi, un sorriso sghembo che doveva essere sensuale, ma forse non ero riuscita a pieno a renderlo tale. Dovevo concentrarmi.
"La vita mi ha reso intraprendente."
Lui mi sorrise di rimando, il suo invece era un sorriso che sembrava sincero, ma dietro c'era un po' di malinconia. E sempre quel tratto di perversione che non mi faceva stare tranquilla. Il copione prevedeva che mi spogliassi in quel momento, ma avevamo concordato che per la prova avremmo evitato.
Quando mi accorsi di ciò che stava facendo, era troppo tardi. Con una velocità per cui non mi resi conto di nulla, infilò la mano in mezzo alle mie gambe e, invece di fare come me, cominciò a toccarmi davvero e, mentre mi guardava con gli occhi infuocati, fece pressione per far entrare un dito dentro di me. Una scossa di dolore mi attraversò da capo a piedi. Non avevo mai provato niente del genere.
Mi allontanai immediatamente.
"Ma cosa stai facendo?" urlai. Rei si avvicinò immediatamente, per capire se stavo bene. Scesi subito da sopra di lui e mi sistemai la gonna.
Mi veniva da vomitare. Dovevo andarmene. Dovevo uscire da quella maledetta stanza. Dovevo andarmene da quel maledetto edificio. Dovevo dimenticare quel film, quel ragazzo che mi era sembrato tanto educato a primo sguardo e quel regista che, invece, mi aveva compresa come mai nessun altro.
Dovevo prendere aria.
Feci l'unica cosa che sapevo fare: scappare. Non mi resi nemmeno conto che avevo le scarpe in mano e che tra l'asfalto e i miei piedi non c'era alcuna barriera.
La confusione di Tokyo mi invase le orecchie. Il caos mi catturò l'anima e pensai che mi sarebbe scoppiata la testa da un momento all'altro.
Mi sentivo spaesata, avevo perso l'orientamento, non riuscivo a ritrovare la strada di casa ed ero senza soldi e senza cellulare. Avevo solo un paio di scarpe e il mio nome.
Sana Kurata.
A volte mi sembrava che quel nome fosse una maledizione, che avrebbe condotto alla mia fine in poco tempo. Da piccola credevo che avrei potuto usarlo per fare praticamente qualsiasi cosa, ma poi mi ero resa conto che non valeva nulla, che non potevo vivere solo col mio nome e soprattutto che non mi avrebbe dato la felicità solo perchè era mio. Nessuno mi avrebbe voluto veramente bene solo perchè mi chiamavo Sana Kurata.
Camminavo. I piedi mi facevano male. Non sapevo nemmeno perchè non mi rimettevo le scarpe, le persone cominciavano a guardarmi come se fossi pazza. Alcuni mi avevano riconosciuta, ma non mi ero fermata a parlare con nessuno di loro. Non riuscivo nemmeno a parlare.
Nessuno mi aveva mai toccata. Ci avevo appena pensato. Nessuno, nemmeno Akito, nemmeno mio marito. E in quel momento si era distrutta anche quella prima esperienza che avrei potuto avere con lui.
Il ricordo del dolore che avevo provato mi invase improvvisamente la testa. Non pensavo si provasse un dolore del genere, sapevo che non era piacevole all'inizio, ma addirittura quella fitta così... non sapevo nemmeno che parola avrei dovuto usare. Come era stato, oltre che doloroso?
Mi sentivo così umiliata. Avevo rovinato tutto, solo per una stupida ambizione! Cosa avrebbe pensato Akito? Si sarebbe arrabbiato? Dovevo dirglielo?
Ero confusa. Mi sentivo stordita, come se il mio cervello stesse galleggiando.
Come potevo spiegare ad Akito che quel ragazzo mi aveva toccata, mentre con lui ci eravamo imposti di andare con i piedi di piombo? Quando Akito mi avesse toccato, avrei provato la stessa sensazione? Avrei ricordato immediatamente quel dolore e lo avrei allontanato?
Non volevo pensare ad Akito. Non volevo pensare e basta.
I miei passi mi condussero nell'unico luogo in cui mi sentivo davvero me stessa, a mio agio, in pace. Davanti a me il mio, il
nostro, gazebo mi aspettava in silenzio.
Faceva freddo, i piedi mi si stavano congelando, ma l'intorpidimento non mi spaventava più, volevo sentire proprio quello.
Fissai le gocce d'acqua che cadevano prima lentamente e poi sempre più forti. La pioggia faceva un rumore rilassante, una melodia che serviva al mio cervello per tornare alla normalità.
Mi rendevo conto di non aver subito una vera e propria violenza, ma faceva male lo stesso, era disgustoso lo stesso. Quel contatto... quelle dita. Il mio stomaco mi stava dando il tormento.
Quando capii di non riuscire più a trattenermi mi spostai verso l'aiuola e buttai fuori tutto quello che potevo.
Era ufficialmente il peggior provino della mia vita.


Pov Akito.

