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Autore: Lione94    27/01/2017    1 recensioni
Danases è un mondo fantastico popolato da Elfi, Draghi, Nani e altre creature magiche, sull'orlo del caos.
La protagonista della nostra storia è Elien, una semplice mezz'elfa che vive nella foresta di Elwyn nel profondo nord del paese. Sono dieci lunghi anni che si nasconde, ma non può sfuggire a ciò che è.
Quando i fantasmi del passato torneranno a farle visita e l'ombra della minaccia di una guerra distruttiva tra Elfi e Draghi si allungherà sul suo mondo allora sarà costretta a lasciare il suo nascondiglio e a intraprendere un lungo viaggio che la porterà a compiere il suo Destino...
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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13. Promesse



Prima di partire Keltosh ci aveva donato dei nuovi vestiti da indossare al posto dei nostri, stracciati e consumati.
Gli abiti degli umani erano molto più ruvidi e scomodi di quelli elfici, però ci coprivano meglio dal sole e dalla pioggia, anche se con la tempesta che imperversava da alcune settimane su Astrakan, erano diventati molto pesanti.
Menfys, Tanasir e Mavina, su consiglio del capitano Wilby, avevano modificato la loro camminata e iniziato a muoversi goffamente, comunque rimanevano sempre molto più aggraziati di me e Aingel.
Cercavamo di confonderci tra gli umani anche se, con i draghi al seguito, risultava molto difficile.
Finalmente, quella mattina, si aprì uno spiraglio e la luce dei soli oltrepassò le minacciose nuvole nere nel cielo.
Mi fermai e strizzai gli occhi per vedere lontano, attraverso la sottile pioggia: una strana figura si stagliava all’orizzonte.
« C’è una casa laggiù! » esclamai.
Nel tempo in cui arrivammo alla casa, che aveva due piani, la tempesta ricominciò a crescere d’intensità, così tanto che il vento mi spinse via, ma Daelyshia e Tanasir mi afferrarono.
« Grazie » urlai cercando di sovrastare l’ululato del vento.
Aingel bussò alla porta e quella si aprì. Comparve una donna di mezz’età con i capelli rossi striati di bianco e con indosso un lungo vestito grigio.
« Entrate prima di affogare! » urlò sopra il fragore della tempesta, spalancando la porta e facendosi da parte.
Ci precipitammo dentro, incespicando e cadendo. Quando mi rialzai mi trovai circondata da una banda di bambini dagli occhi sgranati che mi osservavano stupiti, ma, soprattutto, guardavano i tre draghi.
Anche la donna che ci aveva aperto ci osservava meravigliata, ma si ricompose: « Su, bambini… è maleducazione osservare così le persone. Adesso andate di sopra » ammonì i bimbi e indicò delle scale a chiocciola, dove si diressero tutti tranne una particolarmente piccola che continuava a osservarmi incantata con i piccoli occhi neri. La donna la prese in braccio e disse: « Benvenuti nel nostro orfanotrofio… io sono Nimes… prego, seguitemi ».
Ci condusse in un’altra stanza, riscaldata da un camino con dentro un bel fuoco scoppiettante. Davanti, con le mani tese per riscaldarsi, c’era un uomo robusto, dai baffi cespugliosi e la barba striati di grigio, come le sue scomposte ciocche di capelli. Doveva essere molto alto, anche se in quel momento era incurvato, per avvicinarsi al fuoco. Indossava dei vecchi pantaloni rattoppati e una maglia sgualcita.
Quando ci vide balzò in piedi e lanciò un’imprecazione: « Elfi e draghi! » esclamò scuotendo la testa « Sento puzza di guai! ».
« Zitto Lored! Vorresti negare ospitalità a delle povere persone che l’hanno chiesto? Guardali, sono tutti bagnati… Cari, andate a sedervi intorno al fuoco » aggiunse infine rivolgendosi a noi.
L’uomo continuava a guardarci contrariato, mentre la donna lo fulminava con delle occhiate. Mi sentivo a disagio, sapendo bene che potevamo essere fonte di guai per quelle due brave persone.
« Ci dispiace essere la causa di tanto disturbo » disse Aingel, come dando voce ai miei pensieri « Ma là fuori si gela e saremmo annegati sotto il torrente di pioggia se non ci aveste ospitati ».
« Non ci disturbate affatto, cari » ci rassicurò Nimes « Potete restare qui, finché non finisce la tempesta… Da dove venite? » si morse il labbro inferiore come se avesse parlato troppo a causa della sua curiosità.
« Da molto lontano » rispose Menfys levandosi uno stivale da dove uscì dell’acqua. Lo scrollò un po’, guardandolo affranto (non gli piacevano molto gli abiti umani), poi aggiunse: « Siamo elfi di Danases ». 
L’uomo, abbandonando il cipiglio contrariato, fece per aprire bocca, però Nimes lo intercettò e portandosi l’indice alla bocca gli indicò di stare zitto: « Tieni a freno la tua curiosità… È meglio ».
« È meglio » le fece eco Mavina, sorridendole.
La donna la ricambiò con un’occhiata gentile e poi continuò, rivolta all’uomo: « Lored aiutami a preparare la cena e le erbe per Maribel… Ci mancava anche la febbre » si lamentò, rivolta a nessuno in particolare, poi sorrise.
Un sorriso tirato che cercava di nascondere la sua preoccupazione.
Si rifugiò con il marito in cucina. 
Daelyshia, Naim e Ogard, poiché con la loro grande mole occupavano due terzi della stanza, si accucciarono in un angolo, imitati da Wisp, mentre io, Menfys, Mavina, Aingel e Tanasir ci sedemmo intorno al fuoco per asciugarci. I miei stivali erano pieni d’acqua, come quelli di Menfys e a ogni passo emettevano un fastidioso squittio.
Vicino a me creai una pozza d’acqua per via dei capelli, che essendo lunghi, ne avevano raccolta molta e adesso gocciolavano senza sosta. Decisi di asciugarli con un incantesimo.
Dall’altra stanza i mormorii dei due umani si confondevano con i crepitii del fuoco e l’odore del legno inondava l’aria intorno a noi, che si era fatta molto calda e ci aveva riscaldato i vestiti umidi.
Mi alzai in piedi e osservai le pareti della stanza, erano piene di disegni dei bambini che rappresentavano cosa vedevano dalle finestre della casa. Mi avvicinai (con gli stivali che continuavano a squittire) a un quadro appeso vicino un angolo pieno di giochi di legno e piccole bambole di stoffa. Guardai il ritratto di Nimes e Lored circondati da cinque bambini sorridenti. Nimes aveva il viso molto più giovane, i suoi capelli erano del tutto rossi e tra le braccia aveva una piccola bambina.
Sentii dei bisbigli, alzai gli occhi e vidi che dalla porta che dava sul corridoio da cui eravamo entrati due bambini ci osservavano. Dietro di loro era nascosta una bambina piuttosto piccola, con i capelli neri legati in una lunga treccia e le labbra rosse che rendevano la sua carnagione ancora più chiara di quanto non fosse già. Il suo sguardo curioso indagò prima i draghi e poi gli altri, fino a posarsi su di me. Mi sentii un po’ a disagio.
« Com’è bella » mormorò indicandomi e facendomi avvampare.
Daelyshia sbuffò del fumo e ridacchiò, facendo scappare i bambini.
« Ops, non volevo spaventarli! ».
Risi insieme a lei e quando mi accorsi che Menfys mi stava guardando intensamente mi sentii arrossire nuovamente. Indietreggiai e senza volerlo mi trovai sulla soglia della cucina dove Nimes, ora da sola, si affaccendava attorno a un mobile di legno, che intuii dovesse essere la dispensa. Sopra la gonna del vestito grigio aveva legato un piccolo grembiule macchiato. La cucina era una piccola stanza con al centro c’era un tavolo rettangolare con molte sedie intorno. Un piccolo fuoco scoppiettava allegramente in un angolo. Lei alzò lo sguardo e, vedendomi sulla soglia della porta, le feci segno di avvicinarsi.
Mi schiarii la voce: « Signora Nimes… ».
« Ti prego » m’interruppe « Chiamami solo Nimes ».
« Va bene, Nimes io volevo… anche gli altri... ringraziarla per la sua bontà. So cosa rischia ospitandoci ».
« Oh, non c’è di che… ».
« E, per ripagarla della sua generosità, vorremo aiutarla » disse Aingel, entrando nella piccola stanza con Tanasir, Mavina e Menfys.
Nimes sorrise: « Grazie… Non sapete quanto è difficile essere solo in due e prendersi cura di dieci bambini… ».
« La capisco » affermò Mavina perdendosi nei suoi pensieri e capii che stesse pensando a Cearly. Da quanto tempo era ormai che era lontana dal suo piccolo? Troppi giorni erano passati da quando eravamo stati a Raducis.
« Bene... Allora voi due mi aiuterete a cucinare » e indicò Aingel e Tanasir. Emisi un sospiro di sollievo: non era mai stata brava a cucinare, poi continuò: « Tu, aiuterai mio marito a prendersi cura dei bambini » si rivolse a Mavina « E voi due andrete nella piccola serra, nel retro della casa» disse infine a me e Menfys, che chiese: « Cosa dobbiamo prendere? ».
« Un po’ di funghi e di bacche. Farò la mia buonissima torta » aggiunse Nimes con orgoglio « Si trova in fondo al corridoio, dietro la porta con il vetro ». 
E così, lasciando la cucina, mi diressi insieme a Menfys nella serra nel retro della casa.
“Ancora esiste un po’ di amore in questo mondo impazzito” riflettei sollevata mentre seguivo l'elfo e pensavo alla bontà di Nimes.
« L’amore esiste da sempre e non svanirà mai » asserì Daelyshia entrando nei miei pensieri « Devi solo cercarlo, si cela in ogni cuore e ha molte forme ».
« In ogni cuore? E allora Klopius? » domandai scettica.
« Il cuore di Klopius è stato sopraffatto dall’avidità e dal potere. Ma non smettere di credere all’amore per uomini malvagi come lui, Elien. È l'amore che ti sta facendo andare avanti, è l’amore per Danases, per tutti gli Elfi che ti spinge in questo viaggio » s’interruppe per un attimo e poi aggiunse divertita: « È molto più vicino di quanto credi… ».
Le sue ultime parole mi echeggiarono in testa.
La tempesta infuriava ancora e il ticchettio insistente della pioggia sui vetri sembrava scandire il tempo veloce.
La serra era molto umida e piena di piante di diversi generi a me sconosciuti, piselli e fave. I funghi erano nascosti in un angolino buio della serra, invece gli arbusti con dei piccoli frutti rossi erano divisi in file. Presi il cestino che stava per terra, a fianco all’entrata e poi avvicinandomi, m’inginocchiai e iniziai a raccogliere le bacche, mentre Menfys si occupava dei funghi.
“Sembra che il tempo sfugga dal nostro controllo” pensai, osservando le gocce di pioggia che scivolavano veloci sui vetri della serra “Se riuscissimo a fermarlo potremo aiutare queste persone e gli elfi e Aingel…”
Daelyshia, ancora una volta, intervenne: « Non si può fermare il tempo ».
Mentre parlava ebbi la visione della dragonessa, Ogard e Wisp accucciati vicino al camino.
« È come cercare di afferrare l’aria con le mani. C’è, ma non si vede, è indispensabile ma non si può possedere ».