Avrei dovuto accompagnare Sana a quel cazzo di provino. Erano cinque ore che non rispondeva al telefono, Rei non sapeva dove fosse finita dopo che era scappata dall'audizione senza un apparente motivo e il mio cervello cominciava a farmi brutti scherzi.
L'avevo già cercata per mezza città: a casa di sua madre, a casa di mio padre, nel cortile della nostra scuola elementare dove ogni tanto ci rifugiavamo, al gazebo addirittura. Niente. Di Sana neanche l'ombra, e quella sensazione di impotenza mi stava divorando. Non potevo trovarla. Non potevo fare niente per lei, se non aspettare che tornasse a casa.
Capivo perchè a volte le persone mi temevano, in quei momenti - quando Sana non riusciva a far altro che farmi impazzire - la mia mente produceva pensieri che spaventavano anche me.
In quell'istante immaginai come potesse sentirsi chi brucia una casa. Ero così furioso che avrei voluto dare fuoco a quel maledetto posto!
Rigiravo il cellulare tra le mani, aspettando che mi chiamasse o che si facesse viva in qualche modo. Non ce la facevo più, la sensazione di oppressione al centro del petto mi stava torturando.
Credetti di sognare quando una sagoma completamente zuppa si presentò davanti a me.
Sana era un fantasma. Non sembrava lei. Non poteva essere lei, perchè la mia Sana non avrebbe mai avuto quell'espressione.
Le corsi incontro allargando le braccia e stringendola al petto. Me ne fregavo della discussione, dei nostri problemi, del fatto che forse eravamo la peggior cosa l'uno per l'altro, sapere che stava bene mi sembrava la cosa più importante in quel momento.
"Dove sei stata Sana?! Cazzo, ti ho cercata ovunque!".
Tirò su col naso, dovevo sapere cosa diavolo era successo a quel provino perchè se aveva pianto significava che c'era davvero qualcosa di serio.
Le portai indietro i capelli completamente fradici e le sfiorai la guancia. Con mio grande stupore lei non si ritrasse, ma non mi guardò negli occhi nemmeno quando la costrinsi ad alzare il viso verso di me.
"In giro. Ho fatto una passeggiata nella zona del parco."
Non aprì gli occhi, forse perchè sapeva che non appena avrebbe incrociato il mio sguardo avrei capito qualcosa che, a suo parere, non dovevo capire.
"Che cosa è successo Kurata? Parla, non dirmi che non è successo nulla perchè è ovvio che non è così!".
La mia voce salì di tono e lei si coprì le orecchie con le mani. Quel gesto mi spiazzò, non voleva sentire la mia voce e le mie domande.
"Akito ti prego, non ne voglio parlare. Domani."
Si accovacciò di nuovo sul mio petto, stringendosi a me come mai l'avevo vista fare nella sua vita. Non l'avevo mai vista così fragile, così piccola, così vulnerabile.
Non era la mia Sana quella.
La sollevai da terra lentamente, il suo viso si sistemò nell'incavo del mio collo e mi sembrò di non poter sopportare la vista della mia Sana così distrutta.
A letto si appoggiò sul mio petto, tenendo gli occhi chiusi e respirando affannosamente. Quella sua inquietudine mi innervosiva, volevo aiutarla, tranquillizzarla, ma non potevo fare niente se lei non voleva.
Non puoi aiutare chi non vuole essere aiutato.

*


Non sapevo se l'avevo sognato o se era successo per davvero: Sana che mi supplicava di lasciar perdere, di non chiedere, di farla dormire e basta. Mi rigirai nel letto e non la trovai, ma il solco sul materasso mi fece capire che non si era alzata da molto. Guardai l'ora nel telefono ed era abbastanza presto, ci eravamo addormentati tardi la sera prima. Sana non riusciva a prendere sonno, tremava, anche se le avevo tolto quei vestiti zuppi e asciugato un po' i capelli, ma non riusciva a fermarsi.
L'avevo abbracciata ma il tremore non si era arrestato finchè non si era addormentata. Mi tornò in mente il suo gesto di coprirsi le orecchie, rabbrividii solo a pensarci. Era stata la cosa più brutta che avesse mai fatto contro di me.
Ma c'era stato qualcosa a scatenarla, quella reazione, quindi dovevo scoprire cosa era successo. Dopo che si era addormentata avevo chiamato Rei per informarlo che era tornata a casa, e lui mi disse che l'aveva avvertito prima di me, dicendogli anche che non voleva più partecipare al film.
Non ero falso, sentire quella notizia mi rese felice, più felice di quanto avrebbe dovuto, ma non potevo non ammettere che quel film mi avrebbe fatto impazzire.
Mi alzai dal letto, cercandola in casa, ma di lei nessuna traccia. Che fosse uscita di nuovo?
Dovevo andare a prendere Kaori. Ormai erano giorni che era a casa della signora Kurata, però lasciarla lì mi era sembrata la soluzione migliore vista la situazione precaria con Sana.
Ma lei dov'era?
Prima di aprire la porta della camera della bambina la sentii parlare, singhiozzare nel frattempo, e mi trattenni dall'entrare di colpo per pretendere una spiegazione.
"Non voglio. Non ho intenzione di lavorare ancora con quel lurido...". Le lacrime le bloccarono la voce e io strinsi i pugni tanto che le nocche mi diventarono bianche.
"Rei tu non hai visto cosa ha fatto, quindi non dirmi di pensarci, non voglio fare questo film. Non mi interessa se perderò tutti quei soldi, non me ne frega niente nemmeno della carriera. Non lavorerò con quelle persone!".
Rei stava sicuramente insistendo, perchè la sentivo sbuffare e battere nervosamente i piedi sul pavimento. Riusciva sempre a farla star male, con quel lavoro del cazzo.
"Non credo che tu voglia sapere cosa è successo, ti basta sapere che si è avvicinato troppo, ti basta sapere che non voglio avere più nulla a che fare con lui, con tutti loro."
Avevo capito. Ma non volevo crederci.
Spalancai la porta nello stesso istante in cui Sana chiuse il telefono. Mi sembrava di stare per scoppiare, l'adrenalina che sentivo dentro e la voglia che avevo di distruggere qualcosa mi stavano divorando. Ero a pezzi.
Cosa le avevano fatto? Chi?
"Devi dirmi cosa cazzo è successo Sana!! Devi dirmelo, o giuro su Dio che distruggo questa casa!".
La voglia che avevo di radere al suolo tutto, persino me stesso, mi fece paura. Lo sguardo di Sana mi fece altrettanta paura, perchè le lacrime le rigavano il viso ancora e ancora, come un fiume in piena che non accennava a fermarsi.
Volevo avvicinarmi a lei e asciugare quelle lacrime, ma se l'avessi toccata per un solo istante avrei perso la capacità di intendere e di volere, quindi dovevo starle lontana. Dovevo essere padrone di me.
Vedendo che continuava a non rispondermi la incalzai. "Devi dirmelo. Adesso." ripetei, passandomi una mano tra i capelli e portandoli indietro.
Sana si spostò all'indietro, come se avesse pensato ciò che avevo pensato anche io, come se non volesse toccarmi, e un po' mi sentii ferito. Ero un incoerente.
"Non parteciperò al film. Non voglio, e Rei mi assilla perchè vuole che lo faccia, ma io non lo farò. E non devi chiedermi il perchè, visto che non te lo dirò."
Rimasi lì a fissarla, mentre con gli occhi bassi e il fiato corto mi diceva attraverso le righe che non si fidava abbastanza di me da rivelarmi cosa le era capitato.
La rabbia montò dentro di me come un fuoco incontrollabile, sentivo la mia pelle ardere. Avrei potuto uccidere qualcuno in quel momento ma, non appena stavo aprendo bocca per dirle qualcosa di sicuramente offensivo, il mio cervello si illuminò.
Lei voleva proteggermi. Non voleva che sapessi perchè, se fosse successo, avrei potuto commettere una pazzia e lei lo sapeva. Mi conosceva abbastanza bene da sapere che non avrei dovuto scoprire davvero cosa era successo, o mi sarei rovinato. Ma non m'importava.
La sentii sospirare, come se aspettasse una mia brutta risposta, ma io non volevo farla stare male, non volevo più farla soffrire.
Ero un egoista, me ne resi conto solo in quel momento. Lei aveva sempre fatto tutto per me, per tutta la sua vita, e io non l'avevo mai ringraziata.
Lei mi aveva ridato la mia famiglia, mi aveva supportato nella mia passione, mi aveva sposato, addirittura, per far si che mia nipote non finisse in adozione, e adesso non mi diceva qualcosa che le era successo perchè avrei potuto soffrirne. Ma quando avrebbe cominciato a pensare a se stessa?
Dovevo pensare io a lei. Dovevo proteggerla, e lei doveva smetterla di sacrificarsi per me.
"Vieni qui". Allargai le braccia e non dissi nient'altro. Non ero bravo con le parole, potevo confortarla nell'unico modo che conoscevo: standole vicino, in silenzio.
Si avvicinò timidamente a me e si strinse sul mio petto come la sera prima, cingendomi la schiena con le braccia. La circondai con le braccia e lei si perse in mezzo a me, avrei voluto non riconoscere più le mie e le sue mani, perchè eravamo ormai troppo l'uno parte dell'altro.
Dovevo dedicarmi completamente a lei, farle capire che non era da sola. Le accarezzai i capelli e le loro sfumature rosse mi ipnotizzarono, quindi continuai per non so quanto tempo.
Sarebbero stati giorni difficili, Sana doveva riprendersi e tornare ad essere se stessa, altrimenti non sapevo come avremmo potuto sopravvivere ad un periodo di stallo così lungo. Il nostro rapporto era già in equilibrio precario, e lei lo era altrettanto. E io non volevo perdere ciò che avevamo ma, soprattutto, in quel momento volevo che lei stesse bene perchè mi sarei distrutto se lei non fosse tornata quella che era.
La amavo troppo per vederla in quello stato, singhiozzare come una bambina per qualcuno che l'aveva messa in difficoltà. Chiunque fosse stato, sarebbe stato meglio per lui che io non arrivassi mai al suo nome, o si sarebbe trovato chiuso in una bara e coperto di terra in meno di cinque minuti.