Sentii un sorriso affiorarmi sul volto mentre raccoglievo piccolo frutto rosso caduto. Menfys mi lanciò un’occhiata di sottecchi ma non disse nulla. Continuai il dialogo con la mia dragonessa.
« Sei cresciuta Daelyshia. E io che ti penso ancora come un piccolo drago indifeso ».
« Siamo tutti cresciuti durante questo viaggio, Elien, forse chi più, forse chi meno, ma sempre cresciuti. E tu lo sei? ».
Per un attimo rimasi sorpresa dalla sua domanda inaspettata.
« Io… non ne sono sicura ».
Finii di riempire la cesta e guardai Menfys: « Vado a portarla a Nimes! ».
Lui annuì in risposta.
Uscii dalla serra e mi avviai, per il corridoio, verso la cucina, quando, passando vicino la scala a chiocciola, sentii qualcuno tossire in modo molto brutto.
Preoccupata, salii lentamente la scala. Passai vicino ad una porta rumorosa, da dove provenivano le voci dei bambini, insieme a quelle di Lored e Mavina. Ma i piccoli colpi di tosse provenivano dal fondo del corridoio. Poggiai il cesto a terra ed aprii la porta da dove sentivo provenire quei secchi rumori.
Nella luce soffusa della stanza, c’era una piccola bambina dai capelli dorati e dagli occhi azzurri spalancati che mi osservò avvicinarmi al piccolo lettino.
La guardai e il passato riaffiorò nella mia mente.
Mi ricordava me stessa da piccola quando con gli stessi occhi curiosi osservando le meraviglie della foresta di Elwyn.
Mi sedetti vicino al suo letto mentre lei continuava a guardarmi.
« Ciao Maribel » la salutai, ricordandomi le parole di Nimes.
« Sei uno Spirito? » chiese la bambina con voce sottile.
Sorrisi: « No, sono una mezz'elfa. Il mio nome è Elien ».
« Sai la mia mamma è uno Spirito » disse Maribel con un colpetto di tosse, che la fece tremare.
Le poggiai una mano sulla fronte: scottava.
Lei continuò: « Ed io sono triste perché, anche se tra poco sarò di nuovo insieme a lei, non voglio lasciare Nimes ».
Sentii una lacrima rigarmi una guancia.
« Non essere triste » le sussurrai, stringendole una mano dolcemente.
« Ma anche tu lo sei ».
Veloce mi asciugai il volto e percepii una strana sensazione alla nuca, come di essere osservata. Mi voltai di scatto e vidi Menfys che mi guardava dalla porta.
« Entra » mormorai.
Silenzioso entrò nella stanza e si sedette accanto a me.
« Non avevo mai visto così tanti elfi… » Maribel tossì ancora.
« Shh » feci, non volevo che si sforzasse troppo.
« Anche le vostre mamme sono Spiriti? ».
« Sì. Ma tu non devi essere triste » ripetei, sussurrando ancora « Guarirai e resterai insieme a Nimes e Lored »
Maribel sospirò e rabbrividì.
« Te lo prometto ».
Le strinsi più forte la mano e quella s’illuminò, infondendo la bambina di un nuovo calore. Le sue piccole labbra diventarono rosee e la pelle riprese colore. La febbre e la tosse sparirono.
« Elien! » fece Menfys, stupito « Che cosa hai fatto? ».
« Non lo so. Le ho promesso che sarebbe guarita, Menfys » mi voltai a guardarlo e incrociai i suoi occhi.
Il suo sguardo era cambiato. Mi guardava con una luce calda negli occhi e un’espressione dolce.
Gli sorrisi e lui si riprese.
La meraviglia illuminò nuovamente il suo volto.
« Non ti senti stanca? ».
« Mmm… no » risposi, tornando a guardare Maribel, che si mise a sedere piena di energie, e dissi: « Ho solo tanta fame ».
« Incredibile! » mormorò Menfys stupito.
« Anch’io ho fame! » aggiunse la bambina, tendendo le sue mani.
La presi tra le mie braccia e le dissi: « Allora portiamo i lamponi a Nimes! Così dopo potremmo mangiare un pezzo della sua buonissima torta ».
Lei annuì tutta contenta.
Ci avviammo per il corridoio e Menfys mi sfiorò una spalla.
« Hai fatto una cosa bellissima, Elien! » esclamò sorridente «Ne valeva la pena imparare la magia».
Arrossii, ripensando all’inizio del nostro viaggio, quando non volevo praticare la magia, perché non sapevo come controllarla.
« È stato solo grazie al tuo aiuto se ho imparato ».
« Questo ripaga quello che è successo nella prigione » sussurrò la voce di Daelyshia nella mia testa.
Entrammo in cucina e sentii un'esclamazione meravigliata. Nimes si era accorta della buona salute di Maribel. Si precipitò verso di noi e prese la bambina fra le braccia.
« Maribel! Stai di nuovo bene! » le premette le labbra sulla fronte.
« È stata Elien a guarirmi » affermò Maribel con voce squillante « Mi aveva promesso che sarei rimasta con te ».
Tanasir e Aingel mi ammirarono, stupiti. Menfys sorrise nuovamente.
Nimes mi guardò con occhi luccicanti, gonfi di lacrime di gratitudine: « Non potrò mai ringraziarti abbastanza ».
« Non c’è bisogno che tu lo faccia » replicai, impacciata.
« Anche tu sei cresciuta Elien » mi disse Daelyshia.

La tempesta finì e dopo aver salutato Nimes, Lored e i bambini ripartimmo per la nostra strada.
La violenza del vento aveva provocato gravi danni in tutta la pianura: gli alberi erano stati sradicati e in alcune parti il terreno era bruciato per via dei forti fulmini che avevano toccato terra.
Viaggiammo per giorni e giorni in quella distesa arida e dimenticata, finché una notte avvistammo una luce luminosa.
Aingel strizzò gli occhi, cercando di vedere oltre il buio.
« Quella è Sonna » disse indicando delle lucine lontane che sembrava galleggiassero nel cielo immobile, poi aggiunse: « Abbiamo bisogno di provviste » e continuò « Dobbiamo entrare in città ».
« Cosa? » esclamò Tanasir « Ma siamo elfi! » precisò con semplicità.
« Già » intervenne Menfys « Non credi che noterebbero le nostre orecchie a punta? » fece ironico.
« Lo so, ma io ed Elien siamo quasi umane ».
« Tu hai una taglia sulla tua testa! » esclamò Naim.
Aingel iniziò a irritarsi: « Ci servono provviste! Non ci sono altre città dopo Sonna, e non possiamo continuare a vivere solo di radici ».
Nessuno parlò.
« Io vado! » esclamai spezzando il silenzio che aleggiava fra noi « Però sarebbe troppo sospetto se entriamo io e Aingel… » aggiunsi, incerta.
« Elien ha ragione. Non può andare insieme ad Aingel » m’interruppe Ogard - Daelyshia gli lanciò un’occhiataccia, contrariata che mi appoggiasse - e continuò: « Ma come facciamo per il colore dei suoi occhi? ».
« Faremo un incantesimo Cambia temporaneo sul viso » disse Tanasir, mentre Menfys cercava di interromperli: « Io… Non… Sì, però… ».
Lo osservai, confusa.
« È una buona idea! » esclamò Mavina.
Menfys prese un grosso respiro e, finalmente senza interruzioni, disse veloce: « Andrò anch’io con lei! ».

L’indomani, l’alba ci sorprese mentre c’incamminavamo silenziosi verso la città di Sonna.
« Mi sento così… » borbottò Menfys sfregandosi i palmi nascosti da un paio di guanti.
Il suo viso, magicamente trasformato per sembrare meno sottile, era l’unica cosa che si scorgeva; il resto era nascosto da un enorme mantello nero con il cappuccio.
« Andiamo Menfys, è solo per poche ore! » lo zittii.
Anch’io indossavo lo stesso mantello, che mi nascondeva con il cappuccio le orecchie a punta e i capelli dorati. I miei occhi erano tutti e due azzurri.
Non avevamo osato fare altri incatesimi per coprire le orecchie perché altrimenti ci avrebbero preso troppa energia.
Arrivammo a Sonna dopo poche ore, quando i contorni della città si tingevano di luce dorata, ci avvicinammo all’entrata, alle mura della città, silenziosi e tesi.
All’ingresso principale, c’erano due guardie – con lo stemma del grifone impresso sullo scudo e sulla tunica – dall’aria annoiata.
« Che facciamo? » bisbigliai confusa: nel piano, nessuno aveva detto di superare delle guardie.
« Non farti prendere dal panico o desteremo sospetti ».
Le due guardie ci sbarrarono la strada con le due enormi spade.
« Nome! » esclamò con fare annoiato la guardia dai lineamenti rozzi.
Menfys si schiarì la gola: « Io sono Neil » disse con voce profonda, pronunciando il primo nome che gli venne in mente.
« E questa? » chiese l’altra guardia più giovane, indicandomi, mentre Menfys, di nascosto, cercava di staccarmi dal suo braccio a cui stavo aggrappata.
Cercai di darmi un po’ di contegno.
« Lei è Merian ».
« Perché siete venuti a Sonna? ».
« Oh… » intervenni, ridacchiando falsamente « Io e Neil, ci siamo appena sposati » dissi con voce acuta e petulante  « Siamo venuti a trovare mia madre… la mia povera mamma… non è potuta venire al matrimonio, è molto malata ».
« Non vi ho mai visto da queste parti… » commentò una guardia.
« Così giovani e già sposati? » lo interruppe il suo compagno dai tratti rozzi, osservandoci con enorme interesse.
« Ci siamo resi conto che eravamo fatti l’uno per l’altra ».
Quando l'uomo si avvicinò per sbirciare sotto i capucci mi girai verso Menfys e feci la prima cosa che mi venne in mente: lo baciai.
Menfys s’irrigidì e rimase per un attimo meravigliato del mio gesto, ma poi sentii le sue labbra ricambiare il bacio. Erano così delicate sulle mie... Non avevo messo in conto che pure in una situazione scomoda come quella il cuore iniziasse a battere forte.
Per tutte le lune di Danases, stavo baciando Menfys!
E mi piaceva più del lecito.
Fu un bacio veloce. E quando ci separammo sentii il viso arrossire all'occhiata che Menfys mi lanciò. I suoi occhi erano un misto di emozioni: confusione, eccitazione...  Arrossii ma, per fortuna, nessuna delle due guardie se ne accorse grazie all’ombra del cappuccio. Ci stavano guardando piottosto scocciati.
« Non è vero, tesoro? Non è vero che siamo fatto l'uno per l'altra? » domandai a Menfys che sembrava essersi traformato in una statua per come si era irrigidito.  
« Sì cara » rispose lui schiarendosi la voce.
« Certo, certo! » grugnì la guardia annoiata « Potete passare ».
I due uomini si fecero da parte lasciandoci passare.
Non del tutto sicura aguzzai l’udito e li sentii borbottare.
« Questi giovani d’oggi… ».
« Uhm… Non mi hanno tanto convinto. C’è qualcosa di strano in quei due… ».
Dopo esserci lasciati l’ingresso alle spalle, ci rilassammo ma non osammo parlare per paura di essere uditi. L'episodio di prima sembra essere stato dimenticato. D'altronde avevano così più importanti a cui pensare. C’intrufolammo in un piccolo violetto tra due piccole case.
« Dobbiamo trovare un posto… » iniziò Menfys febbrile, sapevo che non si sentiva tranquillo.
« Menfys » feci, però l’elfo non mi sentì.
« Dove possiamo trovare delle provviste… ».