*

Nei giorni successivi non andai a lavoro, nè all'università, quasi non misi piede fuori casa anche perchè i giornalisti erano appostati ovunque e non facevano altro che rompere i coglioni con le loro domande.
Odiavo quell'aspetto della popolarità, odiavo essere il marito di una star, essere seguito e disturbato in ogni mio spostamento. Ma, se la star in questione era Sana, la mia migliore amica da sempre e l'unica donna che avrei mai amato, allora ne valeva la pena. Le corse per arrivare in auto, i piccoli travestimenti, lo scappare non appena un flash attirava la mia attenzione. Ne valeva la pena.
L'avevo coccolata e protetta in ogni modo possibile, rispondevo al suo telefono per evitare che Rei la torturasse più del dovuto, e soprattutto non le avevo più chiesto di spiegarmi cosa fosse successo.
Non pensavo che me l'avrebbe detto, ma ormai non mi importava più, l'unica cosa che mi interessava era che lei stesse bene, che tornasse a sorridere e ad arrabbiarsi con me, come al solito.
Andai in camera da letto, dove la trovai addormentata.
Si teneva le ginocchia vicino al petto, perchè in un film una volta avevano detto che quella posizione aiutava a calmare i nervi. Era dolce quando si soffermava su quelle piccole cose, come se avessero potuto davvero essere importanti. Mi avvicinai e mi sdraiai accanto a lei, ma non la toccai. Non volevo svegliarla, era ancora troppo presto, io mi ero alzato semplicemente perchè non riuscivo a dormire.
Guardarla dormire mi era sempre piaciuto, anche quando dormivo a casa sua nel weekend mi soffermavo ad osservarla quando lei non se ne accorgeva.
Ogni tanto mi piaceva anche giocherellare con i suoi capelli, ma lo facevo quando volevo disturbarla e in quel momento non mi andava di svegliarla, sarebbe stata di malumore tutto il giorno.
"No. Per favore no. Smettila!". Scattai a sedere immediatamente, pensavo si fosse svegliata, invece quando la guardai vidi che teneva ancora gli occhi chiusi e che aveva un'espressione corrucciata sul volto.
"Non mi toccare, ti prego." Continuava a lamentarsi nel sonno e io sentii un vuoto allo stomaco che mi fece venire la nausea. Qualcuno, a quel maledetto provino, le aveva messo le mani addosso e io non potevo sopportare una cosa del genere. Non volevo che provasse un dolore come quello, non volevo che si sentisse sporca come tutte le ragazze a cui accade una cosa come quella.
Se avessi scoperto chi era stato, lo avrei ucciso con le mie mani. Immaginai di prendergli la testa e sbatterla a terra fino a che non avrei sentito il rumore delle ossa che si sbriciolano, fino a che il sangue non mi avesse imbrattato le mani e i vestiti.
Ma che diavolo mi stava succedendo? Quando mai avevo pensato in quei termini? Stavo impazzendo.
"NO! NO! LASCIAMI!!". Le sue urla mi stavano straziando l'anima, quindi mi fiondai a cavalcioni su di lei e le bloccai le mani sopra la testa.
"Sana! Sana svegliati! Svegliati, ti prego!" urlai anch'io, cercando di coprire le sue grida.
I suoi occhi si spalancarono e incrociarono immediatamente i miei, era terrorizzata e allo stesso tempo sollevata di vedere me dall'altra parte e sicuramente non l'oggetto della sua paura.
Con un gesto fulmineo mi attirò a se'.
"Sana cosa..."
"Sto bene, non dire nulla. Solo... abbracciami."
Anche se sapevo che non stava bene, che dietro quell'abbraccio c'era molto di più, che il dolore che stava provando era irrealizzabile a parole, non me lo feci ripetere due volte e la strinsi più forte che potevo.
Avrei voluto prendermi tutta quella sofferenza, ma non potevo, potevo solamente darle tutto il mio sostegno, tutto il mio amore. Ero consapevole che non sarebbe servito a niente, ma era l'unico modo per non sentirmi inutile di fronte alla sua tristezza.