« Menfys! » ripetei impaziente.
« Mmm… Cosa? ».
« Menfys ho ascoltato quello che hanno detto le due guardie e una sospettava qualcosa… ».
Mi guardò agitato: « Un motivo in più per sbrigarci!» esclamò « Dividiamoci, così faremo prima » e indicò una costruzione davanti al vicolo « Ci rincontreremo in quella taverna, tra un’ora ».
Annuii e feci per andare, poi sentii una stretta al polso. Mi voltai e incontrai nuovamente lo sguardo di Menfys, adesso scuro e preoccupato.
« Prometti di fare attenzione? » mi chiese con uno strano tono di voce.
Mi persi per un attimo nei suoi occhi profondi.
Sentivo che quello che era successo prima aleggiava tra noi.
Poi annuii di nuovo, cercando di tranquillizzarlo.
Dopo che mi separai da Menfys, vagai inquieta vicino alla taverna: ogni volta che vedevo dei soldati con l’insegna del grifone, con un brivido pensavo alla prigione…
All’improvviso qualcosa o qualcuno sbatté contro di me e interruppe i miei pensieri. Per un soffio riuscii a rimettere a posto il cappuccio che mi stava scivolando indietro, scoprendomi le orecchie.
« Mi… mi perdoni » udii una flebile voce.
Davanti a me, c’erano due bambini spaventati. La femmina teneva per mano il maschio, che ora tremava dallo spavento. Doveva essere lui ad avermi intruppata.
M’inginocchiai per essere alla loro altezza: « Ciao bambini ».
I due bambini non risposero e fecero un passo indietro.
« No, no » dissi, preoccupata che indietreggiassero così spaventati « Non voglio farvi del male ».
« Che cosa volete? » chiese la femmina.
Notai che aveva gli occhi cerchiati, come se non dormisse da giorni.
« Dove posso comprare un po’ di carne e pane? ».
I due bambini mi guardarono stupiti e nello stesso tempo ancor più spaventati: « Non si può ».
« Cosa? ».
« Nessuno può vendere cibo, è proibito… » disse il maschio in un sussurro, guardandosi intorno « Il re l’ha proibito ».
Ero stupita: « Come fate a sopravvivere senza cibo? ».
« La sera passano i soldati a darci un po’ di pane e qualche tubero ».
« E l’acqua? ».
« Quella la prendiamo noi dai pozzi oppure possiamo comprarla alle taverne insieme ad altre bevande » la bambina si portò una mano alla pancia, che brontolava per la mancanza di cibo.
La rabbia esplose dentro di me: come poteva il re, lasciare morire di fame poveri innocenti? Era così che riusciva a tenere a bada il popolo: affamandolo! Quelle povere persone non avevano nemmeno la capacità di pensare senza forze...
“Ma lui non era il vero re” mi ricordai, furiosa “e noi gliela faremo pagare!”.
« Non posso fare molto per voi » dissi e mi guardai intorno, in quel momento, per la strada non c’erano soldati. Da terra presi un piccolo seme e lo trasformai in una mela. « Tenete ».
I due bambini mi guardarono stupita, poi presero la mela e fuggirono via. Mi guardai nuovamente intorno per timore che qualcuno, oltre i bambini, mi avesse visto, ma nella strada non c’era nessun altro. Dato che non potevo comprare del cibo e non volevo restare in strada ad aspettare Menfys, mi avvicinai alla taverna. Sopra la porta c’era una sbieca insegna sbiadita: La Taverna del Drago.
Entrai all’interno, pensando al suo nome singolare.
Il luogo ero deserto ad eccezione di un uomo dietro un bancone, che doveva essere il proprietario, e due anziani uomini che alzarono gli occhi alla mia entrata.
Il proprietario mi guardò interrogativo ma lo ignorai e mi sedetti a un tavolino da cui era possibile vedere l’entrata. Non dovetti aspettare molto che la porta si aprì e comparì una figura incappucciata che ordinò qualcosa all’oste e poi si accasciò con deliberata malagrazia nella sedia di fronte alla mia. La cosa non gli piaceva molto perché dava le spalle alla porta e si girava spesso per controllarla, come se avesse un tic nervoso.
Si muoveva lentamente senza più la sua solita leggiadria.
« Stai peggiorando » lo presi in giro.
« Grazie, lo prenderò come un complimento! » disse Menfys sorridendo, poi si fece cupo e il sorriso si spense.
« Cos’è successo? ».
« Credo che qualcuno mi abbia scoperto » annunciò lugubre.
« Cosa? » esclamai a voce alta per la sorpresa e i due vecchi mi guardarono di sbieco.
« Shh! Abbassa la voce! » mi ammonì Menfys guardandosi intorno, allarmato.
« Come hanno fatto a scoprirti? » domandai, sussurrando.
« Un uomo! » mugghiò lui, poi abbassò la voce e si protese sul tavolo: « Stavo cercando dove comprare provviste quando un vecchio uomo con la mantella mi è venuto addosso… ».
S’interruppe perché il proprietario venne verso di noi, portando due bicchieri pieni di un liquido rossastro. Menfys infilò la mano dentro il mantello e borbottò qualcosa. Intuii che stava usando la magia. L’oste ritornò al banco facendo tintinnare due false monete di rame che però attirarono lo sguardo cupido dei due vecchietti.
« Ah, succo di bacche! » Menfys seppellì il volto nel bicchiere e riprese a sussurrare: « Dopo che mi è venuto addosso mi è scivolato il cappuccio, di pochissimo, ma credo che quell’uomo abbia visto qualcosa ».
« Avresti dovuto promettere tu di fare attenzione! » dissi e gli strappai una risatina isterica, il suo volto era segnato dalla preoccupazione « È stato inutile venire qui » sospirai poi « Non ci sono posti dove poter comprare un po’ di cibo ».
Menfys mi guardò interrogativo e allora gli raccontai del mio incontro con i due bambini.
« Hai fatto una magia davanti a quei bambini? » era sbalordito.
Evitai di guardarlo negli occhi pieni di rimprovero e scrutai la taverna, accorgendomi che dall’altra parte della stanza, proprio di fronte l’ingresso, c’era un’altra uscita che forse dava a un’altra strada.
Poi mi soffermai a guardare le venature del legno del tavolo.
« Avete trovato qualcosa? » una voce entrò nella mia testa e in quella di Menfys.
« Daelyshia! Come hai fatto a contattarci? » domandò Menfys « Siamo troppo distanti ».
« Sono in volo sopra la città » rispose Daelyshia.
Trattenni bruscamente il respiro.
« È pericoloso! » esclamai preoccupata.
Per calmarmi bevvi un sorso del succo di bacche che, però, sputai subito: « È tremendo! » esclamai asciugandomi la bocca.
Il padrone mi guardò irritato e offeso, mentre i due vecchietti ridacchiarono al commento negativo.
« Sono invisibile » mi rassicurò Daelyshia.
« Torna da Aingel. Ti raccontiamo dopo! ».
« Va bene ma fate presto » la dragonessa chiuse il contatto.
Mi voltai verso Menfys e mi accorsi che i nostri volti erano vicini. Incontrai i suoi accesi occhi verdi e arrossii. Lo stomaco si contrasse, il respiro mi si bloccò in gola e il cuore ricominciò a battere veloce. Osservai il suo viso, il suo sguardo indecifrabile da cui non riuscivo a staccare il mio, le sue labbra così vicine. Per un attimo desiderai poterle di nuovo baciare…
All’improvviso si sentì un forte rumore. Un fascio improvviso di luce ci investì e l’incantesimo tra noi due si spezzò.
Delle urla ci fecero sobbalzare: « Eccoli! Sono loro! »
Sulla soglia dell’entrata della taverna c’era un manipolo di soldati con l’insegna del falcone e uno di loro ci stava indicando.
Trasalii spaventata: ci avevano scoperto!
Balzammo in piedi e nella foga rovesciammo il piccolo tavolo e le sedie su cui eravamo seduti.
« Catturateli! ».
I soldati sciamarono nel locale mentre io e Menfys raggiungevamo la porta dall’altra parte della taverna, che avevo intravisto prima, e uscivamo correndo.
Scappammo per la strada, cercando di arrivare al più presto al cancello per uscire da Sonna. Sentivo le grida dietro di noi. Spaventata, cercavo di ignorare gli sguardi sospettosi della gente, il battito accelerato del mio cuore e la pressione che sentivo nelle orecchie ad ogni passo. Guardai indietro e
, disperata, vidi che gli uomini che ci inseguivano avevano accorciato le distanze .
« Hetia! ».
Menfys usò la magia per rovesciare quello che incontravamo, cercando di fermarli. Due soldati restarono imprigionati sotto delle casse, invece gli altri continuarono a inseguirci. Continuammo a correre, finché non arrivarono all’ingresso della città, dove stavano chiudendo il cancello di legno massiccio.
« Finitum! ».
Prima che mi fermassi a riflettere su quello che stavo per fare, bloccai con un incantesimo la chiusura dei cancelli. Fremetti per l’enorme perdita di energia e i polmoni bruciarono.
La magia aveva sempre un prezzo.
E quel cancello era decisamente troppo pensante.
Boccheggiai per il forte dolore al petto e caddi in ginocchio.
La testa pulsava dolorosamente.
« Elien, cosa hai fatto?! » gridò Menfys tra la disperazione e la rabbia.
I soldati mi avevano quasi raggiunto. Cercai di alzarmi in piedi ma i muscoli protestarono dal dolore. Mi ritrovai a strisciare.
Per tutte le lune di Danases!
Menfys corse veloce verso di me e tramortì dei soldati che mi si erano avvicinati troppo. Mi sollevò e iniziare a correre insieme a lui. La magia e sostenere il mio peso lo sfiancavano. La paura mi scorreva nel corpo, solo grazie all'adrenalina riuscii a velocizzare il passo e mezzo correndo, mezzo zoppicando riuscimmo a superare i cancelli.
Appena qualche metro fuori le gambe di Menfys cedettero e cademmo rovinosamente a terra.
Riuscii a rialzarmi ma lui rimase a terra.
« Menfys, alzati! Alzati!
» gridai afferrandolo per un braccio.
« Non ce la faccio!
» mi urlò di rimando spingendomi via « Vai Elien, vai! ».
Eravamo spacciati. I soldati erano così vicini. Menfys a terra. Ero pietrificata.
« ELIEN VAI!
»
Un ruggito scosse la terra. Il cielo si oscurò e alzando gli occhi vidi Daelyshia che planava verso di noi. Lanciò una potente fiammata e i soldati si allontanarono strillando.
La dragonessa ci agguantò con le sue zampe, c’issammo sulla sua groppa e spiccammo il volo nel cielo azzurro.
Mi accasciai sul collo di Daelyshia facendo attenzione alle punte acuminate e chiusi gli occhi mentre l'aria mi sferzava il volto. Sentivo Menfys a peso morto contro la mia schiena. Il cuore mi pulsava nelle tempie e nelle orecchie, nemmeno riuscivo a sentire l'ululato del vento.
La dragonessa volava veloce al massimo delle sue forze. Quando ci trovammo sopra una foresta fu allora che iniziò a planare. Era stato un viaggio breve ma era stato abbastanza per ripredere un po' di forze e far passare i tremori ai muscoli.
Appena atterammo in una piccola radura ci lasciammo scivolare a terra con poca grazia, sbattendo la schiena. Per un attimo rimasi a terra, Menfys era accanto a me e respirava ansante.