Pov Sana.

Quell'incubo era stato orrendo, ma ormai erano giorni che i brutti sogni mi tormentavano appena chiudevo gli occhi. Ero stanca, non dormivo bene da troppo tempo, e ogni volta che sentivo quelle mani sfiorarmi la pelle mi veniva voglia di urlare. Avevo temuto che anche il tocco di Akito mi avrebbe fatto provare quelle cose, invece era tutto il contrario: ogni volta che lui si avvicinava a me e la sua pelle arrivava alla mia, mi sembrava sempre come ritornare a respirare, mentre prima ero in apnea.
Era come riprendere fiato.
Per questo, quando mi aveva svegliato, lo avevo pregato di abbracciarmi, di stringermi, perchè mi sentivo bene solo quando lui mi era vicino.
"Dai Akito, fammi entrare!". Scoppiai a ridere, tamburellando le dita sulla porta della camera da letto, dove lui si era chiuso da un'ora come minimo. Mi aveva tassativamente vietato di disturbarlo, ma la mia indole di inguaribile rompiscatole aveva preso il sopravvento ed era da almeno un quarto d'ora che lo pregavo di farmi entrare.
"Smettila e vattene, entrerai quando lo dirò io!".
Non c'era nulla da fare, non mi avrebbe fatto entrare nemmeno se mi fossi fatta venire una crisi di nervi. Però provare non costava nulla...
No! Ero una cretina, non sapevo godermi le sorprese.
Akito era stato così dolce con me negli ultimi giorni, e io mi ero resa conto di amarlo ancora di più di quanto avrei mai immaginato.
Cominciai a camminare avanti e indietro per il corridoio, sperando che si decidesse ad aprire quella porta perchè la mia curiosità mi stava dando il tormento.
Doveva smetterla di preoccuparsi per me, non volevo che condividesse con me le cose che stavo provando, volevo solo che mi abbracciasse quando ne avevo bisogno e che stesse in silenzio con me.
Non volevo che mi capisse. Non volevo che mi consolasse. Volevo solo che ci fosse.


*

Le mani di Akito mi tenevano chiusi gli occhi. Lui mi camminava dietro e mi guidava verso la camera da letto da cui, finalmente, era uscito pochi minuti prima.
Mi aveva fatta aspettare un'altra ora e poi si era presentato da me, con la maglietta sporca di qualche strana salsa, chiedendomi di chiudere gli occhi e di seguirlo.
Lo avevo fatto senza protestare, anche se volevo rimproverarlo per quella macchia che c'avrei messo una vita a togliere, ma mi trattenni perchè ero troppo curiosa di sapere cosa aveva combinato lì dentro per tutto il pomeriggio.
Era uno stupido se pensava che una sorpresa mi avrebbe stupita. Era lui che continuava a stupirmi: il modo in cui era cambiato, in cui aveva scelto di migliorare per me e per Kaori e, sicuramente, per sua sorella. Mi venne quasi da piangere ma scacciai indietro le lacrime, volevo godermi il momento e non era proprio quello adatto per fare la piagnucolona.
"Ok, ci siamo. Adesso puoi aprire gli occhi.".
Ci bloccammo in mezzo alla stanza, o almeno così mi sembrava e, quando Akito tolse le mani dalla mia faccia, aprii gli occhi e trovai il camino acceso davanti a me e il tavolino vicino apparecchiato di tutto punto.
Era dolcissimo. Era la persona migliore che potessi avere accanto in quel momento, e lo avevo respinto così tante volte, lo avevo allontanato senza motivo.
Mi voltai e gli cinsi il collo con le braccia. Lui mi sollevò da terra e ci trovammo faccia a faccia, troppo vicini per allontanarci e troppo lontani per toccarci veramente.
Era una tortura il nostro rapporto. Eravamo costantemente preoccupati di non far degenerare la cosa, e più ci preoccupavamo più le cose andavano male.
Io mi ero soffermata così tanto su quel maledetto film che non avevo notato quanto potesse farlo soffrire, o quanto potesse far soffrire me. Ero stata accecata dalla voglia di migliorarmi, di portare avanti la mia carriera, e non mi ero neanche accorta di quanto mi rendesse già molto felice la mia vita con Akito.
"Grazie... davvero, grazie. Non so che dire."
Mi sfiorò la guancia con il pollice, accarezzandola dolcemente e io mi sentii improvvisamente avvampare.
Speravo che non smettesse mai di farmi quell'effetto.
Akito mi sorrise e io vidi le porte del paradiso.
"
Grazie va benissimo, non preoccuparti."
Rimanemmo abbracciati ancora per un po', fino a che non mi fece scendere perchè la cena si stava raffreddando.
"Non ho passato tre ore a cucinare per poi dover buttare tutto.".
Gli feci una linguaccia. "Quindi preferisci i cavoletti di Bruxelles a me?". Ne afferrai uno e lo morsi, scoppiando a ridere e dimenticandomi per un istante che dovevo dirgli cosa era successo se volevo che le cose tra noi funzionassero.
Ma come facevo a dirglielo?
Conoscevo Akito e non era di certo la persona più semplice con cui parlare e, soprattutto, di qualcosa che riguardava me e che, quindi, avrebbe acceso la sua gelosia.
Tremavo al solo pensiero, ma dovevo farlo.