« Appena in tempo
» mormorò Daelyshia accasciandosi, stremata per aver spinto al massimo le sue ali.
Gli altri ci circondarono. Ogard aiutò con il suo muso a far rimettere in piedi Menfys.
« Per tutti i lupi di Astrakan, che cos'é successo?
» domandò Aingel mentre Mavina mi aiutava a rialzarmi.
« Ci hanno scoperti
» risposi schiarendomi la voce.
Osservai la preoccupazione dipingersi sul volto dei nostri compagni.
Ogard guizzò la coda e lo sentimmo mormorare: « Menfys, no!
».
Mi girai e mi trovai a faccia a faccia con l'elfo.
Era furibondo.
« Ti avevo detto di andare via!
» mi urlò in faccia.
Sentìì la sua rabbia investirmi con una ondata.

Mi accigliai: « Cosa?! Bel ringraziamento dopo averti salvato la vita! »
«
C’è mancato così poco che ti prendessero! » esclamò portandosi le mani tra i capelli esasperato.
« Stavano per catturare anche te!
» ribattei alzando la voce e puntandogli il dito contro.
Che cosa ci stava succedendo? L'adrenalina scorreva a mille. Eravamo furiosi. Doveva essere una reazione traumatica allo stress che avevamo subito. Non vedevamo l'ora di scaricarci a vicenda la colpa di ciò che era successo.
Ogard e Daelyshia si allontanarono di qualche metro per evitare di essere contagiati dalla rabbia e creare qualche disastro.
« Hai quasi rischiato di morire per fermare quel cancello! Ma perché non pensi mai alle conseguenze delle tue azioni?!
»
« Menfys era a te che hanno scoperto, tu ci hai cacciato in questa situazione! » gli ricordai, contrariata.
« Elien tu non capisci! La mia missione è farti arrivare viva alla fine di questo viaggio! Senza di te, tutto questo non ha senso! » m’interruppe secco « Se tu muori tutto quello che abbiamo fatto sarà stato vano! Danases può essere salvata solo da te. E tu invece fai tutto il contrario! Che cosa avremmo fatto se ti avessero catturata?! » questa volta fu lui a puntarmi il dito contro e mi spinse all'indietro con forza « Qui non è in gioco solo la tua vita! E' bene che te lo ricordi!
»
L
e sue parole mi colpirono come una secchiata di acqua ghiacciata e mi mozzarono il fiato. Era così... ingiusto!
« Per tutti gli Spiriti, Menfys! Ne siamo usciti vivi! Entrambi! Se non era per me saresti morto! » lo aggredii.
« Che cosa avrei fatto se ti avessero presa al posto mio?! COSA?!
»
« Ragazzi adesso basta... » cercò d'intromettersi Tanasir.
Le mie occhiate rabbiose e il "sta zitto!" di Menfys lo fecero indietreggiare a disagio.
« Sai che ti dico Menfys? Che qui se c'è un egoista sei proprio tu! Che cosa avrei fatto se ti avessero presa al mio posto? » il suo viso si storse in una smorfia quando feci il verso alle sue parole « Certo! La tua missione va male se muoio, no? Che cosa racconterai al Grande Saggio? Come ti potresti lavare altrimenti la coscienza di non aver protetto mia madre quand'era il momento se adesso non lo fai con me? ».
All’improvviso indietreggiai, spaventata.
Avevo superato il limite.
Il volto di Menfys, livido di rabbia, aveva perso tutti i suoi tratti elfici e assomigliava a quello di un drago. Arricciò il labbro superiore e mostrando i denti, mi ringhiò contro la sua furia. I suoi muscoli erano tesi: sembrava pronto ad attaccare.
Con un balzo Ogard e Daelyshia si misero in mezzo.
« Basta Elien, hai esagerato! » mi riprese Daelyshia.
Sapevamo entrambi che aver nominato mia madre non era stato giusto. Anche perché sapevo che quello che avevo detto non era la verità. Ma nella foga nella rabbia le parole mi era sfuggite senza che potessi controllarle.
Ogard stava dicendo qualcosa a Menfys. Vidi nel suo sguardo l’orrore per quello che aveva fatto. Si accorse che lo guardavo. Per un attimo i nostri sguardi s’incrociarono. Però lui troppo presto evitò i miei occhi e si voltò, portandosi le mani alla testa. Sentii gli occhi pizzicare e il labbro inferiore tremare.
« Menfys, io… » non riuscii a continuare. Non sapevo come continuare. Non riuscivo a trovare le parole per scusarmi ed ero ancora troppo spaventata dalla sua rabbia.
« Lascia stare, Elien!
» esclamò con amarezza.
A grandi falcate si diresse tra gli alberi e sparì dalla nostra vista.
« Eh no!
».
La voglia di piangere passò in un attimo e rimontò la rabbia. Non lo avrei lasciato andare così! Con
un balzò evitai la coda di Ogard che cercava di impedirmi di passare e lo inseguii.
Gli elfi sapevano correre davvero veloce quando volevano. Con tutte le mie forze cercai di stare al suo passo, ma era difficile seguirlo in mezzo agli alberi. La foresta si faceva sempre più fitta.
« Menfys! Fermati!
».
Dato che non mi ascoltava lo mandai a sbattere contro il ramo di un albero che avevo abbassato all'improvviso con la magia. Quando lo raggiunsi si voltò mezzo stupito mezzo esasperato
. Non si aspettava che avrei usato la magia proprio contro di lui.
« Che vuoi Elien ?» la sua voce era fredda, distaccata.
Per fortuna sembra aver perso tutta la furia di prima.
« Menfys, mi dispiace per quello che ti ho detto. Sono stata ingiusta. Non cosa dire per farmi perdonare. Sai che quelle parole non le pensavo davvero! ».
Le labbra di Menfys si tirarono in un sorriso forzato.