*

La cena era squisita, cosa che non mi aspettavo, visto che Akito non cucinava mai e, quando cucinava, c'era sempre qualcosa che si bruciava e andava a finire nella pattumiera.
"Lo confesso: ho chiamato Aya per farmi aiutare!" disse come leggendomi nel pensiero. Scoppiai a ridere, immaginandolo alle prese con i fornelli e Aya, che non era di certo semplice da accontentare, tutti in una volta.
"Non fa nulla...". Mi alzai e feci il giro del tavolino per ritrovarmi davanti a lui che aprì le gambe e mi fece sdraiare in mezzo.
Quando mi abbracciò non era più il calore del camino a ristorarmi, la sensazione delle sue braccia attorno a me era qualcosa di... paradisiaco.
Akito fece scivolare lentamente le sue mani verso i miei fianchi e pensai che stesse per baciarmi. Non sapevo se sarei stata in grado di reggere una situazione così intima dopo quello che era successo.
Spiazzandomi del tutto cominciò a farmi il solletico e io a ridere e urlare come una squilibrata.
"Akito, smettila!!" continuavo ad urlare, ma lui non accennava a fermarsi. Ero terrorizzata. Se avesse visto quello che cercavo disperatamente di nascondergli. Avrebbe dato di matto.
Ridevo, ma la mia risata era finta, perchè ero troppo preoccupata a non far salire il maglione e a non lasciare scoperti i fianchi.
Come se mi avesse letto nel pensiero cominciò a solleticarmi proprio sulla pancia e sui fianchi e feci una smorfia di dolore in mezzo a tutte le risate. Lui non sembrò accorgersene, per fortuna.
Ma non sarei stata sempre così fortunata, perchè un secondo dopo il maglione si alzò del tutto e mi lasciò scoperti i lividi.
Vidi lo sguardo di Akito cambiare immediatamente. Leggevo la furia nei suoi occhi e il mio mondo andò in pezzi in un istante.
"Cosa diavolo sono questi?".
Rimasi in silenzio, non sapevo davvero cosa rispondere. Mi ero accorta di averli solo il giorno prima e avevo ringraziato il cielo che lui non li avesse visti di sfuggita mentre mi vestivo. Ma non potevo di certo sperare di scamparla così facilmente, nella mia vita non ci poteva essere nulla di semplice.
Sbuffai automaticamente, adesso non mi sarebbe più mancato il suo broncio, perchè l'avrei visto per il resto della mia vita.
"Non sono nulla." minimizzai mettendomi a sedere e abbassando il maglione per coprirmi.
"Devi dirmi cosa sono, Sana."
Volevo andarmene, volevo scappare. Feci per alzarmi ma lui me lo impedì afferrandomi per le spalle e tenendomi ferma.
"Solo... ascoltami! Non voglio saperlo per forza, non voglio costringerti. Voglio solo che tu sappia che, quando si tratta di te, voglio tutto. Non voglio solo le cose belle o le cose felici, voglio anche il marcio. E sono sicuro che questa sarà una cosa molto marcia, ma voglio saperla, perchè voglio aiutarti. Perchè tengo a te. Perchè ti amo. E questo non cambia, qualsiasi cosa sia accaduta."
Quella improvvisa dichiarazione mi strinse il cuore come mai mi era capitato. Era la seconda volta che mi diceva che mi amava, avrei dovuto ormai esserci abituata - o almeno tentare di abituarmici - eppure quando lo sentii dire quelle due parole il mio cuore mi aveva giocato un brutto tiro.
Scoppiai a piangere e strinsi ancora di più il suo braccio, cercando il coraggio che mi serviva per raccontargli cosa era successo. Sapevo che non era niente di veramente grave, ma per me lo era, per me era stata la mia prima esperienza intima e mi era stata rovinata. Mi ero sentita così umiliata... ma dovevo provare a parlare, dovevo almeno tentare di dirglielo perchè mi sarei sentita meglio.
Ma lui si sarebbe sentito peggio.
Comunque cominciai, cercando di controllare le lacrime. 


Pov Akito. 


Sana si asciugò la lacrima che le era scesa sulla guancia sinistra e si tirò i capelli indietro. Cercava di trattenere le lacrime, ma io lo notavo e non volevo che lo facesse, volevo che si lasciasse andare, che si sfogasse con me.
Quando cominciò a parlare chiusi gli occhi, sperando e pregando per un solo istante che avesse esagerato la sua reazione, che non fosse ciò che avevo immaginato per tutti quei giorni.
"Quando sono andata a fare il provino il regista è stato molto carino con me, mi ha fatto un sacco di complimenti lavorativamente parlando e io pensavo di aver trovato il film della mia carriera, che mi avrebbe cambiato la vita. "
Si fermò e prese un grosso respiro, io ritornai ad abbracciarla e lei a guardare il fuoco che scoppiettava davanti a noi.
"Abbiamo fatto l'analisi del mio personaggio insieme, lui è rimasto molto colpito da me e dalle mie capacità, ma poi mi ha presentato il mio cooprotagonista.".
Strinsi i pugni, perchè sapevo dove voleva andare a parare. Mi soffermai a guardare le mie vene del braccio, per trovare qualcosa su cui concentrarmi mentre aspettavo l'inevitabile.
"Dovevamo provare una scena un po'... spinta e, approfittando del fatto che eravamo coperti da un maledetto lenzuolo, lui..." Si fermò e si portò una mano al viso, coprendosi gli occhi. Non potevo essere più furioso, ma continuai a trattenermi. Era come se dentro avessi una molla, una gigantesca molla, che stava per scattare. Da un momento all'altro mi sarei ritrovato a distruggere qualcosa, e neanche Sana sarebbe riuscita a fermarmi.
"Continua, Sana." le ordinai. Capii di aver avuto un tono troppo autoritario. "Per favore." dissi infine.
Fece come le avevo detto. "Lui mi ha..."
Non riusciva proprio a dirlo quindi, anche se significava darmi una pugnalata dritta al cuore, lo feci io per lei. Volevo risparmiarle qualsiasi dolore. "Lui ti ha toccata."
Al sentire quelle parole Sana andò in pezzi, in minuscoli pezzi che non ero capace di rimettere insieme. Volevo farlo, con tutto me stesso, ma non potevo: lei era l'unica in grado di rialzarsi e dire addio allo schifo che aveva dentro.
In compenso, lo schifo che avevo dentro io, non se ne sarebbe mai andato. Non lo dissi a Sana, non battei ciglio, la abbracciai e basta, ma avrei trovato quel maledetto bastardo e l'avrei ucciso.
Tra le lacrime la vidi girarsi, guardarmi come se mi stesse supplicando, ma supplicarmi di cosa?
"Ti prego, perdonami..." disse mentre i singhiozzi la scuotevano. "Mi dispiace così tanto!".
Inorridii capendo cosa mi stava dicendo, pensava davvero che fosse colpa sua? E che per quello non l'avrei più voluta?
Io non ero arrabbiato con lei, non lo sarei mai stato, ma non ero capace di gestire una cosa come quella. Mi sembrava di sprofondare sempre più lentamente in un abisso in cui Sana mi chiedeva aiuto. Un aiuto che io non sapevo darle.
"Ma di cosa stai parlando?! Pensi che io ce l'abbia con te? E per cosa poi, perchè un coglione, che morirà a breve, ti ha messo le mani addosso? Tu sei matta, Kurata! Non c'è niente, assolutamente niente, che possa farmi cambiare idea su di te o che possa cambiare i miei sentimenti! Ficcatelo in testa!!".
Mi resi conto di stare urlando e mi schiarii la voce, cercando di tornare al mio tono normale ma probabilmente dovevo sembrare veramente esasperato, perchè Sana mi guardò come se avesse sentito chissà quale cosa sconvolgente. Era una stupida se anche solo pensava di allontanarsi da me per quello.
Senza neanche che me ne accorgessi lei si gettò su di me e appoggiò le sue labbra sul mio collo, poi le schiuse indugiando un po' sul bacio. Ero sorpreso e spaventato da cosa significasse quel bacio, perchè con Sana tutto poteva esere imprevedibile. Pensavo che il mondo mi sarebbe crollato addosso da un momento all'altro.
"Che cosa stai facendo? Hai capito quello che ti ho detto?".
Non volevo che mi distraesse per sviare il discorso, la conoscevo fin troppo bene.
Abbassai lo sguardo, colto totalmente alla sprovvista, e nel suo sguardo vidi distruzione ma soprattutto decisione e fermezza. Sapeva cosa stava facendo e quello mi terrorizzava perchè io invece non ne avevo idea.
Sana mi attirò di più a sè e più si avvicinava più io mi sentivo morire. Mi baciò freneticamente, e con la lingua tentò di schiudere le mie labbra. Volevo allontanarla, volevo che smettesse e che non smettesse mai.
Mi guardò con aria ancora più decisa, il mio autocontrollo stava già cominciando a vacillare. "Fammi dimenticare quella sensazione. Fammi dimenticare. Ti prego."
Sapeva come portarmi oltre il limite, se non potevo dire nulla per farla stare bene avrei potuto fare qualcosa per farle dimenticare quelle mani, almeno finchè non le avrei sbriciolate con le mie.
La baciai piano, con delicatezza, lei mi infilò le mani tra i capelli e io sentii vacillare sempre di più il mio autocontrollo. Cominciai a baciarla con più passione, facendola mettere a cavalcioni su di me, provando a darle ciò che mi aveva chiesto.
Con un gesto che mi spiazzò, si tolse la maglietta e il mio cuore si fermò per un secondo perchè, anche se l'avevo vista tantissime volte in reggiseno quella volta era come se lei mi stesse dando tutta la fiducia del mondo. Tutta per me, tra le mie dita.
Le mie mani scivolarono dai suoi fianchi al suo seno, una tortura silenziosa e lenta che mi stava distruggendo.
"Fammi dimenticare..." sussurrò di nuovo, e quelle parole segnarono la mia disfatta. Non volevo che lei soffrisse, volevo farle dimenticare anche il suo nome.
Cominciai a posarle una serie di baci lungo la mandibola e poi dietro l'orecchio, avevo imparato che quello era un punto in cui era particolarmente sensibile.
Quando riuscii a riprendere, almeno in parte, il controllo di me stesso mi avvicinai piano alle sue mutandine, ma ero terrorizzato di farla stare male o che mi allontanasse.