« Non sei tu quella che si deve scusare » disse amareggiato « Non avrei dovuto comportarmi in quel modo. Ho passato troppo tempo da solo con un drago… non volevo spaventarti ».
« Non mi hai spaventata » ci tenni a sottolineare, anche se non era del tutto vero.
Lui mi lanciò un’occhiata scocciata.
Non ne dicevo una giusta.
Incrociai le braccia e sbuffai: « Che c'è?
».
Stavo rischiando di fargli riperdere la pazienza. Ma non lo avrei lasciato andare via senza spiegazioni. E poi via... dove? Io e Menfys eravamo sempre stati insieme fin dall'inizio, non poteva escludermi adesso.
« Solo che tu non capisci! » esclamò all'improvviso avvicinandosi e afferrandomi per le spalle « Hai ragione tu quando dici che sono egoista. Non voglio che ti succeda niente perché altrimenti mi andrebbe in frantumi l'anima, Elien. E non perché sei l'erede al trono ma perché sei tu! ».
Finalmente capii il perché della sua rabbia.
Menfy era preoccupato per me.
Lui voleva me e solo me.
Prima che potesse aggiungere altro le mie labbra erano sulle sue. Era così sorpreso del mio gesto che cademmo a terra dopo che il mio peso lo fece sbilanciare, ma non mi lasciò. Mi strinse al suo corpo e ci baciammo in modo così passionale che sentii arrossirmi fino alla punta delle orecchie. Un forte calore mi invase il corpo...
La foresta stava forse andando a fuoco?
Ovviamente il cuore iniziò a correre impazzito e sentivo le mani tremare mentre gli accarezzavo il volto, il collo e scendevo a infilarle sotto sua maglia. Non sapevo cosa stavo facendo ma di certo non mi accontentavo solo di un bacio.
Aprii gli occhi che avevo chiuso involontariamente e mi ritrovai con il suo sguardo eccitato puntanto nel mio.
Quando capì anche lui che cosa animava i miei occhi, si ritirò di scatto.
« Non posso ».
Lo trattenni per il braccio mentre cercava di alzarzi. Rimase fermo, anche se era molto più forte di me e poteva liberarsi facilmente dalla mia presa.
Lo guardai preoccupata: « Perché? ».
« Perché ho più di mezzo secolo » rispose Menfys, sospirando. Ammetterlo lo faceva soffrire. « I miei ottant’anni sono tanti per te. Il tempo che ci divide è troppo lungo ».
« Il mio tempo non è uguale al tuo » dissi mentre lo costringevo a sedersi di nuovo accanto a me « Anche se legandomi con Daelyshia la mia vita si allungata, la mia età si calcola secondo quella degli umani e finché resto una mezz’elfa è come se avessi quasi la tua stessa età » riflettei.
Lui alzò un sopracciglio e ripeté divertito: « Quasi? ».
« Non ti conviene contraddire le mie parole!
» lo minacciai.
Menfys scoppiò a ridere alle mie parole.
« Hai ragione » ammise.
Dal suo sguardo capii che si era arreso.
Mi prese il viso tra le mani e lo portò vicino, così vicini che potevo osservare le pagliuzze verdi nei suoi occhi intensi e profondi. Sentii un brivido percorrermi la schiena e sentii il respiro mancare. Menfys esitò incerto per un attimo, poi ridacchiò e poggiò le sue labbra sulle mie, schiudendole con delicatezza. Mi aggrappai a lui attirandolo più vicino e passandogli le mani tra i capelli. Sentii il mio cuore accelerare per l'ennesima volta e mi strinsi più forte nel suo abbraccio, per impedire che scappasse dal petto. Solo quando si staccò, mi ricordai di riprendere fiato.
I nostri volti erano ancora vicini e sentivo il suo dolce profumo sfiorarmi. Riuscivo anche a sentire il suo respiro accelerato, il suo cuore contro il mio petto, il suo sospiro dentro il mio.
Menfys tentò di dire qualcosa ma lo interruppi.
« Shhh » sussurrai, osservando i suoi occhi ardenti.
Il nostro legame non aveva bisogno di definizioni o confini in quel momento.
Lo spinsi piano e ci sdragliammo a terra. La nostre lingue ripresero a danzare. Travolta dalla passione gli tolsi la maglia e potei ammirarlo a petto nudo. Era proprio vero che Menfys non era un elfo comune, la sua bellezza mi toglieva il fiato.
« Sei sicura?
» 
Roteai gli occhi sbuffando e per tutta risposta mi tolsi la maglietta. Menfys mi osservò  per un attimo stupito ma, quando il suo sguardo si accese di desiderio nel guardare le mie forme, mi sentii arrossire. Mi sorrise e mi attirò a sé dolcemente per potermi tornare a baciare ancora una volta. Lo sfregamento dei nostri petti ci fece letteralmanete impazzire e prima che potessimo accorgercene, le nostre mani avevano agito di proprio volontà.
Ci ritrovammo nudi.
Lui sopra di me.
Dentro di me.
I nostri corpi s'incastravano alla perfezione.
All'inizio provai un po' di dolore e Menfys si immobilizzò aspettando che mi abituassi alla sua presenza. Le emozioni mi squassavano il petto. L'aria pungente della foresta non mi toccava; sentii una goccia di sudore scivolarmi già per le scapole lungo la schiena. Gemetti quando scese a baciarmi il collo e nel frattempo mi accarezzava voluttuosamente il seni.
Il mio corpo fu scosso da brividi di piacere e strinsi le gambe intorno al suo bacino invitandolo a proseguire.
E mentre i nostri corpi si muovevavo all'unisono e i nostri sguardi erano intrecciati, perdendomi in quelle due pozze verdi pensavo che non c'era nessuno altro posto dove sarei voluta stare in quel momento se non tra le braccia di Menfys.


 


  
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