Spostai l'orlo della sua biancheria e, improvvisamente, mi resi conto che Sana aveva cominciato a tremare e che si era irrigidita in un istante. Spostai subito la mano.
Capii immediatamente cosa era successo durante quella cazzo di prova. Volevo ucciderlo. Gli avrei spaccato la testa sull'asfalto prima ancora che potesse dire una parola.
"Sana..". Le lacrime cominciarono a rigarle il viso e di scatto l'abbracciai, sperando che si calmasse, o avrei dato di matto. Ma in quel momento non si trattava di me, ne della mia gelosia, o del fatto che sarei andato in prigione per omicidio. Si trattava di Sana e del fatto che era distrutta e si stava lentamente sbriciolando davanti ai miei occhi.
"Ti prego... ti prego, non dire niente.". Stava per spostarsi, me ne accorgevo dal fatto che faceva pressione sul mio petto per farmi alzare. Lo feci, ma con uno scatto la afferrai per i fianchi e la feci sedere nella stessa posizione in cui eravamo prima che il solletico mi rivelasse tutto quello che lei tentava di nascondermi.
Presi la coperta che avevo messo vicino a noi e la avvolsi tra le mie braccia, coprendoci entrambi.
Rimanemmo in quella posizione per molto tempo, io la cullavo e non dicevo una parola, perchè temevo che mi respingesse ed era l'ultima cosa che volevo.
La sentivo lentamente rilassarsi, dopo aver pianto probabilmente tutte le lacrime che aveva in corpo, e speravo che mi parlasse.
Volevo solo aiutarla.
Improvvisamente, quando meno me l'aspettavo, la vidi alzarsi e andare verso la porta.
"Dove vai?" chiesi terrorizzato che mi lasciasse lì, da solo, dopo che avevo tentato di reprimere la mia peggiore reazione per farla stare meglio. Avevo fatto qualcosa che non andava? Eppure non sembrava turbata mentre la stavo abbracciando.
"Spengo la luce." disse infine, e io feci un respiro di sollievo. Risi di me stesso, ormai ero completamente dipendente da quella ragazza e se mesi prima mi avessero detto che sarei stato spaventato all'idea di rimanere da solo non ci avrei mai creduto.
Sana tornò da me, ma stavolta si sdraiò su di me costringendomi a sdraiarmi a mia volta sul pavimento.
"Non so come ringraziarti per questa serata. E' stato tutto perfetto, a parte la mia piccola crisi di nervi. Tu sei stato perfetto."
Al buio era tutto più suggestivo, riuscivo a vedere le nostre ombre che si muovevano sul muro. Le avvolsi i fianchi con le mani, facendo attenzione a non premere troppo per non farle male.
"Mi dispiace se...". Sana mi mise un dito sulla bocca, zittendomi. Volevo disperatamente baciarla... ma lei era così lontana da me. O almeno io la percepivo così.
"Adesso sta' zitto. Devo dirti una cosa e se ti metti a parlare non riuscirò a farlo.".
Mimai il gesto di chiudermi la bocca a chiave e la invitai a proseguire. Il fatto che fosse coricata sopra di me e che il suo seno premesse sul mio metto non mi aiutava a concentrarmi ma feci del mio meglio.
"Io ti amo, Akito Hayama."
In quel momento catturò tutta la mia attenzione. Lei sorrise, vedendo la mia espressione stupita.
"Lo so che non te l'ho mai detto e che tu invece hai continuato a ripetermelo da Capodanno ma... ero terrorizzata dall'idea che potesse finire da un momento all'altro. Non siamo mai stati bravi a capire i sentimenti l'uno dell'altro, tanto meno a dimostrarli, quindi avevo paura. Ma ora... ora so che ti amo con tutta me stessa e che non può finire. Non potremmo lasciarci nemmeno se lo volessimo."
Aveva ragione, non avrei potuto lasciarla nemmeno se tutto il mio corpo mi avesse urlato di farlo. La amavo troppo e sentire dalla sua bocca che anche lei amava me, dopo tutti quegli anni passati ad aspettare, a guardarla di sottecchi, a nutrirmi di un sorriso e un abbraccio ogni tanto, mi rendeva la persona più felice del mondo. Mi rendeva vivo, come non mi ero mai sentito.
"Pensavo che non l'avresti mai detto.". Chiusi gli occhi, beandomi della sensazione che l'amare e l'essere corrisposti dava. Era la cosa più bella che avessi mai provato, era l'unica motivazione per cui sopportavo tutta la merda che comportava il suo lavoro e la sua popolarità. Il fatto che la ragazza che era con me in quel momento non era Sana Kurata, l'attrice di fama internazione, ma Sana: la bambina che avevo conosciuto alle elementari e che si stava trasformando in una splendida giovane donna. La bambina di cui mi ero innamorato perchè mi aveva tirato fuori dal baratro e mi aveva trascinato con forza per tutto il percorso della mia vita. La bambina che era diventata mia moglie.
Mi veniva quasi da piangere.
Sana mi strinse a sè, posandomi un leggero bacio sul collo.
"Meglio tardi che mai, no?".
Annuii vigorosamente e poi l'abbracciai, sperando che quel momento non finisse mai.
Lei, invece, era di tutt'altro avviso. Prese a baciarmi piano il collo, lasciando una scia che scendeva verso il mio petto.
"Sana no... non voglio vederti piangere di nuovo."
Lei mi sorrise e scosse la testa, e quell'immagine era forse la cosa più eccitante che avevo mai visto nella vita.
"Non te lo chiederò un'altra volta: fammi dimenticare.". Non riuscii ad oppormi, perchè anche se sapevo che era sbagliato, che lei non era pronta, io la volevo più di quanto avessi mai voluto qualsiasi cosa o persona nella mia vita. Ero egoista, si, ma la amavo... e mi sentivo strappare le viscere dall'interno ogni volta che mi allontanavo da lei.
Invertii le posizioni e la feci mettere sotto, per poi spingermi ancora di più in mezzo alle sue gambe. Era meraviglioso essere così vicino a lei.
Portai le mani dietro la sua schiena e indugiai per un secondo sui gancetti del reggiseno, come per chiederle il permesso. Lei mi sorrise e io lo tolsi, ritrovandomi con il suo seno nudo davanti agli occhi. Pensai che sarei morto da un momento all'altro.
La sentii mugolare sotto i miei baci e le mie mani, e cercai di imprimermi quel suono nella testa, per non scordarlo mai.
Scesi per baciarle il collo, e lei chiuse gli occhi. Vederla in quello stato mi faceva impazzire.
Le mani di Sana arrivarono fino all'orlo dei miei jeans, da cui si intravedevano i boxer, e io abbassai lo sguardo sorpreso. Con un gesto repentino la infilò dentro e il contatto con la sua mano fredda mi fece sussultare.
Mentre mi toccava, mentre la sua mano andava su e giù dentro i miei boxer la mia forza di volontà venne spezzata del tutto. Entrai in un mondo che non avevo mai veramente conosciuto, Sana mi faceva sentire come mai mi ero sentito nella mia vita.
Volevo ricambiare il piacere che mi stava dando, ma sentivo le braccia molli e il cervello che mi scoppiava, riuscivo solamente a baciarla. Il calore delle sue labbra e della sua lingua attorno alla mia mi faceva eccitare ancora di più. Avrei mai potuto amarla più di così?
Scesi un'altra volta verso le sue mutandine, sperando che stavolta non mi avrebbe fermato.
Vedendo il dubbio nei miei occhi Sana circondò la mia mano con la sua e la portò sotto la stoffa dell mutandine.
Quel gesto mi spiazzò, ma lei mi aveva ripetuto in continuazione che voleva dimenticare, che non voleva più ricordare quella sensazione. Lei voleva che fossi io il primo e io lo volevo più di chiunque altro. Mi sembrava di impazzire mentre la accarezzavo piano e sentivo i suoi gemiti.
"Akito..."
La curva perfetta della sua bocca mentre pronunciava il mio nome mi fece irriggidire ancora di più. Stavo per sentirmi male.
"Che c'è? Ti ho.. ti ho fatto male?". Avevo paura di farla soffrire, che avrebbe provato disgusto per il mio tocco, che non avrei mai potuto farle dimenticare la sensazione di essere toccata da qualcun altro. Decisi di non pensare a cosa le era successo o avrei finito per rovinare il momento.
Era calda, umida, e pensare che fino a qualche mese prima eravamo così lontani che non immaginavamo nemmeno che saremmo finiti l'uno con le mani dentro le mutande dell'altro era davveo surreale. Quell'immagine mi fece sorridere, ma aspettavo ancora che lei rispondesse, perchè non sapevo se continuare o fermarmi e lasciarla andare.
"No... posso... continua!" disse infine. Con l'altra mano cominciai a sfiorarle il seno prima piano e poi con più forza, e la sentivo gemere sotto il mio tocco.
Quello, e le mani di Sana che non smettevano di torturarmi, bastarono a portarmi oltre il limite. I boxer divennero fradici e avrei potuto giurare di aver visto Sana sorridere, soddisfatta del suo lavoro. Risi a mia volta e mi godetti il momento. Non mi ero mai sentito così, il fatto che fosse stata lei a procurarmi quella sensazione era più che sufficente per amplificare il piacere.
Continuai a toccarla lentamente, volevo che la sua tortura durasse di più, volevo che si imprimesse nel cervello l'emozione del fatto che fossero state le mie mani a farla stare così bene.
Continuava a stringere i pugni, cercando qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa da stringere. Si mordeva le labbra per contenere il piacere e io mi avvicinai e feci altrettanto, perchè volevo rivendicare tutto di lei. La sua bocca, il suo seno, la sua schiena, le sue mani che sapevano fare magie, il suo essere più intimo.
Era mia.
Saperlo mi faceva sentire l'uomo più fortunato della terra.
Affondai le dita nella pelle morbida dei suoi fianchi, e con l'altra mano affondai ancora di più in lei, cercando di portarla nel luogo meraviglioso dove ero stato io pochi minuti prima.
Mi resi conto che stava accadendo quando sentii le sue gambe irriggidirsi. Aumentai il ritmo, prima lento e poi furioso e, quando la sentii pronunciare di nuovo il mio nome con quella voce spezzata, capii che era fatta.
Teneva gli occhi chiusi e continuava a mordersi il labbro, e io volevo solo possederla. Volevo che lei fosse mia, veramente, senza più barriere tra di noi.
Ma era ancora presto e, dopo aver aspettato per oltre otto anni, quello che avevamo appena fatto mi sarebbe bastato per un po'.
Mi sarebbe bastato davvero? Ora che avevo avuto un assaggio di cosa poteva darmi il rapporto con Sana, forse non mi sarei più accontentato di niente.
Dopo qualche minuto la bellissima ragazza che avevo tra le mani riprese a respirare in modo normale e i suoi occhi color nocciola mi fissarono per qualche istante.
"Credo che dovresti dire qualcosa..." sussurrai io, senza distogliere lo sguardo dal suo.
Volevo sentirmelo dire, anche se sapevo che era sbagliato costringerla, anche se mi rendevo conto che forse la nostra prima esperienza intima sarebbe dovuta andare diversamente, ma per me nessuna fantasia sarebbe mai stata migliore della realtà.
Quando avevo sentito la sua pelle morbida tra le dita... avrei potuto ricominciare all'istante. Ma aspettavo ancora che lei parlasse, che mi dicesse che andava tutto bene, perchè temevo che sarebbe crollata tra le mie mani e non volevo vedere la ragazza che amavo sbriciolarsi davanti a me.

Infine parlò. "Grazie per avermi fatto dimenticare."
Era tutto ciò che volevo sentirmi dire. La strinsi fortissimo e presi un cuscino dal divano per appoggiarci la testa, poi la feci appoggiare sul mio petto. Aveva i capelli tutti scompigliati e negli occhi una scintilla che non aveva mai avuto, eppure non credevo di averla mai vista più bella di così.
La mia Sana... distrutta, spezzata, fatta a pezzi. E io li avevo rimessi insieme.
La guardai per un ultimo istante prima di sentirla crollare nel sonno. Volevo solo che fosse felice. Con me, con nessun altro.
Sana poteva salvarmi dall'abisso in cui mi ero sempre trovato, o buttarmici dentro con tutta la sua forza. Ma, se il suo piano era cadere nell'abisso con me, non mi sarei di certo lamentato.

   
 
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